Secondo
capitolo ri-postato!
Sono reduce da un’intensa giornata lavorativa
(eh sì, a volte mi tocca di lavurà anche la domenica!) quindi mi
perdonerete se questa sera non ce la
faccio a rispondere alle vostre gradite e bellissime recensioni, lo farò con calma
in settimana!
E grazie ancora a tutti voi che leggete!
.39.
IL CONFRONTO
Harlock stava guardando Meeme ma era come se neppure la vedesse.
Non poteva credere a quello che gli aveva appena detto. Era una cosa del tutto
fuori dalla sua logica, una cosa che non avrebbe mai immaginato possibile, che
non aveva mai neppure sfiorato per sbaglio la sua mente.
Eppure era accaduta.
Naturalmente, come aveva temuto l’aliena, dentro di lui stava già maturando la
convinzione che la colpa fosse solo ed unicamente sua e non di una
concatenazione disgraziata di fortuite coincidenze, quale probabilmente era
davvero.
“Harlock…” gli disse poggiando una mano sulla spalla “Tu non c’entri…”.
Lui la trafisse con un’occhiata “No?” le chiese quasi sibilando.
“Non potevi immaginare che potesse succedere”.
“Ed invece avrei dovuto”.
“Non puoi sempre accollarti la responsabilità di ogni evento dell’Universo”.
“Maledizione! Io sapevo di essere contaminato dalla Dark Matter” rispose quasi
angosciato.
“Sì, ma non potevi prevedere questa reazione su di lei, nessuno poteva, neppure
io. Ė un caso del destino. Ti prego ora non riprendere da dove avevi lasciato,
non ributtarti di nuovo tra le spire del rimorso. Non farlo, o tutto il cammino
che hai fatto sarà stato inutile”.
Lui si allontanò. Era furioso. Cosa ne poteva sapere Meeme di cosa stava
sentendo dentro di sé? Era facile per lei parlare così come se niente fosse,
facile e semplice, non era implicata a livello emotivo, ma il dolore che lo
dilaniava era solo suo e condensato dentro la sua anima che stava calcificando.
In più aveva il rimpianto legato alla consapevolezza che, se avesse avuto un
minimo di buonsenso, tutto ciò non sarebbe accaduto.
Quando Meeme gli aveva detto che Joy era stata contaminata e quali erano state
le conseguenze si era sentito morire. Era come se di colpo si fosse azzerato
tutto quello che di buono e positivo era riuscito a costruire dentro di sé
negli ultimi tempi. Era stufo marcio di essere sempre in lotta con questo
destino infame che si burlava di lui ogni maledetta volta.
Guardò il tavolo su cui faceva bella mostra di sé un vino pregiato e due calici
pieni a metà, senza neppure pensarci, al colmo della frustrazione mista
all’impotenza che gli serpeggiava dentro, con una manata spazzò via tutto con
forza. Fece schizzare e frantumare a terra, bottiglia e bicchieri, mentre il
liquido in cui annegavano i frammenti di vetro, si allargava in una pozza
vermiglia sul pavimento, diffondendo il suo aroma dolciastro nell’aria.
Meeme abbassò la testa e chiuse gli occhi dispiaciuta. Sentiva la tempesta
furiosa che gli urlava dentro e in parte anche lei se ne sentiva ancora una
volta responsabile.
Poi prese coraggio e decise di parlare.
“Non dovresti permettere alla rabbia di dominarti di nuovo. Non ti servirà a
niente. Ormai è fatta”.
Harlock la guardò furente. Lei ebbe un lieve sussulto nell’incrociare quella sciabolata
che fu il suo sguardo.
Ma Meeme non si lasciò intimorire. Non aveva paura di lui e capiva molto bene
la sua reazione, la capiva e la giustificava in pieno.
