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Autore: Kaiyoko Hyorin    06/07/2022    1 recensioni
[Prequel de "Lo Hobbit - un amore inaspettato"]
La vita sulle Montagne Azzurre può essere tranquilla e confortevole, ma non tutti i Nani della Stirpe di Durin riescono a dimenticare il passato. Alcuni se lo porteranno dentro per sempre, pur prodigandosi a fare del proprio meglio, e un nano in particolare ha bisogno di una piccola spinta per realizzare ciò che realmente si cela nel proprio cuore.
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Dedicato ad Aleera Redwoods.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Lo Hobbit'
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~ PREMESSA DELL'AUTRICE ~

Salve a tutti!
Questa one-shot è un piccolo prequel della mia long “Lo Hobbit – un amore inaspettato”. Premetto che non è necessario averla letta per poter capire questa, ma se con questo piccolo parto della mia mente vi smuovessi a curiosità, non potrei che esserne felice, specie se poi vorrete lasciarmi una recensione! Detto questo, come già pre-annunciato nella sintesi, voglio dedicare questo episodio ad una ragazza le cui parole di lettrice e scrittrice mi hanno accompagnata negli ultimi anni e mi hanno incoraggiata e sostenuta tantissimo ed a cui mi sono molto affezionata: Aleera Redwoods, le cui opere sono per me un’oasi di meraviglia. Grazie tesora, senza di te tutto ciò che scrivo per questo fandom sarebbe destinato al cestino.
Bene, prima di lasciarvi, ecco le indicazioni per questa one-shot.

Rating: verde (verdissimo...non c’è niente di compromettente in alcun modo xD mi spiace per chi si aspettava qualcos’altro).

Ambientazione: siamo circa 70 anni nel passato rispetto all’inizio del viaggio di Bilbo verso la Montagna Solitaria, precisamente sui Monti Azzurri, un ipotetico Lunedì 14 Aprile (secondo il calendario della Contea) del 2872° anno della Terza Era.

Personaggi: no, questo non ve lo spoilero, dovrete scoprirli voi ;D

Auguro a tutti voi una buona, piacevole lettura, e spero che – a prescindere – alla fine mi vorrete lasciare il vostro pensiero al riguardo! Prima di andare però vi lascio un piccolo regalino! ;D *link*
Alla prossima, la vostra incorreggibile

Kaiy-chan.

















Se c’era un suono che si ripeteva costante ogni giorno sui Monti Azzurri da alcuni anni a quella parte, con il sole o con la pioggia, con il vento o con la nebbia, quello non poteva essere altro che il puntuale eco delle voci dei due figli di Dìs intenti a scorrazzare per i saloni della fortezza già dalle prime luci. E Thorin Scudodiquercia già intimamente sapeva, mentre controllava i documenti appena consegnatigli, che quel giorno non sarebbe stato diverso dagli altri.
Sollevando lo sguardo dai numeri che accompagnavano il rapporto relativo alle merci ordinate la settimana precedente e consegnate quello stesso mattino, annuì al nano rimasto in attesa al limitare della piazza.
Quello ricambiò con un discreto inchino del capo, movimento che smosse appena la folta barba fulva che gli pendeva innanzi al petto robusto, quindi si congedò, lasciando il figlio di Thrain ai suoi doveri.
I Barbafiamma, insieme ai Vastifasci, erano una delle stirpi dei Nani cui i Figli di Durin erano più vicini e con le quali Thorin aveva più piacere di fare affari, giacché era grazie a loro se il suo popolo aveva finalmente avuto occasione di porre fine ad una vita di vagabondaggi e mettere nuove radici.
Dopo la Guerra fra i Nani e gli Orchi, suo padre Thrain aveva condotto i suoi familiari e i Lungobarbi attraverso l’Eriador ed insieme ai suoi figli aveva fondato quella che, ad oggi, veniva comunemente chiamata nella lingua degli Uomini “le Aule di Thorin”: una fortezza scavata e modellata dalla roccia, circondata da spesse mura naniche, la cui parte più interna custodiva l’accesso ad una delle vene d’argento più floride della regione.
Era stato con la scoperta di quell’argento che il giovane Thorin e suo padre erano riusciti a dare una svolta alle vite dei Nani del perduto Regno di Erebor, siglando un trattato commerciale con i Vastifasci, stirpe nanica la cui reputazione di mastri creatori di gioielli era già nota da tempo fra le altre Stirpi. Da questo erano seguiti altri accordi che, nelle decadi a seguire, avevano permesso al fù Popolo di Erebor di tornare a prosperare.
La valle su cui si affacciava la loro fortezza era un’antica vallata scavata dai ghiacci e modellata, nelle ere a seguire, dai detriti di versante e dal torrente che vi scorreva sul fondo, cosicché le sue vette verticali digradavano dolcemente in una conca a V ricoperta di lussureggianti boschi di sempreverdi tagliati da un’unica strada lastricata, ben tenuta dai nani suoi fautori. Era quella la via maestra che conduceva alle alte pianure boscose del Forlindon, solcate dal fiume Gelion ed attraversate dai suoi affluenti.
Ed era imboccando quella via che suo padre Thrain, un giorno di ormai trent’anni prima, era scomparso.
Thorin non poté far a meno di fermarsi a guardare verso l’alto varco che erano i cancelli delle mura della fortezza, osservando attraverso di questo uno scorcio della valle che era diventata la loro nuova dimora da quasi settant’anni, anno più, anno meno. Nani vi passavano attraverso ad ogni ora del giorno, provenienti da insediamenti vicini o diretti ad essi per commerciare o fare visita a dei parenti. C’era però ancora chi non riusciva a fermarsi a lungo in un unico posto, vivendo una vita da ramingo a causa dell’irrequietezza dei loro cuori, all’interno dei quali il ricordo della Montagna Solitaria covava sopito ma non dimenticato, come braci ardenti sotto uno spesso strato di cenere.
Le stesse braci che Thorin avvertiva bruciare silenziose dentro di sé ogni volta che il suo sguardo di diamante si posava verso oriente, come in quel momento.
Una lieve brezza gli sfiorò la pelle del volto, la cui barba egli era fermamente intenzionato a tenere corta, a differenza dei capelli corvini lunghi sino alle spalle, ed egli la sentì scivolargli sotto la tunica in cotone, in una piacevole carezza tiepida: il tempo continuava a scorrere e la primavera era ormai sbocciata sugli Ered Luin. Non passò tuttavia più di qualche secondo in quella silenziosa e riflessiva contemplazione, perché d’improvviso si sentì afferrare per gli avambracci e alle sue orecchie tornarono a giungere gli schiamazzi e le risate di due piccoli nani a lui ben noti.
– Zio Thorin!
L’ombra che per un attimo si era allungata sulla sua mente e sul suo cuore si ritrasse incontrando gli occhi pieni di vitalità ed allegrezza dei suoi due nipoti, ed il sorriso gli affiorò spontaneo in volto mentre, gonfiando i muscoli, sollevava ambo le braccia e i due cuccioli di nano appesi ad esse.
Quelli risero e mandarono gridolini di sorpresa e di gioia, come ogni volta che si dilettavano in quel gioco, e Thorin avvertì una familiare sensazione di calore sbocciargli nel petto.
– Fili, Kili… dove state andando?
– Andiamo a giocare con Farin – esclamò il maggiore dei due fratelli, mentre muoveva le gambe a mezz’aria nel tentativo di restargli aggrappato al braccio.
– Vicino al fiume! – si accodò il piccolo Kili, sforzandosi di mantenere la presa con le sue manine di bambino.
Thorin li rimise giù prima che potessero scivolare, quindi annuì.
– Andate, ma ricordate le raccomandazioni di vostra madre… – disse loro, prima di posare una mano sul capo biondo di Fili e rivolgersi in ultimo a lui – …e tu, bada al tuo fratellino.
Quello mise su un’espressione imbronciata terribilmente buffa mentre tentava di emulare la serietà di suo zio ed annuiva, giusto un attimo prima che il piccolo Kili lo urtasse di proposito con una spallata giocosa che lo facesse spostare di un passo.
– Non c’è bisogno che badi a me, ormai sono grande! – esclamò con tutta la convinzione dei suoi sedici anni, che per un Nano equivalgono a quattro o cinque anni per un figlio degli Uomini.
Fili mandò un’esclamazione contrariata per essere appena stato spodestato dal suo ruolo innanzi allo zio e Kili, dopo una smorfia, scappò via, costringendo il fratello maggiore ad inseguirlo.
Osservando quelle pesti dei suoi unici due nipoti correre verso il cancello, Thorin si ritrovò a sorridere bonariamente fra sé e sé, l’animo nuovamente risollevato e pronto a tornare ai suoi doveri.
E l’avrebbe fatto se, a quel punto, fra le anime che calcavano la strada appena intrapresa dai figli di Dìs non avesse notato un nano che non vedeva da tempo passare sotto l’arcata dei cancelli in pietra.
Un nano robusto, nel fiore degli anni, la cui capa rasata luccicava al sole e metteva in evidenza l’intricato tatuaggio geometrico che ne tingeva la pelle abbronzata.


