Identité
Identità.
È
qualcosa che nessuno può perdere, qualcosa intrinseco
all’essere umano sin dal
primo vagito che fa all’ultimo respiro che emette; nella vita
e nella morte,
l’identità resta come memoria di ciò
che l’uomo e la donna erano, sono e
saranno sempre.
L’identità
è
essere chi si è davvero, ma attenzione: è anche
qualcosa che può essere
nascosta, come la merendina al cioccolato di cui
si va pazzi rinchiusa nello scaffale durante
un periodo di dieta ferrea in previsione delle vacanze estive.
Così
si
sentiva Marinette Dupain-Cheng, o, per meglio dire, l’eroina
di Parigi,
Ladybug. Seduta sul cornicione di un edificio e contemplante il Notre
Dames de
Paris, pensava a come per tanti anni era stata capace di tenere segreta
la sua
identità alle persone che più amava, e ne
soffriva. Certo, ne aveva parlato con
Alya, la sua migliore amica, ma i suoi amici, i suoi genitori non
sapevano
niente di quel lato di lei.
Cinque anni
in quelle vesti, nei panni di una ragazza determinata e coraggiosa,
intraprendente
e senza paura; anche come Marinette, lei era così, e
l’unica cosa che la
differenziava dal suo alter ego era la sua capacità di
gestire le emozioni.
Ladybug metteva sempre al primo posto la salvaguardia della sua
città natia, la
bellissima e romantica Parigi, e quella dei suoi concittadini, poi se
stessa.
Non pensava mai a quello che sentiva davvero, non fino a quando non
pronunciava
le fatidiche parole “Tikki, ritrasformami!” e
tornava la semplice figlia del
panettiere che si preparava ad entrare nella più prestigiosa
accademia di moda
della città. Solo allora si permetteva di sfogare le sue
emozioni, quali che
fossero: lo sconforto per non poter dire a nessun altro di lei, il
senso di
colpa per le bugie che raccontava, il dolore che solo l’amore
poteva provocarle.
Mentre per
la dolce ragazza dagli occhi blu oceano essere Ladybug significava
nascondersi,
per il figlio del famoso stilista di Parigi vestire i panni di Chat
Noir
significava rivelarsi.
Mentre
saltava per i tetti, compiendo salti mortali nella sua
felicità di raggiungere
la sua lady per la ronda notturna, Adrien Agreste esultava. Ogni giorno
doveva
dimostrare di essere un ragazzo pacato, gentile con tutti, galante ed
accondiscendente; non significava fingere, perché lui era
così, ma era anche Chat
Noir, il ragazzo dal pessimo umorismo, della presunzione cosmica e
energetico
come nessun altro. Tagliare quella parte di sé nella sua
quotidianità non gli
era facile, ma almeno poteva essere se stesso solo quando era con la
sua
collega, di cui vedeva già il profilo assorto e pensieroso.
Con una
delle sue strampalate acrobazie, atterrò a piedi uniti sul
cornicione, e con
pochi passi raggiunse la sua collega eroe. «Milady,
buonasera.» la salutò mentre si sedeva al suo
fianco.
«Ciao,
chaton.» nel ricambiare il
saluto, alla ragazza parve naturale guardarlo con un sorriso. Era
innamorata di
Adrien, suo compagno dal primo anno di liceo, ma rimanere impassibile
ad un
compagno di squadra così affascinante -nonostante
l’umorismo scadente e
l’insistenza- per cinque anni le era stato impossibile.
D’altronde, con lei era
sempre stato molto premuroso e le aveva sempre fatto capire quanto ci
teneva a
lei. «Chat Noir, posso farti una domanda?»
interruppe il silenzio in cui erano
piombati dopo i convenevoli.
«Sempre,
milady.»
Lei
sospirò, prendendo il tempo
necessario per tirare fuori il coraggio che stranamente quella sera
sembrava
aver trovato rifugio nella tana del Bianconiglio. «Tu come
affronti tutto
questo? Come riesci a far combaciare la tua quotidianità con
il suo essere un
supereroe?»
Al biondino
scappò una risata leggera,
non di scherno. «Mi aspettavo una domanda più
complicata. Non pensavo che dopo
cinque anni di attività dell’agenzia Ladybug, Chat
Noir & Co. avessi dei
dubbi su come conciliare le nostre situazioni.»
«Non
si tratta di insicurezza, minou.
Se lo fossi, non avrei mai mentito a testa alta alle persone che
più mi stanno
a cuore per così tanto tempo.»
«Hai
ragione, ma ho come la sensazione
che tu non sia più tanto certa di tutto questo.»
Chat Noir alzò il braccio
verso la torre Eiffel. «Ti senti in colpa nel nascondere le
nostre identità e
non sai come gestire due vite. Ma la verità è,
mia signora, che non devi far
incastrare la tua vita con quella della ragazza che sei ogni giorno.
