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Autore: were_all_dead_now    16/06/2022    1 recensioni
Quando vai a scuola, nessuno ti insegna a vivere.
Io avrei saputo risolvere un logaritmo in pochi secondi, ma avevo paura di chiudere gli occhi e restare da solo con me stesso.
[...]
Mi chiamo Frank. Questa è la mia storia.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho spesso pensato a questa storia negli ultimi anni. Mentre tutto intorno a me cambiava, mentre io cambiavo, sono spesso tornata a rileggere quello che avevo scritto, i commenti di chi mi leggeva. C'è una parte di me in questa storia che adesso non esiste più. Una parte di chi ero che resta nero su bianco e che a volte osservo attraverso uno schermo. C'è il mio passato e quindi inevitabilmente c'è anche chi sono adesso. Ho sempre detto (e ho sempre pensato) che questa storia meritasse un finale. Perché forse in fondo volevo davvero chiudere questo capitolo della mia vita, o perché volevo riviverlo. Non ascolto più i MCR da anni ormai, ma una decina di giorni fa li ho visti dal vivo, per la prima volta in vita mia e contro ogni pronostico. E lì, in quel momento, c'ero io ma c'era anche la me di tanti anni fa, la ragazzina che provava a capire il mondo attorno a sé senza successo, la ragazzina che non apparteneva alla sua realtà, che si sentiva sola, che in qualche modo è stata cresciuta da questa band come se fosse una famiglia, che viveva due vite e ne immaginava mille altre e ci scriveva sopra delle storie. Devo moltissimo ai My Chemical Romance ed è una parte del mio passato di cui andrò per sempre fiera. Ma devo molto anche a quella ragazzina che mi ha permesso di essere chi sono adesso, e vado fiera anche di questo. Questo capitolo è per me, per lei, per voi, per Frank, Gerard, Mikey, Ray, tutte le persone che sono stata e tutte le persone che sono entrate e uscite dalla mia vita in questi ultimi dieci anni.

Grazie.


CAPITOLO DICIANNOVESIMO 

 

You were all I see, you were everything.
(Batter up)



È una sera d’estate e l’asfalto è ricoperto da un sottile strato di pioggia. È una sera d’estate, fa fresco. 

Cammino per le vie di una città che per me non significa più nulla. L’attaccamento alle origini, l’attaccamento al passato, quel senso perenne di nostalgia che trasla la tua vita in una dimensione fatta solo di ricordi. Tutte cose in cui ho creduto per tanto tempo.

Sono passati sei anni da quando Gerard è morto, ma quasi nessuno intorno a me usa questa parola. All’inizio per paura di ferirmi e poi semplicemente per dimenticanza, per disinteresse, per distanza. Adesso quasi nessuno parla più di Gerard. Mentre io, a differenza loro, non l’ho mai fatto. 

Gerard è stato per me un segreto che hai paura di rivelare e uno che custodisci con gelosia. Gioia e dolore, vita e morte. Gerard e Frank. 
 

Si nasconde un grande senso di colpa dietro la morte di qualcuno a cui vuoi bene: un dolore che cambia forma e si traveste da mille pensieri diversi, centinaia di sensazioni. La paura di non aver fatto abbastanza, il rimpianto di tutto ciò che ci si è lasciati sfuggire e il rimorso di ciò che invece non si è stati capaci di lasciar andare. 

C’è anche tanta rabbia. O perlomeno, io ho provato tanta rabbia. È terribile provare rancore verso qualcuno che non c’è più. Come acqua stagnante che non riesce a defluire, che resta immobile e marcisce. Del cibo che non ti piace e che non verrà mai mangiato da nessuno. È un odio terribile perché ti inganna e ti fa credere di odiare qualcun altro mentre in realtà odi soltanto te stesso. Io odiavo la versione di me senza Gerard, la mia vita dopo la sua morte. Odiavo il fatto che io avessi una vita e lui no. Che io non fossi bravo a fare tutte le cose che lui sapeva fare e che erano irrimediabilmente andate via insieme a lui. 

Sono passati sei anni da quel giorno, tanti quelli in cui ho creduto di non poterlo perdonare. Ma poi alla fine cosa avrei dovuto perdonargli? E come si fa? E cosa me ne sarei fatto della consapevolezza di non averlo perdonato? 