“Questa volta non starò in silenzio” rispose con calma “Conosco
molto bene i tuoi sentimenti perché li sento e tu lo sai. La dark
matter ti ha in un certo senso come dannato, ma ormai fa parte di
te, devi accettarlo sia che ti piaccia, sia che non ti piaccia, ma a parte ciò,
dovresti vedere le cose da un’altra angolazione. Rifletti, senza questa maledizione non
l’avresti mai incontrata. Se ci pensi, probabilmente c’è un disegno più grande
di noi, di cui facciamo parte, e che purtroppo non sempre possiamo gestire come
vorremmo”.
Lui alzò la mano come per farla tacere “Non credo a certe sciocchezze e sarebbe
stato un gran bene per lei non avermi mai conosciuto” rispose glaciale.
Meeme era molto combattuta e non sapeva se dirgli tutto fino in fondo, era
titubante, ma alla fine pensò che forse era giusto che sapesse almeno quella
parte della faccenda.
Tanto già poteva immaginare la sua reazione, non c’era alcun rischio in merito,
Harlock era un uomo integerrimo e non sarebbe mai sceso a compromessi, né
avrebbe ceduto all’egoismo da innamorato, anzi proprio perché amava quella
ragazza era certa che si sarebbe sacrificato.
“In realtà forse ci sarebbe un modo per risolvere il problema, ma è molto
rischioso…” cominciò a dirgli catturando subito la sua attenzione.
“Dovrebbe subire un’operazione alla testa. Quel chip va assolutamente
rimosso…”.
Harlock si girò di scatto.
“Devo andare a parlare di persona con Heizo” disse come se formulasse un
pensiero a voce alta.
L’aliena si mise in allarme, non capì bene il perché di quella sua repentina
decisione, che si fosse sbagliata? E poi era pericolosissimo per lui andare su
Cerere.
Si agitò.
C’era ancora quella cosa che gli aveva taciuto, quella cosa così importante e
così particolare da cui derivava il pericolo maggiore che forse era meglio lui
non sapesse, almeno non per il momento.
Lo raggiunse cercando di fermarlo.
“Non è il caso, posso dirti io tutto ciò che vuoi sapere. Potresti essere
catturato, o peggio ucciso, non fare sciocchezze Harlock. Hai comunque degli
obblighi morali a cui assolvere” gli disse poggiandogli una mano sul braccio.
Lui la fissò. Aveva già capito che c’era qualcosa che non quadrava, che lei non
gli stava dicendo tutto ed era stanco e veramente stufo di tutto quel mistero e
di quei giochetti, avrebbe saputo la verità a qualunque costo, e per una volta
decise di essere egoista. Era pronto a rischiare la cattura e anche la vita, ma
sarebbe andato da Heizo.
Scostò il mantello e velocemente si diresse alla porta della cabina “No.
Grazie. Farò a modo mio e ti assicuro che questa volta nessuno potrà fermarmi,
nemmeno i miei obblighi” concluse lapidario uscendo, e lasciandola da sola con
i suoi dubbi e le sue preoccupazioni.
Il Capitano si recò in Plancia dette immediatamente disposizioni a Yattaran,
poi salì su un aereo navalizzato e in completa solitudine fece
rotta su Cerere.
Joy aveva
riposato a lungo, quando si svegliò era frastornata. Si sentiva strana ed era
ormai certa che qualcosa non andasse bene nella sua salute. Era stanca,
stranita e quel chip sfrigolava troppo spesso, anche se per fortuna, le medicine
per ora lo tenevano a bada.
La sua decisione di rimanere in quell’universo in quelle condizioni era senza
dubbio una scelta azzardata. Doveva parlare con Meeme. Ci doveva essere una
soluzione alternativa. Non si sarebbe arresa facilmente.
Si alzò e andò subito dall’aliena.
Joy fu così pressante e così determinata che alla fine l’altra cedette e disse
anche a lei che c’era quella remota possibilità dell’operazione, ma che era
decisamente troppo pericolosa.
Purtroppo c’era una cosa che Heizo le aveva tassativamente proibito di
rivelarle. Era pericolosissimo metterla conoscenza di tutta la verità, perché
lo stress emotivo avrebbe potuto causarle un danno enorme e anche farle venire
una crisi a rischio mortale.