– Dwalin! È un piacere rivederti, – lo accolse Dìs non appena il nano comparve sulla soglia – quando sei tornato?
– Questa mattina – le rispose il fratello di Balin, chinando il capo in segno di saluto.
Thorin abbracciò brevemente sua sorella in un fugace tocco di fronti, volgendo poi brevemente lo sguardo per il salotto della confortevole dimora dei suoi familiari.
– Trüli non c’è? – le domandò, finite le formalità.
– No, è andato con Balin a fare una consegna, torneranno questa sera.
Il cognato di Thorin era un abile armaiolo e le sue lame erano note e molto apprezzate fra i Nani delle Montagne Azzurre. L’acciaio che prendeva forma sotto i colpi del suo martello era il più resistente e lucente dell’intera Stirpe di Durin. Quando fosse giunto il momento, sarebbe stato lui a forgiare le spade che i suoi figli avrebbero portato in battaglia, e Thorin non aveva dubbi che esse li avrebbero serviti bene e a lungo, più della maggior parte delle armi dei Nani.
Persino lo spadone che il figlio di Thrain conservava nelle sue stanze era opera sua, dono offertogli il giorno in cui era venuto formalmente a chiedergli la mano di sua sorella.
– Restate a pranzo? Fili e Kili dovrebbero tornare a breve – tornò a chiedere loro la Principessa, alternando i suoi occhi azzurri sui due nani in piedi di fronte a lei.
Avevano gli stessi occhi, ma la peluria sul mento ed i capelli intrecciati sulle spalle erano dello stesso biondo grano che Thorin rammentava possedesse la loro defunta nonna, compagna di Thror e Regina di Erebor.
– Resteremo volentieri – acconsentì, prima di battere una mano sulla massiccia spalla dell’amico al suo fianco e rivolgergli un sorriso sotto i baffi – così Dwalin potrà raccontarci del suo ultimo viaggio.
Dopo che anche il diretto interessato acconsentì, seguirono Dìs in sala da pranzo, accomodandosi e parlando fra loro delle ultime notizie riportate dal nano dal capo tatuato mentre la padrona di casa si aggirava fra sala e cucina, per ultimare i preparativi del pasto. Ad aiutarla una giovane nana da poco assunta come domestica per tener dietro alla casa, cui Dwalin di tanto in tanto non riusciva a non riservare qualche occhiata interessata mentre faceva capolino da una stanza all’altra.
Ad un certo punto Thorin non riuscì più ad ignorarne la distrazione.
– Seira – la chiamò, un attimo prima che quella lasciasse nuovamente la sala dopo aver posato i piatti sulla tavola; s’alzò in piedi, intercedendo per l’altro nano con un cenno della mano mentre continuava – vorrei presentarti il mio amico Dwalin, figlio di Fundin. Dwalin, lei è la nuova domestica che da qualche tempo ha iniziato ad aiutare mia sorella in casa: Seira, figlia di Nudin. È molto probabile vi incontrerete spesso d’ora in poi.
Quell’ultimo commento non era stato asserito con malizia o sottintesi di qualche tipo, quanto più come un semplice dato di fatto, ed era a quel modo che Thorin l’aveva inteso, giacché le probabilità che questo sarebbe accaduto erano elevate in quanto Dwalin era solito far spesso visita a suo fratello di quei tempi, e quindi anche a loro. Nonostante questo, l’imbarazzo che tradì il diretto interessato mentre ricambiava la presentazione con un rigido inchino e qualche parola mezza incomprensibile del suo vocione burbero era evidente agli occhi del figlio di Thrain, che si limitò ad osservare il breve scambio di saluti e formalità che ebbe luogo subito dopo.
Uno scambio che era ancora in atto quando la porta di casa si spalancò e due ben noti terremoti si catapultarono in sala da pranzo chiamando a gran voce la madre, ponendo momentaneamente fine alle sofferenze del povero, impacciato, giovane Dwalin.
– Mamma, mamma!
Dìs, comparendo sulla soglia della cucina, stava ancora cercando di capire cosa stesse succedendo quando Kili, il primo a raggiungerla, le si aggrappò al grembiule con foga, rivolgendo i suoi occhioni color cioccolato verso l’alto.
– Mamma, vogliamo una sorellina! – esclamò.
– Sì, – si accodò subito Fili, aggrappandosi a sua volta alle gonne della nana con la medesima espressione supplicante del fratellino – ti prego, una sorellina!
Dìs, completamente spiazzata, boccheggiò e Thorin, da semplice spettatore, si ritrovò a sua volta a sbarrare lo sguardo mentre osservava la scena, completamente preso alla sprovvista, come ogni altra anima presente nella stanza, dalla richiesta che i due piccoli avevano appena fatto. 
– Una sorellina? – domandò dopo un paio di secondi la nana bionda, scambiando un rapido sguardo con loro prima di tornare ai suoi figli, inarcando un sopracciglio – Che storia è questa?
– Farin non ha fatto altro che parlare della sua nuova sorellina.. – iniziò Fili.
– Sì – confermò Kili, interrompendo il fratello – ..non ha fatto altro che vantarsi di come è carina e ha detto che ora che è un fratello maggiore, non può più fare gli stessi giochi di prima con noi perché è diventato grande!
– E quando gli abbiamo detto che non poteva essere e che anche io sono un fratello maggiore, lui ha detto che non era la stessa cosa, perché avere un fratellino è diverso!
– Quindi abbiamo deciso che anche noi vogliamo una sorellina!
– Sì, così cresceremo anche noi e potremmo tornare a fare gli stessi giochi insieme!
La breve pausa di silenzio che seguì venne infranta da un incredulo Dwalin.
– Ma che..?
La sua secca esclamazione a metà gli fece guadagnare un’occhiata in tralice da parte di Thorin e le due nane, ma ebbe anche il potere di sbloccare la situazione, perché Dìs esternò un secco sospiro a labbra serrate prima di aprire bocca.