In questi ultimi sei anni ho imparato che puoi portarti dentro il dolore più grande del mondo e comunque niente attorno a te sarà diverso. Non cambierà la fila al supermercato, il sole non sarà meno luminoso, i bar saranno comunque pieni di gente che ride, pieni di gente che soffre, e le macchine sfrecceranno sotto casa tua con i finestrini abbassati e il volume della musica eccessivamente alto. E anche le persone che ti stanno accanto non saranno diverse. Anzi, saranno diverse soltanto accanto a te. Non c’è modo di chiedere al mondo di fermarsi, di rallentare almeno per un attimo. Per farti riprendere fiato, per farti guarire. 

Ho pensato a lungo al distacco, alla distanza che si crea tra noi e gli altri. Tra dentro e fuori. E ho realizzato che è una sensazione che Gerard ha probabilmente provato in tutti i suoi ultimi mesi di vita. Se non per anni. E mi sono a lungo chiesto dove potessi posizionarmi io in questo spazio infinito tra lui e il mondo. O, per meglio dire, dove Gerard mi posizionasse. 

Ci sono tante cose di lui che non ho mai saputo e che credo non saprò mai. Ma non c’è niente che non avrei voluto sapere. 

“Cosa pensi che farai quando qualcuno verrà da te a dirti che sono morto?”

“Gerard… non lo so, non voglio pensarci adesso”

“Però dovresti”

“No. Perché dovrei?”

“Prima o poi dovrai affrontarlo”

“Sì? E allora dimmi cosa faresti tu”
 

È una sera d’estate e fa fresco. Fino a qualche ora fa la pioggia batteva testarda sulle strade vuote di questa città.  

Pioveva anche il giorno in cui Gerard è morto. Ma per me era una pioggia diversa. Era tutto diverso. Il mondo si era ristretto attorno a un unico punto e quel punto ero io. Un’intera galassia deformata per stringersi attorno a me, come una videocamera che taglia fuori tutto e fa zoom su un unico soggetto. Il protagonista del film alla sua scena finale. Il centro del mondo, il punto in cui converge tutto. Ogni dolore, ogni respiro, ogni lacrima, ogni speranza. Sei anni fa credevo che la mia storia - la nostra storia - fosse tutto. Credevo che la vita si sarebbe fermata dopo quel momento. Lo credevo perché non mi ero mai domandato cosa venisse dopo. L’avevo immaginato come si immagina un finale alternativo. Con la certezza che non arriverà mai. 
 

“Tratterrei il respiro per qualche secondo. Credo che all’inizio non lo realizzerei davvero. Poi diventerei triste. Triste e arrabbiato. Vuoto e spaesato. Però non piangerei subito. Almeno credo. Credo che aspetterei. Poi mi ritroverei da solo in una stanza e desidererei soltanto che tu entrassi da quella porta e quello è il momento in cui inizierei a piangere. Di notte mi girerei sul fianco sinistro e tu non saresti accanto a me, a riempire una metà vuota del letto. Inizierei a cercarti ovunque. Passerei una vita a cercarti. E poi realizzerei- spero che realizzerei che la morte non cancella una persona, mette soltanto fine a una vita. E forse smetterei di cercarti. E di sentirmi così vuoto.”


Tutti questi pensieri, tutto quello che non gli ho mai detto, il mio odio, il senso di vuoto che mi porto dietro da anni, la paura di dimenticare il suo volto, il respiro che mi manca quando realizzo di non ricordare poi così bene la sua voce, la consapevolezza che niente di tutto ciò occuperà mai meno spazio di quello che occupa adesso, anzi probabilmente sempre di più. Se potessi puntare il dito contro Gerard lo farei. Gli direi che è stato uno stronzo, un egoista, che non ha idea di cosa voglia dire vivere una morte. Che non è affrontarla, è accettarla. Non è il momento in cui qualcuno viene da te a darti la notizia peggiore della tua vita, è quello che viene dopo. 

Sei anni fa le stanze avevano porte che avevo paura di aprire. Su ogni superficie vuota di un appartamento vuoto c’era il mio riflesso ma c’era anche il suo. Lo vedevo mentre raccoglievo tutto ciò che restava di quello che Gerard era stato, ma non mi soffermavo mai. 

Sei anni fa Gerard era per me la mano che mi afferrava pochi centimetri prima di schiantarmi al suolo. E già nei metri precedenti, in caduta libera, lo osservavo sopra di me e potevo già sentire la sua stretta. 

