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Autore: La_Sakura    15/06/2022    6 recensioni
Alla vigilia del World Youth, un grave incidente costringe Tsubasa al ritiro dalla competizione e anche dal calcio giocato. Rimasto inspiegabilmente in Brasile, il giovane lascia andare i contatti con gli amici di sempre fino a far perdere le proprie tracce.
Sono passati cinque anni quando, da San Paolo, giunge una nuova notizia: Roberto Hongo ha perso la vita in un incidente d’auto. Gli amici della vecchia Nankatsu si radunano per recarsi al funerale, curiosi anche di sapere se Tsubasa sarà presente, ma la sua assenza fa sì che Yuzo decida di cercarlo, rintracciandolo finalmente a Santos. Ciò che troverà, sarà in grado di spiegare il passato?

«Dobbiamo essere veloci.»
«Veloci e furiosi.»

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Serie "VeF - Velozes e Furiosos"
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'VeF - Velozes e Furiosos'
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Velozes e Furiosos

Lar

Yuzo si alzò in piedi non appena la serratura della porta scattò: Keiko fece il suo ingresso e lo osservò con aria quasi colpevole, salvo poi sorridere, soffermando lo sguardo sulla tavola imbandita.

«Hai preparato da mangiare.»

«Non sapevo quando sareste tornati, e così…»

«Per tutti gli Dei, questa sì che è una cena coi fiocchi!» Cristóvão si strofinò le mani, scostando rumorosamente una sedia.

«Vatti a lavare le mani, Cris.» lo redarguì Keiko, ricevendo per tutta risposta uno sbuffo lamentoso da parte del nissei.

«Grazie mille, Yuzo.» Tsubasa si lasciò andare pesantemente su una sedia, e iniziò a massaggiarsi gli occhi.

«Avete...?»

Non terminò la frase, attese che qualcuno la completasse e gli rispondesse.

«No, non abbiamo trovato Yuki. In compenso abbiamo vinto una bella gatta da pelare.»

«Bas…»

«No, Kei.» la zittì, alzando una mano «Hai parlato abbastanza, per oggi. Mi sembra di essere tornato indietro di otto anni.»

Cenarono in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, e allo stesso modo si ritirarono nelle loro stanze, dopo che Yuzo si era offerto di mettere a posto. Si accorse che Keiko si era rintanata nella cameretta di Yuki, lasciando a Tsubasa l’uso esclusivo della matrimoniale che normalmente occupavano.

Percorse il breve corridoio che dalla cucina portava al salottino, quindi aprì la scorrevole che dava sulla veranda e, dopo aver recuperato il suo fidato plaid, si sedette su una poltroncina. Non passò molto tempo prima che Tsubasa lo raggiungesse, birra alla mano, e si sedesse accanto a lui.

«Vorrei potervi aiutare, in qualche modo.»

«Beh, se hai una bacchetta magica, questo è il momento giusto per utilizzarla.»

Sorrise alla battuta, sperando di non risultare irrispettoso.

«No, nessuna magia a portata di mano, purtroppo.»

«Dobbiamo recuperare un carico in partenza nei prossimi giorni e portarlo in un luogo sicuro di Tanaka-san. Questo carico è di proprietà di un’organizzazione criminale della zona, quindi è come andare diretti in braccio alla morte.»

«Capisco…» e capiva davvero. Rimasero in silenzio qualche istante prima che egli stesso ebbe il coraggio di porre la domanda veramente cruciale «Di che debito si tratta, Tsubasa?»

Il ragazzo non rispose: sorseggiò la birra, lo sguardo fisso sull’orizzonte. Solo quando l’ebbe finita, si sporse verso di lui e lo guardò negli occhi.

«Quando mi sono trasferito qui, Roberto frequentava la sorella di Keiko. Andava tutto bene, fino a quando i loro genitori non morirono in un incendio, l’anno successivo al mio arrivo. Keiko era ancora minorenne, così sua sorella ne prese la custodia, ma non avevano più nulla, così per sostentarsi si rivolse a Tanaka-san.»

«Anziché chiedere aiuto a voi, è andata dall’oyabun?»

