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Autore: Lady Warleggan    30/05/2022    1 recensioni
Fanfiction ambientata dopo la fine della 4° stagione (allerta spoiler!)
Isla ha ventisette anni quando accetta un impiego come istitutrice in Cornovaglia presso la tenuta di Trenwith. George invece, ormai sulla soglia dei quaranta, si è letteralmente catapultato nel lavoro e nella politica per mettere al tacere il dolore che lo tormenta dalla morte di Elizabeth.
Isla rappresenta per lui la più fresca delle novità: è intraprendente, dolce e amorevole col piccolo Valentine, di cui è diventata la sua migliore istitutrice. Tra i due c’è un semplice rapporto di educazione e rispetto, ma il destino ha in serbo per entrambi qualcosa di completamente diverso, e forse per George riserva ancora l’opportunità di amare di nuovo.
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, George Warleggan, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Otto.
I primi due giorni di quella convivenza forzata a Trenwith trascorsero più velocemente di quanto Isla si aspettasse. Non aveva smesso di adempiere ai propri compiti di istitutrice e nemmeno a quelli di bambinaia, soltanto di pomeriggio rubava un paio d'ore al tempo trascorso solitamente con Valentine per stare accanto alla sorella, ma era una cosa che aveva già discusso e pattuito con George. Tuttavia, il bambino si era dimostrato sin da subito così maturo da comprendere la situazione anche se aveva solo otto anni: probabilmente, sia per la morte precoce della madre, sia per una serie di avvenimenti precedenti al suo arrivo a cui non aveva assistito, Isla aveva iniziato a pensare che Valentine fosse stato costretto a crescere più in fretta del previsto.
Dwight Enys fu convocato immediatamente nel pomeriggio in cui i Thomson misero piede per la prima volta a Trenwith. Sin da quando aveva parlato a George delle condizioni di sua sorella, Isla aveva messo immediatamente in chiaro che non avrebbe voluto altro medico a parte lui, e la cosa che l'aveva scioccata era stato il fatto che lui non si fosse minimamente opposto: dopotutto, era una decisione sua affidarsi al medico che preferiva, ma si sarebbe aspettata certamente un'opposizione più veemente, soprattutto alla luce di quanto era venuto fuori sulla storia dei Poldark e degli Enys. George invece era rimasto impenetrabile come suo solito, aveva incrociato le braccia e le aveva detto senza troppi problemi che era una sua scelta e che non l'avrebbe di certo contestata, visto che riguardava la salute di sua sorella.
Isla non avrebbe nemmeno potuto immaginare che Dwight Enys fosse stato la salvezza del suo datore di lavoro mesi addietro, e che per questo lui non aveva messo bocca, anche se la cosa, per chissà quale stupido orgoglio, gli veniva difficile da ammettere. Quello, infatti, era un capitolo troppo oscuro della sua vita per rivelarlo a qualcuno che abitava con lui da poco, pur essendo Isla diventata importante all'interno di casa sua, non gli veniva facile.
Sin dalle prime battute, Mary si era chiusa immediatamente in un mutismo piuttosto preoccupante. Al loro ingresso a Trenwith, George aveva invitato i suoi ospiti ad unirsi alla colazione, immaginando che dopo un viaggio così lungo sarebbero stati sicuramente stanchi, e di buon grado, più Alec, che sua moglie, aveva accettato di fermarsi a mangiare un boccone. George si era seduto a capotavola come suo solito, Valentine e Isla si erano messi alla sua sinistra; mentre Alec e Mary avevano preso posto dall'altra parte.
Isla parlava alla sorella con premura, passandole i cibi sulla tavola e invitandola a fare un assaggio di tutto. Anche se George era impegnato a chiacchierare con Alec, aveva imparato negli anni, grazie ad un'intensa esperienza come uomo d'affari senza scrupoli, a tenere occhi e orecchie ben attenti, senza però rischiare di farsi scoprire. Per tutto il tempo aveva intrattenuto il cognato di Isla chiedendogli informazioni sulla sua attività di commerciante, dimostrando all'apparenza un distinto interesse che non corrispondeva affatto a quel che gli passava per la mente.
George non poteva fare a meno di specchiarsi nello sguardo vacuo di Mary: ogni tanto, quando Isla richiamava la sua attenzione, lei sembrava in imbarazzo di fronte a quella sua premura, come se si sentisse in colpa. Più fissava quel triangolo al suo tavolo e più aveva l'impressione che qualcosa gli sfuggisse, e ancora non riusciva a togliersi dalla mente gli sguardi, anche se furtivi, che Isla ed Alec si erano lanciati, e forse, ancora, si lanciavano senza che nemmeno lui stesso potesse accorgersene.
