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Autore: Lady Warleggan    24/04/2022    1 recensioni
Fanfiction ambientata dopo la fine della 4° stagione (allerta spoiler!)
Isla ha ventisette anni quando accetta un impiego come istitutrice in Cornovaglia presso la tenuta di Trenwith. George invece, ormai sulla soglia dei quaranta, si è letteralmente catapultato nel lavoro e nella politica per mettere al tacere il dolore che lo tormenta dalla morte di Elizabeth.
Isla rappresenta per lui la più fresca delle novità: è intraprendente, dolce e amorevole col piccolo Valentine, di cui è diventata la sua migliore istitutrice. Tra i due c’è un semplice rapporto di educazione e rispetto, ma il destino ha in serbo per entrambi qualcosa di completamente diverso, e forse per George riserva ancora l’opportunità di amare di nuovo.
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, George Warleggan, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sei.
George dormì poco sul divano in salotto e si risvegliò un paio d'ore prima dell'alba. Era avvolto dal buio, intirizzito dal freddo e scaldato da un'unica coperta gelida. Si sentiva intontito, come se qualcuno gli avesse dato una botta in testa e lo avesse tramortito lasciandolo in mezzo al nulla.
Anche così, anche se mezzo morto di stanchezza e di freddo, con la schiena a pezzi, in quella stanza semibuia, non riuscì a fare altro che restarsene immobile. Si sentiva gli occhi gonfi, come se avesse continuato a piangere pure nel sonno: il ricordo del calore delle mani di Isla gli tornava alla mente come un sogno, come se si fosse immaginato tutto, e invece non poteva credere che il tutto fosse avvenuto soltanto poche ore prima, che lui avesse permesso che una persona lo vedesse in quelle condizioni, soprattutto una donna che non fosse la sua Elizabeth. Aveva pianto davanti a lei, in passato, per chiederle perdono. Ma con Isla no, con lei aveva soltanto cercato conforto. Tracciò delle linee invisibili su quella coperta gelida che sicuramente doveva avergli posato addosso, mentre era profondamente addormentato.
Si sfregò le mani, ormai tanto fredde e intorpidite, forse riprovando a ritrovare quel calore che aveva sentito con le mani di Isla. Ormai pensava solo a lei, immerso in quella lucida consapevolezza del buio, adesso più imbarazzato che mai per come si fosse lasciato andare in sua presenza, in preda ad uno di quei deliri in cui la nostalgia per la moglie defunta era diventata troppo insostenibile. Sospirò, pensando con quale coraggio poi avrebbe dovuto guardarla in volto ed affrontarla: non era sicuro di riuscirci, e francamente non si sentiva ancora pronto ad affrontare quel momento.
Trovò finalmente la forza di alzarsi da quel divano, le sue scapole reclamarono pietà mentre si stiracchiava. Cercò di orientarsi nel salotto semibuio, muovendosi a tentoni: la luce della notte non aiutava, doveva trovare un candelabro e un paio di fiammiferi.
Affidandosi ai suoi altri sensi, sapeva che sul camino del salotto avrebbe trovato entrambe le cose, e dopo un paio di tentativi, riuscì ad accendere tutte e tre le candele del candelabro. Iniziò a farsi luce nella sala da pranzo: sentiva su di sé lo sguardo di Elizabeth da quel quadro che aveva scoperto lui stesso, poche ore prima, ma non si voltò per guardarla. Conosceva a memoria ogni dettaglio di quel ritratto. E sapeva che non c'era motivo di dare alcun ordine al personale di casa sua, lo avrebbero fatto in automatico: il quadro, prima che lui avesse fatto colazione, sarebbe stato sicuramente coperto.