«Lei e Roberto ebbero una brutta discussione a questo riguardo, e si lasciarono: lei aveva iniziato a mentire, era strana, e quando abbiamo scoperto che si prostituiva per ripagare il debito, Roberto non ha retto il colpo.»

«Posso immaginare…» Yuzo cominciò a temere il peggio, da quella storia.

«Avevamo quasi diciott’anni quando è tornata: un cliente l’aveva picchiata quasi a morte, era piena di lividi, il volto irriconoscibile… abbiamo fermato Roberto per un soffio, l’avrebbe ammazzato quel bastardo. Non abbiamo potuto però impedirgli di andare da Tanaka-san e offrirsi di ripagare il debito di Yukiko, rendendola libera.»

Yukiko. Verosimilmente la bambina della neve. Gli tornò in mente la chiacchierata con Yuki riguardo il kanji del suo nome.

Tsubasa si era interrotto: fissava un punto indefinito del pavimento, rigirandosi la bottiglia ormai vuota tra le mani.

«Cos’è successo, dopo?» lo incalzò.

«All’inizio gli chiedeva solo piccole cose, poca roba, sapeva che Roberto non aveva molte velleità da yakuza, così si limitava a commissionargli piccoli trasferimenti di somme di denaro, o di altre cose di cui ci teneva all’oscuro, finché non gli ha chiesto l’impossibile.»

«Così, da un giorno all’altro?»

Tsubasa si lasciò sfuggire un sorriso amaro, focalizzandosi sulla bottiglia di vetro.

«Era impossibile per lui perché era troppo affezionato a me.»

Di nuovo il brivido di terrore di poco prima, gli attraversò la schiena come una scarica elettrica.

«Che vuoi dire?»

«Tanaka-san aveva messo in piedi un giro di scommesse riguardanti il World Youth.»

«Stai scherzando!? Un oyabun del suo calibro?» quasi scattò in piedi.

«Che ti devo dire? Si vede che gli piaceva il calcio.» un altro sorriso amaro «La verità era che gli interessavano più che altro i soldi che la gente era disposta a scommettere, e quando ha visto che poteva guadagnare molto dalla sconfitta del Giappone, ha chiesto a Roberto di mettermi fuori combattimento.»

Ora sì che la scossa elettrica gli diede il colpo di grazia: si sollevò di colpo, lasciando cadere a terra il plaid e fissando l’amico con occhi e bocca spalancata.

«Il tuo incidente… è colpa di Roberto?»

«No.» Tsubasa si sollevò a sua volta, ma distolse lo sguardo «Mi mise al corrente della richiesta di Tanaka-san e insieme studiammo un piano per mettermi in salvo: sarei dovuto rientrare in Giappone prima del previsto, Roberto avrebbe contattato qualche sua conoscenza per sincerarsi della mia incolumità, ma non siamo mai arrivati all’aeroporto.»

Silenzio. Un silenzio spettrale che Yuzo non si sentì di interrompere. Capiva che quei ricordi dovessero essere molto dolorosi, lo capiva dallo sguardo sofferente di Tsubasa in quel frangente.

«Guidavo io, l’incidente è da imputare a me. Ci stavano inseguendo, ho stretto una curva, mi sono trovato davanti uno dei loro, ho sterzato per schivarlo e ho perso il controllo. Siamo finiti nel campo, ci siamo ribaltati una volta, due… Yukiko era dietro con Roberto, non aveva la cintura, non la indossava mai, lei…» chiuse gli occhi, e Yuzo era sicuro che stesse rivivendo quei terribili istanti.

«Kei e Cris erano su un’altra vettura, ci hanno raggiunti subito. Hanno chiamato i soccorsi, ma Yukiko non ce l’ha fatta… è morta prima di arrivare in ospedale, tra le nostre braccia.»

Alzò una mano per posargliela sulla spalla, per infondergli calore, per fargli sapere che lui c’era, era lì, ma desistette: non era nessuno, nella vita di Tsubasa, solo un ex compagno di calcio che si stava intromettendo troppo. Fece un passo indietro, per rispettare il suo dolore, ma rimanendo nel raggio di azione: aveva promesso di aiutarli, e così avrebbe fatto.

