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Autore: La_Sakura    29/06/2022    7 recensioni
Alla vigilia del World Youth, un grave incidente costringe Tsubasa al ritiro dalla competizione e anche dal calcio giocato. Rimasto inspiegabilmente in Brasile, il giovane lascia andare i contatti con gli amici di sempre fino a far perdere le proprie tracce.
Sono passati cinque anni quando, da San Paolo, giunge una nuova notizia: Roberto Hongo ha perso la vita in un incidente d’auto. Gli amici della vecchia Nankatsu si radunano per recarsi al funerale, curiosi anche di sapere se Tsubasa sarà presente, ma la sua assenza fa sì che Yuzo decida di cercarlo, rintracciandolo finalmente a Santos. Ciò che troverà, sarà in grado di spiegare il passato?

«Dobbiamo essere veloci.»
«Veloci e furiosi.»

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Serie "VeF - Velozes e Furiosos"
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'VeF - Velozes e Furiosos'
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Velozes e Furiosos

Hafu

Il furgone arrestò la sua corsa in maniera brusca: udì il rumore della portiera che veniva aperta e i passi dell’autista che si allontanava.

«Non mi piace, non mi piace per niente.» mormorò Cris, e Tsubasa si trovò d’accordo.

Yamai, legato e reso inoffensivo, giaceva in un angolo del retro, lo sguardo basso e le labbra incurvate in quel sorrisetto fastidioso che ormai poco tolleravano.

«Che facciamo?» Kei si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione.

«Dobbiamo capire dove siamo e dov’è Yuzo, e soprattutto se è riuscito a portare avanti il nostro piano.»

«E voi avreste lasciato a quel nihonjin il compito di salvare il moccioso? E come avrebbe fatto, chiedendo per favore?»

Yamai scoppiò a ridere e si attirò un pugno da parte di Cris, evidentemente non vedeva l’ora di rendergli il favore.

«Dicci dov’è.»

«Lo sporco hafu è dove dovrebbe essere, all’inferno.»

Tsubasa trattenne Kei, che si limitò a stringere i pugni.

«Yuki è nostro figlio, non è un…»

«Ah, andiamo! Davvero vi aspettavate che cadessimo nella trappola del “frutto del vostro amore”?»

«Che vuoi dire?»

A fatica Yamai si sollevò e si avvicinò a lui e Kei, gli occhi stretti a due fessure ma luccicanti come quelli di chi sa di avere la vittoria in tasca.

«Sappiamo benissimo che quel bambino è figlio di Hongo e di quella puttana di tua sorella, altrimenti perché credi che Tanaka-san se lo sia preso? Sarà lui a ripagare il debito: le colpe dei genitori ricadono sempre sui figli, Noshimuri.»

Keiko non resistette e si avventò su di lui: lo afferrò per il bavero e cominciò a colpirlo in volto con una serie di pugni, e solo quando Cris si intromise si arrestò. Tsubasa non aveva mosso un dito, non ci era riuscito: continuava a fissare lo yakuza, che ora grondava sangue dal naso, mentre metabolizzava le sue parole.

Tanaka-san sapeva.

«Era il suo piano fin dall’inizio, dico bene? Lui voleva trascinarci in questa storia per…»

Un rumore di frenata lo interruppe: aprì leggermente il portellone posteriore solo per rendersi conto che le due auto argentate li avevano raggiunti. Ora erano ferme a pochi metri di distanza da loro, come in attesa, ma i riflessi dei fari gli impedivano di vedere quanti occupanti ci fossero al loro interno.

«È quasi l’alba.» Cris si sporse sul davanti, dopo aver rotto il finestrino oscurato che dava sul vano guida «Noi siamo esausti, non sappiamo dove sia Yuzo, e quelli del PCC ci hanno rintracciato nonostante avessimo cambiato mezzo.»

