Le relazioni
pericolose
“Ma
figurati!” L’Ase rispose
meccanicamente, regalandole un ghigno affascinante dei suoi, ma la
bionda Vanir
parve non apprezzare particolarmente la battuta, che riconobbe come
falsa
peggio di una moneta da tre euro.
“Stai
mentendo a me?” Scandì
ogni parola con estrema, terrificante lentezza. Sigyn era una
mogliettina
adorabile, comprensiva, affettuosa e intelligente, ma non amava essere
presa in
giro dal suo affascinante maritino. Le domande retoriche erano un
chiaro e
inequivocabile segnale d’allarme in tal senso. Loki ne era
perfettamente a
conoscenza, ma quello che lo fregava, facendolo precipitare
puntualmente in una
marea di casini da cui spesso Thor doveva tirarlo fuori non senza
qualche
colorita imprecazione, era il suo maledetto orgoglio. Era
così pieno di sé,
così convinto della propria mente brillante e certo della
stupidità altrui, da
prendere sottogamba alcune questioni che avrebbe dovuto affrontare con
un
pizzico di tracotanza in meno. Ecco perché non resistette
all’impulso di fare
sfoggio delle proprie qualità. A sua difesa va detto che
sdilinquirsi in una
patetica menzogna sarebbe stato indegno, ma noi siamo convinti che ci
sia modo
e modo di dire le cose – e forse anche Sigyn è
della nostra opinione.
“Sono
il dio dell’inganno. Io mento
e… sorpresa! Inganno.” Bisogna proprio dirlo. I
Nani erano creature taciturne e
simpatiche quanto una multa della municipale, ma a raddrizzare i denti
erano
dei maestri. Lo splendente sorriso di Loki illuminò la sala,
stupì per un
nanosecondo Sigyn, ma non lo salvò dalla tempesta.
“Freya
ha confessato.”
Freya. Non zia. Nella
mente di Loki non
suonò un campanello d’allarme, ma direttamente
l’olifante per ritirare le
truppe, un lai di morte. Era gelosa, la sua biondissima sposina. Quando
erano
amanti clandestini, l’aveva stuzzicata abbastanza da sapere
che la principessa
Vanir era gentile e tollerante fino a un certo punto, oltrepassato il
quale
scattavano, nell’ordine, la rappresaglia e la tragedia.
Certo, direte voi, il
dio dell’inganno non può cedere al terrore di
fronte a una donnina esile e
fragile come Sigyn: non stiamo certo parlando di Thanos, eppure,
signori
Lettori, vi invito a considerare le ben poche alternative che aveva a
sua
disposizione il nostro altrimenti sempre scaltro Loki. Privo della
Laxdaela,
con una reliquia che scottava nascosta in qualche pertugio e Thor che
girava
liberamente per casa, il dio dell’inganno aveva bisogno
più che mai che lei non
lo esiliasse dal loro talamo proprio in quei tragici giorni.
“Molto
tempo fa,” confessò con
un’alzata di spalle, come se la cosa non significasse
assolutamente niente.
“Passerò
il resto della mia esistenza
a immaginarvi insieme,” soffiò lei con un filo di
voce. “Trova mia nonna, Loki.
E, finché non lo hai fatto, non tornare.”
Fu allora,
esattamente allora, che
Loki sbagliò. Da fiero e sbruffone Ase qual era,
incrociò le mani dietro la
schiena e proruppe in una frase tragicamente esatta, ma dalle
conseguenze
nefaste. “Ok, io e Freya ci siamo divertiti parecchio, ma sai
quand’è successo,
piccola Vanir petulante? Te lo ripeto, molto,
molto tempo fa, per le Norne, quando tu non eri che una
bambina lagnosa con
le trecce. Non vale come tradimento, lo capisci?!”