Mentre addentava un pezzo di pane, si chiese se con la sua ospitalità non avesse offerto terreno ad uno scandalo. Forse tra Alec e Isla c'era qualcosa di più, al di là di quanto potesse immaginare, e probabilmente anche quel fattore poteva aver contribuito ulteriormente alla malattia nervosa di Mary. Quel pensiero lo fece bloccare immediatamente con la colazione fra le mani. Si sentiva stranamente a disagio.
Ma poi, a rifletterci meglio, lo escluse categoricamente. Era vero, non conosceva Isla da molto tempo da poterla giudicare a fondo, ma c'erano stati momenti belli e sinceri fra loro e anche se conosceva poco di lei, poteva dire di saperne abbastanza da affermare che la posizione di Isla Wood fosse decisamente integerrima per lasciarsi coinvolgere in una cosa del genere. Senza contare che, lo sguardo pietoso che Mary aveva rivolto alla sorella maggiore, lasciava ben intendere che quasi fosse lei a sentirsi in colpa per qualcosa.
E poi, quell'Alec Thomson... non gli piaceva neanche un po'.
Ad ogni modo, dopo un quarto d'ora al tavolo, Mary si alzò e si congedò frettolosamente, adducendo alla stanchezza del viaggio e si scusò con George per la sua maleducazione, ma che proprio si sentiva crollare e aveva bisogno di distendersi. Non aveva toccato nulla, se non un pezzetto di pane e un paio di sorsi di tè con latte.
Lui scosse il capo e le disse di non preoccuparsi e di riposare quanto volesse, ordinando ad una domestica di accompagnarla nella camera che aveva fatto preparare per lei e il marito al piano superiore. Tuttavia, anche Isla si alzò contemporaneamente dalla sedia, affermando di aver finito e suggerendo di fare lei stessa strada a sua sorella. A ciò, aggiunse che entro una mezz'ora avrebbe ripreso le sue attività giornaliere, e infatti poi si voltò verso Valentine e gli disse con dolcezza di iniziare a preparare il materiale di studio della giornata.
"Certo Isla, andate pure. Ormai Trenwith è casa vostra, la conoscete meglio di me" fece George, con un sorriso che sorprese l'istitutrice.
Isla dovette impegnarsi a fondo per non restare a sorridere come un ebete all'interno della sala da pranzo, mentre Alec osservava quasi senza parole quel rispetto che vibrava fra il padrone di Trenwith e la sua vecchia fidanzata: occhi azzurri che si scontravano e che quasi si parlavano senza dirsi niente.
George, nel frattempo, non sapeva perché gli fosse uscita una frase del genere: aveva la sensazione che non gli fosse venuta fuori soltanto perché voleva colpire, da qualche parte, Alec Thomson (anche se non c'era alcun nesso logico in ciò), ma forse anche perché gli faceva piacere dire una cosa del genere all'istitutrice di suo figlio.
Isla, subito dopo, accompagnò Mary al piano superiore, in una stanza praticamente spiccicata alla sua: c'era un letto a baldacchino, un armadio a muro, uno scrittoio e due paia di comodini. L'unica differenza la faceva una splendida finestra ad angolo che affacciava sul retro del giardino di Trenwith, laddove gli alberi erano ancora spogli, ma dove presto, con l'arrivo delle belle giornate, sarebbe fiorito tutto.
Fu proprio la finestra ciò che attirò per prima cosa l'attenzione di Mary.
"La vista adesso non è un granché" esordì Isla, per rompere il silenzio della stanza. "Ma la primavera sta per arrivare e presto il giardino sarà un'autentica visione."
In realtà, Isla non ne aveva alcuna idea. Era arrivata a Trenwith durante una giornata di pioggia e soprattutto durante quel periodo dell'anno che si avvicinava all'inverno, quindi poteva solo fantasticare su quanto potesse essere bello il giardino della tenuta durante la primavera.
Mary, dal canto suo, annuì senza convinzione e rimase ancora lì ferma per un po'. Isla si sentiva già scoraggiata: si chiuse la porta della stanza alle spalle e provò a fare un altro tentativo, stavolta più diretta all'argomento clou.
"Ti dà fastidio se ho già convocato il dottore per oggi pomeriggio?"
Mary non trasalì e nemmeno le parve sorpresa.  Alzò lo sguardo verso di lei con un'espressione vuota.
"No, ormai sono abituata."
Erano le prime vere parole che le sentiva pronunciare da quando l'aveva vista. Isla deglutì.