«Già.» Kei si raddrizzò sulla schiena, come se avesse avuto un’intuizione «Come hanno fatto a…»

Come se avesse avuto una folgorazione, Tsubasa finalmente capì: scattò verso il finestrino e spostò Cris, quindi si sporse e con l’aiuto delle braccia si tirò sui sedili anteriori. Controllò sotto ai sedili, sotto al volante, infine sganciò la plancia del cruscotto e la sua attenzione fu attirata da una luce intermittente rossa, abbastanza piccola da passare inosservata ma che comunque illuminava la semioscurità dell’abitacolo.

«Maledetti…»

Si affacciò sul retro e comunicò l’infausta notizia ai suoi amici.

«Un rilevatore GPS nel cruscotto, è così che ci hanno rintracciato.»

«Vuoi dire che questi bastardi ci hanno venduto al PCC?» Cris corredò la frase con un calcio in faccia allo yakuza.

«Era il loro piano fin dall’inizio.» Kei si passò una mano sul volto.

«Io lo sapevo, lo sapevo che sarebbe finita così.» Tsubasa si lasciò andare a uno sfogo e prese a pugni il sedile del passeggero.

«Bas, mi dispiace…»

La voce di Kei gli giunse come ovattata: che fosse colpa sua o meno, non poteva di certo addossarle tutte le responsabilità per quella situazione. Come poteva agire?

L’occhio gli cadde sul quadro: nonostante fosse scappato in fretta, Takeda si era premurato di portare via le chiavi, rendendo di fatto inutilizzabile l’automezzo.

«Qualunque cosa tu stia pensando, pensala in fretta, irmão.» Cris si sporse verso di lui «Fuori hanno chiamato i rinforzi e stanno preparando l’assalto.»

«Guarda nelle casse lì dietro, se trovi qualcosa, qualche arma, qualunque cosa che ci permetta di difenderci. E passami un cacciavite.»

«Eu amo quando você fala assim.»(1)

Il trambusto che seguì gli raccontò molto di come Kei e Cris si stessero preparando: sentì spostare i grossi bauli in legno, qualche pugno o schiaffo che volò presumibilmente contro Yamai, e infine Kei gli porse quanto richiesto.

«Ti ricordi come si fa?» lo schernì, posando le mani sulla canalina del finestrino per appoggiarci il mento. Per tutta risposta, lui piantò il cacciavite con forza nel cilindro di accensione e si chinò per collegare i fili.

Al primo colpo, il motore grugnì e la batteria si lamentò, ma al secondo colpo si mise in moto.

«Non hai perso il tocco.» si congratulò Kei, carezzandogli la nuca.

«Io non perdo mai.» replicò, inserendo la marcia e premendo il pedale in fondo. Il furgone partì sgommando e con grande sorpresa dei terroristi che, come poté constatare dallo specchietto laterale, corsero alle auto per ricominciare a seguirli. Cercando di fare mente locale su dove si trovavano semplicemente guardandosi intorno, Tsubasa recuperò la ricetrasmittente dalla tasca e la sbloccò.

«Yuzo, spero che tu sia nel raggio di cinquanta chilometri, o sono guai seri: siamo in trappola, quelli del PCC ci stanno dando la caccia e credo che Tanaka-san ci abbia venduto come merce di scambio.»

Posò la ricetrasmittente per sterzare verso destra e imboccare la strada che conduceva all’ingresso dell’aeroporto.

«Che ne facciamo di questo stronzo?» Cris fremeva per occuparsene, lo sentiva saltellare tutto entusiasta.

«Quando te lo dico, apri il portellone laterale e liberati di lui.»

«Oh meu amor, me dá mais.»(2)

Percorse a tutta velocità il rettilineo che correva perpendicolare alla pista e proseguì fino al terminal dei cargo, nella speranza che Yuzo fosse riuscito nel suo intento e che la sua previsione fosse giusta. Appena giunto allo svincolo per raggiungere la zona, passando davanti all’ingresso dei terminal, gridò in modo che Cris lo sentisse.

«Ora!»

Accelerò a tavoletta nonostante si stesse avvicinando a una curva, e solo quando Cris richiuse il portellone frenò e controsterzò per seguire l’asfalto.

 

 

Kei cercò di reggersi alla curva stretta di Tsubasa, ma non avendo punti di appoggio perse l’equilibrio e andò a sbattere malamente contro la lamiera.

