I miei
venti metri quadrati
Capitolo
Quattordicesimo
Criminal
Venni
a sapere giorni dopo che Sofia, la mia oca blu , che se la spassava con Joyce,
era finita col piede nella torta che le avevo lasciato sullo zerbino, mentre
usciva di casa per andare a scuola.
Non
mi arrabbiai. Forse la mia torta di scuse faceva schifo, forse era un veleno.
Forse mi ero risparmiata l’ergastolo e la morte prematura di una ragazza
sulla coscienza.
Una
mattina qualunque di qualche giorno dopo decisi che era ora di andare a dar
fastidio a Joyce. Nonostante mi fossi svegliata nel cuore della notte lo avevo
risparmiato, non gli avevo telefonato nemmeno una volta.
Cominciava
a fare freddo, uscii in strada mettendomi la sciarpa di lana simil-Chanel, che
mia madre aveva sferruzzato a maglia per tutta la settimana, continuava a non
piacerle e a rifarla, finché alla fine a forza di modifiche non
assomigliava più neanche lontanamente a quella prodotta dalla nota casa
di moda.
Ero
abbastanza felice, ormai era natale, mancavano meno di due settimane, il che
voleva dire che mancava meno di un mese al mio compleanno.
Ero
indecisa se essere felice o meno del raggiungimento della maggiore età.
Avrei potuto prendere la patente, ma allo stesso tempo avrei potuto essere
anche perseguibile penalmente. Niente più sparaneve. E forse avrei
dovuto anche rinunciare ai gavettoni di aranciata a pioggia, su Nikka.
No,
sui gavettoni potevo ancora contare, non erano reato. Sparavo.
Non
ci misi molto ad arrivare davanti alla porta di casa Cumoli, mi piegai e presi
la chiave da sotto lo zerbino e la infilai nella toppa.
La porta di casa Cumoli si aprì
svelandone un’impacchetta Rachele ostinatamente contraria al freddo
invernale. Jane alzò appena la testa dal libro su cui stava studiando,
per vederla. Ma la ragazza blu non le diede grande attenzione, bensì
notò molto meglio Joyce e la sua oca Sofia che si stavano sbaciucchiando
appassionatamente appoggiati allo stipite della stanza da letto di Joyce.
Non ci misero molto ad accorgersi di lei, probabilmente
la sua presenza era stata svelata da una folata d’aria particolarmente
gelida.
Sofia si voltò a guardarla rivolgendole
un sorriso raggiante, nell’ultimo periodo non la trattava neanche troppo
male, rispetto ai vecchi standard di antipatia e tortura verso le oche blu.
Anche Joyce le rivolse un sorriso, ma non era
raggiante , non era sibillino, sembrava più un ghigno.
Rachele che nel frattempo era riuscita a
togliersi la giacca senza che nessuno se ne accorgesse si avvicinò con
passo deciso trovandosi alla fine a dividerli, poi guardo Sofia le sorrise e
disse “Niente di personale”.
Poi prese Joyce per il colletto della camicia
(insolitamente sobria) e si alzò sulle punte per dargli un bacio. Senza
allontanarsi ne fare alcunché che potesse permettere a Sofia di
sbalordirsi ulteriormente o dire qualche cosa , roteò sulla punta di un
piede, e se lo portò via, mentre Joyce per nulla perplesso si chiuse la
porta alle spalle. Ed entrambi sparirono in meno di venti secondi.
Sofia si ritrovò nuovamente perplessa
con una porta sbattuta davanti senza aver nulla da dire.
Jane del canto suo non aveva dato
granché peso alla scena , aveva invece continuato a studiare il suo
libro grosso come un elenco telefonico, sottolineandolo con una matita quasi
spuntata.
Dopo un po’ che Sofia stava lì
impalata senza sapere cosa fare la ragazza alzò la testa e si
abbassò gli occhiali da lettura per guardarla meglio.
“Era seria quando diceva che non era
nulla di personale… non ce l’ha con te perché vai con Joyce”
sbuffò con un modo di fare strano, quasi divertito, prima di tornare a
dare attenzione al suo tomo.
“Ma se…” cominciò la
ragazza blu.
Jane fu più veloce, più brava
più esperta, insomma conosceva nei minimi particolari la situazione.
“Se ce l’hai con lei è un
altro conto. Ma ti assicuro che non ne caveresti in ragno dal buco. Forse se lo
merita, forse no. Chi lo sà…”
Sofia rimase come al solito stupita, non erano
solo quei due a essere strani, anche la sorella di Joyce non scherzava. Era
magra, non molto alta e con due lunghe trecce corvine che le ricadevano sul
petto, aveva un’aria studiosamente trasandata e la matita in bocca mentre
guardava con interesse il suo libro.