"Questo dottore... non è come gli altri che hai conosciuto fino ad adesso, te lo posso assicurare" cercò di spiegarle con calma, come una madre che parla ad una bambina. "Dwight è gentile e competente. Non ti sottoporrà alle stesse terapie degli altri."
"E tu che ne sai di quello che ho passato?" le rispose a tono. Mary aveva ancora lo stesso sguardo vacuo con cui era arrivata, ma sembrava più vigile. Isla raddrizzò le spalle. "Te ne sei andata senza più tornare."
"Lo sai perché me ne sono andata" la freddò.
Mary si irrigidì e sua sorella maggiore sperò di non aver usato un tono troppo duro, considerato quanto fragile fosse la sua mente in quel momento. Isla la vide sospirare con amarezza e appoggiarsi con la testa al muro di fianco alla finestra.
"Non voglio rivangare il passato" disse alla fine, per salvare la situazione.
"Lo so. Ed è per questo che mi chiedo come fai."
Isla guardò ancora Mary: di aspetto sembrava sempre più piccola della sua età, ma quello che le era capitato la rendeva in un certo senso anche vecchia e pallida. Isla aveva deciso con quel piano di non riportare a galla i ricordi dolorosi, e dopotutto una sorella non la si poteva lasciare in una tale difficoltà.
"Alec ti tratta male?"
"Cosa?"
"Alec" ripeté Isla, cercando di mantenere una parvenza di calma nel tono di voce. "Ti tratta male?"
"Cosa? No." Sembrava che quella risposta la stesse accalorando.
"Ti mette pressione per avere figli?"
"No" tagliò corto. "Sono io che ne voglio."
Isla non si era mossa per tutto il tempo dalla posizione in cui era, con le mani ben ferme sulla parte alta del suo vestito grigio. Mary forse avrebbe avuto bisogno di un altro abbraccio, come quello che le aveva riservato al suo arrivo a Trenwith, eppure non riusciva a muoversi di lì.
"Sei giovane, hai tutto il tempo che vuoi per averne."
"La mamma dice il contrario."
Isla roteò gli occhi. Anche da sposata, sua sorella non smetteva di essere la marionetta preferita di sua madre.
"La mamma è un'idiota e nostro padre lo è altrettanto. Tu non vuoi figli per te, ma solo per accontentarli."
Mary la fissò sgranando gli occhi. Il rancore di Isla verso i loro genitori era sempre stato evidente, ma palesarlo ad alta voce, con epiteti del genere, era a dir poco spudorato.
"Isla!"
"Che cosa ho detto di tanto scandaloso?" Alzò le spalle. "Mi sono limitata ad evidenziare la verità. È colpa loro se non abbiamo mai avuto una famiglia decente e se tu non sei capace di articolare un pensiero tuo. Pensa a ciò che vuoi veramente, per una volta. Ora sei lontana da loro."
Mary cercò di non tremare, aggrappandosi ad una delle tende accanto alla finestra. Avevano usato terapie d'urto su di lei nell'ultimo periodo, la più recente l'aveva costretta ad immergersi nell'acqua gelata per mandare via il "demone" che aveva dentro di sé. Mary non aveva fatto in tempo a spiegare che nessun essere spiritato abitava in lei, ma che cercava soltanto un po' di conforto e del tempo da sola, tuttavia nessuno sembrava ascoltarla, nonostante la paziente fosse lei. Nemmeno Alec, che verso di lei nutriva un affetto sincero, riusciva a capire fino in fondo il suo stato d'animo.
Eppure... in quel momento, le parole sincere di Isla riuscirono ad essere persino peggio delle torture mediche a cui era stata sottoposta.
"Beh, hai ragione, sono un soprammobile dopotutto, no?"
"Cosa?"
"È quello che hai detto ad Alec prima di andartene."
Isla deglutì. Era vero. Aveva usato quelle parole: forse le aveva pensate, o forse aveva semplicemente parlato senza riflettere. Ma quel giorno era arrabbiata, delusa, amareggiata e nauseata e aveva vomitato per lo stress e quindi si riteneva giustificata di quello che le era uscito di bocca.
"Ero furiosa, lo sai."
"Ma lo pensavi" sospirò. "E avevi ragione Isla, non sono altro che un soprammobile."
"Mary..."
Sua sorella alzò la mano per fermarla, visto che si stava avvicinando verso di lei. Si era stufata di parlare: le faceva male la testa, voleva stendersi e piangere fino a farsi bruciare gli occhi per la stanchezza e addormentarsi così.