«Tutto bene?» Cris la recuperò, aiutandola a risollevarsi e tenendola stretta.

«Sì, mi sono solo sbilanciata.» replicò massaggiandosi il capo.

Il nissei sorrise prima di baciarle la nuca nel punto dell’impatto.

«Andrà tutto bene.» le sussurrò con affetto. Kei alzò lo sguardo su di lui, quindi annuì: le iridi del ragazzo brillavano di una nuova convinzione che la fece sentire al sicuro e protetta.

Un rumore di spari attirò la loro attenzione: Tsubasa imprecò, così si affacciarono per controllare che stesse bene.

«Saltato lo specchietto.» masticò lui, indicando con un cenno il laterale sinistro in frantumi.

«E va bene, ora ci penso io.»

«Che vuoi fare?» Kei osservò l’amico mentre apriva la cassa di legno dentro la quale avevano trovato le armi e iniziava una specie di conta per scegliere.

«Stai giù, irmã.» le intimò, caricando l’arma, quindi sparò contro i vetri posteriori.

«Puta que pariu,(3) Cris, ti farai ammazzare!» Kei si chinò dietro un baule di legno e si tappò le orecchie con le mani, per attutire il rumore dei colpi di pistola. L’urlo di gioia dell’amico la fece sollevare appena, giusto in tempo per godersi lo spettacolo di una delle auto argentate che sbandava e finiva fuori strada.

«Uno in meno sul nostro cammino.»

«Ci siamo!» l’entusiasmo di Tsubasa attirò la sua attenzione: quando si sporse verso di lui, il ragazzo le indicò un cargo parcheggiato a bordo pista, col portellone abbassato.

«Credi che siano loro?»

«La cavalleria è arrivata!» Cris si aggregò al coro di giubilo, continuando a sparare verso gli inseguitori.

«Ora dobbiamo solo…»

Tsubasa non riuscì a completare la frase perché il furgone perse stabilità: Kei si aggrappò al finestrino di passaggio, cercando di ignorare i tagli dati dei vetri rotti che erano rimasti nella canalina; si voltò per controllare Cris, che si stava tenendo al maniglione del portellone posteriore. Compirono un paio di giri su loro stessi, per poi fermarsi col muso rivolto agli inseguitori: un istante per rendersi conto di ciò che era successo, che gli scagnozzi del PCC avevano già ricominciato a sparare.

«Bas!» Kei allungò le braccia verso di lui e lo aiutò a passare sul retro del furgone, aiutata da Cris: l’ex calciatore riuscì nell’intento giusto un paio di secondi prima che dei colpi di fucile frantumassero il parabrezza.

«Hanno colpito le ruote, ho perso il controllo.» biascicò Tsubasa a denti stretti, controllandosi un taglio accanto all’ombelico.

«Siamo vicini al cargo, forse possiamo…» Kei provò a proporre, ma il ragazzo scosse il capo.

«Siamo sulla linea di tiro, ci ammazzerebbero prima ancora di poter pensare di essere in salvo.»

«Ci vogliono le maniere forti.»

Cris spostò la cassa che avevano messo a copertura del portellone posteriore, e aprì quella sottostante.

«E quello che diamine è, un AK-47?» Kei si sedette a terra, controllandosi le mani e sfregandole contro i pantaloni per asciugarsi dal sangue che le colava dai tagli.

«Un Barrett M82, semiautomatico a corto rinculo.» Cris lo accarezzò come se fosse un bambino «Non ha la stessa cadenza di tiro di un AK-47, ma ce lo faremo bastare.»

«Io non ho intenzione di…»

«Lo so.» Cris si voltò verso Tsubasa e gli sorrise «Ti chiederei di farlo solo se fosse strettamente necessario, ma in questo caso non lo è.»

Il nissei lanciò loro un paio di giubbotti antiproiettile e, dopo averne indossato uno a sua volta, imbracciò il fucile e si posizionò sul finestrino.

