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Autore: Demy77    09/07/2022    2 recensioni
Sequel di “Finché morte non ci separi”. Una breve carrellata sulla vita di Ross, Demelza ed i loro figli quindici anni dopo la conclusione della storia precedente.
AVVERTIMENTI: per chi non avesse ancora letto “Finché morte non ci separi”, Valentine e Julia qui NON sono fratelli, in quanto Julia non è figlia di Ross. La cronologia inoltre, volutamente, non rispecchia fedelmente quella della saga di Graham.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demelza Carne, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nel giardino di Nampara, nel punto in cui tanti anni prima era stata seppellita la figlia di Elizabeth, Demelza aveva voluto che fosse piantato un cespuglio di ortensie: era un modo per ricordarsi che anche dal dolore poteva nascere qualcosa di bello. Fu lì, intenta a curare i suoi fiori, con Henry che le ronzava intorno riempendola ogni tanto di teneri baci, che Valentine la incontrò mentre ritornava dalla miniera. Il distratto “buonasera” a denti stretti che il ragazzo le rivolse fece intuire a Demelza che qualcosa doveva essere successo fra il ragazzo e suo padre. Non era una novità che quei due, con i loro caratteri così fortemente simili, facessero scintille, ma l’istinto della rossa le diceva che stavolta era successo qualcosa di grave.
Quando il giovane rientrò in casa il salotto era immerso nella quiete. Julia era sul divano a ricamare mentre Clowance leggeva un libro. Bella era in cucina a dare il tormento a Prudie con mille domande, e solo la sua vocina squillante movimentava l’atmosfera tranquilla della casa.
Che Valentine fosse di malumore fu subito chiaro a tutti. Solo Julia, vedendo il ragazzo pericolosamente vicino alla bottiglia del rum - il cui uso in genere gli era vietato prima di cena-  si arrischiò a chiedergli “è successo qualcosa alla miniera, Valentine?”. Ricevette in cambio una brusca risposta: “Sì, ho litigato con mio padre, Ross Poldark, che però non è anche il tuo!”; detto ciò Valentine tracannò il liquido ambrato e si allontanò rapidamente dirigendosi al piano superiore. Clowance alzò gli occhi dalle pagine e cercò smarrita lo sguardo della sorella. I gemelli sapevano che Julia era stata solo adottata da Ross, ma era un argomento talmente lontano dalle conversazioni di tutti i giorni della famiglia che era praticamente relegato in un angolo della loro memoria. La sorella maggiore scappò di corsa in camera sua piangendo e lasciò quella adolescente imbambolata in mezzo alla sala. In quel momento giunse anche Jeremy, tutto euforico per aver trascorso il pomeriggio all’officina dello zio Drake che stava forgiando dei ferri da cavallo e gli aveva chiesto assistenza; la gemella gli raccontò cosa era accaduto poco prima e i due convennero che doveva trattarsi di uno degli scoppi di rabbia improvvisi di Valentine, dettati dal suo pessimo carattere. Jeremy aggiunse che i due fratelli più grandi dovevano essere in grado di risolvere da soli i loro battibecchi e che non era il caso di coinvolgere i genitori, introducendo uno scomodo argomento a cena, in presenza dei fratelli più piccoli che forse non sapevano neppure nulla della faccenda e si sarebbero turbati inutilmente.
Julia intanto si era chiusa in camera a piangere. Con il viso riverso sul cuscino, a pancia in giù, dava sfogo alla sua disperazione.  Perché, perché Valentine si comportava così? Perché sembrava che avesse piacere a darle il tormento, a farla camminare lungo il ciglio di un burrone nel quale poteva sprofondare da un momento all’altro? Perché non si poteva proseguire la vita di tutti i giorni, la vita degli ultimi sedici anni, quella in cui Ross, sebbene non fosse il suo papà biologico, l’aveva amata e curata come farebbe un vero genitore? Per quale crudele scherzo del destino si era innamorata del suo compagno di giochi, di colui che per la società era suo fratello, al pari di Jeremy e di Henry? I suoi singhiozzi erano talmente acuti che neppure si avvide che qualcuno era entrato nella stanza. Sobbalzò quando il materasso si mosse, sotto il peso dell’altra persona.
“Che ci fai qui? Vattene!” – gli disse con tutta l’asprezza di cui era capace. Valentine si scostò dalla fronte un ciuffo lungo e ribelle e Julia suo malgrado pensò a quanto fosse irresistibile quando compiva quel gesto.
“Perdonami Julia. Non era mia intenzione ferirti. Non sopporto vederti piangere”- le disse il giovane.