"Aiutami a svestirmi" disse, con tono supplichevole. "Sono stanca, ho fatto un lungo viaggio e ho bisogno di riposare. Non voglio vedere nessuno fino all'arrivo del dottore."
* * *
Dwight arrivò nel pomeriggio, George era fuori casa per discutere con un cliente della banca e Alec aveva perso tempo, in attesa del medico, gironzolando per le stanze e i giardini della tenuta, restando ogni minuto di più affascinato da quella residenza.
Nonostante fosse una bella giornata ed Isla e Valentine ne avrebbero potuto approfittare per studiare all'aperto, la ragazza si era tenuta alla larga dall'esterno per paura di incappare nella presenza del suo vecchio fidanzato indaffarato a far nulla. Il piccolo Warleggan si era lamentato spesso perché la biblioteca, la stanza in cui si erano sistemati per studiare quel giorno, era uno degli spazi meno luminosi di tutta la casa; Isla gli aveva chiesto di portar pazienza per un po', perché aveva troppo freddo e non se la sentiva di studiare all'aperto. Valentine non si era di certo bevuto quella scusa e aveva continuato a protestare con motivazioni piuttosto valide, ma per fortuna, alla fine, si era arreso e avevano studiato per tutta la mattinata e buona parte del pomeriggio.
A pranzo, Alec non si era presentato. Aveva detto a George che si sarebbe rinchiuso in camera provando a convincere sua moglie a mandare giù qualcosa nello stomaco, e lui non se l'era sentita chiaramente di obiettare. Aveva così dato ordine ad una domestica di servire il pranzo in camera ai suoi ospiti.
Ospitava quella coppia da meno di un giorno e quasi iniziava a pentirsene: la tensione in casa era palpabile ogni volta che se ne parlava o gli sguardi della famiglia si incrociavano, quindi aveva accolto volentieri quell'incontro col cliente della sua banca come un modo per evadere e per sbollire la sua mente da pensieri poco gradevoli. Non aveva idea del perché gli sguardi di Isla ed Alec lo tormentassero a tal punto, e doveva fare immediatamente qualcosa per distrarsi.
Quando Dwight passò per la sua visita, George ancora non era rientrato e Alec era rimasto ad aspettare il responso fuori dalla stanza che li ospitava.
Era il primo medico che, anche se con gentilezza, gli aveva ordinato di uscire per visitare la sua paziente. Come marito aveva sempre tenuto sotto controllo la situazione della sua giovane moglie e di primo acchito aveva quasi temuto che volesse approfittarsi di Mary, ma poi aveva pensato che Isla lo aveva caldamente raccomandato, e la sua vecchia fidanzata non era certo una che si fidasse del primo che passava.
Si erano a malapena parlati e lei era sparita di nuovo dopo aver salutato Dwight con un sorriso ed un affetto che gli avevano stretto lo stomaco: si vedeva che nel loro rapporto non c'era chiaramente niente di malizioso, ma provava ancora delle fitte di gelosia al pensiero che altri uomini guardassero Isla, la sua Isla... soprattutto quel George Warleggan, che aveva sicuramente un aspetto meno affabile e più enigmatico del medico che si era presentato a Trenwith.
Mary e Alec rimasero sconvolti da quanto quel dottore avesse dedotto con una semplice visita. Il medico che Isla aveva presentato ad entrambi non prescriveva terapie d'urto e nemmeno medicinali troppo drastici, ma soltanto pazienza, passeggiate e cavalcate all'aria aperta e chiacchierate tre volte alla settimana. Aveva inoltre consigliato a Mary di prendere delle gocce per placare l'ansia al momento del bisogno. In quel periodo le sarebbe stato accanto per aiutarla a gestirla e Mary, che fino ad allora non aveva conosciuto altro se non la crudeltà dei vecchi matusalemme che l'avevano visitata, rimase affascinata dai modi gentili e premurosi di Dwight Enys.
Sua sorella non aveva mentito e non si era sbagliata sul suo conto. Era veramente un medico con la M maiuscola.
Dopo aver fornito anche ad Alec Thomson la sua diagnosi sulla moglie, Dwight aveva trovato Isla ad aspettarlo di fianco all'ingresso, con una mantella addosso, come se volesse accompagnarlo fino al suo cavallo. In realtà non ne era affatto sorpreso e se l'aspettava. Era sicuro che anche lei volesse un resoconto sulla situazione della sorella minore.
"Come sta Caroline?" abbozzò lei, cercando di rompere il ghiaccio.
Dwight le rivolse lo stesso sorriso dolce di sempre. Non capiva perché fra loro c'erano tutti questi imbarazzi: era vero, non si erano parlati spesso, ma sua moglie voleva bene ad Isla e la stimava molto, e per lui era lo stesso.