– Bambini… – esordì, seria e pacata al contempo, mentre andava a posare le mani sulle testoline arruffate dei due nanetti; fece cenno a Seira di tornare per lei in cucina, quindi facendo due passi per scostarsi dalla porta, proseguì con lo stesso tono che usava per spiegare qualcosa di importante ai suoi due figli – …ciò che state chiedendo non è cosa di poca importanza, né immediata risoluzione. Una sorella sarebbe una benedizione, ma anche l’onere più grande che potreste ottenere. E, al di là del fatto che non spetta a me decidere se darvi una sorellina o meno, una volta ottenuta non potreste più tornare indietro.
– Lo sappiamo, mamma! – esclamò Fili, guardandola dal basso con espressione tanto seria da apparire corrucciata sul visetto fanciullesco.
– Sì, – confermò di nuovo Kili che, di poco più basso del fratello ma con identica espressione, strattonò il grembiule della madre – lo sappiamo! Saremo dei perfetti fratelli maggiori e penseremmo noi a proteggerla!
– E le vorremo bene, proprio come ne vogliamo a te e papà e allo zio Thorin… tu non le vorresti bene?
L’espressione di Dìs si ammorbidì, carezzando una guancia del figlio.
– Ma certo, Fili. Io e vostro padre l’ameremmo esattamente come amiamo entrambi voi.
– E tu, zio? – tornò alla carica il biondino, voltandosi verso il figlio di Thrain e fissandolo coi suoi occhioni azzurrissimi ben spalancati – L'amerai anche tu?
Preso in contropiede, Thorin inarcò un sopracciglio, non aspettandosi di essere trascinato a quel modo nel discorso, e nei pochi secondi in cui tentò di raccapezzarsi s’aggiunse anche la completa attenzione di tutti gli altri a fargli pressione.
– Sì… sì, certo che lo farei – riuscì ad annuire, non mancando di schiarirsi la gola.
Lanciò un’occhiata a Dìs, alla ricerca di una sua approvazione o un appiglio che lo aiutasse ad uscire da quella situazione inattesa, ma sua sorella si limitò a fissarlo di rimando con un’aria fra il curioso ed il divertito ed egli ricordò da chi i due nanetti avessero preso quella loro capacità di fare domande a bruciapelo.
Si rassegnò subito all’idea di non potersene tornare al suo placido ruolo di spettatore e, dopo aver svuotato il petto con un sospiro a labbra serrate, fece un passo avanti, piegandosi su un ginocchio per poter arrivare alla stessa altezza dei due bambini e guardarli così entrambi negli occhi.
In quelle loro iridi dai colori contrapposti egli scorse i medesimi sentimenti: trepidante attesa, incertezza, supplica e, soprattutto, fiducia. Una fiducia incondizionata nel loro unico, idolatrato zio, e Thorin non poté non lasciarsi andare ad un morbido sorriso incoraggiante e carico di affetto.
Adorava quei due bambini.
– L’amerei come amo ogni membro della nostra famiglia – chiarì finalmente, con il tono solenne che era solito usare quando affermava una verità assoluta ed imprescindibile, prima di aggiungere – ma vostra madre ha ragione: una sorellina non è un giocattolo o un orpello passeggero. È una persona che andrà ad aggiungersi alla famiglia e di cui diventereste responsabili in quanto fratelli maggiori. Dovreste proteggerla, dal primo giorno in cui verrebbe alla luce e per tutti quelli a venire, ed essere per lei un degno esempio da seguire.
– Io lo farò! – proruppe Kili attirando l’attenzione su di sé e lasciando finalmente il grembiule di sua madre per battersi il pugnetto sul petto – Sarò il miglior fratello maggiore del mondo!
Fili però non parve affatto d’accordo.
– Ehi! – esclamò contrariato, scostandosi a sua volta da Dìs per ergersi in tutto il suo metro scarso d’altezza – Ti sbagli: sarò io il migliore!
– Non è vero!
– Invece sì!
Il battibecco minacciò subito d’ingigantirsi e proseguire all’infinito, ma ci pensò Dìs a rimettere in riga i suoi figli con un sonoro battito di mani ed un richiamo perentorio.
– Ora basta! Sarà Mahal a decidere se esaudire il vostro desiderio.. – stabilì mettendosi le mani sui fianchi – ..per adesso andate a lavarvi le mani, che il pranzo è quasi pronto!
I due bambini, come pietrificati, alla prospettiva del pranzo si rianimarono ed annuirono subito, precipitandosi poi ad esaudire il comando della madre senza mancare di trasformare il tutto in una gara fra loro.
Rimettendosi in piedi, ora che la stanza era tornata ad una più pacata atmosfera, Thorin si lasciò sfuggire uno sbuffo di sollievo mentre ancora cercava di riaversi da quanto appena accaduto. I figli di sua sorella riuscivano spesso a catapultarlo in un istante in sprazzi di totale confusione, tirando fuori le idee più disparate.
C’era da sottolineare che non era mai stato abituato ad avere a che fare coi bambini, prima dei suoi nipoti, e nonostante fossero passati già tredici anni dalla nascita di Fili, il più delle volte non riusciva ancora a raccapezzarsi: appena si illudeva di esserci riuscito, quelli crescevano un po’ e lui doveva ricominciare da capo.
Non sapeva proprio come facesse sua sorella a tenerli a freno.
– A quanto pare sono entrati in quell’età, eh? – snocciolò pacatamente Dwalin con una punta di ironia, riprendendo posto con lui al tavolo precedentemente abbandonato.
Thorin annuì, imitandolo.
– L’anno scorso, per la festa del Dì di Durin, hanno chiesto un cucciolo.. – gli confermò, incupendosi leggermente al ricordo – ..una lince delle nevi, nientemeno.
– Una lince?! – strabuzzò gli occhi il nano dal capo tatuato.
Thorin gli donò un cenno d’assenso, l’aria greve.
– Speriamo solo che le cose vadano meglio dell’ultima volta – commentò, chiudendo così il discorso.