Sofia raspò un poco nella borsa e vi
estrasse un bigliettino colorato che poi mise tra il viso di Jane e la sua
lettura.
“Cos’è?” chiese lei
sobbalzando, senza neanche darsi il tempo di leggere.
“E’ una festa. Nikka l’ha
chiamata Criminal. Mi sembra carina,
mi chiedevo se tu ed Emily voleste venire” disse con aria un po’
intimorita e dolce. Jane ridacchiò, era così carina che avrebbe
voluto adottarla.
“Potremmo venire, che roba
è?” si informò.
“E’ una specie di festa in tema guardie e ladri… gli inviti li ho
avuti da Millie” concluse con una smorfia, a volte per divertirsi
bisognava ascendere a patti col nemico.
Jane si grattò il mento “Credo
che a Emily potrebbe piacere. È il suo genere di follia, crede sempre di
poter adescare un qualche ricco milionario americano a queste feste in simil
maschera. Non ho mai avuto il cuore di dirle che è seriamente
improbabile… credo ci saremo”
Sofia si dondolò ancora sui piedi, e la
ragazza non disse nulla immaginando che fosse lei a voler parlare a qual punto.
“Avrei voluto chiedere anche a
Rachele… ma non credo che voglia venire a una festa di Nikka… o
almeno non venirci con l’invito. Di solito si imbosca a quanto ne
so” disse senza guardarla, e roteando gli occhi da un ragno in uno
spigolo al barattolo che conteneva le erbe per le tisane.
Jane alzò le spalle “Glielo
chiedo io, mi deve un favore, qualche giorno fa si è trangugiata una mia
intera millefoglie che mi ero preparata per colazione, e mi è toccato
mangiare un toast coi sottaceti. Perbacco che schifo! Chissà chi
è che li compra quei cosi odiosi che impestano il frigo, sono
davvero…”
Sofia lasciò la ragazza con le trecce
al suo monologo contro i sottaceti, e uscì silenziosamente senza essere
notata.
Mei si grattò la tempia, entrando nel
parco cittadino camminando un po’ storto. Quella maschera gli dava
fastidio, tra l’altro gli cadeva sempre sugli occhi e non vedeva
più nulla. Si sentiva un po’ spaesato c’era un capannello di
gente che attorniava un bar in vimini e beveva alcolici, non vide nessuno che
conoscesse, a parte una ragazza pallida che era in classe con lui, ma con cui
non parlava mai. Di Joyce, Rachele, Nikka , Vanessa, Millie e delle oche blu
neanche l’ombra.
Non capiva in che razza di festa fosse
capitato. Il parco era pieno e c’era un sacco di gente che si muoveva sul
prato o si imboscava dietro ai cespugli.
Conosceva quel posto, suo padre ce lo portava
sempre da piccolo.
Decise di andarsi a sedere. Non è che
avesse molto da fare in quel momento, anche perché probabilmente se al
bar ambulante avesse chiesto un’aranciata si sarebbe fatto ridere dietro.
Si andò a mettere su un muretto in mattoni rossi per gran parte coperto
di edera, e un po’ rovinato dal tempo, doveva essere vecchio. Suo padre
aveva detto che c’era già quando lui era piccolo. Probabilmente
l’avevano costruito poco dopo la seconda guerra mondiale.
Rimase seduto guardandosi in giro. Si appoggiò
con le braccia al bordo dietro del muretto dondolandosi un po’ guardando
in alto, le gambe erano un poco piegate. Era buffo, poco prima si sentiva
troppo alto per passare inosservato. Non si era mai chiesto come aveva fatto a
passare inosservato a così tanta gente dall’alto del suo metro e
ottantacinque.
E infatti quella sera non successe, non aveva
ancora iniziato a sentire freddo al sedere che una ragazza bionda tinta
ancheggiò verso di lui.
“Ciao” disse con aria gentile,
tenendo le gambe strette e piegandosi un po’ da una parte come se fosse
una bambina. “Posso sedermi
?” chiese gentile stringendo il bicchiere usa e getta che aveva in mano.
Mei sembrò perplesso per la domanda e
ci mise qualche secondo a realizzare la situazione “Oh, sì …
certo,puoi sederti” aveva risposto infine, alla ragazza che portava un
cappello blu molto simile a quello delle forze dell’ordine.
Mei tornò a farsi i fatti suoi.