Tornò in camera propria, dormì ancora un altro po', e quando si risvegliò, non ebbe la forza di uscire. Si fece portare la colazione in stanza e i domestici sembrarono sorpresi di ritrovarselo a Trenwith, nemmeno sapevano che fosse rientrato: d'altronde era tornato talmente tardi che tutti erano già a dormire. Ordinò poi che qualcuno mandasse un messaggio a suo zio Cary in cui lo informava che non si sarebbe recato a lavoro, che si sentiva poco bene e che lo avrebbe aggiornato direttamente il giorno successivo. A causa di quelle poche ore passate a dormire sul divano adesso aveva dolore in muscoli che nemmeno pensava di avere.
Seduto sul letto, si portò in grembo il vassoio della colazione. George non voleva semplicemente fare niente, quella mattina. Non ne aveva voglia.
Mentre ingollava un pezzo di pane, la sua mente vacua fu attirata da alcune risate all'esterno. Sembrò accorgersi solo in quel momento di quanto fosse bella quella giornata, e di che sole meraviglioso splendesse alto fuori le finestre di camera sua.
Si alzò, ignorando il freddo del pavimento sotto ai piedi scalzi e si accostò al vetro. Da quell'angolo della sua camera, le figure di Isla e Valentine erano perfettamente visibili. Suo figlio e la sua istitutrice camminavano nel giardino di Trenwith ancora spoglio a causa dell'inverno, entrambi con un libro in mano, come se avessero approfittato di quella giornata gentile per fare lezione all'esterno.
Che visione: anche da quella distanza il sorriso di Valentine era nettissimo. Non riusciva a capire che cosa stesse dicendo ad Isla, ma era evidente che entrambi stessero discutendo di qualcosa di particolarmente interessante, forse un argomento di studio che doveva aver catturato la loro attenzione.
Quell'esplosione di vita, quell'anticipo di primavera offerto da Isla e da suo figlio nel clima rigido della Cornovaglia, rappresentò per George la molla giusta. Aveva una terribile emicrania e dolori dappertutto, ma niente che una passeggiata all'aria aperta non potesse lenire; una risata di suo figlio sarebbe potuta essere sicuramente una medicina più che adeguata.
Ora, mentre lo vedeva sorridere, si chiese da quanto tempo Valentine non sorridesse così, almeno per merito suo. Valentine lo rispettava, lo ammirava, ma forse troppe poche volte aveva riso per causa sua.
Si diede una ripulita al catino, indossò dei vestiti puliti e pettinò alla bene e meglio i suoi capelli senza alcuna forma. Aveva toccato poco della sua colazione, ma si sentiva fiducioso: ora sentiva che, nonostante la nottata delirante, avrebbe comunque avuto il coraggio di osservare gli occhi azzurri di Isla.
Lasciò la sua camera e scese le scale, poi uscì dall'ingresso. I ciottoli sotto ai suoi piedi scricchiolarono. Isla e Valentine gli davano le spalle, ma non erano troppo lontani da dove li aveva visti alla finestra.
Fuori faceva ancora freddo, ma al sole si stava bene. Tuttavia erano entrambi ben imbabuccati: lei era stretta in un soprabito grigio e indossava un cappello non troppo largo; suo figlio aveva messo un cappotto blu.
A quel punto e a quella distanza, riuscì ad estrapolare parti della loro conversazione. Stavano studiando francese.
"Peux je vous inviter à danser, mademoiselle?"
"Très bien!" esclamò Isla, con un sorriso fiero. "Miglioriamo solo un po' la pronuncia di peux, d'accordo?"
George mise le mani in tasca, gli ci volle poco per avvicinarsi a suo figlio e ad Isla, e anche ad entrambi per rendersi conto di non essere più da soli. George non riuscì a guardare subito Isla, preferì concentrarsi su Valentine, che dopo aver urlato "papà!" si era letteralmente fiondato tra le sue braccia, lanciando per terra il suo libro di testo. Isla lo raccolse immediatamente.
"Non sapevo che fossi tornato!"
"Ho fatto un salto a casa."
Valentine annuì, e si avvinghiò a lui a mo' di koala. George non ebbe il coraggio di lasciarlo andare.
