Angoli
nascosti
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Capitolo 19
*
Le mani bianche, rugose e quasi prive di linfa vitale, si muovevano sinuose
sulla superficie impolverata di quelle capsule di criogenia dov’erano custoditi
i corpi dei tre androidi costruiti da lui con dedizione e cura.
Peccato si fossero rivelati dei completi fallimenti, ma al momento c’era
tempo per rimediare. Lo scienziato non ne aveva più a disposizione, e ogni
giorno che passava la morte lo consumava lentamente succhiandone via la vita da
ogni tessuto presente all’interno del suo corpo, ed il suo volto scavato e
grigio ne era la prova.
Per questo aveva dovuto cercare un’alternativa per assicurarsi che in ogni
caso quelle macchine micidiali non andassero perdute con il tempo e sepolte tra
le montagne anche a causa di un cedimento della roccia, perché sapeva che prima
o poi si sarebbero rivelate utili.
Si muoveva in maniera lenta e claudicante con addosso solo un camice bianco
tipico degli ospedali, stringendo in mano l’asta di metallo che sorreggeva la
flebo con i nutrienti necessari; ogni tanto i suoi piedi nudi calpestavano fili
di rame e viti lasciate sul pavimento.
Con un colpo secco della mano tolse un po' di polvere depositata sulla
superficie di vetro della capsula del cyborg numero 16 rivelandone il volto.
Gli occhi erano chiusi.
“Tu non mi servirai più.” Mormorò cercando di allungarsi per arrivare alla
spina che non avrebbe più alimentato la sua energia.
Ma nello sforzo di compiere quell’azione, il vecchio scienziato venne
colpito da una tosse convulsiva e devastante, facendogli sputare anche quel
poco sangue che gli rimaneva in corpo e che lo costrinse a piegarsi in avanti.
Il cyborg numero 19 avanzò per sorreggerlo.
La sua espressione era vuota e priva di vita o sentimenti, proprio come una
macchina. Beh! In fondo lo era.
“Non sforzarti. Il tuo nuovo corpo è quasi pronto, non puoi rischiare che
ti vada in pappa il cervello.” Lo fece sdraiare sulla lettiga accanto alla
riproduzione del tutto fedele alla sua persona.
“Volevo staccare la spina a quel fallimento.” Tossì di nuovo e il
cyborg fu costretto a tappargli la bocca con la maschera per l’ossigeno misto a
qualche altra sostanza per riattivare il sistema immunitario. Per il tempo che
gli restava, s’intende.
Il cyborg 19 non rispose, ma si limitò a muoversi all’interno della stanza
in maniera meccanica ed impostata, seguendo una traiettoria precisa.
Era stato programmato per costruire un corpo al suo creatore ed assicurarsi
che arrivasse vivo fino a quando non avesse adempiuto al suo compito, il resto
non gli importava.
Il dr. Gelo lo vide saldare, tagliare, suturare, avvitare ed oliare con
grande velocità tutti gli ingranaggi, cavi e viti necessarie alla composizione
del suo corpo ormai completato.
Le scintille provocate dalla saldatrice lo costrinsero a chiudere gli occhi
per la troppa luce accecante emanata, cosa che non fece Diciannove, a lui non serviva
nessun tipo di protezione.
Mancavano solo alcuni dettagli, e poi l’androide avrebbe provveduto ad
estrarre il cervello dal morente scienziato per installarlo nella macchina
perfetta che aveva creato per lui. O meglio, che il Dr. Gelo aveva progettato.
Il merito era il suo se ora aveva una possibilità di sopravvivere.
Il cyborg 19 fu distratto dalla sirena rossa che risuonò imperterrita
all’interno del laboratorio. L’allarme era scattato nei sotterranei, dove la
nuova creatura di quel pazzo di uno scienziato stava prendendo lentamente
forma.
Il robot iniziò la sua lenta discesa per controllare quale anomalia avesse
fatto scattare quel segnale di avvertimento e allontanato dal suo lavoro.
Aprì la porta automatica apponendo l’impronta di tutta la mano sul display
posto affianco, ma non ci trovò nulla che non andasse, a parte un grosso cavo nero
che si era staccato dall’incubatrice e che ora penzolava senza una direzione
ben precisa.
Forse un brutto sogno aveva fatto scuotere quella creatura talmente forte
da provocare quel distaccamento improvviso.
Diciannove lo attaccò senza problemi e sogghignò volgendo uno sguardo a
quell’embrione, cresciuto notevolmente dall’ultima volta, ma non ancora pronto
per lasciare quel luogo.
Il computer segnava ancora tre anni, sette giorni, venti ore, quattordici
minuti e quarantasette secondi, dopodiché, stando a quanto rivelatogli dallo
scienziato, la capsula si sarebbe rotta rilasciando il liquido e la creatura
libera di crescere all’aria aperta, svilupparsi ed assorbire i cyborg
all’interno delle due capsule poste nella stanza affianco, diventando così l’essere
perfetto.