"Benone." Poi alzò un sopracciglio e continuò a sorridere. "E le manchi."
Isla sospirò e incrociò le braccia. "Sono una pessima amica."
"No." Dwight scosse la testa, mentre le sue scarpe calpestavano il pietrisco del vialetto. Il suo cavallo, uno splendido destriero dal manto scuro, lo aspettava poco più avanti, tenuto a bada da un inserviente. "È che Caroline odia ritrovarsi in mezzo alle discussioni."
"Lo so, devo chiarire anche con Demelza, la nostra discussione è stata patetica" sbuffò Isla avvilita. "Immagino che Caroline te ne avrà parlato. Dille che verrò a trovarla presto."
Lui annuì. "Porta anche tua sorella. Credo che le farebbe bene conoscere gente nuova."
Dwight iniziò a sellare di nuovo il suo cavallo e a controllare le redini.
"Allora? Cos'ha, Dwight?"
Lui continuò a rivolgersi a lei con la stessa espressione rasserenante. "Niente che un po' di tempo e di amore non possano guarire."
Isla restò ferma accanto a lui, stringendosi nelle braccia, quasi a volersi abbracciare da sola.
"Non ha un problema fisico, è sana come un pesce. È il suo benessere mentale a metterla a dura prova. È una ragazza giovane che è stata sottoposta a delle barbarie mediche per essere guarita, quando tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno erano solo un po' di tempo e di amore, come ti ho già detto."
"Non ho saputo... non ho saputo niente di quello che stava subendo fino a un mese fa."
Dwight la guardò a fondo: negli occhi della sua amica vide un senso di colpa grosso come una casa. "Isla, non ti devi giustificare con me. Io e Caroline ti conosciamo abbastanza per sapere che non avresti mai permesso a nessuno di fare una cosa del genere a tua sorella."
Isla dovette trattenersi dal piangere. Il calore delle parole di Dwight era piacevole e rassicurante.
"Sai se... se il marito la tratta bene?"
"Chi? Alec?"
Dwight annuì. Si era posto la stessa domanda che anche lei aveva fatto a Mary in camera sua.
"Mia sorella dice di sì. Lo conosco da quando sono una bambina, Dwight. Può essere all'antica, ma non alzerebbe un dito su mia sorella."
Ed era vero. Le erano venuti dei dubbi, certo, ma non aveva mai pensato fino in fondo che potesse essere violento.
"Va bene." Dwight sembrò crederle e salì in groppa al suo cavallo. "Ci rivediamo tra un paio di giorni, d'accordo? Per qualunque cosa, manda qualcuno a chiamarmi."
Isla annuì e aspettò di vedere il suo amico sorpassare l'uscita di Trenwith prima di tornare dentro. Fu in quel momento che, dal piano superiore, vide Alec scendere le scale. Tuttavia, non fu abbastanza svelta da evitare di essere vista o di uscire nuovamente fuori per evitarlo e il cuore le finì direttamente in gola. Marciò verso il salottino accanto alla sala da pranzo, ma lui aveva notato quel suo scatto repentino e aveva iniziato a seguirla, come un gatto che cerca di afferrare un topo.
"Quindi è così che andrà tra noi, d'ora in poi?" esclamò lui spazientito.
Isla non poté fare molto per evitare di ammettere la sua presenza. Quando lui la raggiunse accanto ai divanetti del salotto adiacente alla sala da pranzo, ci fu poco che potesse fare se non voltarsi verso di lui. Si appoggiò con la schiena al caminetto, frustrata, e il fuoco iniziò a scaldarle le mani.
"Continuerai a fingere che non esista?" sbottò.
"Shh!" Isla gli fece cenno di zittirsi. "Vuoi far sapere i fatti nostri a tutta la casa? Io ci lavoro qui e francamente non voglio andarmene!"
"Come no. Immagino perché tu non voglia andartene." Alec incrociò le braccia. "George Warleggan è proprio il tuo caro benefattore."
Isla lo reguardì con lo sguardo di non proseguire oltre. Fu tentata di mollargli un ceffone, ma non poté fare a meno di arrossire o di sentire qualcosa di strano al centro del petto di fronte a quell'allusione.
"Dovrei scrivere a tuo padre, forse" continuò Alec. "Salvarti da uno scandalo e rimandarti a casa."
Isla inarcò un sopracciglio a quella sua affermazione ed ebbe una reazione che non si aspettava.
Gli rise in faccia.
Alec rimase impietrito.