«Quello che è successo è stato un incidente, Tsubasa. Non puoi colpevolizzarti per quello. Sono sicuro che anche Yukiko la penserebbe così.»

«Keiko me lo ripeteva di continuo, i primi tempi, quando questo pensiero era diventato un chiodo fisso.» lo fissò finalmente negli occhi, e Yuzo vi lesse una sorta di rassegnazione.

«Io posso aiutarvi.»

Lasciò che l’altro metabolizzasse quelle parole, fino a quando il suo sguardo non divenne quasi di superiorità.

«E come può uno studente di storia che aspira a diventare insegnante essermi utile in uno scontro con la yakuza?»

«Come pensi che ci abbia trovato?»

La voce di Keiko risuonò nella veranda: entrambi si voltarono verso l’ingresso dove la donna, avvolta in una vestaglia bianca, li stava osservando a braccia conserte.

«Kei…»

«Come credi che ci abbia trovato, se non con degli agganci di quel tipo? Yuzo-kun non è così candido come tu e Cris pensate.»

Tsubasa passò ripetutamente lo sguardo da lui a lei, e di nuovo su di lui.

«È vero?»

«Ho i miei contatti e chi può aiutarmi – aiutarci – a salvare Yuki.» annuì, finalmente.

«E che contatti.» Keiko mosse qualche passo nella sua direzione e lo scrutò con attenzione «Shuzo Mori.»

Yuzo trasalì, ma sorrise: sapeva che se qualcuno era in grado di scoprirlo, quel qualcuno era proprio Keiko.

«Che stai dicendo.» Tsubasa intervenne «Lo conosco dalle elementari, questo è Yuzo Morisaki. Giusto?» si voltò verso di lui per conferma. Alzò le mani e gli sorrise.

«Sono io, sono Yuzo. Shuzo è mio fratello.»

Lo sguardo che gli riservò Tsubasa fu più che eloquente: passò dalla non comprensione allo stupore e la sua bocca aperta a O si fece sempre più larga.

«Tu sei il fratello di Shuzo Mori? Quel Shuzo Mori?»

«Gemello.» annuì «E vi aiuteremo a salvare Yuki. Ma voi dovete fidarvi di me.»

Spostò lo sguardo su Keiko che lo fissò con aria dura prima di annuire.

 

 

Cristóvão gli aveva chiesto – in realtà lo aveva quasi implorato – di fargli da spalla, ma non appena imboccarono il vialetto del Café Central e vide il pienone di auto, si maledì per aver accettato.

«Questa volta ti troverai di fronte a un locale un po’ diverso, ma valgono le stesse regole che ti aveva detto Tsubasa.» rallentò per cercare un posto libero nel parcheggio pieno.

«Come mai questa volta siamo da soli?»

«Perché il nostro amico in comune non è un fan delle armi, ma io mi sento maggiormente a mio agio con una pistola a portata di mano: siamo venuti a fare rifornimento. Il mio contatto sarà qui a breve, nel frattempo possiamo goderci la serata.»

Appena mise piede all’interno del locale, comprese immediatamente perché Cristóvão gli avesse parlato di un locale diverso. Sembrava che l’arredamento fosse stato cambiato completamente, come se premendo un tasto le pareti avessero ruotato su loro stesse, e mostrato un aspetto diverso.

Dove prima c’erano i tavolini, di fronte al bancone, ora comparivano due cubi, su cui due ragazzi in succinti abiti di pelle ballavano sculettando a ritmo – Limbo di Daddy Yankee sparata a tutto volume li agevolava nel tenersi in movimento. Il tavolo da biliardo era stato sostituito da una gabbia, dentro cui due ragazze erano intente a esplorare le reciproche tonsille, attorniate da gente che ballava. L’unica cosa che non era cambiata era il bancone, dietro al quale Márcio continuava ad asciugare i bicchieri mentre i baristi si sbrigavano a servire gli avventori.

«Vuoi qualcosa da bere?»