Alzò nuovamente gli occhi alla ricerca dell’orsa maggiore. In
realtà in astronomia non era ferratissimo. Cioè, se si parlava di
teoria si era grandemente informato in uno dei suoi interminabili pomeriggi di
solitudine, ma se bisognava cercare stelle realmente in cielo la situazione si
faceva leggermente più complicata.
Era ancora perso nel disquisire tra astronomia
teorica e pratica che la ragazza bionda parlò di nuovo.
“Come ti chiami?” . Probabilmente
non aveva alcuna intenzione di sedersi soltanto come aveva innocentemente
pensato Mei.
“Mei” rispose lui stupito,
navigava ancora dei meandri dell’innocenza nei quali l’arte
dell’abbordaggio era ancora sconosciuta.
Lei sorrise, non era una di quelle ragazze
fatali e intraprendenti, e non era neanche Nikka. Mei in un momento di pura
adolescenza pensò che forse quella ragazza potesse essere alla sua
portata.
“Io sono Elena” disse lei con un
sorriso “Non ti ho mai visto, sei della scuola?” chiese nel
disperato tentativo di fare conversazione.
“Me lo dicono spesso. Comunque
sì, sono della scuola” rispose lui con un sorriso dolce. Forse
avrebbe anche potuto parlarci con quella ragazza.
“E’ strano” continuò lei, come per dire che
Mei non era uno che poteva passare inosservato.
E a lui fece infinitamente piacere.
“Perché è strano?”
chiese. Se la ragazza voleva fare conversazione allora avrebbero fatto
conversazione.
Elena ebbe un sussulto, probabilmente
pensò di essersi messa ai ferri corti da sola.
“Beh, ecco perché mi sembra
che tu non sia una persona che passa inosservata”blaterò senza
chiarire nessun quesito. Mei ridacchiò.
“Vuoi?” chiese lei cercando di spostare
l’attenzione dalla sua risposta al bicchiere che teneva in mano.
“Oh, no grazie” declinò lui
con un sorriso tirato. Al 99,9% era possibile che il contenuto del bicchiere
fosse alcolico.
“Non ti piace la vodka alla
pesca?” chiese lei guardando dentro al bicchiere come per controllare che
non ci fosse un insetto morto.
“Non simpatizzo” affermò
annuendo, e la maschera gli cascò un poco. Lei annuì, e lui
preferì non specificare che non simpatizzava per nulla di lontanamente
alcolico. Non gli stavano neanche tanto simpatici i babà.
“Allora tu da chi verrai acchiappato a
mezza notte?” chiese lei ritrovando l’entusiasmo. Mei la
guardò stralunato. Chi
è che doveva acchiappare chi?
Si avvicinò un poco al viso della
ragazza e disse piano “Eh?”
Elena lo guardò perplessa poi rise.
“Non hai mai giocato a guardie e
ladri?”
Mei boccheggiò, a dire il vero no, ma
sapeva che era un gioco per bambini ed era consapevole del fatto di avere una
maschera in volto. Come ladro non era credibile, ma come cliché non era
male. Anche se forse una maschera del genere faceva più Zorro. Ma
preferì non raccontare tutto alla ragazza bionda che gli stava davanti.
Fece una risatina che avrebbe dovuto essere
disinvolta ma che probabilmente non lo fu e disse “Certo che lo so che
cos’è, i poliziotti inseguono i ladri no?”. Elena sembro
rincuorata. Fece un sospiro, si era avvicinata al ragazzo mai visto
perché le sembrava carino, ma era un pochino strano. A partire dal fatto
che non aveva fatto una piega quando lei gli aveva chiesto di sedersi accanto a
lui. O almeno, l’aveva bellamente ignorata. E si era rimesso col naso
all’insù a guardare chissà cosa, e a quel punto sembrava
cadere dalle nuvole mentre parlavano di guardie e ladri.
Era ovvio che non era un gioco per bambini ,
ma una scusa idiota per imboscarsi. Si chiese se non fosse meglio desistere, e
andare dal più volgare Palotti , lui almeno aveva i piedi per terra, e
poi tempo prima avevano avuto una specie di storia più o meno.
“Quindi, chi vuoi che ti
acchiappi?” continuò.
“Beh” fece una pausa che a Elena
sembrò maliziosa, ma era solo un momento di indecisione “Non lo
so” aggiunse avvicinandosi un po’.
“Potrei acchiapparti io se vuoi”
disse lei mordendosi un po’ le labbra. Una spia rossa si accese nel suo
cervello. Bene, probabilmente quello era uno dei momenti che Nikka stava da
tempo aspettando. La sua entrata in società! Con tanto di flirt con
… con… ah sì, Elena.