"Mio padre non ha mai avuto autorità su di me da quando sono nata. Se avesse potuto, mi avrebbe diseredato molto prima. Fallo, se vuoi. Credo che non aspetti altro. Non mi muoverò comunque da qui" rispose gelida.
Si chinò, sotto al suo sguardo, e mise un altro pezzo di legno all'interno del camino acceso. Poi tornò a guardarlo con la stessa soddisfazione di prima.
"Quindi vuoi dirmi che tra te e sir George non c'è nulla?"
"No, Alec. Non so cosa ti aspettassi" dichiarò Isla, alzando le spalle. "Tra noi due c'è solo una cosa che tu forse non conosci: rispetto."
"Rispetto?" ripeté Alec, incredulo. "Ti ho aspettata ed amata per dieci anni. Per dieci anni mi hai fatto credere che mi avresti sposato, ma eri troppo impegnata nelle tue ambizioni di indipendenza per ammettere chiaramente che forse non mi amavi abbastanza tanto quanto me!"
Isla a quel punto, non si preoccupò nemmeno di abbassare la voce. Ormai non ne poteva più anche lei.
"Alec, tu hai sposato mia sorella. Ribadisco, mia sorella! E non ti perdonerò mai, per quello che mi hai fatto. Ti ricordi, quando sono tornata a casa per due giorni e poi sono subito andata via perché avevo scoperto del vostro matrimonio? Ero ritornata per parlare con te, perché avevo paura di perderti. E tu stavi organizzando di sposarti con lei chissà da quanto tempo!"
Alec cambiò immediatamente sguardo. Non sembrava più furente o frustrato, ma aveva assunto un'espressione che ad Isla non piaceva affatto, un misto tra la pietà e il dispiacere che non poteva permettersi di accogliere, per paura di crollare davanti a lui com'era accaduto quando era tornata in Scozia, quando aveva vomitato e pianto vicino al cespuglio di rose. Provò ad avvicinarsi a lei, probabilmente anche a sfiorarle una mano, ma Isla si scostò, indietreggiando.
"Non toccarmi."
"Isla, io..."
"Vai da Mary, per favore" rispose secca. "Ha bisogno di te, adesso. Più che mai."
Ma Alec non riuscì a demordere. Si allungò di nuovo verso di lei e le sfiorò una mano, questa volta per davvero, ma Isla riuscì a spostarsi di nuovo in tempo per non farsi più toccare e per poco, indietreggiando alle sue spalle, non rischiò di caracollare a terra.
"Isla, stai bene?" fece lui allarmato.
"Ti ho chiesto di andare" continuò lei, ad occhi bassi e con la voce incrinata dal pianto. "Non costringermi ad urlare."
L'espressione che le si aprì in volto, qualche istante dopo, confuse parecchio Alec. Guardava un punto dietro di lui, cosa che lo costrinse a fare altrettanto. C'era George Warleggan dietro di loro, fermo lì, sull'ingresso del salotto chissà da quanto tempo. Era rientrato in casa ed erano stati talmente impegnati a discutere che non si erano nemmeno accorti che probabilmente li stesse ascoltando già da un po'. Chissà, forse tutta la casa si era accorta di loro.
Più che guardare Isla, George fissava Alec con un atteggiamento algido e perentorio. Non gli era piaciuto, sin dal primo istante in cui aveva messo piede in quella casa, ormai ne aveva la conferma. Aveva il mento alzato e non schiodava lo sguardo, era difficile sostenere i suoi occhi con la stessa forza.
"Da quello che dice Lady Wood, sono certo che vostra moglie vi sta aspettando, sir Alec " gli disse. "Credo dovreste andare."
Alec non poté fare altro che ubbidire e andarsene da quel salotto a testa bassa. Sapeva che con una sola parola, soltanto a guardare lo sguardo del padrone di casa, avrebbe messo in difficoltà Isla, e per quanto volesse strapparla via di lì, non era giusto nei suoi riguardi. Oltretutto avrebbe rischiato anche la sua permanenza a Trenwith, e solo Dio sapeva quanto Mary avesse bisogno di quel soggiorno in Cornovaglia.
Una volta soli, George e l'istitutrice di suo figlio si guardarono abbastanza a lungo da capire che non si sarebbero schiodati da quel salotto troppo presto. Isla era sicura che ora pretendesse delle spiegazioni, ma non sapeva se era disposta a dargliene, perché si sentiva debole e piena di pianto in gola. Oltretutto non sapeva da che punto dovesse cominciare, visto che non poteva sapere da quanto tempo George li stesse ascoltando.