"Mi spiace aver interrotto la lezione" si scusò, trovando finalmente la forza di osservare l'istitutrice di suo figlio. "Buongiorno, Isla."
Lei gli sorrise con estrema sincerità e contraccambiò il saluto. Non sapeva da dove partire, se aspettare un momento opportuno e chiederle un confronto privato, o soltanto lasciar correre quanto capitato la sera precedente come se nulla fosse. George non voleva soltanto chiederle di non dire niente in giro, ma voleva anche ringraziarla: era vero, era stato un caso che lei rientrasse nello stesso momento in cui lui si era diretto nella sala da pranzo, ma era pur sicuro che se non fosse stato per quelle sue mani o per le sue parole, forse quella sera si sarebbe ubriacato fino a scordare il suo nome e probabilmente, chissà, lo avrebbero trovato addormentato al tavolo da pranzo.
E sicuramente non sarebbe stata una bella visione per nessuno.
"Posso assistere alla lezione?"
Isla fu sorpresa dal tono timido con cui George le si rivolse. Era in evidente difficoltà dopo quanto capitato la sera precedente, tanto quanto lei, ma in fondo a Trenwith lui era il padrone, non aveva bisogno di chiedere.
"Certo, sir George."
Valentine scese dalle braccia del padre e riprese il suo libro in mano. George non disturbò affatto, a pochi passi dietro di loro, e la sua presenza non risultò per nulla ingombra, era solo come se a quella lezione assistesse un spettatore.
George aveva già notato, quand'era a casa, dei miglioramenti in Valentine, ma quella fu la prima volta in cui poté osservare da vicino il metodo di insegnamento utilizzato dalla nuova arrivata di Trenwith. Pazienza, tenacia e dolcezza sembravano gli ingredienti giusti.
"Perché non ci presentiamo in francese a vostro padre?" azzardò a chiedere Isla a Valentine, fermandosi di colpo e costringendo George a fare altrettanto.
Il bambino la guardò con incertezza, come se non si sentisse ancora pronto, ma Isla gli fece un occhiolino, incitandolo quantomeno a provarci.
George non disse niente, si limitò ad un cenno della testa invitando il figlio a procedere, e incrociò le braccia dietro la schiena.
Valentine sembrava nervoso alla sola idea di esporsi. Con Isla era un conto, se faceva degli errori lei era clemente e gli faceva capire dove avesse sbagliato, ma suo padre era tutta un'altra faccenda.
"Puoi farcela!" insisté lei, e a quel punto si lasciò convincere. Prese un grosso respiro e cominciò a parlare.
George rimase stupito da quello che ascoltò. Valentine era riservato e timido di natura, probabilmente non sarebbe stato capace di spiccicare il suo nome per intero davanti ad un estraneo, tra l'altro nella sua lingua madre. Il bambino che gli stava ora di fronte poteva non avere una certa fluidità nel discorso o formare delle frasi molto semplici da un punto di vista grammaticale, eppure gli stava parlando in francese senza commettere alcun tipo di errore.
Valentine fece una breve presentazione sul suo nome, sulla sua età, su dove vivesse, con chi vivesse e cose semplici come il suo colore o i suoi giochi preferiti. George non si accorse nemmeno che il discorso era terminato fino a quando Isla non fece un piccolo applauso e lui si ritrovò a fare altrettanto.
"Sei stato splendido!" esclamò con orgoglio.
Si chinò alla sua altezza per un abbraccio veloce, poi Valentine osservò il padre con sguardo speranzoso.
"Papà, che ne dici?"
Il silenzio inaspettato di George lo lasciò per un attimo nel panico, ma quando le labbra di suo padre si aprirono in uno dei suoi inaspettati sorrisi, Valentine sentì le sue gambe vibrarsi in aria.
"Praticamente tra poco parlerai francese meglio di me!"