Mei strizzò gli occhi e disse un
po’ titubante “Se vuoi” . Elena sorrise e si alzò
lentamente.
“Allora a dopo , Mei” fece
lanciandogli un bacio. Mei fece un sorrisetto un po’ teso e la
salutò con la mano.
E adesso che doveva fare? No era sicuro di
quello che stava provando. Era impaccio, era esaltazione.
Quando quella ragazza gli aveva chiesto se
poteva sedersi accanto a lui, lui non aveva certo pensato che ci volesse
provare con lui… e invece…
Era la prima volta che una ragazza ci provava
con lui. A parte Vanessa e Millie vestite da odalische che non erano proprio il
massimo. E Nikka che lo aveva baciato, ma non era esattamente la stessa cosa.
Per lei era più un oggetto.
E indiscutibilmente a lui piaceva da morire.
Oh, e che cavolo! L’aveva detto ad alta
voce, finalmente. Anzi, pensato ad alta voce. Sospirò. Forse sarebbe
stato decisamente più felice se quell’Elena fosse stata
l’imperscrutabile ed esaltata Nikka.
Sospirò e mise le mani a coppa per poi
appoggiarci il mento. E sbuffò quando la sua maschera difettosa gli
scivolò sul naso.
Si chiese cosa poteva fare con quella ragazza.
Sicuramente Nikka avrebbe apprezzato la sua prima conquista. Conquista? Forse
non era proprio una conquista , dato che aveva fatto tutto da sola. Forse
avrebbe solo dovuto lasciar andare gli ormoni e stare tranquillo, ma
decisamente non era il suo campo. Essere baldanzoso era più una caratteristica
intrinseca di Joyce. Ecco, si chiese cosa avrebbe fatto Joyce al suo posto. E
proprio in quel momento passò un impellicciato e mascherato Joyce che
tubava con una ragazza blu. Più bassa di sua sorella, con i pantaloni da
centro commerciale e il sedere un po’ piatto. E decisamente meno ostile
nei confronti dell’impellicciato. Storse il naso, mentre i due si
imboscavano dietro a un cespuglio. Mei sbatté qualche volta le palpebre
e resistette all’impulso di seguirli, pensando che probabilmente avevano
da fare cose private. Si alzò e si avviò nel buio del parco con
l’intento di perdersi.
Sofia trascinò Joyce dentro il
cespuglio tirandolo per i bordi del pellicciotto arancione e gli stampò
un bacio sulle labbra, mentre lui l’abbracciava e la stringeva a
sé.
Le passò una mano tra i capelli, era
bellissimo quel blu elettrico. Gli venne da ridere pensando che indirettamente
l’aveva scelto lui.
Sofia si alzò sulle punte passandogli
le labbra sugli occhi, Joyce scese lentamente sedendosi sul prato invernale,
con la ragazza blu in braccio.
Aveva la schiena bollente, tutto il contrario
delle sue mani. Era decisamente freddo, ormai era Natale. Sofia gli diede un
altro bacio a palpebre serrate, Joyce seguì il suo esempio, a occhi
chiusi era tutto molto meglio era come se non fossero lì, era come se
non fosse lei.
Ma probabilmente lei non la pensava
così, perché si allontanò abbastanza da poterlo guardare
bene, e Joyce si sentì costretto a seguire il suo esempio.
Lei, ancora seduta sulle sue gambe lo guardava
con aria stralunata. E disse quello che lui non avrebbe mai voluto sentirsi
chiedere.
“Tu mi ami?”. Joyce sentì
il respiro fermarsi a metà della trachea, e tornare su. Si può
vomitare un respiro? Evidentemente sì. Forse fece una smorfia,
involontaria, senza accorgersene. Non aveva intenzione di ferirla, ma neanche
di prenderla in giro.
“Sei sicura di volerlo sapere?”
domandò infine guardingo. Sofia sapeva già la risposta alla sua
domanda. Ma come si suol dire , la
speranza è l’ultima a morire. Bene, e allora che la speranza
era morata cosa rimaneva da fare?
Joyce vide lo sguardo di Sofia incupirsi ed
abbassasi, mentre appoggiava la testa alla sua spalla. Il cappello da guardia
scivolò stancamente per terra sul terriccio. Joyce le guardò i
capelli, dato che erano l’unica cosa visibile dalla sua posizione.
Sospirò, in un sol colpo aveva fatto star male una ragazza e perso uno
dei suoi passatempi migliori. Dondolò un po’ il ginocchio mentre
Sofia rimaneva immobile seduta in braccio a lui, con il viso sprofondato nel
suo petto.