Per il bene della sua salute doveva evitare scompensi emozionali perché
avrebbero potuto influire sulle crisi epilettiche causate dal chip.
“Parlerò con il medico. Da sola. E deciderò io e solo io che cosa fare!” saltò
su la biologa agitandosi.
Meeme si preoccupò della sua reazione.
“Adesso non essere precipitosa. Calmati, e poi se vuoi andare dal medico faremo
in modo di portarti da lui”.
“C’è qualcosa che mi sfugge, è come se fra tutti mi steste nascondendo
qualcosa”.
Meeme sospirò.
“La verità è che sei in grave pericolo. Se decidessi di operarti probabilmente
non sopravviveresti” si risolse a dirle.
Era una mezza verità, non aveva avuto scelta e doveva per forza dirle qualcosa
perché smettesse di fare e farsi domande in merito.
Joy ne fu
sconvolta.
Non poteva davvero credere che le cose fossero così drastiche. Aveva creduto ad
un’eccessiva premura da parte loro, ad un’esagerazione. Aveva sperato che
con una cura adeguata sarebbe guarita, o per lo meno che forse si sarebbe
dovuta curare a vita, ma che si sarebbe tutto risolto, invece le faccenda era
molto peggio di qualsiasi previsione catastrofica avesse mai potuto immaginare.
Nuovamente le si poneva la scelta: Spazio (morte), Terra (vita) e
questa volta sarebbe stata davvero una scelta molto difficile e gravosa.
“Non c’è neppure una remota possibilità che io ce la possa fare?” chiese
all’improvviso a Meeme.
L’aliena chiuse gli occhi. Era difficile anche per lei districarsi in quel
dedalo di mezze verità, di cose dette e non dette, era come camminare su una
corda sospesi nel vuoto e non era abituata, né faceva parte della sua indole.
“Forse una su cento” mormorò.
La biologa non parlò più. C’era ben poco da dire e da fare.
Si congedò e andò a rifugiarsi nella cabina di Harlock. Non sapeva dove fosse,
ma in quel momento non le importava. Si buttò a faccia in giù nel grande letto
e affondò il viso nel cuscino di lui aspirandone il profumo. Era piena di
disperazione.
Chiaramente non voleva morire, non era una kamikaze, ma allo stesso tempo era
disperata perché non avrebbe mai voluto separarsi dall’uomo che amava.
Poteva tornare indietro nel tempo e salvarsi, o almeno questo era ciò che
pensavano tutti, ma le venne un dubbio. C’era davvero la certezza che questo
ritorno al passato sarebbe stato privo di rischi?
D’accordo, il dottor Daisuke le aveva spiegato come fare, e le aveva
consegnato quel marchingegno simile ad una barretta d’acciaio che aveva
chiamato Chiave Sonica(1) e
aveva dato per certa la riuscita della cosa, ma c’era stato qualcuno, a parte
suo padre, che era già riuscito nell’intento? Comunque lui aveva viaggiato nel
tempo per errore, per un caso fortuito, e non per una sua precisa volontà
tentando di passare da una dimensione all’altra, come avrebbe dovuto fare lei.
E se qualcosa fosse andato storto? Se invece che tornare nel suo tempo in
Inghilterra fosse finita altrove, in un’altra epoca? Il chip sarebbe rimasto al
suo posto e il suo destino sarebbe stato comunque segnato per sempre.
Allora che cosa era più saggio fare?
Rimanere fino alla fine accanto ad Harlock, magari tentando il tutto per tutto
con l’operazione, o affrontare l’incognita di un viaggio temporale?
Cominciò a piangere sommessamente. Non aveva mai pianto così tanto in tutta la
sua vita. Di solito era una di quelle persone che si tengono sempre tutto
dentro senza riuscire a sfogarsi, ma ora sembrava aver rotto gli argini e
piangeva molto, troppo spesso.
Per fortuna era sola e nessuno l’avrebbe vista.