Dopo pranzo i due nanetti erano andati a fare il consueto pisolino pomeridiano, o almeno era quello che sua madre si era andata ad assicurare che facessero accompagnandoli nella loro stanza, lasciando Thorin e Dwalin a discutere in salotto.
Seduto su una delle poltrone intagliate della dimora della sorella, Thorin teneva fisso lo sguardo sull’amico mentre questi gli esponeva le notizie che, nel corso dell’ultimo anno, aveva raccolto durante i suoi viaggi.
– …purtroppo non ho avuto modo di confermare o smentire questa voce – stava dicendogli Dwalin, in tono greve, prima di osare chiedergli: – Tu non sai nulla del motivo che avrebbe spinto Thrain a dirigersi a nord?
Il nano in questione scosse il capo.
– Non ho idea del perché mio padre avesse intenzione di incontrare i Nani di Gabilgathol[1] – ammise, pur apparendo sconfitto da tale stessa ammissione.
Con le spalle al braciere che illuminava la stanza, la sua figura appariva ancor più tetra agli occhi del figlio di Fundin, combattuta in quella breve pausa di riflessione in cui sprofondò per una manciata di secondi a seguire. Quando i suoi occhi tornarono a sollevarsi su Dwalin però, per quanto cupa fosse stata la sua espressione, in essi trasparì anche una nuova scintilla di determinazione.
– Dev’essere giunto a destinazione però, o non l’avremmo mai saputo – affermò infatti, con rinnovata sicurezza a tendergli la linea della mascella – ..dovremmo indagare. Andrò io stesso. È da molto che non lascio questo luogo, forse sarebbe il caso di far visita agli esponenti delle altre Stirpi dei Monti Azzurri. È grazie alla loro benevolenza se il nostro Popolo ha trovato fra queste vette una nuova dimora, dopotutto.
Dwalin annuì, pur riservandosi di rivolgergli un’occhiata in tralice: conosceva i sentimenti di Thorin riguardo l’intera faccenda.
D’altronde, nessuno fra i Nani di Erebor avrebbe mai affermato che lo scomparso Re Thrain fosse morto, pur essendo passati già più di trent’anni dal giorno in cui aveva lasciato la loro fortezza per intraprendere quella che, fino a quel momento, avevano tutti creduto fosse una spedizione militare. A quel tempo uno sparuto gruppo di Orchi s’era insediato nei Monti Azzurri meridionali e Thror aveva capeggiato personalmente il drappello di guerrieri inviati a scacciare le vili creature e rivendicarne i territori. E ci erano riusciti senza problemi, stando ai rapporti che le squadre di esplorazione gli avevano riportato: nessun Orco era più stato avvistato sugli Ered Luin da quel giorno.
Comunque, Dwalin poteva comprendere i motivi che impedivano a Thorin di farsi avanti ufficialmente come successore di suo padre e nuovo Re dei Lungobarbi, pur impersonandone già magnificamente il ruolo se non di nome, di fatto. Si era preso carico di tutti i doveri di un sovrano, aiutando il suo Popolo in ogni modo possibile, faticando in prima persona quando necessario, senza mai un lamento. Le difficoltà che aveva affrontato ed il dolore che aveva sopportato da quando la disgrazia si era abbattuta sulla sua Stirpe ne avevano temprato l’animo, facendo sbocciare in lui quelle qualità che solo i più grandi capi dei nani possedevano.
E tuttavia queste non lo avevano preparato alla scomparsa di suo padre, alla cui ricerca ancora non aveva rinunciato. Per questo motivo aveva chiesto a Dwalin ed alcuni altri di tenere gli orecchi aperti ad ogni più piccola notizia potesse riguardare ciò che era accaduto a Thrain in quel lontano autunno.
L’atmosfera venutasi a creare venne infranta dal provvidenziale ritorno di Dìs, che mise un punto alla discussione affrontata dai due nani.
– Per fortuna si sono addormentati – sospirò la nana, varcando la soglia della sala con l’andatura sicura tipica di chi conosce a fondo l’ambiente – sono persino arrivati a chiedere come nascono i Nani! Per il momento sono riuscita a sviare il discorso dicendo che avrebbero dovuto chiederlo al loro padre, ma temo che al risveglio non avranno dimenticato la cosa.
Dwalin mascherò il sorrisetto che minacciò di delineargli le labbra e si schiarì la voce con un colpo di tosse, mentre Thorin spalancò le palpebre, guardando la sorella fra il sorpreso ed il divertito. Senza dubbio era sollevato di non dover affrontare lui quel genere di situazioni.
– Quei due sono decisamente precoci – commentò, non senza una punta d’orgoglio, lanciando poi un’occhiata al nano dal capo tatuato – ..forse dovremmo iniziare a pensare a farli seguire da un istruttore… Balin sarebbe un ottimo maestro e se ricordo bene disse che se ne sarebbe occupato volentieri, quando fosse giunto il momento di insegnare loro la nostra storia.
Dwalin inarcò un sopracciglio, ma fu Dìs a rispondere.
– Sì, forse hai ragione… e se ricordo bene, avevamo la loro stessa età quando iniziammo a seguire le lezioni di Mastro Tungil.
– Anche se all’epoca erano più le volte che ci nascondevamo per non farci trovare che quelle in cui eravamo a lezione – aggiunse con una nota di divertimento l’Erede di Durin, facendo sorridere gli altri.