Si sentiva maledettamente in colpa. E a qual
punto rimaneva solo una cosa da fare : ricucire i tagli, senza stringere
troppo.
“Sofia…” sussurrò
“ti va un panino? Ce ne andiamo di qui e facciamo una
passeggiata…”.
Sofia si raddrizzò e lo guardò
asciugandosi lacrime immaginarie. Poi annuì.
Furono visti pochi minuti dopo dalla mandria
di guardie in attesa dello scoccare della mezzanotte, dirigersi verso il centro
storico, mano nella mano.
La ragazza del bar guardava perplessa quel
capannello di ragazzi con i capelli da poliziotto. Non le era ben chiaro il
senso di quella pagliacciata, in particolare a gestire i giochi c’era una
ragazza tonda e mora decisamente poco attraente che rispondeva al nome
leziosissimo di Millie.
Alzò le spalle e si disse che se si
divertivano così potevano fare, l’importante era che la pagassero.
Nikka aveva distribuito cappellini e
mascherine tutto il giorno. La sua festa Criminal doveva essere un colpo di
genio, e invece perché era così tesa. Si mordicchiò le unghie.
Non era una cosa affatto elegante, si disse, ma era decisamente nervosa. Aveva
dato la tua mascherina a Mei? E lui era venuto? Si era trovato un ragazza? Si
era già imboscato con qualcuna?
No, conoscendo Mei sicuramente no.
Chissà se qualcuno l’aveva
puntato. Qualcuno a parte Vanessa che era esaltatissima all’idea di
partecipare. No, Vanessa era una ladra, era già sparita.
Scorse lo sguardo sulla folle di liceali, e
scorse Pallotti inguaiato da guardia. L’aveva fatto apposta, in modo che
non potesse provarci con lei in modo legale. Non avrebbe potuto palpeggiarla
con la scusa di doverla acchiappare in quanto ladra.
Il premio in palio per chi portava alla base
più ladri era un walkman. La base era costituita da una scocciatissima
Millie con megafono incorporato, che si ritrovò finalmente a fare il
conto alla rovescia.
Nikka si guardò ancora in giro. Joyce
non c’era , l’aveva visto allontanarsi con una delle oche blu,
(forse non era gay allora) ma la cosa non le interessava granché. Se
conosceva bene Rachele Pavesi si era accaparrata una maschera da ladra, e in
qual momento se ne andava in giro per il parco fumando. Le sorelle Cumoli
cinguettavano allegramente tra la folla mentre Millie urlava dieci.
C’erano le pettegole con i loro
cappellini da guardie, quella sera sarebbe stata ghiotta di pettegolezzi, ne
erano sicure.
sette…
C’era anche una ragazza bionda con le
sue amiche che chiacchierava riguardo a un tipo timido, con cui quella sera
aveva una specie di appuntamento combinato. Si chiamava Elena se non si
sbagliava.
Cinque…
Spuntò dal nulla Alberto. “Nikka,
anche tu sei qui? Allora come faccio ad acchiapparti se sei una guardia anche
tu?”. Nikka gli diede un bacio accanto alle labbra.
“Mi sa che ho sbagliato! Con tutte
queste maschere e cappelli” fece una risatina maliziosa.
Tre…
“Ci vediamo dietro al vecchio bar”
gli sussurrò all’orecchio facendolo sorridere. Alberto la prese
per mano e le sorrise strizzandole l’occhio, mentre si allontanava nella
folla.
Due…
Alberto sparì e Nikka rimase sola nel
caos con tutti che spingevano come se fosse stata una corsa alle olimpiadi.
Uno…
Nikka si sistemò il cappello sulla
testa chiedendosi ancora dove si fosse cacciato Mei. Come ladro di sicuro non
era un granché.
“Via!” decretò Millie
decisamente mal disposta dal fatto di non poter partecipare, nessuno si
interessò al suo disappunto e tutti partirono e corsero a perdersi per
il parco, Nikka s’incamminò lentamente verso il bar. Vanessa correva facendo urletti eccitati
per attirare l’attenzione. Ovviamente tutti la evitarono come la peste.
Si chiedeva perché diamine organizzava
quelle feste. Tanto lei non aveva bisogno di tutto quello per trovare un
ragazzo, o un passatempo per una sera. Bastava che lo volesse e si trovava
qualcuno. Anche quando non lo cercava,
come era successo ad esempio con Alberto. Le era capitato tra capo e
collo senza che lo avesse chiesto.
Ed era simpatico, si certo. Era un signore.
Aveva classe. Era intelligente. E
allora perché era scocciata?