Era davvero disperata e sconfortata. Aveva paura. Paura di morire, ma anche di
viaggiare attraverso le dimensioni spazio temporali. Si chiese perché le
dovesse capitare tutto ciò, che senso avesse, perché proprio a lei, ma non
trovò risposta.
Solo silenzio.
Un silenzio cattivo e avaro che la lasciò preda delle sue angosce.
***
Quello
che gli aveva alla fine rivelato Heizo era forse più sconvolgente della mezza
verità propinatagli di Meeme.
Harlock era sul suo aereo navalizzato e stava errando sconfortato senza
decidersi a rientrare sull’Arcadia.
Era semplicemente pazzesco. Inaudito e fuori da ogni previsione avesse mai potuto
fare.
Era sconvolto.
Quando Meeme gli aveva detto che avrebbe dovuto scegliere tra la vita e la
morte credeva si riferisse a lui, ed invece
evidentemente non era esattamente così.
La vita e la morte erano di qualcun altro, ora non v’erano più dubbi in merito.
C’era questa remotissima possibilità di questa operazione, ma si sarebbe
davvero azzardato a caldeggiare questa soluzione rischiando di
metterla in pericolo di vita?
Una parte di lui, quella irrazionale ed innamorata, urlava disperatamente di
sì. Ma quella razionale ed integerrima sapeva già quale fosse l’unica cosa
possibile da fare, vale a dire rimandarla a casa sua nel suo tempo, senza
indugi, né ripensamenti.
Gli era improvvisamente chiaro che quando era stata male e aveva pregato per
lei, era stato esaudito, solo non nel modo che si sarebbe aspettato, Joy
sarebbe stata salva, ma lui, come richiesto a suggello di un voto, avrebbe
dovuto pagarne il prezzo.
Si disse che era la giusta punizione per aver distrutto la Terra. Un giusto
dazio da pagare per aver ottenuto il perdono della sua ciurma.
Ma qualunque cosa pensasse, o qualunque giustificazione trovasse, la sua
disperazione gli stava divorando l’anima a morsi, come una iena che spolpa una
carogna.
C’era una parte di lui che si ribellava con furia cieca a questo stato delle
cose, che non voleva arrendersi all’evidenza e dentro gli si appiccò il fuoco
maligno della rabbia. Avrebbe voluto disintegrare l’Universo intero se ne
avesse avuto la possibilità.
Alla fine rientrò nella sua nave, non poteva certo vagare ancora per molto
senza una meta precisa, sputando veleno e rabbia, da solo come un cane. Non
serviva a niente e non avrebbe cambiato lo stato delle cose.
Una volta atterrato ed uscito dalla paratia di contenimento(2) , entrò
in Plancia e non guardò in faccia nessuno, a passo quasi marziale si diresse
veloce verso la sala degli allenamenti.
Entrò deciso e subito, con gesti veloci e scattosi, si levò di dosso tutta la
roba più ingombrante rimanendo con i pantaloni e la leggera maglia a collo
alto. Estrasse con foga il Gravity Saber dalla fondina e come una furia
scatenata si avventò contro le sagome disposte su tre file. Era così rabbioso e
così frustrato che le devastò letteralmente facendole a pezzi. Le colpì così
tante volte, che le maciullò sparpagliando ovunque i loro brandelli nella
stanza.
Una volta finito aveva il fiatone e la fronte imperlata di sudore, ma la rabbia
era ancora tutta lì che mordeva il freno e che gli rodeva il cuore, come se
fosse stato immerso in un bicchiere di acido.
Si tolse i guanti e a mani nude prese a dare pugni al sacco che penzolava poco
più in là e fungeva da addestramento per il corpo a corpo.
Lo colpì con una forza inaudita. Come se fosse il responsabile del suo dolore.
Gli si avventò contro con pugni e calci accompagnati da gemiti rabbiosi, e
continuò fintanto che non si sbucciò le nocche, ma la rabbia resisteva, era
come se non riuscisse a scaricarla. Lo soffocava, quasi tanto era impetuosa e
densa.