«Che intendi fare?» Kei gli si posizionò accanto, sporgendosi di tanto in tanto per lanciare un’occhiata ai loro inseguitori, che ora si erano fermati a semicerchio davanti a loro e sembravano in attesa.

«Coprire la vostra fuga.»

«Cosa!? Scordatelo, è troppo pericoloso.»

«Kei, non preoccuparti» le sorrise «Con questo gioiellino sarà un gioco da ragazzi: voi arrivate al cargo e salite, e quando sarete al sicuro io uscirò sparando all’impazzata e vi raggiungerò.»

«Non funzionerà…» Kei sentì le lacrime riempirle gli occhi, e non riuscì ad impedire che queste le strozzassero la voce.

«Kei, irmã…» Cris le carezzò una guancia, asciugandole le lacrime col pollice «Non avere paura, andrà tutto bene. Juro

Il gracchiare di una ricetrasmittente attirò la loro attenzione: Tsubasa si voltò verso Cris che gli porse la propria.

«Yuzo, mi ricevi? Dimmi che sei in zona.»

«Ragazzi, vi vedo!» la voce del giapponese riempì l’abitacolo «Siamo sul cargo ma dovete sbrigarvi, non abbiamo più tempo!»

«D’accordo.» annuì l’ex calciatore, chiudendo la comunicazione.

A Kei sembrò che il mondo quasi si fermasse: Tsubasa e Cris si scambiarono un cenno e l’ex calciatore si voltò verso di lei, allungando una mano e invitandola ad afferrarla.

«Aspettate, aspettate!» quasi urlò, alzando le mani «È troppo rischioso, non possiamo, noi non possiamo…»

Il freddo del metallo la riportò alla realtà, come un fulmine di consapevolezza che la colpiva attraversandola da capo a piedi. Osservò la pistola che Cris le aveva messo in mano, e percepì il calore delle sue dita mentre le faceva stringere le sue attorno al calcio.

«Bas non spara, ma tu sì. Devi proteggerlo, hai capito Kei?»

Lei annuì, tremante, fissandolo negli occhi: Cris le carezzò la guancia, senza distogliere lo sguardo.

«Te amo muito, irmã. Obrigado pela vida que você me deu.»(4)

Quando realizzò il significato di quelle parole, era troppo tardi: Tsubasa aveva spalancato il portellone posteriore e la stava trascinando verso il cargo.

«Cris! Cris!» urlò, cercando di opporre resistenza, invano, costringendo così Tsubasa a sollevarla per portarla a destinazione.

Il rumore degli spari del fucile coprì le sue grida: arrivata nel cargo, cercò di percorrere la via a ritroso ma gli uomini del PCC avevano già accerchiato il furgone. Uno di loro forzò il portellone laterale e sparò due colpi: il fucile di Cris smise di sparare, e gli uomini del Comando salirono sul veicolo. Nonostante gli occhi pieni di lacrime vide chiaramente uno di loro trascinare il corpo senza vita del suo amico, giusto un attimo prima che il portellone del cargo si chiudesse davanti a lei, nascondendole la vista.

«Cris…» mormorò, lasciando andare il braccio lungo il corpo e facendo cadere a terra la pistola che l’amico le aveva affidato.

«Kei…»

«Lo abbiamo abbandonato.»

«Kei…»

«Mamma!»

La voce di Yuki la fece trasalire, improvvisamente ebbe nuovamente coscienza di sé stessa: si voltò di scatto e il bambino scese dalle braccia di Morisaki per correrle incontro.

«Mamma! Mamma!»

Lo strinse a sé, e in quel momento il suo cuore si ricompose: pezzo dopo pezzo, l’organo si ricostruì e ricominciò a battere.

«Fatti vedere. Stai bene?»

«Sto bene, mamma.»

E il cuore batteva, ma a un ritmo sconosciuto: Kei poteva percepire l’aritmia, e sapeva a cosa fosse dovuta. Sollevò lo sguardo verso Tsubasa che li osservava, gli occhi umidi e lo sguardo colpevole. Avevano lasciato indietro un pezzo della loro famiglia, e questo non se lo sarebbero mai perdonato.