Non ebbe il tempo di rispondersi, perché
qualche cosa la trascinò dietro una vecchia colonna degli anni
cinquanta. Nikka finì addosso ad Alberto che l’aveva tirata ed
entrambi finirono per terra. Alberto si mise a ridere e le stampò un
bacio sulle labbra.
Non molto più lontano un ragazzo biondo
e smilzo aveva acchiappato una ragazza blu vestita di nero. Lei sorrideva
mentre si sedevano sul davanzale di pietra che dava sulla fontana. La notte era
illuminata, ma loro le davano la schiena.
“Come ti chiami?” aveva chiesto
lui che non era sicuro di averla già vista a scuola. Rachele sorrise
ancora stringendo la bottiglia di vodka per il collo.
“Cosa ti importa?” chiese lei
avvicinando il volto mascherato a quello del ragazzo “Ti basti che ho
portato da bere”.
Il biondo sorrise e la strinse a sé. Oh,
quella doveva essere sicuramente
Ridacchiò. Voleva dire che quella sera
avrebbe potuto godere delle grazie della Pavesi. Altro che
quell’impellicciato che girava con lei, ma gli piacevano gli uomini!
Poi Rachele gli diede un bacio, e lui decise
che pensare a Joyce era una perdita di tempo, finché era in simile
compagnia.
Poco più sotto stava Mei perplesso, che
camminava avanti e indietro vicino alla fontana. Non aveva neanche notato sua
sorella indaffarata in faccende poco raccomandate dalla Sacra Rota.
Che doveva fare? La sua presenza lì
sembrava una presa in giro! E chi se ne fregava se Nikka voleva che lui avesse
successo con le ragazze. Non era sicuro di voler baciare o fare altro con
quella ragazza. Era carina, sì era decisamente carina, ma non è
che gliene fregasse granché.
Si sentiva un po’ come quelle ragazzine
che aspettano il principe azzurro, e non come il ragazzo sfigato che non
aspetta LA ragazza, ma una ragazza, una qualunque.
Lui avrebbe potuto benissimo accontentarsi di
una ragazza carina qualunque. Insomma, non gli sembrava che Joyce e Pallotti si
facessero tanti problemi a scegliersi la ragazza con cui spassarsela una sera!!
I suoi pensieri furono interrotti da un
“Preso!” e da due dita puntate sulla nuca che dovevano stare a
sostituire una pistola. Di tutta la risposta la sua mascherina cedette e gli
cadde sul naso.
“Girati lentamente con le mani in
alto!” ordinò lei ridacchiando. Mei accecato dalla sua stessa
maschera alzò le braccia e sbuffò stancamente prima di voltarsi
verso di lei.
Lei scoppiò a ridere più forte
di prima e gli spostò la maschera mettendogliela sulla testa, per
poterlo vedere meglio.
Mise le labbra a cuore e piegò la testa
mentre Mei che non aveva idea di che stato d’animo avere rimaneva fermo a
mani in alto.
Elena sembrò pensierosa “Sei
carino anche senza maschera” fu il verdetto. Ecco, cosa si dice a una
ragazza che ti fa un complimento? Bisogna scherzarci su? Bisognava ricambiare?
Nikka non glielo aveva mai detto.
“Grazie” disse infine con un mezzo
sorriso. Mei avrebbe solo detto grazie. E Mei non era decisamente Nikka. Ed era
solo colpa di Nikka se ora era lì con una tipa mai vista che non aveva
l’aria di voler fare una chiacchierata.
“Hai preso qualche cosa da bere?”
chiese lei. Mei alzò le spalle e abbassò le mani.
“No”
“Tu non ami bere, vero?” concluse
lei prendendolo per mano, mentre insieme si avviavano del parco.
“Mi accontento
dell’acqua…” rispose lui guardandola dall’alto. Era
decisamente più bassa di lui, non bassa come Nikka, ma di sicuro
più bassa di Rachele.
Era surreale, non aveva mai avuto un inconto
ravvicinato del genere con una donna che non fosse stata sua sorella, sua madre
o Nikka.
Elena chiacchierava, stava quasi parlando da
sola, mentre Mei si era perso nei suoi pensieri, era indeciso. Cosa fare?
Scappare? Parlare con lei? Non sembrava avere bisogno di lui per mandare avanti
la conversazione.
Mei le strinse la mano,
l’avvicinò a sé e le diede un bacio, chiudendo gli occhi e
senza respirare, tirandosela di forza addosso. Elena scambiò il tutto per un
impeto di passione, e non per il sacrificio clinico che si fa prendendo una
medicina.