* * *
Passarono altri giorni da quella mattina, e poi anche delle settimane. George alla fine scelse la strada del silenzio: far finta che quella notte non fosse successo nulla conveniva sicuramente sia a lui che ad Isla per evitare eventuali imbarazzi, poiché già di per sé il loro rapporto aveva superato determinate righe. Eppure, evitare di pensare che ormai quella ragazza facesse parte di quella loro famiglia, era come mentire a se stessi.
Quando rincasava spesso dai suoi viaggi fuori dalla Cornovaglia, era nata, senza preavviso, l'abitudine di ritrovarsi tutti assieme attorno al fuoco del caminetto, dopo cena: di solito l'atmosfera era molto tranquilla, Valentine giocava sempre un po' prima di dormire, mentre George, seduto alla poltrona, ricontrollava attentamente gli ultimi conti; Isla invece si perdeva a leggere qualche libro o le lettere della famiglia.
Una sera capitò che Valentine prendesse sonno sul divano, in grembo ad Isla. George se ne accorse per primo, alzando per un attimo lo sguardo da tutti quegli affari che gli occupavano la mente. Avrebbe dovuto trovare quell'immagine stonata, forse se si fosse trovato nelle condizioni in cui era stato per un lungo periodo, avrebbe dato di matto... soprattutto a ripensare al volto di Elizabeth e a come quella notte in cui erano stati intensamente vicini lui ed Isla, gli occhi del suo ritratto l'avessero giudicato male. E invece non ci trovò niente di assolutamente assurdo, quella volta.
Fu quella sera che notò qualcosa di strano in Isla, e quello fu l'inizio di un lungo periodo in cui non gli parve più serena. Sembrava preoccupata mentre leggeva qualcosa in una delle lettere che le arrivavano spesso a Trenwith: George faceva controllare spesso la posta e perlopiù erano missive provenienti da Caroline e dalla sua famiglia, non arrivava praticamente mai niente dai Poldark e fu grato che, nonostante quella latente amicizia con Demelza, Isla stesse mantenendo un qualche tipo di distanza o comunque cercasse di non piazzarglielo davanti agli occhi.
Il contenuto di quelle lettere continuò a preoccupare Isla nei giorni successivi, motivo per cui smettere di pensare a quello strano momento tra lei e George, avvenuto tempo prima, divenne più semplice. Lasciarselo alle spalle divenne naturale come bere un bicchiere d'acqua, visto che ormai, di dormire non se ne parlava: divenne difficile scervellarsi su cosa rispondere alle parole dell'ultima lettera di sua madre.
Il motivo di quei pensieri inquieti era Mary. Sua madre scriveva che sua sorella minore si era inspiegabilmente ammalata dinanzi agli occhi di tutti e che ormai le sue giornate erano tutte uguali.
"Una malattia di nervi" aveva confermato l'ultimo dottore che l'aveva visitata, roba che le aveva fatto contorcere le budella quando poi aveva letto delle barbarie a cui sembrava che sua madre e quell'idiota di suo marito avessero deciso di sottoporla per aiutarla a riprendersi.
"Un demone interiore, dobbiamo pregare!" recitava una delle parti della lettera e Isla era rimasta in bilico tra il voler rispondere con una lettera piena di insulti verso sua madre e il marito di sua sorella oppure fare quello che sembrava più giusto in quel momento: tornare in Scozia.
Mary era sempre stata fragile e quello ne era il risultato. Probabilmente le continue pressioni da parte delle famiglie dovevano essere state deleterie per lei, cosa che in parte portava Isla a sentirsi in colpa perché sapeva che non si erano lasciate bene quando aveva fatto armi e bagagli dal suo ultimo incarico a Londra ed era andata a vivere in Cornovaglia.
Ma Mary non era cattiva, e lei non aveva mai smesso di volerle bene. E lei era sua sorella maggiore, e doveva tornare, provare ad aiutarla. Era certa che solo con la sua presenza potesse assicurarsi che i suoi non permettessero più a dei dottori da strapazzo di tormentare sua sorella.