– È vero – concordò Dìs ridacchiando – ricordo ancora la faccia di nonno Thror quando, quella volta, beccarono te e Frerin[2] che tentavate di scendere nelle miniere con il montacarichi!
Thorin rise brevemente, sebbene la sua espressione si contrasse impercettibilmente, e Dwalin poté notare di nuovo l’ombra del dolore e del rimpianto nei suoi occhi di diamante. E non fu l’unico.
L’espressione di sua sorella perse parte dell’allegrezza in favore di una comprensione ed una dolcezza velata di cordoglio che era molto simile a quella del fratello maggiore. In fin dei conti, anche lei aveva perso un fratello davanti ai Cancelli Orientali di Khazad-dûm.
– Voi due eravate molto simili a Fili e Kili alla loro età – commentò con un sorriso velato – e loro ti adorano già e ti prendono come esempio. Dovresti sentire la metà dei discorsi che inscenano durante i loro giochi: sono tutti relativi agli aneddoti che gli avete raccontato su Erebor e la sua caduta per mano del drago.
Dwalin, rimasto relegato al suo ruolo di spettatore sino a quel momento, si fece più dritto sul suo scranno, inarcando un sopracciglio.
– Davvero? – domandò con una vena di sorpresa e divertimento – Se è così, mio fratello avrà pane per i loro dentini da latte.
Dìs e Thorin non poterono che concordare e l’atmosfera tornò a quella quieta serenità che le spettava.
– Volete fermarvi finché mio marito e Balin non torneranno? – chiese poco dopo la Principessa, alternando i suoi occhi chiari su entrambi i suoi ospiti – Anche ai bambini farebbe piacere giocare un po’ con il loro zio preferito.
– Purtroppo non posso trattenermi, – negò Thorin, alzandosi per primo in piedi, il volto ancora delineato di un morbido ed affettuoso sorriso per la sua sorellina – fra poco dovrei incontrare il mastro carpentiere per discutere l’avanzamento della nuova galleria.
Dìs annuì, spostando la sua attenzione su Dwalin, che imitò l’amico, alzandosi a propria volta.
– Sì, farei meglio ad andare anche io: ho alcune cose da sistemare prima di sera.
Stavano dunque per congedarsi quando la giovane nana di nome Seira fece capolino dalle cucine entro le quali era rimasta a pulire e sistemare sino a quel momento. Come la sua minuta figura varcò l’arco che dal salotto dava alla sala da pranzo, Dwalin avvertì il proprio corpo irrigidirsi ed il cuore accelerare i battiti per un’irrazionale agitazione.
– Mia signora, per oggi ho terminato – annunciò, lisciandosi la gonna del modesto abito verde scuro che indossava e che Dwalin aveva già notato richiamare il verde dei suoi occhi – desiderate che mi occupi di qualcos’altro?
– No, Seira, grazie – le si rivolse amichevolmente Dìs – puoi tornare a casa.
Quella annuì prima di rivolgersi anche agli ospiti presenti, facendo sussultare interiormente il nano dal capo tatuato rimasto a guardarla sino a quel momento.
– Buon pomeriggio, signori. Mi ha fatto piacere conoscerla, signor Dwalin – affermò con cortesia ed un sorriso delicato, piegandosi in un breve inchino formale.
Tale considerazione il diretto interessato non se l’aspettava e dovette darsi un contegno per borbottare una risposta adeguata, pur per nulla soddisfatto dell’insolita incapacità di rivolgersi a lei in maniera più appropriata.
La verità era che lui, con le femmine, non ci sapeva proprio fare.
– Dato che dovete andare, perché non la accompagni tu, Dwalin?
Quella proposta uscita dalle labbra della Principessa di Erebor per poco non lo fece strozzare con la propria stessa saliva e, voltandosi di scatto a riservarle un’occhiata stralunata, il figlio di Fundin non ebbe il tempo di ribattere alcunché che Thorin si accodò alla sorella.
– Sì, buona idea – concordò con la medesima pacata leggerezza – Saremmo senz’altro più tranquilli se la scortassi per un po’: le strade a quest’ora sono piuttosto trafficate e potrebbe imbattersi in qualche malvivente.
Ormai paonazzo, Dwalin si sentì alla stregua di un animale braccato e messo all’angolo e balbettando non poté far altro che tornare a guardare la diretta interessata, la quale sembrava essere stata colta alla sprovvista a propria volta.
– Oh, ma non è necessario.. – pigolò, incrociando il suo sguardo ed abbassando il proprio; nella calda luminosità dei bracieri pareva essere arrossita – ..non voglio disturbare.
Oh, accidenti…
– Nessun disturbo – bofonchiò più scorbutico di quanto avrebbe voluto Dwalin, ancora alle prese con il conflitto interiore che gli si stava scatenando nell’animo per l’opportunità che i due figli di Thrain gli avevano appena servito su un piatto d’argento.
Il problema era che, quando si trattava di certe cose, era bravissimo a rovinare tutto.
Scacciando tali pensieri catastrofisti, si avviò dunque per primo verso l’uscita, facendo strada con passo deciso e pesante. Sperava solo che il deserto che gli era comparso d’improvviso in bocca gli desse quel poco di tregua necessaria a permettergli di dire qualcosa in più di qualche balbettante monosillabo, durante il tragitto che si prospettava loro.