“Quando
ero una bambina lagnosa,”
ripeté Sigyn con spaventosa calma. “E gli altri
ragazzini mi prendevano in
giro. Mentre mi tiravano le trecce, tu facevi con lei le cose che fai
con me.”
L’Ase
non se la sentì di smentirla,
perché la fantasia di Freya toccava vette sorprendenti
persino i canoni di
Asgard, ma lentamente iniziò a capire il punto dove voleva
arrivare a parare la
sua mogliettina: Freya era sempre stata lodata e ammirata per la sua
sfacciata
e insindacabile bellezza, mentre Sigyn, la dea della
fedeltà, era stata per lungo
tempo la classica bimbetta bruttina che era decisamente migliorata con
il
tempo.
Il primo ballo a
cui aveva
partecipato avrebbe potuto essere un totale disastro se lui, spinto
dalla noia,
mosso a una qualche forma di vaga pietà e sempre disponibile
a ingraziarsi quel
vecchio bacucco di Njord, non l’avesse trascinata al centro
della sala. Il re
dei Vanir, consapevole delle scarse attrattive di Sigyn, aveva
apprezzato il
gesto battendo le mani e qualche nobiluomo di Vanheim aveva
riconosciuto che
sì, la piccola nipotina non faceva parte
dell’opulenta tappezzeria, anche se
rispetto alla formosa zia non era proprio niente di che.
“Il
tuo problema, Sigyn cara, è che
con i ragazzi non ci hai mai saputo fare. Eri insicura e goffa. Tutti
lo percepivano.
Ti dicevo anche allora, mi pare, che dovevi credere un po’
più in te stessa.”
La sentenza di Loki giunse non tanto perché lui era
un’anima nera votata
all’auto sabotaggio, ma per la cattiva abitudine di voler
avere sempre l’ultima
parola.
È
così che il nostro affascinante e
sempre molto figo dio dell’inganno dalla lingua decisamente
troppo lunga si
ritrovò a dover dividere la camera con il fratello,
così come vi è stato
narrato nel capitolo 1 di questa delirante storiella. Dopo aver finito
il lungo
turpiloquio, Loki Odinson o Laufeyson o come cavolo l’aveva
registrato
l’Agenzia delle Entrate di Asgard,
s’appuntò mentalmente i nomi di tutte le
più
malfamate bettole di Vanheim. Da lì avrebbero iniziato la
tediosa ricerca del
maledetto zio Vili, considerato la miccia che aveva innescato una
reazione a
catena tanto funesta.
Il furbo Ase
srotolò sul tavolo
unticcio della pensioncina in cui s’era rifugiato la mappa
dov’erano
contrassegnati i locali dove avrebbe condotto suo fratello. Una smorfia
schifata gli attraversava il bel viso affilato.
“Quando
hai preparato questa… cosa?”
domandò perplesso il re degli Æsir.
“Freyr
ha una fidanzata in ogni
locale o giù di lì,” spiegò
laconico l’ingannatore. “Era mia abitudine andarlo
a raccattare quando si ubriacava troppo.” aggiunse pieno di
sussiego.
Thor
afferrò il corno d’idromele –
caldo e di qualità pessima – che Loki aveva
sorseggiato un momento prima non
senza sfoggiare una smorfia schifata ingollandone beato tutto il
contenuto. “E
da dove spunta tanta gentilezza?”
“Da
nessuna parte. Lo ricattavo.
Suo padre non avrebbe mai visto di buon occhio le sue scelte. A me non
poteva
fregare davvero di meno chi frequentasse, come, quando o
perché, ma qualcuno
doveva pur versare qualcosa per il mio disturbo.”
Thor
annuì, stravaccandosi sulla
sedia mezza zoppa gentilmente offerta dalla locanda e certo del fatto
che ora
il suo prolisso fratello avrebbe sfogato parte della sua repressione
raccontandogli i ridenti anni in cui covava rancore verso Asgard e
passava le
sue giornate a risollevare il PIL di Vanheim. Consapevole del fatto che
l’unico
modo per zittirlo sarebbe stato prenderlo a martellate sui denti o
imbavagliarlo e legarlo e conscio che tanto, prima o poi, si sarebbe
ristabilito o liberato, annuì in attesa che
l’altro raccontasse. Cosa che,
naturalmente fece.