Ma per l'assurdo, mentre rimuginava sulla risposta da inviare, il solo pensiero di dover lasciare Trenwith per un periodo di tempo che non avrebbe saputo definire, era diventanto un qualcosa di inconcepibile. Sua sorella aveva bisogno di lei, ma anche Valentine ne aveva. E lei, dopotutto quel tempo accanto a lui, sapeva di non poterlo davvero abbandonare perché se n'era affezionata troppo per fargli del male.
Sarebbe stato tutto più semplice se fosse riuscita a parlare con Dwight e a convincerlo a partire per la Scozia, perché era certa che, uno come lui, avrebbe saputo trovare davvero la cura giusta per aiutare Mary a riprendersi. Ma come faceva? Dwight era probabilmente l'unico medico che i minatori e la gente povera dei dintorni potessero permettersi stando ai racconti di Caroline, e lei non poteva strapparlo a quella terra e a quelle famiglie, anche perché era certa che lui non si sarebbe schiodato da lì, per quanto dispiaciuto di non poter davvero aiutarla.
Un sabato, durante uno dei suoi soliti incontri con Caroline e Demelza, quella cosa saltò fuori, soprattutto di fronte all'insistenza delle due amiche che vedevano chiaramente un turbamento in lei da molto tempo. Le giornate si facevano più gentili con l'arrivo della primavera e ormai non nevicava più, potevano chiacchierare e passeggiare all'esterno senza rischiare di diventare tre pezzi di ghiaccio.
Isla aveva tentennato a confessarlo perché, a di là di quanto potesse stimare le due amiche, parlare di salute mentale nel loro mondo e ai loro tempi, era ancora come camminare sui carboni ardenti: si rischiava di dire troppo e coinvolgere degli istituti di recupero dove le menti già provate raggiungevano la definitiva morte, o si rischiava di essere allontanati da qualsiasi cerchia sociale. Ma Mary era sua sorella, e Demelza e Caroline erano le amiche migliori che potesse aver mai conosciuto fino a quel momento, quindi decide di fidarsi.
"Magari, se riuscissi a convincerla a venire qui in Cornovaglia, sono certa che Dwight sarebbe ben lieto di visitarla" rifletté Caroline a voce alta, beandosi di un raggio di sole sul volto.
"Sono certa che Ross potrebbe trovare per tua sorella e suo marito una sistemazione a Truro in qualche appartamento" aggiunse poi Demelza, e quel suggerimento gettò Isla nel panico. "Ha delle conoscenze in città."
Doveva intervenire immediatamente. Un conto era chiedere consiglio alle sue amiche, un altro era che coinvolgesse in quella faccenda anche il peggior nemico di George. Che per inciso, di tutto quello che stava capitando, non sapeva ancora niente. Non gliene aveva mai parlato: anche se dopo quell'insolito fatto aveva ripreso ad essere più presente in casa, gli unici momenti in cui si beccavano erano la sera accanto al focolare o qualche volta all'ora dei pasti, e di solito si limitavano a convenevoli si cortesia.
Era vero, si trattava pur sempre di sua sorella, ma non voleva comunque incorrere nel rischio di accentuare ancora di più quella faida oppure di essere licenziata. Perché aveva la sensazione che George non si sarebbe fatto troppi problemi a mandarla via.
"E perché mai sistemarsi a Truro? Il centro è caotico, e credo che Mary abbia invece bisogno di tranquillità e di pace" intervenne Caroline, scuotendo il capo. "Casa mia è perfetta: abbiamo un sacco di stanze e Dwight può prendersi cura di lei in qualunque momento."
Il volto di Isla si illuminò. Caroline aveva avuto davvero un'ottima idea: certo, il viaggio dalla Scozia fino in Cornovaglia non sarebbe stato una passeggiata, ma probabilmente era l'unica alternativa che Isla avesse per contribuire in qualche modo ad evitare il definitivo declino di sua sorella. Di quel passo avrebbe dovuto scrivere anche al marito, ma era una situazione che poteva tenere benissimo a bada.