Poi d’un tratto si fermò.
Era sudato fradicio, con i capelli appiccicati al viso e in debito
d’ossigeno.
Fu in quel momento quasi di quiete che si ricordò di Ezra rinchiuso nella
stiva, in cella.
Non ci pensò neppure un attimo e, lasciando tutto com’era, andò diretto da lui.
Irruppe nella prigione e si trovò davanti il comandante della Gaia Fleet seduto
compostamente, rigido, con lo sguardo perso oltre l’oblò alla sua destra. Non
si girò, né mutò la sua postura, fu come se neppure lo avesse sentito arrivare.
“Guardami!” gli intimò Harlock furente.
Ezra obbedì e finalmente si voltò fissandolo dritto nell’occhio.
“Ho deciso che oggi morirai”.
L’altro non fece una piega.
“Tutti prima o poi dobbiamo morire, eccetto te, forse” disse calmissimo, come
se la cosa non lo riguardasse.
Harlock, lo fissò di sbieco allargando le narici sbuffando appena, per niente
impressionato dalla sua imperturbabilità tipica di un comandante. Non si
sarebbe aspettato niente di meno.
“Ho deciso di sfidarti a duello” gli disse senza preamboli.
“Mi astengo” ribatté Ezra senza colore nel tono della voce.
Poi lo guardò in un modo che impressionò Harlock. I suoi occhi cerulei erano
due schegge di ghiaccio, ma velati da un’ombra di profondo dolore che pungeva
come uno spillo e gli disse “Fai un piacere ad entrambi: giustiziami”.
Fu in quel momento, incrociando quello sguardo determinato e disperato che il
Capitano capì senza ombra di dubbio che Ezra voleva morire.
Si chiese perché.
“Vorresti morire senza onore?” gli domandò serio.
“Sì” gli rispose spiazzandolo.
“E perché mai?” fu la domanda spontanea che affiorò sulle labbra di Harlock,
che era turbato da questo comportamento insolito.
Ezra non aveva proprio più niente da perdere, era uno storpio che aveva
commesso il più grave dei misfatti, la morte per lui sarebbe stata solo un
sollievo.
“Ho ucciso Nami” disse lapidario e le sue parole colpirono Harlock come uno
schiaffo in pieno viso.
Gli ci volle qualche secondo per riprendersi.
“Che hai fatto?” gli chiese afferrandolo per il bavero della divisa militare,
scuotendolo con forza.
Ezra rimase immobile come se qualsiasi cosa accadesse attorno a lui fosse senza
importanza, e come se la furia di Harlock gli scivolasse addosso, sembrava
quasi un oggetto inanimato.
“Ho ucciso mia moglie” ripeté freddamente, come un automa.
Harlock lo lasciò andare di colpo, sconcertato.
“Non volevo farlo” aggiunse in un soffio. Era come se all’improvviso avesse
bisogno di sfogarsi con qualcuno e il destino gli aveva inviato il Capitano
dell’Arcadia. Così, non si fece sfuggire l’occasione di confessare la colpa che
lo stava martoriando da giorni, e che gli pesava sul cuore divenuto ormai
poltiglia.
Non voleva più vivere perché la sua ragione di vita non c’era più.
“È stato un gesto inconsulto dettato da uno profondo moto di rabbia, dopo che
vi avevo scoperti quel giorno che poi siete fuggiti. Per farla tacere, dato che
vi difendeva, ho staccato la spina della sua teca e in pochi secondi è morta…”
disse tutto d’un fiato con lo sguardo vacuo perso nel vuoto.
Questa volta i suoi occhi gli apparvero come due laghi di profonda tristezza e
basta.
Harlock era atterrito, senza parole, il suo pensiero corse subito a Joy e al
dolore che avrebbe dovuto sopportare. Desiderò strozzarlo ma era come
immobilizzato, paralizzato, dalla sincera brutalità di quell’ammissione.