Sei
entrambe, ed è normale che con una maschera magica emergano
dei lati di te che
non conoscevi, come è giusto -anche se secondo me dovresti
farlo di meno- che
pensi prima agli altri che a te stessa. E per quanto riguarda la
questione del
nascondere la tua vita da supereroina, sono sicuro che le persone che
ti amano
capirebbero che lo fai solo per proteggerle. Sei la salvatrice di
Parigi, e se
tante persone sapessero chi sei, potrebbero essere in pericolo ogni
secondo
della loro vita.»
Le sue parole la
tranquillizzarono
notevolmente, e lo capì dall’enorme peso che aveva
sul cuore che sembrava
essere scivolato via. «Non sembra la prima volta che tu dica
una cosa del
genere.»
«Me lo
sono ripetuto per tanti anni,
nelle notti più buie in cui il senso di colpa non mi
permetteva di respirare.»
negli occhi da gatto del suo collega, Ladybug vide un guizzo di
tristezza che
conosceva molto bene anche lei. «Non sono così
sicuro come sembro, ma lo sono
abbastanza per poter proteggere la mia città, la mia
famiglia ed i miei amici.»
Lei gli sorrise
con dolcezza,
ammorbidita dalle sue parole, poi decise di sganciare la bomba. Era
qualcosa
che aveva in mente da un po’, e forse era arrivato il momento
di parlargliene.
«Chaton, stavo pensando che, siccome Papillon è
stato sconfitto, potremmo…» deglutì.
Era così difficile discuterne dopo così tanto
tempo passato assieme, come era
anche possibile che in tutto quel tempo Chat Noir non volesse
più sapere chi
fosse sotto quella maschera. «Potremmo sapere qualcosa in
più l’uno
sull’altro.»
«Intendi
rivelare la nostra identità?»
Chat Noir aveva perso il suo sorriso malizioso e malandrino, era
diventato
serio come non l’aveva mai visto. «Hai sempre detto
che persino a me e te era
proibito sapere l’una dell’altro.»
«Lo
so, e l’ho sempre detto con le
migliori intenzioni, ma oramai Papillon è stato sconfitto, e
noi vegliamo sulla
città da tempo. Di pericoli veri e propri non ce ne sono da
parecchio tempo, e
penso che non correremmo pericoli adesso; con le akuma era possibile,
ma con il
Miraculous della Farfalla salvo nella Miracle Box, siamo più
liberi.» si alzò
in piedi e guardò il collega in nero. «Potremmo
anche vederci con gli altri
supereroi e scoprire le identità di ognuno. È
giusto che almeno loro lo
sappiano. Ed è giusto che tu sappia chi sono io.»
Chat Noir non
nascose il sorriso che
stava nascendo sul suo volto. Si mise in piedi anche lui, e la
guardò con gli
occhi brillanti mentre si lanciava da un tetto all’altro,
senza aver ricevuto
la sua risposta.
Tanto, non ne
aveva bisogno. La sua
risposta a quella domanda era “sì” dal
primo giorno in cui l’aveva incontrata.
Davanti ai due
supereroi, Volpe Rossa,
Carapace, Vesperia, Viperion, Ryuko, Minotauro, Pegasus, Polimouse,
Monkey
King, Bunnix, Miss Segugio, Caprikid, Rooster Bold, Pigella e Tigre
Viola
avevano appena avviato il processo di ritrasformazione.
Quando si
guardarono negli occhi, dalle
bocche di Alya, Nino, Zoe, Luka, Katami, Ivan, Max, Mylène,
Kim, Alix, Sabrina,
Nathaniel, Mark, Rose e Juleka si levò un coro di
esclamazioni, felici di
scoprire le facce di amici e compagni di scuola sotto le maschere di
supereroi,
mentre Alya stava guardando la portatrice del kwami della creazione.
Sapeva che
Marinette doveva averci pensato molto per arrivare a fare una cosa del
genere,
e confidava sul fatto che sarebbero stati molto cauti in futuro, ma
nonostante
quello era felice di non dover nascondersi dai suoi amici.
Quando tutti i
ragazzi si
ammutolirono, si voltarono verso di loro. Ladybug fece per parlare, ma
Chat
Noir la anticipò. «Vi sareste chiesti come mai,
all’improvviso, Ladybug vi
abbia chiesto di incontrarci sotto la Torre Eiffel quando non
c’è nessun
Sentimostro o akumizzato da salvare da quasi quattro mesi. Ora lo
sapete, lo
avete saputo nel momento in cui la nostra coccinella vi ha consigliato
di
ritrasformarvi, e presto saprete chi siamo io e milady. Ma prima,
volevo
ringraziarvi, ringraziarvi per aver corso pericoli e situazioni gravi
al nostro
fianco, affidandovi a quelli che per voi erano dei perfetti sconosciuti
arrivati dal nulla per proteggervi. Non so cosa avremmo potuto fare
senza di
voi a supportarci, a sostenerci, quindi come Chat
Noir…» fece una pausa, in cui
si ritrasformò in Adrien, lasciando tutti senza parole.
«e come Adrien, grazie
per aver protetto Parigi. Spero di poter combattere ancora al vostro
fianco in
futuro.»
Mentre veniva
abbracciato dai loro
amici, Marinette si ritrovò gli occhi bagnati di lacrime.