"Dobbiamo parlare, Isla" le disse, interrompendo il silenzio fra entrambi.
Era meno duro in volto, ma non per questo meno arrabbiato e lei non poté fare a meno di osservarlo mentre, con atteggiamento deciso, andava a socchiudere la porta del salotto per garantire un po' di privacy ad entrambi. Sotto al suo sguardo, George andò a prendere posto su una delle poltrone, pronto per ascoltarla.
Isla rimase in piedi accanto al camino.
"Cosa succede tra voi e sir Alec?"
"Non so nemmeno da dove incominciare, sir George" ammise lei e il tono di voce, debole ed indeciso, non la tradì.
Lui tornò in piedi all'istante, perché mai aveva visto uno sguardo tanto smarrito negli occhi di quella ragazza. Le si mise di fronte. Era già meno indispettito e più morbido in viso. Se per Isla era diventato difficile sostenere i suoi occhi per la vergogna, ora lo era perché le era troppo vicino. Ma, a discapito di quanto fosse accaduto con Alec, non riuscì ad allontanarlo con la stessa veemenza, forse perché non le dispiaceva neanche tanto.
"Vi ha fatto del male?" le chiese preoccupato. "Sono arrivato giusto due minuti fa."
"No, sir George. Non mi ha toccato con un dito, ve lo assicuro."
"Perché eravate soli, allora?"
Isla sospirò e si vide costretta ad affrontare quel discorso assieme a George.
Raccontò tutto: era certa che omettere parti di quel discorso non l'avrebbe salvata da un eventuale licenziamento quindi tanto valeva vuotare il sacco fino alla fine, e dopo essersi portata appresso un peso così consistente, fu come prendere una boccata d'ossigeno. Le era venuto semplice parlare a ruota libera, lasciando uscire fuori tutto, ma la parte difficile era stata alzare lo sguardo su George senza sentirsi giudicata. Non solo aveva raccontato tutto della sua storia con Alec, di come fossero quasi promessi sposi e di come lui invece avesse mandato tutto alle ortiche; ma gli aveva anche parlato dell'ambiente in cui era nata e cresciuta, della mancanza d'amore da parte della famiglia e della solitudine con cui aveva convissuto sin da bambina.
"Mi manderete via, non è così?" domandò rassegnata, notando che lui era rimasto in silenzio.
George scosse il capo e lei fu costretta ad alzare lo sguardo.
"No, come vi viene in mente?"
"Vi ho mentito."
"Avevate delle buone ragioni per farlo" le rispose col solito tono incolore. "E deve esservi costato molto parlarmene."
Isla non disse nient'altro, troppo scioccata per reagire all'inaspettata clemenza di George, soprattutto dopo quella volta in cui l'aveva reguardita dicendole che le sarebbe costato caro schierarsi contro di lui. Fu costretta a spostarsi dal caminetto per raggiungere la finestra e a puntare lo sguardo sulla vista davanti a sé, perché non riusciva più a trattenere il suo pianto.
"Guardatemi, per favore" le disse lui. Non era perentorio, ma restava comunque calmo e deciso. "Non dovete vergognarvi delle vostre lacrime."
Isla non riuscì comunque a voltarsi. Non piangeva ancora, ma ci mancava poco che ciò accadesse. E la cosa divenne uno strazio quando George, di sua iniziativa, le posò le sue mani sulla spalle.
Lentamente, con una dolcezza e una premura disarmanti, riuscì a farla voltare verso di lui.
Erano più vicini di quanto non fossero mai stati, o almeno più di quanto dovessero esserlo un padrone e una sua dipendente. E quella cosa sembrò sorprendere anche lui, come se non se ne fosse reso conto. George dovette trattenere l'assurdo impulso di accarezzare una guancia di Isla.
"Una volta mi avete detto che mi siete fedele, e posso assicurarvi che me lo avete sempre dimostrato" esordì. "Però anche io sono vostro alleato. E se siete in difficoltà, vorrei che vi affidaste a me come ho fatto io quella notte con voi."
Isla restò a fissarlo senza fiatare: non aveva scordato nulla di quello che c'era stato la sera in cui si sentivano spiati dal quadro di Elizabeth.
"Non vi ho mai ringraziata" disse gentile. "Ero troppo preoccupato della mia reputazione o del mio orgoglio per pensare a voi e me ne dispiaccio. Spero che possiate perdonarmi."
Isla scosse il capo.
"Non dovete preoccuparvene."
Lui continuò come se non l'avesse ascoltata.
"Vi prego di non pensare più di essere sola. Adesso avete me." Poi sembrò un po' in imbarazzo. "Avete me e Valentine, e questo posto. Non mentivo oggi a colazione quando dicevo che questa è casa vostra."