"Credo di doverne parlare prima con sir George" ammise francamente.
Forse da un lato non ne era obbligata, ma nascondere quella parte enorme al suo datore di lavoro le sembrò d'improvviso allucinante. L'arrivo di Mary avrebbe richiesto un po' del suo tempo e lei doveva essere certa che lui gliene concedesse abbastanza per prendersi cura di lei. Col suo arrivo, non poteva occuparsi di Valentine tutti i giorni.
"Perché?" Demelza inarcò un sopracciglio.
"Perché ho bisogno di più tempo per stare accanto a Mary" rispose Isla. "E per farlo dovrò toglierne a Valentine."
"E se lui dovesse rifiutarsi?" azzardò a chiedere Caroline. "Se non dovesse permetterlo?"
Isla fece spallucce. "Non lo so. Probabilmente l'unica soluzione possibile in quel caso sarebbe tornarmene in Scozia, dalla mia famiglia." E a quel punto, le facce delle due amiche si fecero dispiaciute. "Ma fino ad adesso sir George è sempre stato cortese con me."
Ci fu un attimo di silenzio.
"Seh. Cortese."
Isla alzò lo guardò su Demelza. Era la prima volta che la affrontava con un'espressione di autentica frustrazione: non ne poteva più di parole a caso, frasi a metà, di verità celate. Tutta quella questione di sua sorella la stava già mettendo a dura prova.
"Non so quale sia il problema tra voi Poldark e i Warleggan, Demelza" sbottò e il suo tono di voce fece sgranare gli occhi a Caroline. "Ma ne ho abbastanza. E sì, che tu voglia crederci o no, sir George è sempre stato gentile con me."
Isla dovette rilassare le spalle perché si rese conto che aveva detto tutto senza prendere un attimo di respiro. Lo sforzo di difendere a tutti costi George l'aveva lasciata senza fiato. Perché si era spremuta così tanto? Si sentì in fiamme. Il sole tiepido le scaldava la pelle, ma era certa che quel calore che sentiva non fosse dovuto soltanto alla bella giornata.
"Quando ti accorgerai davvero di chi è George, Isla, rimpiangerai di averlo incontrato" rispose Demelza, piccata alla stessa maniera, forse anche un po' sorpresa di essere stata aggredita in quella maniera.
Caroline si voltò a guardare inorridita anche la sua amica dai capelli rossi.
"Demelza!" la sgridò.
Isla fece un segno con la mano e la invitò, educatamente a non intromettersi. Non aveva bisogno di alcun avvocato difensore, si era difesa da sola tutta la vita, ora era brava a farlo. Aveva affrontato nemici ben peggiori della signora Poldark, che per quanto scaltra ed impetuosa non le faceva alcuna paura.
"Non mi importa cosa sia successo fra le vostre famiglie, ma sei mia amica e se fossi in pericolo avresti già dovuto dirmelo sin dall'inizio e non l'hai mai fatto, quindi direi che non ho niente da temere." Prese una pausa. "E che tu ci creda o no, lavorare a Trenwith non è l'inferno che vuoi farmi credere. Mi piace stare lì."
Era la prima volta che lo ammetteva ad alta voce. Aveva lavorato in tante case prima di arrivare lì, ma la Cornovaglia era l'unica che le avesse dato l'impressione di sentirsi davvero in un posto familiare, dopo la Scozia. Quanto tempo ci aveva messo per riuscire finalmente a realizzarlo?
"Un giorno dirai anche che ti piace anche George e ne vedremo delle belle" replicò Demelza con un sorrisetto.
L'atmosfera si congelò in quel perfetto momento, Caroline sembrava non smettere mai di mostrare un'espressione di stupore alla volta, ma né Isla e né Demelza abbassarono mai lo sguardo l'una dall'altra. Era la prima volta che le due si concedevano il tempo di osservarsi attentamente: le due bruciavano di due fuochi intensi e diversi, che non si sarebbero somigliati mai. Erano amiche, pensò Isla, ma le venne da chiedersi spontaneamente se l'universo non stesse mandando anche a lei dei segnali per dimostrarle la linea di confine che sembrava separarle. Demelza era sicuramente dalla parte dei Poldark, ma lei?