Per Mei fu più o meno così. Non
poteva essere così orribile baciare una ragazza che non fosse Nikka. Era
la prova nel nove, così alla fine decise anche di respirare, e le cose
andarono meglio. Non era nulla di esaltante, ma non era neanche così
terribile. Più che altro la sensazione fu di calore umido. Non di
più , non di meno.
Elena gli sorrideva addosso e lo abbracciava.
E forse era andato tutto bene.
Altrettanto bene non era andato per qualcun
altro, che appena all’inizio della serata se ne stava già tornando
a casa, anche perché fuori non c’era più molto da fare.
“Sai” disse Joyce dopo un
po’ di tempo che camminavano per mano in un vicoletto poco illuminato
“tu lo potresti trovare un ragazzo che ti ama…”
Sofia alzò gli occhi dalle scarpe,
dove erano puntati “… e che non ti usa…”aggiunse
alzando un sopracciglio, alludendo a sé stesso. Sofia capì benissimo
l’allusione, salendo i tre gradini che sopraelevavano l’entrata del
suo condominio dalla strada.
“Se solo evitassi di cercare di emulare
qualcun altro. Per esempio con dei capelli blu”continuò, facendola
sussultare. Le faceva male, ma sapeva che non lo stava facendo per cattiveria e
che era tristemente vero, che lui l’aveva usata, che lei emulava Rachele
e che entrambe erano cose stupide.
Non ebbe nulla di ribattere quindi disse
semplicemente “Grazie per il panino”.
Joyce sorrise avviandosi per la stradina male
illuminata “E’ stato un piacere cara…”.
La ragazzina blu rovistò nella borsa e
ne estrasse la chiave di casa, poi gli venne in mente qualche cosa e si
rigirò a guardare l’amico arancione. Ormai era quasi arrivato alla
fine della strada.
“Joyce!”
Il ragazzo interessato si voltò verso
di lei perplesso, non si aspettava che avesse qualche cosa da dirgli ancora,
forse voleva insultarlo per averla usata, e per essersi esplicitamente
imboscato con Rachele davanti ai suoi occhi, e invece “Spiegami come va
tra te e Rachele” chiese. Joyce sbatté le palpebre stupito per la
domanda che di certo non si aspettava gli porgessero. Non gliela aveva mai
posta nessuno, così finì per rispondere nell’unico modo
possibile “Va esattamente come hai visto questa mattina”
Sofia fece una smorfia “E’ una
cosa un po’ confusa” ammise. Joyce incredibilmente serio rispose
soltanto “Infatti è esattamente così” .
Le regalò un ultimo sorriso poi
girò definitivamente i tacchi diretto al parchetto cittadino.
Quando arrivò il walkman era già
stato vinto da un tizio brufoloso che non era riuscito ad acchiappare nessun
altro che Vanessa, e non aveva perso tempo ad imboscarsi con lei. Erano
l’unica coppia ritornata, gli altri erano indaffarati in altre faccende,
evidentemente.
“Ma questo non è veramente un
gioco a premi!” strillava Vanessa disperata “Le coppiette
dovrebbero imboscarsi!!”
“Non mi imboscherei con te neanche se mi
pagassero!” rispose lui, che probabilmente non era un gentiluomo.
Joyce passò avanti ridacchiando,
lasciando Millie a separarli, mentre Vanessa cercava di picchiare il tipo
brufoloso.
Vide Nikka e Alberto sbaciucchiarsi dietro a
una colonna del vecchio bar, entrambi con il cappello da guardia in testa. Alla
faccia delle regole, anche le guardie si divertivano!
Ridacchiò passando avanti e si
inciampò prontamente in qualche cosa che poi si dimostrò essere
un groviglio indistinto tra sua sorella Jane e un tizio con gli occhiali che
non aveva mai visto.
“Hai visto Emily?” chiese Joyce
completamente a suo agio. Di solito la situazione avveniva al contrario, ma in
famiglia non si preoccupavano molto di certe cose.
“Sarà andata a cercarsi un marito
ricco!” sbottò Jane sperando che suo fratello la lasciasse in
pace.
“Niente di più facile”
ribadì lui andandosene e lasciandoli soli.
Poco lontano da lì Elena non voleva saperne di lasciar andare Mei, a
lui non dispiaceva la situazione, non è che si fosse abituato, ma non
è che gli facesse del tutto schifo. Si sentiva una persona normale, era
contento , erano baci disinteressati.
Ecco, e se quell’Elena si fosse presa
sentimentalmente? Non ci aveva pensato! E adesso che fare? Ancora panico ed ansia
immotivata mentre Elena lo stringeva sempre più forte.