 

 

Tornare a casa da sua madre era stata la cosa più difficile che avesse mai dovuto fare: ritrovarsi lo sguardo smarrito di Natsuko che passava da lui, a Keiko e infine a Yuki, lo aveva fatto sentire nudo e sotto esame, e il senso di colpa lo aveva pervaso a lungo.

Uscì dalla doccia e, dopo essersi avvolto nel morbido asciugamano di spugna che odorava disperatamente di casa e di ricordi, si fissò allo specchio: il taglio sulla pancia aveva smesso di sanguinare, essendo superficiale aveva già iniziato la sua opera di cicatrizzazione, ma il taglio nel suo cuore sanguinava ancora copiosamente, e non accennava a voler smettere.

Aveva compreso subito che il piano di azione di Cristóvão era senza via d’uscita per lui: non sarebbe mai riuscito a seguirli, con tutto il PCC schierato davanti. Eppure…

Chiuse gli occhi e ripensò allo sguardo che gli aveva rivolto, uno sguardo consapevole, uno sguardo carico d’affetto. E la frase che aveva pronunciato aveva confermato i suoi sospetti.

Quando si era caricato Keiko sulle spalle per trascinarla nel cargo, aveva evitato di voltarsi indietro: non avrebbe resistito alla tentazione di tornare a prendere il suo amico, il suo irmão, ma portare in salvo Kei era il loro patto, l’accordo che avevano stipulato fin da subito.

Si passò le mani tra i capelli per togliere l’acqua in eccesso, quindi si asciugò velocemente e indossò una tuta: quando rientrò in camera, Keiko era ancora dove l’aveva lasciata, seduta sul letto, le ginocchia raccolte al petto, il mento su di esse e lo sguardo perso nel vuoto.

«Ehi…» mormorò, sedendosi accanto e carezzandole la schiena. La ragazza non rispose, ma nascose lo sguardo alla sua vista, posando la fronte sulle ginocchia.

«Yuki è di sotto con mia madre e Daichi… hai fame? Vuoi qualcosa?»

«Para, por favor.»(5)

Scansò la mano e rimase a osservarla, chiusa nel suo dolore: doveva lasciarle il tempo di elaborare il lutto, ma allo stesso tempo non voleva che si chiudesse in sé stessa tagliandolo fuori. Optò comunque per lasciarle il suo spazio, così raggiunse la madre in cucina.

«Vi ho preparato uno spuntino.»

Natsuko lo accolse con un sorriso timoroso: le scandagliò il viso, su cui facevano bella mostra di loro molte più rughe di quelle che ricordava.

«Keiko non ha fame.»

Natusko annuì, poggiando comunque il piatto davanti a lui.

«Capisco…»

«Mamma, io…»

La donna non lo interruppe, ma lui si bloccò: come avrebbe dovuto continuare? Scusa per essermi nascosto? Scusa per averti impedito di raggiungermi, quando volevi, e quando in realtà anche io ne avevo bisogno? Scusa per averti detto di Yuki per messaggio?

«Yuki è un bambino molto sveglio, dovete essere fieri di lui. Parla molto bene giapponese.»

«Sì, noi… ci tenevamo.»

«Lo sai che capiranno subito che non è tuo figlio?»

Lui annuì, continuando a tenere lo sguardo basso: si sentiva come un bambino, è questo l’effetto che fanno le madri, ti mettono a nudo con poche parole e riescono a centrare il punto della situazione con frasi all’apparenza semplici. 

«Volevamo crescerlo in Brasile per…» deglutì a fatica, com’era difficile esternare ciò che per lui e Kei era stato così semplice da decidere «Non volevamo che venisse ghettizzato per il suo essere hafu

«Siete voi che per primi non dovete trattarlo come tale: Yuki è un bambino, Tsubasa, e nient’altro. Non ha importanza quali siano le sue origini, conta chi siano i suoi genitori. Tu e Keiko vi siete addossati il grande impegno di crescere un bambino quando voi stessi lo eravate, non dimenticarlo.»