Rimasto sotto l’arcata della porta d’ingresso ad osservare i due nani allontanarsi fianco a fianco, Thorin abbozzò un mezzo sorriso.
– Forse il nostro Dwalin troverà presto un altro motivo per farti visita più spesso, sorella.
Dìs, ferma alla sua destra, parve dello stesso avviso.
– Non sarebbe un male – commentò con una punta di divertimento – sono entrambi brave persone. Chissà, magari ci troveremo presto a celebrare una nuova unione.
Il fratello annuì con un cenno del capo, facendo ondeggiare lievemente le treccioline con cui, da poco tempo a quella parte, aveva preso ad adornarsi la chioma corvina.
– Se così fosse, poi mancheresti solo tu.
Thorin sussultò leggermente, mentre le spalle gli si irrigidirono a quell’ultima frecciatina inattesa, e come spostò gli occhi azzurri sul volto della sorella la vide intenta a riservargli un’occhiata carica di sottintesi alla quale egli non riuscì a non corrucciarsi in volto.
Non accadeva spesso che la sua sorellina gli ricordasse di essere l’ultimo membro della famiglia ancora scapolo, ma non per questo lui si sentì in dovere di risponderle.
– Sai, là fuori potrebbe esserci sicuramente la nana per te. E se ogni tanto mettessi il naso fuori dalle tue Aule, mio signore, potresti persino imbattertici – lo prese bonariamente in giro lei, rincarando la dose e facendolo corrucciare di più.
– Se mai giungerà davvero quel giorno, sta’ sicura che sarai la prima a saperlo, Principessa – le rispose lui a tono, deviando lo sguardo con fare ostentato ed incrociando al contempo le braccia sul petto.
– Bene – la sentì ribattere, con pacata soddisfazione.
Non ebbe bisogno di voltarsi a guardarla per sapere che stava sorridendo fra sé e sé, perché quello era il genere di scambio di battute che si facevano spesso quando erano da soli. Thorin aveva sempre voluto bene a sua sorella, anche durante il periodo in cui, da piccoli, lei aveva attraversato la sua “fase capricciosa” così come l’avevano scherzosamente chiamata, e la complicità che con gli anni si era venuta a creare fra loro era ciò che li aveva tenuti uniti, malgrado le difficoltà incontrate e le perdite affrontate.
La pausa di silenzio che seguì non fu lunga, giacché fu proprio Thorin a porvi fine.
– Per la tua gioia, mi vedrai presto partire per una spedizione verso nord – le rivelò, gonfiando il petto in un sospiro trattenuto e scoccandole un’occhiata da sopra la spalla.
La sorpresa che illuminò il viso di sua sorella era genuina.
– Davvero? – gli domandò lei – Come mai così all’improvviso?
– Credo solo sia giunto il momento per noi di rinsaldare i legami di amicizia che ci legano ai Nani di Gabilgathol – le rispose, sciogliendo la posa conserta delle braccia per rivolgersi a lei adeguatamente – Affiderò a te il comando durante la mia assenza.
Dìs parve ancor più stupita, ma un guizzo le illuminò l’iridi chiarissime.
Sapeva di essere l’unica di cui Thorin si fidasse ciecamente per quel compito, giacché avevano avuto la stessa educazione in quanto figli di Thrain ed Eredi di Durin. Non era mai importato che uno dei due fosse un Principe ereditario e l’altra una Principessa minore: era tradizione che ogni membro della famiglia regnante acquisisse i mezzi per guidare il loro Popolo nel caso i tempi si fossero fatti nefasti. E così era stato.
– Affidati pure a me, fratello – gli rispose solennemente, prima che un sorriso furbetto le delineasse le labbra contornate di peluria bionda debitamente acconciata – ..va’ pure, sia mai che torni a casa con una degna compagna! Penserò io alla nostra gente mentre sei via.
Thorin sbuffò, quasi esasperato dall’ironica insistenza di lei sull’argomento, e roteò lo sguardo verso l’alto. Non riuscì però a dissimulare la piega divertita che gli piegò le labbra.
Sua sorella non sarebbe mai cambiata.
E questo era un bene, pensò fra sé e sé, mentre ne coglieva la risatina giocosa e divertita colmare l’aria.