Rifiutò l’offerta e avanzò di qualche passo per osservare i due ragazzi sui cubi: sembravano a loro agio in quella situazione, nonostante quelle succinte mutande di pelle, abbinate a dei berretti in cordellino, non sembrassero il massimo della comodità. Si rese conto di essersi avvicinato troppo quando un ragazzo si voltò verso di lui e scudisciò nell’aria un frustino a nove code: arretrò di un passo e urtò Cristóvão, rimasto alle sue spalle.

«Mi spiace che tu ti senta a disagio.»

«Non mi sento a disagio.» alzò le mani, ma rimanendo vicino al suo volto per farsi udire meglio «Ammiro sempre molto chi riesce a esprimere la propria essenza in maniera totale.»

«Perché, tu non lo fai? A che pro reprimersi?»

Si scostò appena, per fissare il ragazzo negli occhi: Cris lo osservava con uno sguardo indecifrabile, a metà il curioso e il divertito. Non fece in tempo ad aggiungere altro perché il nissei si chinò su di lui.

«Devi sempre essere te stesso, o non sarai mai felice.»

Gli voltò le spalle ma lo prese per mano per far sì che lo seguisse: Yuzo notò che aveva puntato un tipo poco raccomandabile, vicino all’ingresso, che gli fece un cenno. Scambiarono qualche parola in portoghese, quindi il tizio indicò loro di seguirlo, non prima di essersi premurato di squadrarlo da capo a piedi.

Uscirono dal locale e lo costeggiarono lateralmente fino a raggiungere una scala in ferro: salirono al primo piano ed entrarono in una stanza dove altri tre ceffi erano seduti a tavola, intenti a pulire alcune armi. Cris gli sussurrò di rimanere accanto alla portafinestra da cui erano entrati, e si mise a disquisire col primo uomo, perfetto stereotipo del sudamericano bassino e sovrappeso, con due enormi baffi scuri che gli nascondevano la bocca.

La discussione divenne animata, a Cristóvão furono proposte varie armi, che lui rifiutò platealmente, fino a quando uno dei ceffi non sparì nella stanza contigua, per poi tornare con una spessa valigetta argento.

«Ora sì che ragioniamo.» mormorò il ragazzo, strofinandosi le mani e avvicinandosi per far scattare l’apertura. Yuzo era lontano, e non riuscì a vedere bene il contenuto, avendo anche la schiena di Cris a fargli da scudo, ma dalla sua reazione comprese che era proprio quello che stava cercando.

«Yuzo, prendi, portala giù. Io sistemo il mio conto.»

Cercò di muovere un passo nella sua direzione, ma un ragazzino, sbucato dal nulla – forse dalla portafinestra – gli si parò davanti e gli puntò contro un’arma.

Cris urlò qualcosa nella sua direzione, ma il ragazzino – che cavolo, era sicuramente minorenne – non si scostò di un centimetro. Solo quando Cristóvão minacciò di andarsene – o almeno così intuì dai suoi gesti e dal vociferare frenetico, l’arma fu abbassata e a lui fu permesso di prendere la valigetta.

«Prendila, scendi giù, vai all’auto e chiuditi dentro. Se ti seguono, o se ti minacciano, usala.»

«Non ho intenzione di usare un’arma, io…»

«Lo farai, se sarà necessario.» gli posò una mano sulla spalla e gliela strinse «Ora vai, pago questi gentiluomini e ti raggiungo, dopo possiamo andare a rilassarci da qualche parte.»

Annuì, cercando di mantenere un’espressione seria e ringraziando mentalmente la genetica per avergli dato un viso pulito ma la possibilità di assumere un’espressione neutra.

Fece tutto alla lettera, e quando si chiuse finalmente nella Skyline emise un sospiro di sollievo: tenne la valigetta stretta al corpo e sperò con tutto sé stesso che non diventasse necessario usarla. Shuzo lo avrebbe preso parecchio in giro, una volta che gli avesse raccontato quella scena.

Finalmente Cristóvão lo raggiunse, con una camminata leggera e fischiettando allegro.