«Non lo dimentico… e comunque tu eri poco più grande quando sono nato.» aggiunse, incurvando le labbra in un sorriso. Natsuko si avvicinò e lo obbligò a guardarla, sollevandogli il mento con due dita.

«Mentirei se ti dicessi che non sono fiera di te per la responsabilità che ti sei assunto, ma mentirei anche se dicessi che non sono felice di averti qui.»

Quel contatto, unito al profumo di sua madre, ebbe il potere di scatenare la più ancestrale delle reazioni, in lui: Tsubasa si rifugiò tra le braccia della donna che lo aveva messo al mondo, e si lasciò andare a un pianto liberatorio e silenzioso.

«Mamma…» mormorò tra le lacrime, aggrappandosi a lei. Natsuko si limitò a cullarlo, carezzandogli la testa, senza fare domande, senza porgli quesiti a cui non avrebbe potuto rispondere, perché avrebbe dovuto metterla al corrente della parte più oscura di sé, e non era pronto a condividere quel vuoto con lei.

 

 

«Tua madre mi ha detto che ti avrei trovato qui.»

Kei era rimasta ad osservare Tsubasa per parecchio, prima di palesare la propria presenza: il ragazzo era appoggiato alla ringhiera in legno che circondava la terrazza del tempio, lo sguardo fisso sulla città.

«Il pallone a Wakabayashi l’ho calciato da qui.» mormorò, sollevandosi appena e incrociando le braccia al petto «A distanza di tanti anni, mi sembra davvero impossibile di esserci riuscito.»

«Ti ho visto fare cose che a nessun altro erano concesse, Bas.» gli si affiancò, voltandosi poi a osservare la distanza che li separava dalla villa della facoltosa famiglia.

«Ho lasciato che lo prendessero…»

Kei tacque, mentre un nodo enorme le bloccò la deglutizione: evitò lo sguardo del compagno, sapeva che non avrebbe retto se avesse letto anche nei suoi occhi lo stesso smarrimento che vedeva allo specchio ogni mattina.

«Era un piano senza capo né coda» Tsubasa continuò la sua dissertazione «e, diamine, lo sapevo, ma gliel’ho lasciato fare. Come pensava di potersi liberare di quei figli di…»

Si risolse a voltarsi verso di lui e gli posò una mano sull’avambraccio.

«Non avremmo potuto impedirgli di farlo neanche se ci fossimo impuntati: hai idea di quanto l’avrebbe tirata lunga, se fosse riuscito a salire sul cargo?» pronunciò, incurvando le labbra in un sorriso affettuoso.

«Avrebbe raccontato la sua versione edulcorata per mesi.» Tsubasa annuì, sorridendo a sua volta.

Kei incrociò le braccia al petto e rimirò lo skyline della città.

«Allora… questa è la nostra nuova casa.»

Il ragazzo le passò un braccio attorno alle spalle per attirarla a sé, e Kei ne approfittò per chinare la testa a sfiorare il suo petto.

«Così pare.»

«Tua madre mi ha parlato di un’officina, non molto lontano da casa sua. A quanto pare il proprietario sta andando in pensione.»

«Katsumoto-san mi ha già fatto sapere, e in maniera neanche troppo velata, che per lui sarebbe un onore passarci l’attività della sua famiglia.»

«Quindi abbiamo anche un lavoro.» Kei sospirò mentre Tsubasa si allontanava di qualche passo per raggiungere la panchina.

Una volta sedutosi, il ragazzo si passò le mani sul volto e si soffermò a massaggiarsi gli occhi: Kei non si mosse, ma un campanello d’allarme le si accese.

«C’è qualcosa che non va?»

«Qualcosa?» sbuffò l’altro, con un moto di stizza «Direi “tutto”. Abbiamo perso Cris, siamo dovuti scappare dal Brasile come dei profughi, sono tornato a casa da mia madre con la coda tra le gambe e non posso neanche spiegarle tutto quello che è successo perché rischio di farle venire un infarto… devo occuparmi di te, di Yuki, e non ho idea di come cominciare a rifarmi una vita qui.»

«Che vuol dire che ti devi occupare di me? So badare a me stessa.»