Quella sera Thorin si coricò tardi, giacché era tornato a far visita alla famiglia di sua sorella e si era fermato per cena, finendo per giocare coi suoi nipoti fino a che la loro madre non li aveva spediti a letto con l’ausilio della risoluta minaccia del suo fidato mattarello. Allora Thorin si era trattenuto un altro po’ a parlare con Trüli, con il quale avevano discusso dell’eventualità di iniziare i piccoli Fili e Kili alle lezioni di Balin. Il nano si era dimostrato d’accordo, evidentemente ben condividendo il pensiero di sua sorella e dello zio di iniziare ad incanalare il loro entusiasmo verso le passate imprese dei Durin.
Dopodiché si era congedato, camminando per un po’ attraverso le alte sale ed i corridoi della fortezza che era divenuta la casa della Stirpe di Durin. Sotto l’abile scalpello dei Nani ne era nata una costruzione solida ed elegante, forte nelle sue forme e nei decori geometrici, ma era ancora lungi dal poter essere paragonata al perduto Regno di Erebor e forse era questo che Thorin non riusciva ad accettare mentre ne osservava le arcate degli alti soffitti.
Era stata una lunga giornata, ricca di pensieri ed emozioni nati dagli accadimenti che si erano susseguiti nel tempo che intercorreva dall’alba al tramonto, e fu questo il motivo scatenante che lo condusse a sognare, quella notte.
Fu un sogno come non ne aveva mai fatti in precedenza, non di recente, dall’atmosfera quieta ed ovattata, tipica delle ore del crepuscolo, e di tali ore l’ambiente circostante serbava la penombra, rendendogli i contorni della fortezza grigi ed anonimi. Per le strade erano pochi i nani che incrociò lungo il cammino, mentre procedeva con la convinzione di star tornando a casa, pur sapendo al contempo di star camminando nella direzione opposta, verso i cancelli.
La strada sotto i suoi stivali nanici era solida, ma ad un certo punto buche iniziarono a comparire su di essa, e l’aria che gli sfiorava in una carezza la pelle del volto era fresca e priva di odore. L’alba era ancora molto lontana, oltre i cieli d’oriente, ma sarebbe giunta e Thorin era certo l’avrebbe trovato circondato dai suoi cari quando ciò fosse accaduto, doveva solo affrettarsi.
Fu a quel punto che un suono sommesso infranse la quiete del crepuscolo, attirando la sua attenzione e spingendolo a fermarsi per cercarne l’origine. La trovò alla sua destra, ad alcuni passi di distanza: una figura minuta era rannicchiata a terra, seduta sotto uno degli archi minori che sostenevano il soffitto. Sin dal primo sguardo egli comprese che quella che, con le braccia a circondare le gambe esili ed il capo chino dietro le ginocchia, stava piangendo da sola nell’ombra, non era altro che una bambina.
Una bambina dell’età di Kili, si ritrovò a pensare, mentre deviava dal proprio percorso per avvicinarsi ad ella. Vestiva di una semplice camicia da notte bianca senza maniche, cosa che gli permise di notare quanto magre fossero le sue braccia.
– Ehi.. – mormorò a bassa voce, in tono insolitamente dolce persino per lui, cercando di attirarne l’attenzione senza spaventarla – ..perché piangi? Ti sei persa?
La piccola scosse il capo adorno d’una ribelle zazzera scura, forse castana, e si raggomitolò maggiormente in sé stessa mentre veniva percorsa da un tremito e da nuovi singhiozzi, cosa che smosse in Thorin una sincera preoccupazione. Vagò con lo sguardo i dintorni.
– Dove sono i tuoi genitori?
Questa volta la reazione della bambina alla sua domanda fu più netta, giacché finalmente sollevò la testolina e posò i suoi occhi gonfi e colmi di lacrime su di lui. Ed erano occhi grandi e ben definiti quelli che incrociarono i suoi, al cui interno egli scorse il riflesso delle stelle che stavano affacciandosi alla notte ormai sopraggiunta. Fu allora che, finalmente, si rese conto di trovarsi davanti una figlia degli Uomini e non dei Nani, come aveva erroneamente supposto dal primo momento.
– ..non lo so – pigolò, la vocetta infantile tremula ed incerta.
Sembrava molto piccola, pensò mentre, mosso a compassione, si chinava dinanzi a lei, poggiando un ginocchio a terra. Non avrebbe mai potuto ignorare una bambina in lacrime, non era nelle sue corde, neppure se si trattava di una bambina di un Popolo che non era il suo.
– L-loro… loro non ci sono più – balbettò quella mentre lo fissava con il visetto tondeggiante contratto in una smorfia trattenuta – ..io voglio la mia mamma… – un singulto le fece sussultare le spalle sull’onda di un nuovo flusso di lacrime che le solcò le guance arrossate – …voglio il mio papà.
Quella confessione che sapeva di supplica lo colpì dritto al petto e si rese conto di comprenderne fin troppo bene i sentimenti, giacché quella pena era la stessa che egli si portava dentro ogni giorno. Per questo non poteva arrendersi all’idea che non avrebbe più rivisto suo padre Thrain. Per questo non poteva smettere di cercarlo, né di rivolgere lo sguardo verso la via che dalle Aule si snodava verso valle.
– Sì, anche io.. – ammise, in un tono basso e profondo carico di rimpianto.
Quella confessione parve suscitare l’interesse di lei, perché i suoi singulti parvero diminuire mentre si soffermava a scrutarlo dritto in volto, come solo un bambino con la sua ingenua schiettezza farebbe.
– …anche tu hai perso la tua mamma e il tuo papà?
Thorin annuì con un cenno del capo, lasciando affiorare un sorriso malinconico.
La bambina tirò su col naso, asciugandosi una guancia con un impacciato gesto della mano.
– ..possiamo cercarli insieme, se vuoi – pigolò nuovamente lei.
A tale proposta, il nano si sorprese un poco, ma al contempo avvertì una sensazione di calore nascergli al centro del petto in reazione alla gentilezza espressa da quella piccola figlia degli Uomini.
Senza dire nulla le offrì la mano e quando ella, dopo essersela spazzata nella veste, vi posò la propria, egli la guidò verso di sé, prendendola in braccio e rimettendosi al contempo in piedi. Quando la bambina gli circondò il collo con le braccia, appollaiata sul suo braccio, Thorin tornò a volgersi verso il centro della strada. Era leggera, tanto da dargli l’impressione che fosse più fragile di quanto fosse un comune figlio degli Uomini.
– Come ti chiami?