«Tutto bene?»

«Sì, purtroppo i miei amici non vedono di buon occhio i giapponesi, ho dovuto convincerli che il tuo faccino d’angelo non nascondeva un letale serial killer. Certo, se sapessero chi è tuo fratello…»

«Non glielo avrai detto!» urlò, quasi in preda a una crisi isterica.

Cris scoppiò a ridere, mettendo in moto l’auto e spostando la valigetta sui sedili posteriori, per permettere a Yuzo di mettersi comodo.

«Non sono mica scemo! Andiamo, voglio mostrarti un posto.»

«Dove andiamo?»

Il suo guidatore non replicò, fino a quando non parcheggiò di fronte a un enorme parco.

 

 

Avevano parcheggiato l’auto e attraversato un piccolo prato prima di trovarsi su una larga ciclabile che fungeva anche da percorso pedonale. Di fronte a loro, un enorme lago rifletteva i raggi della luna e le poche luci dei lampioni che lo attorniavano.

Si lasciò sfuggire un moto di sorpresa, guardandosi intorno.

«Bello, vero? È il Parque do Ibirapuera. Seguimi.»

Giunsero a un punto dove l’acqua passava sotto al terreno, creando una sorta di ponte naturale: svoltarono a destra, superarono il planetario e si trovarono davanti a un edificio in stile giapponese.

«Cos’è?»

«Pavilhão Japonês, il padiglione giapponese. Vivevo qui, quando mia madre mi ha cacciato di casa.»

Si voltò di scatto verso di lui: Cris aveva le mani piantate in tasca, e osservava il luogo con una malinconia strana che gli velava gli occhi.

«Perché?» domandò semplicemente, senza tante cerimonie.

«Credo che per lei fosse già abbastanza difficile gestire il mio lato brasiliano, non l’ha mai accettato del tutto. Quando ha scoperto la mia omosessualità non ha retto il colpo e mi imposto di nasconderla, non voleva che portassi disonore sulla famiglia. Io mi sono rifiutato, e mi sono trovato la valigia fuori dalla porta.»

«Mi dispiace.»

«Se non fosse stato per Kei, Bas e Roberto, sarei diventato uno dei tanti meninos da rua che non arrivano alla maggiore età. Loro mi hanno accettato per quello che sono e mi hanno accolto come una famiglia. Loro sono una famiglia.»

«Questo l’ho capito già da un po’.» sorrise «Perché me lo racconti?»

«Perché è giusto che tu sappia chi siamo e da dove veniamo, il nostro retaggio. E perché voglio che tu ti senta a tuo agio con te stesso, ho l’impressione che tu non abbia molto modo di esprimere la tua vera natura.»

Sobbalzò, sentendo quelle parole: una parte di lui si sentì tradita, come se essersi messo a proprio agio lo avesse obbligato a scoprirsi, ma un’altra parte, quella che più si sentiva soffocare in quei panni, emise un grido liberatorio.

«Cerco di essere quello che sono sempre stato, senza forzature, perché quando ho cercato di esprimermi di più, non è andata benissimo.»

«La tua famiglia lo sa?»

«Sì, e non è stato un percorso semplice, ma alla fine hanno dovuto accettarmi.» non voleva dilungarsi in troppe spiegazioni.

«Quando l’hai capito?» Cris avanzò di un passo, diminuendo la distanza che li separava.

«Credo di averlo sempre saputo, l’ho realizzato in maniera definitiva quando mi sono innamorato di un mio compagno di squadra.»

«E com’è andata?» il nissei sembrava davvero curioso di conoscere la sua storia, e poneva le domande con molta delicatezza.

«Non bene, cioè… ci siamo frequentati per un periodo, poi lui ha capito che gli uomini gli piacevano solo per il sesso, mentre le donne per passarci la vita. Si è sposato l’anno scorso.»

«Mi dispiace.»

«Non dispiacerti, mi ha permesso di comprendermi meglio, io gli sono grato.»

Alzando lo sguardo su di lui, si accorse che Cris era a pochi passi di distanza e lo stava fissando: mosse un altro passo per accorciare la distanza, e alzò una mano per posargliela sulla guancia.