Sei anni fa Gerard ha scelto per me. O forse ha scelto solo per sé, non lasciandomi essere per lui quella mano che ti salva da uno schianto. Non so cosa farmene di questo risentimento inutile. Di questo odio stagnante. Della consapevolezza che non avrei potuto salvarlo nemmeno avendone la possibilità. 

Cammino per le strade di una città che per me non significa più nulla e mi strazia l’idea che Gerard alla fine ha salvato se stesso. Mi ci sono voluti così tanti anni per capirlo, così tanto dolore per accettarlo. E io ero così piccolo quando lui è entrato nella mia vita, il mondo era un posto così diverso. La mia vita e quella di Gerard erano troppo lontane per scontrarsi, eppure è accaduto. Mi fa molto strano pensare che adesso io ho più o meno la sua età. L’età che aveva quando abbiamo parlato per la prima volta e l’età che avrà per sempre. Mi chiedo se questo è il modo in cui lui percepiva le cose attorno a sé: se adesso i nostri punti di vista finalmente combacino. 
 

Mi chiedo se ci volessero sei anni per arrivare a questo punto oppure la sua morte. 
 

So che io non sarò mai lui. Non sarebbe giusto e non sarebbe possibile. Quando Gerard mi confessò per la prima volta di avere una malattia, quando per la prima volta gli sentii pronunciare la parola ‘AIDS’, mi chiesi se saremmo morti insieme. Se avremmo mai condiviso un destino che sembrava cucito alla perfezione sul nostro presente. Due giovani che vivono e muoiono per amore. Non avevo idea, allora, che amare volesse dire l’esatto contrario. Che l’amore non è romantico, non è un finale perfetto. Che per amore Gerard avrebbe rinunciato al mio corpo, alla sua felicità e infine alla sua vita. 

Sei anni fa trattenevo il respiro per qualche secondo, chiudevo gli occhi, lasciavo che il dolore, la rabbia, il vuoto si impossessassero di me. Camminavo lentamente sull’asfalto bagnato. Io contro tutti. La mia storia contro il mondo. Avevo paura di tornare a casa perché chiusa quella porta sarebbe iniziato il mio futuro. Un futuro che non volevo per un presente che odiavo. 

Erano le undici di sera e per me ciò che restava della vita, l’ultima traccia del mio passato, era quella lettera che tenevo tra le mani. 
 

Sono passati sei anni, Gee, e adesso sorrido quando ti penso. Non devo nemmeno ricordarti perché ci sei sempre, sei ovunque. Intorno a me, su di me. C’erano troppe cose che non avevo capito, troppe cose che ho trascurato pensando di avere ancora del tempo, ancora una possibilità. So che tutto quello che mi hai preso l’hai preso per darmi qualcosa di più grande. Che stasera mi hai portato su questa strada per guardare il tuo balcone e non essere più triste. Che mi hai portato ovunque in questi sei anni, che dietro ogni scelta c’eri tu. Dietro ogni nuovo amore c’era la tua mano sulla mia spalla. 

Lo so che lo sapevi, che è inutile pensarci così spesso. Lo so che tra noi due eri quello che chiedeva meno e quello che sapeva di più. Lo so che sei stato tu l’unico a dirlo. È il peso più grande che mi porto dietro e il vuoto più grande con cui convivo. Mi sarebbe bastato un secondo in più. Ti ho odiato per così tanti anni pensando che non me lo avessi concesso. Pensando che fossi morto senza sentire mai quelle parole uscire dalla mia bocca. Magari se avessi ripensato al suono del mio ‘ti amo’ non l’avresti fatto. Magari saresti stato meno triste, morendo. Che cosa strana. Ti ho odiato per non avermi dato la possibilità di farti morire felice e non realizzavo che in realtà stavo odiando me stesso per non aver sfruttato tutto il tempo che abbiamo avuto, per non essermi dato la possibilità di essere meno triste dopo la tua morte. 
 

Avevi ragione: dopo quel giorno ti ho cercato a lungo e a lungo ho cercato di capire perché. Mi ci è voluto tanto tempo per scoprire che a volte l’amore è anche questo e che tu l’hai sempre saputo. Che anche se non mi hai dato la possibilità di esserci, il tempo per dirtelo, nei tuoi ultimi minuti io ero lì con tutto il mio amore: tu non eri solo. E non eri triste. 

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I prossimi due capitoli, che spero arriveranno presto, sono stati scritti da me tanti anni fa. Sono sempre stati il finale naturale di questa storia. Ci è voluto soltanto più del previsto. 

C. 


 

  
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