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Isla dovette sfiorarsi una guancia e toccare con mano le proprie lacrime, ma in realtà non c'era davvero bisogno che lo facesse per accorgersene. In quel momento, di fianco alla finestra, non pianse soltanto la donna adulta di ventisette anni, ma anche la bambina di Thurso che non era mai stata considerata dai genitori, che si rannicchiava nelle braccia della sua bambinaia senza riuscire però a sopperire alla mancanza d'amore da parte della madre e del padre; ma anche la ragazza che, quella volta che era rientrata in Scozia, avrebbe soltanto meritato un po' di riguardo e rispetto.
Quando George la tirò a sé e la abbracciò, Isla non ci capì molto. Era sconquassata dai singhiozzi e il calore di lui era troppo dolce ed invitante per rifiutarlo. Ma poi perché mai avrebbe dovuto farlo? Aveva l'impressione che, di quel passo, avrebbero potuto restare così all'infinito.
Fu una sensazione meravigliosa. Il suo cuore riprese a battere come non aveva mai fatto prima quando, le sue braccia, si mossero per ricambiare la stretta. Voleva abbracciarlo anche lei.
Lui ne sembrò per un attimo sorpreso, ma quello servì soltanto ad accentuare ancora di più la presa su di lei. Isla piangeva così forte che la sua faccia stava diventando irriconoscibile.
Fu solo quando si calmò, dopo una manciata di minuti, che George iniziò a valutare di lasciarla andare, ma nemmeno allora lo fece. Ciò avvenne soltanto qualche istante dopo, e anche piuttosto bruscamente.
Isla si era affrettata ad asciugarsi le guance e a darsi un contegno: si vedeva che avesse pianto, ma il suo aspetto restava comunque estremamente fiero e dignitoso.
Dietro di loro, con una faccia così confusa da rasentare quasi il ridicolo, si era fermato Cary Warleggan con la mano sulla maniglia della porta. Stava per formulare il nome del nipote con le labbra, ma nessuno dei due si era accorto abbastanza in tempo della sua presenza e la scena che si parò a tutti e tre davanti si divise a metà tra l'imbarazzo e la comicità estrema.
Gli occhi di Cary Warleggan saettavano dall'uno all'altra cercando di capire qualcosa.
"George... la domestica all'ingresso ha detto che potevo trovarti qui" cominciò, per sciogliere un po' il ghiaccio.
Isla si asciugò ancora una guancia e fece un breve e imbarazzato inchino ad entrambi per congedarsi.
"Vi lascio soli" le sentì dire George prima di uscire.
Lui non poté fare a meno di continuare a seguirla con lo sguardo per un po', prima di tornare su suo zio Cary. Avrebbe voluto supplicarla di tornare, aveva la sensazione che si sarebbe chiusa nella propria camera a piangere e lui non voleva che succedesse.
"E quello cos'era, nipote?"
"Cos'era cosa?"
"Quello" rimarcò il concetto suo zio, indicando il punto in cui Isla era scomparsa.
"Niente" fece George, accasciandosi ad una delle poltrone del salotto.
"Non mi sembrava niente" rispose Cary, marciando sulla parola finale.
George sbuffò. "Dimmi zio, cosa ti serve?"
Cary Warleggan spalancò le braccia con fare impressionato. Non vedeva quello sguardo sul volto del nipote da molto tempo, sinceramente George non era un tipo che si sentisse in imbarazzo così facilmente.
"Vuoi davvero ignorare quello che ho appena visto?" domandò imperterrito.
"Zio, non è successo niente di che. La stavo solo confortando." George cercò di liquidare la questione il più velocemente possibile. "Che c'è di strano?"
Beh, tanto per cominciare, c'erano un bel po' di cose strane. George non confortava di certo la servitù. Tuttavia, negare che quella ragazza si fosse accaparrata un posto di tutto rispetto in famiglia, sarebbe stato da idioti. Piombò per un secondo il silenzio nella stanza. Ma la risposta che venne fuori dalla bocca di suo zio, George non l'avrebbe mai e poi mai dimenticata.
"C'è di strano che non hai mai abbracciato così nemmeno Elizabeth."
 
 

Angolo dell’autrice
Ciao a tutti!
Questo capitolo per me è davvero importante e spero che possa piacere anche a voi.
George e Isla sono sempre più vicini e ormai anche i muri lo stanno iniziando a capire (compreso quel burlone di zio Cary).
Aspetto i vostri pareri.
Un abbraccio
Lady Warleggan
   
 
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