«Certo, l’ultima volta che ti ho lasciata sola per poche ore sei andata a venderti a Tanaka-san.»

«Io volevo proteggervi!» sbottò, puntandosi l’indice contro al petto «Io pensavo solo al bene di Yuki, vi avrei tenuto fuori da questo casino, se…»

«Ci hai tenuto talmente fuori che Cris ci è rimasto secco.»

A Kei si gelò il sangue nelle vene.

«Sei ingiusto…» sussurrò, lasciando andare le braccia lungo il corpo.

«Sì, Kei, sono ingiusto: sono ingiusto perché la vita lo è.»

«Se non ti conoscessi, direi quasi che tu mi stia accusando di averti rovinato l’esistenza.»

Il silenzio che seguì le sue parole fu come una coltellata: Kei distinse chiaramente il dolore che le squarciò il petto, mentre Tsubasa non alzava neanche lo sguardo su di lei, gli occhi serrati e il volto tirato, la mascella visibilmente contratta.

«Quindi è così?» avanzò di un passo.

«Kei…» finalmente la osservò.

«Voglio solo sapere se davvero mi ritieni responsabile di tutta questa merda.»

Di nuovo silenzio che cadde su di loro: Kei chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalla brezza che si incanalò tra gli alberi e la avvolse, facendola rabbrividire.

«Andiamo a casa…»

Tsubasa si incamminò lungo la discesa: Kei ne osservò l’andatura, e ne seguì il ritmo leggermente claudicante per qualche istante, prima di voltarsi a lanciare un’ultima occhiata a Nankatsu per poi seguirlo.

Sarebbe andata con lui a casa, ma non sarebbe mai stata il suo lar.

 

 

 

 

1 «Eu amo quando você fala assim.» = Amo quando parli così. 

2 «Oh meu amor, me dá mais.» = Oh, amore mio, dammene di più. Sì, Cris è parecchio ambiguo nelle sue espressioni XD

3 Puta que pariu = letteralmente significa "la putt*na che ti ha partorito", equivale al nostra vaffa, o simili

4«Te amo muito, irmã. Obrigado pela vida que você me deu.» = Ti amo tanto, sorella. Grazie per la vita che mi ha dato.  

5«Para, por favor.» = Smettila, per favore.  


COMECOMECOSA?

Ebbene sì, avete letto bene: la storia è completa così. 

*schiva padelle* 

Ovviamente questo non significa che sia terminata qui, anzi! Il sequel è in lavorazione e stimo di pubblicarlo tra settembre e ottobre (ecco, ora che l'ho detto non succederà mai). 

Purtroppo non posso passare le mie giornate a scrivere - me tapina che ho bisogno di lavorare per vivere - ma non vi abbandonerò di certo con tutti questi interrogativi, non è da me! 

Il colpo al cuore più grosso è sicuramente quello riguardante Cris (scriva occhiatacce della BetaMela) ma credetemi, non è stato facile neanche per me prendere questa decisione: il debito di riconoscenza che il ragazzo ha sviluppato nei confronti di Kei e Bas è talmente grande da farli compiere questo gesto sconsiderato, che però permette loro di mettersi in salvo e soprattutto di portare in salvo Yuki. 

Certo, ora questo cambia un po' le dinamiche di questa família sempre più ridotta all'osso, e il loro arrivo in Giappone non è dei migliori, con questa leggera frattura fra Keiko e Tsubasa che sembra segnare il loro rapporto. 

Che dire?

Ringrazio di cuore voi che mi avete seguito fino a qui, voi che avete letto, voi che avete recensito, che avete inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate, voi che mi avete scritto in privato: è bello sapere che ci siete *cuore* 

Sperando che il caldo non ci faccia sciogliere tutti, vi aspetto qui a breve, con una nuova storia ^^ è una promessa e una minaccia at the same time XD e vi lascio con la canzone che ha ispirato buona parte di questa Velozes e Furiosos e molta di quella che sarà la prossima, per tenervi compagnia

LAR - Geovanna Jainy

 Um abraço

La vostra Sakura

   
 
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