“Tu
non immagini quanto sia snervante
essere interrotti nel bel mezzo della redazione di un trattato o di un
appuntamento galante da un servitore balbettante e incapace di spiegare
i
concetti in maniera chiara e precisa una sera sì e
l’altra pure. Certe notti mi
toccava prima sorbirmi Njord, poi tranquillizzare Freya, quindi finire
di
lavorare affinché questo regno non precipitasse
nell’anarchia, impedire a Sigyn
di fare sciocchezze e…” si interruppe, tirando su
col suo regale e drittissimo
naso. “Senti anche tu questo fetore simile al formaggio
andato a male?
Maledizione, Thor, rimettiti immediatamente quegli stivali!”
Thor, invece che
obbedire, valutò
fosse più utile e proficuo immergersi nella tinozza non
troppo pulita che
giaceva nella zona della stanza adibita a bagno e divisa da un
separé traballante.
“Che
sciocchezze faceva Sigyn!?”
domandò dopo che si fu immerso, perché di sentire
la commovente storia di suo
fratello che bussava a ogni topaia in cerca di un Freyr tanto ubriaco
da vomitarsi
addosso non aveva la benché minima voglia. Conosceva i
metodi di suo fratello e
aveva dimestichezza anche con le bettole e non era difficile capire in
che modo
Loki fosse diventato il maggior contribuente di Vanheim.
“Sigyn
era la principessina delle
cause perse,” sibilò l’ingannatore tra i
denti. C’era stata quella volta in
cui, per far scappare una sua domestica da Vanheim non aveva trovato
niente di
meglio da fare che cercare di impegnare i suoi gioielli[1],
per esempio, o quando si incaponiva per cambiare qualche consuetudine
vecchia
come il cucco o proteggere qualche banda di diseredati. Thor ascoltava
suo
fratello suo malgrado, lasciando che l’altro si sfogasse e
arrivasse al punto:
raccontare gli slanci civici della mogliettina, alla fine, era un modo
contorto
e subdolo per elogiare una volta di più sé
stesso. Certo, l’affare dei gioielli
al tempo doveva avergli fatto andare il sangue al cervello, dedusse il
tonante.
S’immaginò la scena – Loki che sbiancava
riconoscendo i preziosi, che entrava
nella bottega del losco rigattiere facendogli vivere il quarto
d’ora più brutto
della sua vita, che estorceva bellamente qualche favore o oggetto
luccicante
per il disturbo di dovergli rivolgere la parola e, infine,
immaginò la colorita
e fantasiosa sequela di minacce con cui si era accomiatato. Tutto nella
norma,
insomma, tranne che per un particolare divertente.
“Certo
che per Sigyn ti sei preso una
sbandata epocale, fratello. Riconoscere gioielli che non metteva da
anni…”
Se Loki avesse
potuto incenerire con
lo sguardo il separé e quell’idiota del fratello
ancora in ammollo nella
tinozza, lo avrebbe fatto. “Si tratta di spirito
d’osservazione, intelligenza e
memoria,” sibilò scandendo con lentezza ogni
sillaba.
Thor
uscì dalla tinozza ridacchiando,
ma non volle infierire ulteriormente. S’accomiatò
dal fratello augurandogli una
serena notte e stendendosi sul pavimento lercio. Che Loki approfittasse
pure
del letto, illudendosi di uscirne indenne: glielo cedeva ben
volentieri –
le pulci che infestavano cuscino e materasso avrebbero
senz’altro apprezzato il
loro elegante ospite, quella notte. Tempo due minuti e
s’addormentò come un sasso,
allietando il dio degli inganni con un concerto del proprio naso.