Lei era una Warleggan?
Isla non replicò nient'altro. Non perché temesse di rispondere all'amica, ma perché quella era l'unica risposta necessaria che potesse concludere quel momento sgradevole.
Si voltò verso Caroline, distogliendo lo sguardo da Demelza.
"Credo di dover andare."
* * *
Passarono un paio di giorni da quella discussione e quando Isla ebbe modo di sbollire, un milione di dubbi e domande le imperversarono i pensieri. Litigare con Demelza era stato stupido e più avanti avrebbe trovato modo di chiarire tutta la situazione con lei, ma non erano quello il tempo e il momento giusti per pensare alla faida tra i Poldark e i Warleggan.
Trovò finalmente il coraggio di chiedere a George di potergli parlare e l'incontro avvenne nel salottino, dopo cena: quella sera anche Cary Warleggan aveva deciso di fermarsi a dormire Trenwith. Sarebbe stata una serata come le altre, se non fosse per quello che Isla raccontò.
Valentine giocava con i soldatini, ma con un orecchio era teso alla conversazione. Dovette trattenersi dall'intervenire quando Isla spiegò a George che una signora di nome Mary aveva bisogno del suo aiuto e che lei quindi non poteva trascorrere tutto il tempo con lui come prima, perciò si limitò a fissare la faccia impenetrabile del padre sperando che lui non fosse d'accordo e non lo permettesse. Era evidente che Isla fosse a disagio, come se non volesse che anche lui sentisse, per questo fece ancora finta di giocare con i suoi soldatini.
Anche Cary Warleggan, appoggiato alla poltrona opposta a quella di George, distolse lo sguardo dai fogli che stava esaminando con cura, per studiare la portata di quella conversazione. Ad ascoltare il racconto di quella ragazza, gli sembrò di fare un salto nel passato, come se il destino gli stesse giocando l'ennesimo tiro mancino, perché quello che stava ascoltando provenire dalla bocca di Isla sembrava l'esatta copia sputata di quanto successo a George, soltanto qualche tempo prima. Cercò di incontrare lo sguardo del nipote per trovare un'intesa, ma non lo trovò.
Cary ripensò ai controlli frequenti dei medici per comprendere il motivo delle sue visioni sulla moglie Elizabeth, le "cure" atroci a cui lo avevano sottoposto e che lo avevano solo fatto peggiorare precipitosamente in un baratro di vuoto e silenzio, fino a quando non era arrivato Dwight Enys a metterci una pezza. Gli costava ammetterlo perché non aveva granché stima di quel dottore, ma se George aveva riacquistato una parvenza di normalità nella vita di tutti i giorni era stato solo grazie a lui.
George non intervenne mai, per tutto il tempo in cui Isla parlò. E quando lei terminò, e iniziò a torturarsi le mani in maniera nervosa in attesa di una sua risposta, finalmente si decise a parlare.
"Mi spiace per vostra sorella, Isla. Sono... sono solo deluso che non siate venuta a parlarmene prima."
"Deluso... dite?" Isla soppesò quelle parole.
Lui annuì e il suo sguardo fu difficile da interpretare: non seppe dire se fosse deluso perché non gliene avesse parlato subito o perché, qualcuno prima di lui, aveva trovato una soluzione geniale al suo problema. Qualcuno che fosse così vicino ai Poldark, come gli Enys.
"Cosa credete che penserà la vostra famiglia se non vi aiuto io per primo, come vostro padrone?" George scosse il capo.
"Sir George, dovete credermi: l'ultimo parere di cui mi interessa è quello della mia famiglia."
Quella risposta così fredda e secca, stupì George. Dagli occhi di Isla sembrava brillare un autentico astio mentre pronunciava quelle parole, ma era certo che non fosse diretto a lui.