La ragazza gli rispose che avrebbe dovuto pensarci prima e gli ribadì l’invito ad uscire dalla sua stanza.  Valentine rifiutò di andarsene e le disse che voleva spiegarle che cosa era accaduto esattamente alla miniera. Disse che aveva provato a domandare nuovamente a Ross se era lui il vero padre di Julia e che l’uomo aveva negato assicurandogli di non avere mai tradito Elizabeth finchè ella in vita. “Dovresti essere soddisfatto allora! Hai ottenuto la risposta che desideravi, perché sei così di malumore? Non ti rendi conto che ci stai solo avvelenando la vita con questa storia?” – sibilò Julia.
Valentine rispose che non era affatto soddisfatto del colloquio perché Ross, pur apparendogli sincero sulla paternità di Julia era apparso reticente ed inoltre si era alterato troppo. Egli sentiva che c’era qualcosa che non quadrava, non era possibile che né lui né Demelza gradissero parlare del vero padre di Julia, anzi quel giorno Ross gli aveva severamente proibito di ritornare sull’argomento. Se quell’uomo era morto, come si era sempre sostenuto, per quale ragione Julia non poteva conoscere neppure il suo nome? Chi era costui, e perché il segreto sulla sua identità doveva essere custodito così gelosamente? E poi c’era  la storia di Trenwith…
“Perché con l’eredità di Armitage tua madre comprò Trenwith e perché è proprio a nome tuo, e non di tua madre o di Ross? Ci hai mai pensato?”
Julia, che nel frattempo si era asciugata le lacrime e sedeva proprio di fronte all’altro, disse che non ci aveva mai riflettuto e che non le sembrava un argomento importante.
Valentine replicò che era assurdo non nutrire un minimo di curiosità per le proprie origini, e che solo scoprendo quella verità avrebbe avuto la definitiva certezza che non vi erano legami di sangue tra loro due.
“Io ti amo davvero, Julia, e non voglio rinunciare a te” – le disse accarezzandole lievemente una guancia. Julia allontanò la sua mano come se fosse stata scottata da un tizzone ardente. “Non voglio che mi tocchi in questo modo, in che lingua devo dirtelo? Non costringermi a dire tutto a mamma e papà, poi vedremo se sarai altrettanto spavaldo e sicuro di te…”
“Fallo, una buona volta! – la sfidò lui – così ci metteremo l’animo in pace, maledizione!” ed uscì sbattendo la porta.
Rimasta sola, Julia meditò su quelle parole che sembravano averla tanto turbata. Da un certo punto di vista Valentine ci aveva visto giusto: non era vero che non avesse alcuna curiosità sul proprio passato, ma si era accontentata di quei frammenti che la madre le aveva consegnato: l’amore con un uomo di passaggio, la cui famiglia non aveva nemmeno mai conosciuto, che era morto prima ancora di sapere che lei fosse incinta. Sapeva che la famiglia Poldark prima e Caroline Penvenen poi l’avevano aiutata durante la gravidanza, Demelza aveva infine conosciuto Hugh Armitage, il quale, sapendo di essere condannato a morte certa a  causa di una grave malattia, aveva compiuto un gesto di estrema generosità, accogliendo Demelza come sposa in casa sua. Julia conservava nella memoria dei vaghissimi ricordi di quell’uomo; immagini di un letto con lenzuola candide e profumate, una voce gentile che le leggeva delle rime prima che si addormentasse, e nient’altro… era troppo piccola quando Hugh era deceduto. Era strano che Armitage, avendo sposato sua madre, non le avesse mai dato il suo cognome. Da quando aveva iniziato le scuole era sempre stata chiamata Julia Poldark e una volta, molti anni prima, Ross le aveva mostrato la pergamena, il suo atto ufficiale di adozione. Lì aveva letto che prima si chiamava Carne come sua madre, non Armitage.
Julia non aveva chiesto altro, anche perché aveva percepito che sua madre avesse molto sofferto in quel periodo. Demelza aveva detto di essere sempre stata innamorata di Ross, non si era pronunciata sui sentimenti provati per l’altro uomo, quello che era suo padre. Aveva sempre affermato che esistono tanti tipi di amore e che, se Ross era stato l’uomo più importante della sua vita, il suo vero grande amore, vi erano state altre forme di affetto da custodire nel suo cuore. Supponeva che questo discorso includesse anche il suo padre biologico. Sua madre era una donna onesta, e se aveva avuto una relazione carnale con un uomo senza essere sposata doveva esserne profondamente innamorata.