Infastidito
dal prurito per i morsi dei parassiti e dal russare orrendo di Thor
– non per
niente era il dio del tuono, Loki maledisse una volta di più
zio Vili. Lo attendeva
una lunga, lunghissima, estenuante notte.
***
“Loki,
chiariscimi un concetto. Tu
possiedi mezza Vanheim. Palazzi, ville, terre, laghi, miniere. La tua
dichiarazione
dei redditi è più alta di quella di Njord e Freya
messi insieme, giusto?”
“Naturalmente.”
“Ecco,
allora mi spieghi per quale
motivo abbiamo dormito in questo schifo di bettola anziché
andare, che ne so, nella
tua casa al mare, in montagna, nel tuo capanno da caccia o nella
rimessa della
Laxdaela? Saremmo stati meglio. Anche in mezzo a un bosco infestato da
troll
saremmo stati meglio. Soprattutto tu.”
Loki
arricciò il naso e si guardò nell’ovale
annerito che un tempo era stato uno specchio. A un certo punto, nel
cuore di
quell’orribile notte, si era alzato per prendere a calci Thor
nel disperato tentativo
di farlo smettere di russare. Il tonante si era risvegliato quel tanto
che
bastava per difendersi col Mjollnir e stordire il fratello, per poi
rimettersi
a ronfare cambiando semplicemente il ritmo del proprio leggerissimo
respiro.
L’ingannatore valutò il proprio occhio nero alla
luce smorta di quell’alba che
preannunciava un giorno orribile.
“Le
mie lussuose proprietà sono
affittate affinché i miei forzieri si riempiano
ulteriormente. Quelle di cui
dispongo, però, sono protette da delle rune
segrete,” spiegò con una certa
riluttanza.
A Thor quella
spiegazione fece
abbastanza schifo. “E quindi?”
“E
quindi,” rispose Loki con
scocciato sussiego, “ho dimenticato nel mio palazzo
principale, dove ci sono
mia moglie e mia figlia, la pergamena tascabile con le suddette rune
segrete.”
“Tu
hai una pergamena tascabile
dove segni le rune che ti consentono di aprire le tue case?? Non le sai
a
memoria?”
Loki lo
gelò con lo sguardo. “Le scrivo
proprio per non doverle imparare a memoria, no??”
Chiarito questo
fondamentale passaggio
di trama, i due fratelli lasciarono la bettola più in fretta
che poterono, contravvenendo
all’antico adagio degli Æsir secondo cui la
colazione era il pasto più
importante della giornata. S’incamminarono per i peggiori
vicoli della capitale
di Vanheim con lo stomaco che brontolava, sperando di rintracciare Vili
e di
iniziare a cercare la venerabile Ullfriaehdkkeh, di professione
mistica, nonna
di Sigyn ed elemento necessario affinché
quest’ultima riaccogliesse il dio dell’inganno
nella sua lussuosa, confortevole e soprattutto pulita casa.
Non lo vedevano
da quando, solo il
giorno prima, lo avevano rinvenuto nudo e ancora sotto gli effetti di
una
colossale sbronza sullo splendido drakkar di Loki, da cui se
l’era squagliata
prima che l’ingannatore potesse dimostrare allo zio quanto il
suo animo fosse
naturalmente incline al perdono e alla clemenza, ma nutrivano delle
speranze sul
fatto che presto avrebbero trovato il buco in cui si era nascosto. Una
volta
scovato, Loki aveva una serie di ideuzze niente male su quali leve
tirare per convincerlo
a collaborare nel ritrovare Ullfriaehdkkeh. Occorre dire che fu meno
facile di
quanto pensassero e che il censimento di Loki non era completo.
Scoprì che gli
erano sfuggite due o tre topaie illegali. Fu in una di queste, la
terzultima
della loro lista riveduta e corretta, che trovarono Vili. Non ebbero la
fortuna
di trovarlo vestito neanche questa volta, ma anche se è
difficile crederlo non fu
questa la cosa peggiore, no.