“Amavo Nami più della mia vita, ma il mio stupido orgoglio, la mia ottusità mi
ha sempre impedito di capire quanto anche lei mi amasse. Del resto mi aveva
scelto… avrebbe dovuto bastarmi come risposta, ma lei era così buona e così
empatica. Adorava e amava Yama come un fratello, lo giustificava sempre, perché
lo capiva e sapeva che aveva delle fragilità… io ero geloso di questo bene
puro, che volevo vedere marcio. Ho covato per anni una gelosia malata, insana,
peggiorata dall’incidente, così quando continuava a difendervi, non potendo
neppure colpirla, mi è sembrato che l’unico modo per punirla fosse staccare la
spina e farla soffrire. Invece è morta, sebbene per lei forse sia stata una
liberazione… ma non volevo, purtroppo nella concitazione del gesto e della
rabbia sono caduto da quella maledetta sedia e non sono riuscito a riattaccare
in tempo la spina… ho strisciato in terra, come un verme per raggiungerla, ma
non ce l’ho fatta… l’ho vista morire senza poter muovere un solo dito” e la
testa di Ezra si reclinò in avanti come in un gesto di totale sconfitta.
Quelle parole vacue e confuse, pronunziate con tono sommesso, doloroso e quasi
cantilenato disarmarono Harlock.
Vide Ezra per quello che era, un uomo distrutto dal dolore e dal senso di colpa
che cercava la sola e unica via d’uscita: la morte.
Una cosa gli fu subito certa, non gliela avrebbe data lui.
“Mi chiedo che cosa tu ne abbia guadagnato a svendere la tua vita alla Gaia
Saction, e a cosa ti sia servito farti corrodere da sentimenti così infimi come
la gelosia, che evidentemente provi nei confronti di tuo fratello” gli disse
serio.
“Non sai niente della mia vita, della mia famiglia e di mio fratello” gli
rispose rabbioso in un moto d’orgoglio.
“No. Ma ne so molto di come ti comporti con le persone, sai che hai quasi
condannato a morte anche Joy, la sorella di Nami?”.
Ezra abbozzò un mezzo sorrisetto amaro “Non mi pento. Sono un militare, dovevo
fare il mio dovere. Purtroppo ci sono cose spiacevoli che devono essere fatte
in nome della giustizia. Come al tempo avresti dovuto fare tu. Sei un militare
e sai che possiamo essere costretti a fare cose spiacevoli, sebbene sia chiaro
che tu abbia ormai rinnegato questa parte della tua vita”.
“Non avrei mai introdotto la sonda nella testa di una donna indifesa. Non ho
fatto l’accademia per diventare un assassino prezzolato al soldo di un potere
che è egemonia e lusso per pochi. Io volevo servire la giustizia!”.
“Tutte belle parole Harlock, ma intanto hai distrutto un pianeta e condannando
l’umanità a non avere più una casa”.
“Era una casa occupata dal regime della Gaia Sanction,
l’umanità ne era comunque priva. La mia intenzione era celare e non
distruggere. Ė stato un gravissimo errore di valutazione che solo io so quanto
mi sia costato, ma per fortuna possiamo porvi rimedio”.
“Le farneticazioni di Nami…” commentò in un soffio Ezra.
“Non sono farneticazioni!” e si ritrovò suo malgrado a spiegargli tutto.
Ezra lo ascoltò anche se non sembrava neppure udirlo.
Alla fine disse “Ormai non mi interessa più niente…”.
Harlock si ricordò all’improvviso delle parole di Joy.
Dovresti lasciarlo andare. Ė un uomo già molto provato dalla vita, credo che nessuno meglio di te possa capire ciò che sta passando. Ucciderlo onorevolmente o meno, non servirà a nulla…
Era vero.
A che cosa sarebbe servito accanirsi contro di lui?
Il danno era fatto e ucciderlo non avrebbe rimesso a posto quel chip
danneggiato. Né avrebbe ridato la vita a Nami.