«Hai la pelle morbida come la immaginavo.» sussurrò. Yuzo deglutì, il cuore si agitava nel petto, non sapeva se scostarsi o lasciarlo fare, ma quando le labbra del nissei si posarono sulle sue, sentì solo il tocco delicato e il tempo che si fermò, come se d’un tratto avessero varcato le porte dello spazio-tempo e si trovassero in un buco nero.

Rimase fermo fin quando il ragazzo non si scostò e lo prese per mano.

«Andiamo, è ora di rientrare.» lo esortò, mantenendo la stretta salda e guidandolo nelle viuzze del parco.

 

 

Era passata una settimana dall’incontro con Tanaka-san, quando il suo braccio destro entrò in officina quasi all’ora di cena.

Keiko lo accolse in silenzio, mentre Cris non si risparmiò.

«Ehi, ma ti pagano per vestirti così da pinguino? Quel completo nero contrasta un sacco con la tua faccia da schiaffi.»

L’uomo non replicò, si limitò a togliersi gli occhiali da sole e fissarlo con aria truce.

«Cris, vedi di piantarla.» Tsubasa lo redarguì, prima di affiancarsi a Keiko.

«Tanaka-san vuole farvi sapere che domani sera dovrete recuperare il suo carico.»

«Beh, grazie del preavviso, Yamai-san.» le sfuggì con uno sbuffo, mentre incrociava le braccia al petto.

«Domani pomeriggio i vostri compagni di avventura vi raggiungeranno qui, e insieme vi recherete nel luogo prestabilito.» la ignorò, concentrandosi su Tsubasa «Avete già effettuato il sopralluogo?»

«Non serve.» Tsubasa si pulì le mani in uno straccio e se lo lanciò sulla spalla «Conosciamo il posto come le nostre tasche.»

«Sarà meglio per voi, Tanaka-san non ammette errori.»

«L’unico errore che ha commesso è stato quello di assumerti.» Cris si era affiancato a Keiko e continuava a sbeffeggiarlo. Lo yakuza si rimise gli occhiali, e voltò loro le spalle per uscire dall’officina.

«La vuoi piantare di prenderlo per il culo?» Tsubasa si sporse verso il nissei e gli mollò uno scappellotto.

«Ma è divertente.» piagnucolò l’altro, massaggiandosi la testa nel punto colpito.

«Non inimichiamoceli, per tutti gli Dei, che domani dovranno coprirci le spalle.» sbuffò Keiko «Ci atteniamo al piano?»

Tsubasa annuì, continuando a fissare il piazzale di fronte a loro.

«Andiamo a casa.»

Quando entrarono, Yuzo aveva appena terminato di apparecchiare.

«Siete in anticipo.»

«Domani è il giorno.» annunciò Tsubasa, senza convenevoli. Il suo ex compagno di squadra alzò lo sguardo su di lui e annuì.

«D’accordo, chiamo subito mio fratello.»

«Sei sicuro che…»

«Non vi lascio di certo qui immersi nella merda fino al collo.» replicò, secco.

«Che linguaggio: ti stai ambientando.» Cris gli diede un’amichevole pacca sulla spalla, prima di sedersi a tavola.

«Voi occupatevi del carico, io recupero Yuki-chan e vi aspetto in aeroporto.»

«Tu… cosa?» la risata le nacque dal profondo, ed era tutto fuorché una risata divertita «E tu vorresti recuperare Yuki dalle grinfie di Tanaka-san? E come faresti?»

«Dovrai fidarti di me, non hai molta scelta, Keiko.»

Si fissarono per qualche istante, e lei cercò disperatamente di aggrapparsi a quelle iridi nocciola che, a differenza di quando era arrivato, ora brillavano di una nuova determinazione. Era davvero in grado di recuperare il suo bambino e portarlo in aeroporto sano e salvo?

«Spero che tu sappia quello che fai, Morisaki: tutto quello che succederà a Yuki, lo subirai triplicato.»