Vili Borson era
sveglio e, strano a
dirsi, sobrio. Stava pranzando a letto con delle succulente teste di
pesce innaffiate
da un vinello Vanir niente male – aveva personalmente
suggerito al cuoco della fetida
locanda la ricetta – e banchettava con quella che
presentò agli esterrefatti e
affamati nipoti come la sua novella sposa.
“Non
so se a questo punto rientrerai
mai a casa, fratello,” mormorò Thor poggiandogli
una mano sulla spalla. “Ma sai
che vuol dire questo? Che passerà tutte le
festività con te.”
Loki non rispose
immediatamente. Fissò
il novello sposo ringraziando mentalmente le Norne che fosse coperto
dalla vita
in giù col lenzuolo e che esibisse solo il petto villoso, si
ostinò nel non
fissare nonna Ufa, i cui lunghissimi e nivei capelli fungevano da
provvidenziale scialle e si rivolse alla neo acquisita prozia con una
voce
incolore.
“Ullfriaehdkkeh,
ha davvero sposato
quest’ubriacone maledetto?”
La mistica
sorrise. “Zoki
caro,” soffiò con la sua voce bassa e
cantilenante, “sei il primo della famiglia
a farci gli auguri! Gradisci due deliziose teste di pesce?”
Continua,
purtroppo per Loki
L’angolo
di Shilyss
Care e cari,
Arieccomi. Si
dice che la via che
conduca all’inferno sia costellata di buoni propositi
– o era buone intenzioni?
Beh, fa lo stesso. A ogni modo non aggiorno questa storia dal
15/07/2018 – mi manca
aggiornare e scrivere come allora, tanto. E non è per
mancanza d’ispirazione
che non lo faccio. Tanta gente negli anni mi ha chiesto di portare
avanti
questa storia e io, in numerose occasioni, ho pensato e immaginato e
desiderato
proseguirla, ma niente. Poi tra ieri e oggi ho scritto questo capitolo,
che vi
pubblico praticamente così, con una rilettura veloce e
basta. Dovrei finire Accordo
e Confessioni (cosa che sto facendo, soprattutto il
primo ha bisogno di
una veloce rilettura perché detesto le incoerenze e il
momento è complicato), Scintille
e Giochi… e anche creare
qualcos’altro, naturalmente.
Il fatto
è che mi è impossibile
scrivere una sola storia e portare avanti solo quella, è un
meccanismo che
anziché focalizzare la mia produttività ammazza
la creatività. Spero di
risolvere questo annoso problema, perché Sigyn e Loki sono
un pezzo di me da tanto
tempo e rappresentano un rifugio felice.
Io non so se
qualcuno del tempo che fu
è rimasto o se questa storiella guadagnerà nuovi
lettori, ma spero che vi piaccia
e che vi diverta. E se volete sapere che fine ho fatto, sbirciate la
mia pagina
facebook (la trovate nella bio) e scrivetemi pure lì.
Ringrazio con
tutto il cuore chi listerà,
recensirà o semplicemente leggerà questa storia: sono piccole
cose, ne convengo, ma
danno più di quanto crediate e so’ pure gratis XD.
A parte gli scherzi (lokini)
siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi
mangio.
Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono
molto
alla mano, ecco.
Ricordo che il
personaggio di Sigyn,
tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi
autorizzo a ispirarvi
o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate
né qui né altrove
(peggio mi sento con le fiabe, come questa) e lo stesso vale per gli
headcanon
su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e
costumi non è
uno scherzo.
A presto e
grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate
me).
Vostra,
A presto,
Shilyss
[1]
Come nel capitolo 5 di Tutte le tue bugie, che è la mia
prima long, ma è tanto
bellina a mio parere: datele un’occhiata!