"Voglio solo che mia sorella stia bene, non ho tempo di stare a pensare a voi che siete offeso perché mi sono rivolta prima a qualcun altro."
Isla si irrigidì. Non aveva minimamente pensato a quello che aveva appena detto. Dovette ficcarsi le unghie nella pelle delle mani e stringere i denti. Era stata precipitosa: se non voleva dare a George motivo di mandarla via e sperare in un qualche modo di aiutare la sorella, ora gliene aveva appena servito uno su un piatto d'argento.
"Perdonatemi, io non intendevo dire questo..."
"No" la zittì George, spazientito. "Voi intendevate davvero dire quello che avete detto. Dovreste mettere d'accordo mente e bocca prima di parlare a sproposito, Isla. Può costarvi caro, ve lo assicuro."
L'atmosfera si fece tesissima. Isla aspettava ormai di sentire la sua definitiva condanna a morte, ora iniziava a comprendere gli avvertimenti delle amiche o Geoffrey Charles perché lo sguardo di George non era bello da vedere. Stava già pensando ai bagagli da riempire e al lungo viaggio che l'aspettava per ritornare alla sua piccola città natale e solo al pensiero si sentì morire. Cercò di mantenere tutta la completezza che riuscì a trovare, ma dall'alto del suo metro e cinquantotto e dei suoi timori, si sentì minuscola.
"Non... non mandarla via, papà."
La voce di Valentine fece quasi sussultare tutti all'interno di quella stanza, forse perché la tensione si poteva tagliare con un coltello. Nessuno si era reso conto che aveva ormai smesso di giocare con i soldatini e che era parte di quel momento, quanto tutto il resto della stanza. Ad Isla mancò poco per scoppiare a piangere a quelle sue parole dolci e George dovette accorgersene.
"Non la mando via, Valentine. Isla è soltanto preoccupata per la sorella" gli rispose tranquillo.
Anche con quella frase, niente poté placare il moto di panico che prese il sopravvento sull'istitutrice, e a quel punto sostenere lo sguardo di George divenne ancora più difficile.
"Non vi siete mai guardata attorno, non avete fatto caso a quanto grande sia questa tenuta?" disse alla fine, indicandole con un dito lo spazio attorno a loro. "Gli Enys hanno una bella proprietà, e concordo con loro che vostra sorella abbia bisogno di tranquillità per riprendersi. Trenwith ha tutto ciò che le occorre."
Isla non riuscì a parlare.
"Scrivete a suo marito, ditegli di venire qui. Potranno fermarsi tutto il tempo che desiderano. Ma la prossima volta che mi rispondete come avete fatto prima, Isla... posso assicurarvi che non ve la caverete tanto facilmente."
 
 


Angolo dell’autrice
Ciao a tutti, come state?
Spero abbiate passato buone vacanze di Pasqua! Ne ho approfittato per ritornare visto che era da un bel po’ che non lo facevo, e sono adesso curiosa di sapere cosa pensate di questo aggiornamento.
Sicuramente, in questo sesto capitolo c’è poco tempo per George e Isla per pensare a quello che è successo fra loro precedentemente; lei è preoccupata per la sorella, che conosceremo a breve, e lui purtroppo non si dimostra l’uomo più affabile del pianeta nella parte finale!
Del litigio tra Isla e Demelza cosa ne pensate? Potrebbe essere il preludio di un'ulteriore spaccatura che accadrà nei capitoli successivi? Per adesso posso solo dirvi che le due saranno abbastanza intelligenti da capire che la loro discussione è stata stupida e che prima o poi chiariranno le cose.
Perché secondo voi, George vuole aiutare Isla?
Bene, credo di aver detto tutto!
Cercherò a breve di tornare a leggere le vostre storie, scusatemi se non mi sono fatta sentire per un bel po’, ma mi sono presa questi giorni per stare un po’ in relax.
 
Vi abbraccio
Lady Warleggan
   
 
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