Un piano geniale, insomma, pensato in ogni minimo dettaglio. Del resto non
ci si poteva aspettare altro che da una mente brillante come la sua.
E in ogni caso, il Dr. Gelo avrebbe vigilato sulla sua creatura nell’ombra
una volta che anche lui si fosse trasformato in un cyborg.
Quello a cui non aveva pensato, era come avrebbe reagito in caso di
fallimento, perché non era contemplato affatto nei suoi loschi e vili piani.
Quando Diciannove riemerse dal sotterraneo, lo scienziato con un filo di
voce, si era prodigato immediatamente a chiedere se fosse tutto apposto
spostandosi dal viso la maschera che gli permetteva di respirare senza
annaspare.
“Un cavo staccato.” Aveva risposto con noncuranza. “Ma ora l’ho sistemato.”
“Grazie!” Mormorò rimettendosi la maschera d’ossigeno e chiudendo infine
gli occhi stanchi.
*
Il vecchio scienziato si posizionò meglio gli occhiali sul ponte del naso.
Prese una sigaretta dal suo taschino e l’accese.
Il gattino nero che come un compagno fedele si trovava appollaiato sulla
sua spalla, miagolò impercettibilmente ed infine sbadigliò. Poco importava se
l’uomo che si trovava di fonte il suo padrone lo stava guardando in malo modo e
sbraitava qualcosa a lui di incomprensibile.
“Allora? Lo puoi fare o no?” Chiese con tono deciso.
Il Dottor Brief si portò due dita sul mento ed iniziò a pensare alle parole
del suo strano ed esigente ospite, non che questo gli provocasse disturbo,
anzi, per lui e per sua figlia poter creare ed essere stimolati in imprese
nuove e difficili era un piacere ed una sfida sempre ben accetta.
Magari con una di quelle invenzioni si sarebbero potuti accaparrare qualche
altro premio ambito in fattore della scienza e aggiunto un ulteriore cimelio
alla già piena vetrina presente in salotto, e sarebbe stato tutto merito di
Vegeta e delle sue richieste strampalate.
Una fortuna che Bulma lo avesse invitato a
restare, era un giovanotto molto intelligente e con un bagaglio scientifico
niente male.
Non che sapesse costruire qualcosa, ma i suoi spunti per nuove attrezzature
e strumenti erano davvero interessanti.
“Devo parlare con mia figlia, ma penso che non ci siano problemi.” Espirò
una boccata di fumo che fece storcere il naso al principe dei saiyan, quel tanfo lo disgustava a dir poco “… a proposito,
sai dove si è cacciata?”
Bulma non aveva ancora fatto ritorno dal deserto, invece Vegeta era stato il
primo a tornarsene alla Capsule Corporation per iniziare fin da subito
l’allenamento che gli avrebbe permesso di arrivare preparato al fatidico
giorno, e per farlo, aveva bisogno di una camera gravitazionale potente il
doppio di quella in cui Goku si era allenato durante il viaggio per Namecc.
Vegeta gli scoccò un’occhiata riluttante e per poco non gli uscì una
piccola scintilla dagli occhi “Non sono la sua balia. Se devi trovare una
persona te la cerchi. Io esigo la mia camera gravitazionale. ORA! Non domani,
ORA!” Grugnì stringendo i pugni.
Se si fosse trovato al cospetto di uno degli scienziati al comando di
Freezer non ci avrebbe messo molto a prendergli la testa per spappolargliela
con le sue stesse mani, tanto poi lo avrebbero sostituito subito, ma ora,
Vegeta se ne doveva stare buono, perché di scienziati brillanti come quel
vecchio e sua figlia ne era privo, e lui era stato fottutamente fortunato a
capitare in quella casa.
Il Dottor Brief sospirò affranto e spense poi la sigaretta all’interno del
posa cenere automatico che si trovava sopra il tavolo da lavoro in mezzo agli
attrezzi.
“Va bene, vedrò che posso fare fino a che non arriva Bulma!”
Questo bastò al principe per tranquillizzarsi giusto un attimo e girare i
tacchi nel preciso istante in cui la signora svampita fece il suo ingresso nel
laboratorio portando con sé un enorme vassoio pieno di leccornie dolci di ogni
tipo.
“Oh! Il bel giovanotto… ti vedo sciupato, mio caro. Vuoi qualcosa da
mangiare? Oppure una tazza di tè?”
A Vegeta iniziò a ballare un occhio ed in corrispondenza a pulsargli vistosamente
una vena sulla tempia.
Quanto avrebbe voluto scatenare tutta la sua energia e radere al suolo quel
posto e perché no? Anche il pianeta se fosse stato necessario, così niente
allenamenti, niente cyborg e soprattutto niente più problemi.