Mentre i ragazzi meditavano Ross a sua volta aveva fatto rientro a casa. Smontato da cavallo il piccoletto dai capelli rossi aveva voluto essere preso a cavalcioni sulle sue spalle e Ross si era ritrovato a pensare che non aveva più l’età per fare il padre: viaggiava per i 45 ormai, e la sua schiena non era più quella di una volta. Senza contare la caviglia, che dopo il colpo di baionetta del 1782 in Virginia non era più tornata uguale e gli doleva quando portava dei pesi, come il figlio in braccio. Demelza lo prevenne, domandandogli di Valentine; ma Ross, stampandole un bacio sulla fronte, le rispose di non preoccuparsi, non era nulla di serio e le avrebbe raccontato tutto, con i minimi particolari, una volta a letto.
Valentine, intanto, si era steso supino sul letto e rimuginava. I dubbi che aveva non gli davano pace e l’atteggiamento scostante di Julia nei suoi confronti, la volontà di lasciar perdere tutto e fare finta di nulla non lo aiutavano di certo. Aveva un sospetto che da tempo gli frullava per la testa e decise che doveva arrivare in fondo alla questione, fare delle verifiche; sicuramente c’era chi poteva aiutarlo.
Quando era più piccolo lui e Jeremy avevano inventato un sistema per sgattaiolare fuori di casa senza essere visti: proprio fuori della loro finestra c’era un albero e nonostante fosse un po’ più robusto di corporatura rispetto a quando lo aveva fatto l’ultima volta, Valentine riuscì a saltare dalla finestra aggrappandosi ad un ramo. Con cautela si calò giù e poi corse fuori dalla loro tenuta, verso Sawle. Era l’imbrunire, ma non gli importava: avrebbe interrotto la cena di qualcuno, ma lui quelle risposte le esigeva il prima possibile.
Invano Prudie lo cercò in casa, visto che era ora di mettersi a tavola. Di fronte alle inevitabili domande che si stavano ponendo tutti i commensali Clowance decise che era il caso di riferire ai genitori quanto accaduto in salotto con Julia, ma inaspettatamente quest’ultima la zittì. Disse che aveva avuto una piccola discussione con Valentine a proposito del consumo di alcol, nulla di grave, e lui, come spesso faceva, aveva detto che avrebbe fatto due passi prima di cena perché era molto nervoso. Demelza, Bella ed Henry non ebbero motivo di dubitare di quelle parole. Ross, Clowance e Jeremy, che avevano qualche elemento in più per valutare, guardarono Julia con sospetto, chiedendosi per quale ragione quella ragazza di solito così trasparente dovesse mentire per coprire Valentine. Nessuno però esternò i suoi dubbi, e così la cena si svolse in serenità, tra le battute di Jeremy e le risate dei bambini a farla da padrone.
L’assenza di Valentine impedì ancora una volta a Ross e Demelza di parlare con i figli della malattia della madre. Volevano metterli al corrente senza allarmarli, e parlare con tutti insieme era l’ideale per non preoccupare i più piccoli. Se poi i figli maggiori avessero preteso ulteriori spiegazioni, le avrebbero avute, ma in separata sede.
Valentine tornò a casa dopo due ore di assenza. Demelza e gli altri erano andati a coricarsi; il ragazzo disse a Ross che aveva camminato senza una meta, poi aveva incontrato un amico e avevano fatto una bevuta insieme al pub. Chiese a Prudie di servirgli gli avanzi della cena e concluse scusandosi con il padre per il suo comportamento alla miniera. Gli assicurò che una condotta simile non si sarebbe più ripetuta da parte sua.
Tutto sembrava sistemato e Ross andò a letto più sereno. Demelza non dormiva ancora e si allietò nel sentire che padre e figlio si erano chiariti; pensò che fosse stato uno degli stupidi dissapori che avevano spesso a causa della cocciutaggine di entrambi e che fosse finita lì.
Valentine salì in camera sua ed accese una candela. Trasse fuori dalla giacca un foglio sul quale aveva vergato una serie di date, nomi ed appunti. Il reverendo Thatcher, che era subentrato ad Odgers una decina di anni prima, era rimasto molto meravigliato quando il rampollo Poldark gli aveva chiesto, a quell’ora tarda, di mettere mano ai registri parrocchiali, ma data la buona fama goduta dalla famiglia non aveva avuto motivo di negargli quel favore. Ed il ragazzo aveva avuto le informazioni che gli interessavano, e le aveva tracciate su carta per non dimenticarle.
Non aveva ancora un quadro certo dei fatti, ma il suo sospetto iniziale non pareva più così azzardato. Decise che a Julia non avrebbe detto nulla fino al momento della certezza definitiva sulle sue origini; l’indomani avrebbe cercato di colloquiare con una persona che certamente gli avrebbe potuto fugare ogni dubbio.
  
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