– …Kathrine… – gli rispose un poco incerta lei.
– Lieto di conoscerti – fece lui, sorridendole nel ricambiarne lo sguardo – Io sono Thorin, figlio di Thrain.
Di nuovo la piccola annuì, pur mancando di rispondergli a tono. D’altra parte era troppo piccola per conoscere le formule di rito delle presentazioni degli adulti, questo era evidente, e Thorin non vi diede importanza, avendo scorto nell’iridi di lei i sentimenti che non erano stati espressi a parole.
– Dove abiti?
Quella strinse più forte la presa sulla stoffa della sua blusa mentre il suo sguardo si faceva di nuovo sbarrato e fisso. Quei suoi occhi di uno spesso grigio iridescente tornarono a colmarsi di lacrime e timori dietro un ripetuto battito di palpebre.
– ..non lo so.. – gli rispose ancora, la sua voce che tornava ad incrinarsi; la vide guardarsi attorno mentre il panico tornava ad impossessarsi di lei – ..i-io non lo so… – ripeté con gli occhi sbarrati e colmi di nuove lacrime – ..non me lo ricordo.
Al vederla nuovamente sull’orlo del pianto, Thorin agì d’istinto, stringendola a sé e posando la mano libera dietro la sua schiena, in un massaggio che voleva attenuarne i singhiozzi che ne scuotevano il corpicino.
La bambina si abbandonò contro la sua spalla, singhiozzando: – io..io voglio andare a casa mia.
E di nuovo il cuore di Thorin si strinse, tanto di pena quanto di un’inattesa ed assoluta comprensione. Fu in quel preciso momento e non un istante prima che egli capì di condividere con lei anche quel sentimento e se ne sorprese egli stesso, non avendolo riconosciuto pur portandoselo dentro da decenni.
Perché la verità era che, per quanto si fosse impegnato sino allo stremo a condurre la sua gente a quella che era poi diventata la loro nuova dimora, egli non era riuscito a ritrovare fra gli Ered Luin quella sensazione di avvolgente conforto tipica di una casa. La fortezza che lui e suo padre avevano costruito non sarebbe mai stata davvero tale per lui, riconobbe con una parte di sé. Con l’altra invece, realizzò anche che non poteva abbandonare quella cucciola umana a sé stessa.
– Vuoi venire a casa con me? – le chiese d’istinto, giacché nei sogni non vi è filtro che separi la parola dal pensiero e quello era stato il primo che aveva attraversato la mente del Principe mentre pensava al da farsi. Il suo secondo pensiero andò automaticamente alla dimora di sua sorella ed ai suoi due nipoti, cosa che lo fece sorridere ancora una volta: chissà quanto sarebbero stati contenti di vedere il loro desiderio di una sorellina esaudito.
La bimba tirò di nuovo su col naso mentre tornava a sollevare il capo e lo sguardo su di lui, e Thorin vide negli occhi di lei la paura venire sostituita da una delicata curiosità ed un pizzico di aspettativa. Quando ella annuì, il sorriso gli si ampliò sul volto incorniciato dalla corta barba nanica.
Tornò ad incamminarsi dunque, calcando con passo misurato la strada lastricata che lo avrebbe condotto all’esterno della fortezza.
– Vedrai, starai bene – le assicurò con il tono pacato e conciliante usato sin dall’inizio, mentre superava le grandi arcate dell’ingresso alla montagna – ..farai parte della nostra famiglia e non ci sarà giorno in cui resterai sola. Avrai due fratelli maggiori che ti adoreranno e ti aiuteremo tutti a tornare a casa.
La piccola non rispose ma egli sapeva che lo stava ascoltando, giacché il suo respiro si faceva sempre meno spezzato e sentiva il suo sguardo attento carezzargli il profilo.
Uscirono all’aria aperta e d’improvviso le prime luci dell’alba si affacciarono al mondo, rischiarando l’orizzonte insolitamente dischiusosi dinanzi agli occhi del nano. Thorin si fermò di nuovo, rendendosi conto di essere uscito dalla fortezza, spaziando con lo sguardo per l’immensa distesa in cui si era tramutata la valle nella quale originariamente sorgeva la fortezza dei Durin.
Nella striscia dorata che rischiarava la volta celeste ad oriente, egli distinse il profilo delle terre che si estendevano dai Monti Azzurri alle Montagne Nebbiose ed oltre, al di là delle chiome degli alberi di Bosco Atro, sino alla sagoma che si stagliava immobile contro il cielo: la Montagna Solitaria.
Ed era là che lo aspettava la sua famiglia, si rese conto a quel punto Thorin, scorgendone le figure stagliarsi ai piedi delle porte del Regno di Erebor, non più perduto, in una visione che gli riscaldò il cuore nel petto.
Là erano la famiglia di sua sorella, i suoi amici e persino suo padre, Thrain. 
Lo stavano aspettando tutti, comprese. Attendevano che facesse ritorno alla sua antica, vera casa.
La manina della bimba che ancora teneva in braccio gli si posò sul mento in una carezza che lo indusse a cercarla nuovamente con lo sguardo, abbandonando momentaneamente quella contemplazione, e come ne incrociò ancora una volta gli occhioni si accorse che non vi erano più lacrime a segnarle il visetto a cuore.
– Andiamo a casa? – gli domandò, indicandogli la Montagna Solitaria alle luci dell’aurora con espressione carica di speranza.
E Thorin si ritrovò a sorriderle, fiducioso.
– Andiamo a casa.








 Fine.





~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).


» Note:
1. Gabilgathol è il nome in lingua nanica della città di Belegost, che in Sindarin significa “Gran Rocca”. Belegost era una delle principali città dei Nani sugli Ered Luin, catena montuosa che divideva il Beleriand dall'Eriador durante gli Anni degli Alberi e la Prima Era. Situata al nord del Monte Dolmed, era abitata in prevalenza dai Nani della stirpe dei Vastifasci, cui è dovuta la sua fondazione. Nell’epoca cui i fatti narrati in questa storia fanno riferimento, essa è abitata sia dai Vastifasci che dai Barbafiamma.
2. Frerin era il fratello minore di Thorin ed il fratello maggiore di Dìs, morto a soli 48 anni combattendo contro gli Orchi nella sanguinosa Battaglia di Azanulbizar, durante la Guerra tra i Nani e gli Orchi iniziata dalla morte di Thror. Il suo corpo fu bruciato assieme a quello degli altri Nani caduti per impedire agli Orchi superstiti di profanarlo. Come per Fili e Kili, anche tra Frerin e Thorin intercorrevano 5 anni di differenza.


   
 
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