A dire il vero non era nemmeno compito suo proteggere la Terra e quegli
idioti dei suoi abitanti, ma doveva ammettere che al momento non aveva un posto
dove andare e quello era l’unico dov’era stato accolto senza chiedere nulla in
cambio.
Vegeta si limitò così a guardare dritto negli occhi per incutere timore a
quella donna ficcanaso e cinguettante, sortendo però l’effetto contrario,
perché le guance s’imporporarono di rosso.
“Voglio la mia dannata stanza gravitazionale!” Scandì a denti stretti prima
di lasciare il laboratorio ancora più infastidito.
“Caro…” Mormorò lei con aria sognante “… Bulma è
davvero fortunata ad aver trovato un uomo simile.”
*
Le urla di Chichi si propagarono per qualche
kilometro in tutta la vallata, facendo tremare le fronde degli alberi e spaventare
i poveri animali nelle vicinanze che si dileguarono in fretta e furia senza una
direzione ben precisa.
“CHE COSA???? SEI APPENA TORNATO E SUBITO VUOI ALLENARTI???” La corvina brandì
in aria il cencio che stava usando per asciugare le porcellane.
“Forza, Chichi. Ti ho spiegato il motivo.” Goku
portò le mani in avanti agitandole velocemente.
“HO DETTO NO!” Ribadì lei alzando possibilmente di più la voce per fargli
entrare in quella testa la sua volontà ed imporgliela.
“Ma tesoro, tra tre anni arriveranno i cyborg e…”
“E che cosa vuoi che me ne importi!” Gli finì la frase sbattendo il canovaccio
sulla tavola per la rabbia.
“Mamma, dobbiamo proteggere la Terra, altrimenti…” Provò a dire Gohan con lentezza e con la speranza di far ragionare la
madre.
Effettivamente Chichi non aveva tutti i torti,
Goku non era tornato nemmeno da ventiquattro ore e l’unica cosa a cui pensava,
erano gli allenamenti.
“TU VAI IN CAMERA TUA! Non spalleggerai tuo padre in questa follia.”
“Se la Terra esploderà, il tempo che passerò sui libri sarà totalmente
inutile.”
“Almeno avrai studiato!”
Gohan roteò gli occhi al cielo, far ragionare sua madre si stava rivelando più
difficile del previsto.
Goku si avvicinò alla moglie con sguardo amorevole e le prese una mano “Ti
prego, cara. Lasciaci andare ad allenarci. Ti prometto che oggi pomeriggio Gohan si metterà sui libri e io ti aiuterà ad arare la
terra.”
Per poco Chichi non ebbe un mancamento.
Junior, che come richiesta di Goku, era arrivato all’alba per iniziare la
sessione di allenamenti, se ne stava a braccia conserte, seduto sull’erba ad
aspettare fuori in giardino l’arrivo dei due compagni. Dopo che avrebbero
convinto Chichi.
La voce stridula della donna gli entrò all’interno delle orecchie fino a
martellargli il cervello, costringendo il namecciano
a stringere i denti dal dolore e ringraziare il suo stato di asessuato.
“Ma quanto urla, quella?” Si domandò spazientendosi.
Se avesse dovuto aspettare ancora qualche minuto lì fuori ed assistere a
quella pietosa scenetta, se ne sarebbe andato indisturbato ed in punta di
piedi.
Ed invece, fu proprio in quel frangente che Goku e Gohan
uscirono di casa accompagnati da Chichi.
“Però oggi ti metti a studiare!” Esclamò in direzione del figlio.
Gohan abbassò la testa lentamente “S-si, mamma.” Annuì mestamente.
“E tu…” Chichi si rivolse a Junior “… assicurati
che non si mettano nei guai.”
Il namecciano si mise all’attenti come un
soldatino, portandosi anche una mano sulla fronte e con profondo imbarazzo
mormorò un balbettante “Certo!”
Per poi tirare un sonoro sospiro di sollievo quando la donna rincasò.
“E’ andata!” Disse Goku.
“Per fortuna… tua moglie mi ha rotto un timpano con le sue urla, non
capisco come voi riusciate a sopportarla!” Junior si massaggiò le orecchie
trovandone presto sollievo.
“Basta non ascoltarla!” Rispose Goku con ovvietà.
“VI SENTO!!!” Si sentirono dire quei tre, ai quali si accapponò subito la
pelle dalla paura che quella donna potesse uscire di corsa di casa e
rincorrerli finché non avrebbe martellato la loro testa con un mattarello
pesante di legno, proprio quello che usava per stendere la pasta all’uovo.
“Andiamocene via!” Propose Gohan spiccando il
volo seguito poi dai due maestri.
“Ah! Finalmente un po' di pace!” Sospirò la donna continuando a
canticchiare un motivetto a mezze labbra mentre iniziava a preparare il pranzo.
*
continua