Voltò le spalle e si chiuse in camera: si sedette sul letto e si prese la testa tra le mani, cercando di scacciare dalla mente tutti i pensieri che giorni le vorticavano nel cervello. Che dovevano fare? Dovevano guidare e basta: gli scagnozzi di Tanaka-san avrebbero aperto il container, riempito le auto con la refurtiva, e loro si sarebbero divisi per la città. Era utopistico pensare che sarebbero stati da soli, sicuramente su ogni auto avrebbe viaggiato uno dei tirapiedi dell’oyabun. Come avrebbero potuto liberarsene? Forse solo una volta giunti a Guarulhos.

Tsubasa entrò nella stanza in quel momento: richiuse la porta, quindi si sedette sul letto nella posizione opposta alla sua, percepì il materasso che si piegava sotto il suo peso.

«Sei pronta?»

«Devo solo guidare.» pronunciò, con un sorriso. Stava cercando di convincersene da giorni.

Tsubasa non replicò, ma se lo aspettava: dopo l’inseguimento a San Paolo, quando il ragazzino della yakuza era sfuggito a Cris, erano riaffiorati antichi ricordi. Si voltò e gattonò fino a lui, quindi si inginocchiò alle sue spalle e lo abbracciò, facendogli aderire la schiena al suo petto. Tsubasa sospirò, quindi le carezzò le braccia a sua volta.

«Solo guidare…» sussurrò. Keiko si sporse e gli depositò un bacio sulla guancia.

«Solo guidare.» confermò, sfiorandogli il volto con la punta delle dita «Sei bravo, lo sai fare.» e un nuovo bacio trovò la strada sul volto sbarbato del giapponese.

«Avrei preferito non doverlo fare mai più.»

«Andrà bene, Tsu-chan. Andrà bene, avremo nuovamente Yuki con noi, voleremo in Giappone e ricominceremo una nuova vita.»

Lui si voltò di trequarti, per fissarla in volto.

«Sei sicura di volerlo fare? Hai sempre sostenuto che il Giappone non era adatto a te, che non sarebbe mai stato la tua casa.»

«Vôcé é o meu lar. Tu sei la mia casa, Bas. Cris e Yuki sono la mia famiglia: se siamo tutti insieme, cosa può andare storto?» sorrise, facendo spallucce «Ricostruiremo daccapo quello che abbiamo qui, chissà, magari troveremo una nuova officina.»

Tsubasa sorrise, scoprendo i denti, e la strinse a sé per dimostrarle tutta la sua gratitudine.


Attenziò, attenziò!

Ebbene sì, ho preso a prestito un personaggio di Melanto *ridacchia*

Questo perché quando ho iniziato a tessere la trama e ho messo in mezzo la yakuza, mi sono trasformata in una sorta di meme vivente di Bilbo Baggins e ho inziato a dire "Perché no? In fondo, perché non dovrei prendere a prestito Shuzo?" *ride* 

Scherzi a parte, non ringrazierò mai abbastanza Melanto per avermi prestato il suo ragazzo *_* anche se ho un po' di ansia da prestazione, lo ammetto. 

E comunque... TA DAAAN! Eccoci svelati i retroscena maggiori di questa storia: scopriamo la storia di Yukiko e Roberto, e dell'incidente che ha allontanato Tsubasa dal calcio (ogni volta è un colpo al cuore - e non importa che l'abbia scritto io XD fa male uguale!). 

Scopriamo anche come ha fatto Yuzo a trovare Tsubasa - ebbene sì, c'è lo zampino del gemello ^^

Vogliamo parlare di Cris-amore-di-mamma e della sua storia? Mi si stringe il cuore ogni volta. Eppure se accettare la sua brasilianità era un'opzione, per la sua famiglia, così non è stato per la sua omosessualità: tanti applausi per lui per non aver accettato il compromesso, ma quante ne ha dovute passare, povera stellina ç__ç fortuna ha avuto dalla sua parte una nuova famiglia, che gli ha dato tutto l'amore che meritava. 

Che dire? Io vi ringrazio tantissimo, come sempre, per il vostro affetto. 

Um abraço

La vostra Sakura 

   
 
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