Sarebbe stato uno sbaglio, un morto in più sulla coscienza, per di più ammazzato
per vendetta. Non era da lui. Non agiva così e non lo avrebbe fatto neppure
questa volta.
“Sei libero” enunciò all’improvviso a sua volta atono.
Ezra alzò la testa di scatto e lo guardò perplesso.
“Ti rendo la tua nave e te ne puoi andare” ripeté il Capitano serio e pacato.
“Tu sei un pazzo!” gli vomitò contro l’altro “Dovresti uccidermi! Chi ti
garantisce che una volta sulla Okeanos io non faccia fuoco sull’Arcadia?”.
“Il tuo amore per Nami” lo freddò con sicurezza Harlock. “Tu sai che lei aveva
ragione a sostenere la nostra causa e devi sapere che il suo più grande
desiderio era che tu ti unissi a noi. Aveva grande stima di te e conosceva il
vero colore della tua anima, sperava che prima o poi saresti rinsavito. Devi
slegarti Ezra. Non sono io il tuo nemico, ma questo già lo sai da tempo, non è
vero?” gli disse fissandolo cupo e sicuro.
Ezra serrò le labbra e strinse i pugni abbassando lo sguardo.
“Slegati dai tuoi pregiudizi, dal tuo orgoglio, lascia che almeno l’amore di
Nami non ti abbandoni. Lascia che sia lei, con il suo sacrificio, a riportarti
sulla retta via. Imbraccia la tua causa e perseguila Ezra, ognuno di noi ha un
compito che non può essere disatteso, per nessuna ragione” e, detto ciò, uscì
dalla cella lasciando le sbarre aperte.
“Sei libero. Puoi andare quando vuoi. Ti faccio riportare la tua sedia” disse,
mentre le sue parole si perdevano per il corridoio della stiva, insieme al
rumore dei suoi passi.
Aveva
parlato a lui, ma in realtà quelle parole erano forse più per se stesso.
Era inutile farsi legare dalla rabbia. Era inutile combattere una battaglia già
persa.
C’era una sola cosa da fare e come sempre l’avrebbe fatta senza tirarsi
indietro.
NOTE
(1) Omaggio
alla storica serie fantascientifica, basata sui viaggi nel tempo, della TV britannica
che va in onda da ben 51 anni: Dr. Who. Nella quale esiste il “cacciavite
sonico” che però serve a tutt’altro :)
(All rights reserved, no copyright infringement intended)
(2) Non l’ho mai specificato ma il termine “paratia di contenimento” me lo sono inventato presumendo che le paratie (porte automatiche esistenti nelle navi) possano anche essere di “contenimento” vale a dire un collegamento tra la stiva (o quello che è) dove stanno gli aerei navalizzati, navette ecc… e la parte sottostante la il ponte della Plancia. Praticamente se ricordate nel film quella parte gialla da cui esce Yama dopo che è stato salvato da Harlock su Tokarga che sembra immettere direttamente dalla navetta alla Plancia. Perciò ricordate che non è un termine del film, ma una mia invenzione fantasiosa ;)
Per quanto riguarda di Ezra…
Questa è la mia personale visione sul personaggio, dei suoi
tormenti e del suo essere così inc… con il fratello, ma temo che lo sia con il
mondo intero . Per me Ezra è un debole, ma con le sue ragioni. Forse è un
frustrato che alla fine è più pericoloso di un cattivo vero. Ho provato a modo
mio a dargli un minimo di spessore che nel film per me non ha avuto, è forse il
cattivo più sciapo della storia dei cattivi, ma forse per
questo è interessante provare a sondare la sua psicologia molto umana e debole.
Mi è piaciuto immaginare che fosse merito di Nami, ma anche del nostro Capitano
una sua possibile redenzione e/o cambio di rotta, che se mai ci sarà, leggerete
senz’altro prima della fine, oppure no… chissà. Tutto ciò è ovviamente una mia
personale opinione e modo di vedere, o come dicono quelli imparati è il mio
headcanon!