Non si era nemmeno
accorta di essere scoppiata a piangere come un rubinetto danneggiato,
ma
ritrovarsi davanti agli occhi Adrien Agreste, la sua cotta da sempre,
al posto
di Chat Noir la scioccò. Non si assomigliavano per niente,
eppure rivedeva l’uno
negli occhi dell’altro. Ora tutti i pezzi del puzzle
combaciavano: le risposte
vaghe che Adrien le dava quando lei aspettava che Chat Noir arrivasse
ad
aiutarla, le improvvise sparizioni del primo con il conseguente arrivo
del
secondo.
Il rossore sulle
guance di lui quando
Ladybug arrivava a salvarlo.
Si rese conto di
ciò solo in quel
momento. Se Adrien era Chat Noir, eterno dichiarato innamorato
dell’eroina
dalla tuta rossa a pois neri, significava che Adrien era innamorato di
lei.
La
felicità che aveva iniziato a
sgorgarle dal centro del petto come una fontana si arrestò
all’improvviso. E se
fosse rimasto deluso nel scoprire che era lei Ladybug? Lo avrebbe perso?
Scosse la testa.
Oramai toccava a lei,
e come Ladybug avrebbe affrontato a mento alto e spalle dritte quali
fossero
state le conseguenze della sua azione, come aveva sempre fatto.
«Condivido ogni
parola che Chat Noir vi ha appena detto, ragazzi.»
attirò così l’attenzione dei
suoi compagni di avventura su
di sé,
avvicinandosi al gruppo. «Non avremmo potuto mai sapere cosa
fare se voi non ci
foste stati. Come guardiana, non avrei potuto nemmeno scegliere alleati
migliori di voi, ed è per questo motivo che meritavate di
scoprire chi fossimo
e che, da oggi in poi, vi affiderò i Miraculous
permanentemente. Mi fido di
voi, so che ne farete buon uso.»
Sorrise loro
riconoscente, e, mentre
veniva ricambiata dai suoi amici, Alya sbottò con un
sorriso: «Forse è il caso
di sciogliere la trasformazione, migliore amica. Non vorrai che i
nostri
compagni di classe rimangano a bocca asciutta.»
L’altra
scoppiò a ridere, mentre
tutti, in particolare un paio di occhi verde speranza, la fissavano con
il
fiato sospeso. Tutti sapevano benissimo chi fosse la migliore amica di
Alya, ma
avevano bisogno di una prova per esserne sicuri, e Marinette questo lo
sapeva. «Oh,
hai ragione, migliore amica. Tikki, ritrasformami!»
Quando, come a
rallentatore, le vesti
di Ladybug lasciarono il posto a quelle della goffa ed imbranata
Marinette
Dupain-Cheng, il gruppo quasi ci lasciò le penne.
Soprattutto il biondino
preferito da Marinette.
Il fruscio alle
sue spalle avrebbe
spaventato chiunque, ma non lei. «Mi aspettavo mi avresti
raggiunta appena
fossi rincasata. Invece ho dovuto aspettare ben due ore al freddo per
te,
Chaton.»
«Dovevo
riprendermi dallo shock
iniziale, insettina. Ma devo dire che avrei dovuto
aspettarmelo.»
Quando Marinette
di girò, sul
terrazzino della sua camera c’era Adrien, ed al suo fianco il
suo kwami Plagg,
ben presto raggiunto da Tikki. «Sei rimasto deluso, vero?
Insomma, non sono
certo la prima persona che ti verrebbe in mente pensando a
Ladybug.» esordì
lei, quando i due kwami scomparvero sotto la botola.
«Non
hai idea di quanto ti sbagli,
Milady.» il biondo le si mise affianco scuotendo la testa.
«C’è un motivo per
il quale ti ho definito come “Ladybug di tutti i
giorni”. Non te ne accorgi perché
ti sminuisci, ma sei lei ogni giorno senza che tu te ne accorga. Non
puoi
dividerti in Marinette e Ladybug, perché lei è te
e tu sei lei. E poi, come
potrei essere deluso quando ho scoperto che la donna che amo da cinque
anni è
anche la mia migliore amica?»
Marinette
divenne bordeaux quando lui
le afferrò una mano, facendo scorrere le dita tra le sue per
intrecciarle. «E
tu? Sei rimasta delusa?» le chiese Adrien,
l’incertezza e la paura vere nella
voce.
«Spero
tu stia scherzando, Adrien.» la
corvina lo guardò sgomenta. «Sono innamorata di te
da quando avevo quattordici
anni! L’unica cosa che mi lascia senza fiato è
scoprire che eri Chat Noir, ma
non in senso negativo: nelle sue vesti sei spigliato, fai battute
pessime, sei
impulsivo e testardo.»
«Come
ti ho detto tante volte, essere
Chat Noir vuol dire essere me stesso, sono contento che sia stata tu a
scoprire
come sono davvero.»
I due si
sorrisero, avvicinandosi l’uno
all’altra senza accorgersene. Ora che conoscevano le loro
identità, nulla li
avrebbe più separati.