Poi la libertà arrivò più
che inaspettata. Elena fece un sorrisetto.
“Scusa è poco romantico… ma
devo andare in bagno…” ammise tra il malizioso e il vergognoso.
Mei non trovò nulla di malizioso nei
bisogni fisiologici, ma comunque sorrise e le indicò la strada
più breve per arrivare al
bagno pubblico. Elena si staccò da lui e sparì nel buio dopo
avergli fatto promettere che sarebbe rimasto lì immobile.
Mei si appoggiò al muro pieno di
muschio che gli stava alle spalle. Sospirò. Non aveva idea di quello che
avrebbe dovuto fare. Si chiese perché non si poteva comportare come
tutti, senza pensare per una volta alle conseguenze. Era ovvio che tutto
ciò fosse impraticabile. Ed era davvero buio, e tra l’altro la
mascherina continuava a cadergli sul naso.
Non passò molto tempo che sentì
uno scalpitio, Elena era già tornata?
Ma non fece in tempo a fare niente
perché un altro bacio lo azzittì definitivamente. Si sentì
stringere, mentre la ragazza (sì, sì era una ragazza!!) lo tirava
giù al suo livello, era troppo alto per lei, da in piedi.
e… beh… ci mise un po’, ma
il profumo era inconfondibile. Nikka, Nikka,Nikka,Nikka,Nikka… !!
Se fino ad allora era stato amorfo,
probabilmente gli venne un accidente e gli sembrò che gli avessero
rovesciato addosso qualche cosa di estremamente bollente.
“Nikka?” disse senza fiato. E lei
si stacco da lui allontanandosi di diversi passi,con lo scatto di chi ha appena
visto un fantasma.
“MEI!” disse lei.
“NIKKA!!” ripeté lui.
“Ma tu non sei Alberto!”
strillò. Mei si guardò in giro come a dire al pubblico: l’avete visto tutti! Io non ho fatto niente! È colpa sua!!
“AH…ah…” Nikka era
evidentemente imbarazzata “Ero andata a cercare Alberto, che era andato a
prendere da bere, la maschera e i buio… mi sono confusa, pensavo che
fossi Alberto!”.
Mei aveva il fiatone e Nikka gli occhi
sbarrati.
“Facciamo finta che non sia successo
nulla!” fece con voce più stridula del solito, Mei non la vide
mentre se ne andava perché gli cadde di nuovo la maschera da ladro sugli
occhi.
Joyce, che si stava elegantemente svuotando la
vescica dietro a cespuglio di bacche secco, sbadigliò e al termine della
scena ebbe solo da dire, non visto un giustificatissimo “Mah”.
Non ebbe il tempo di dire altro anche perché qualche cosa di non troppo pesante, ma
anche non troppo leggero gli finì addosso ed entrambi caddero per terra
tra i rami secchi e il terriccio, entrambi urlando come due indemoniati.
“Maniaco!” urlò Elena che
si era trovata a stare seduta sulla sua schiena, e a colpirlo con la borsetta.
“Non ti vergogni a girare nudo il un
parco pubblico?!!”
“Ma io stavo facendo la
pipì!” piagnucolava il povero irlandese tra i rovi e il terriccio.
Dopo un po’ di sputi, pugni e calci
finalmente la ragazza bionda si decise a lasciare agonizzante Joyce nel suo
cespuglio e a tornare dal suo ladro.
Il suo ladro però non sembrava stare
molto bene, dato che quando lei si avvicinò per dargli un altro bacio
lui si scansò bruscamente, blaterando scuse idiote sul fatto che dovesse
assolutamente andare a casa.
Aveva lasciato il gas aperto, il nonno chiuso
in cantina, la mamma addormentata sulla pentola a pressione, il gatto che si
voleva mangiare il canarino.
E scappò così praticamente di
corsa con quella stupida mascherina da ladro in tasca.
Elena lasciò cadere la borsa per terra
e si disse che avrebbe dovuto abbordare Pallotti che era di sicuro una persona
molto più rozza ma anche più normale.
Si voltò presa dall’impulso di
menar le mani, ma Joyce se l’era già data a gambe fiutando il
pericolo.
Ero
da sola a guardare la luna piena quando sentii dei passi che si avvicinavano
alla mia panchina.
Appoggiai
la bottiglia di vodka vuota accanto a me.
Joyce
si lasciò cadere stancamente vicino a me con le mani in tasca. “Hai fatto baldoria sta
sera?” chiese occhieggiando la bottiglia. Grugnii. “Bah, un idiota
se l’è scolata tutta e poi si è addormentato!”
Joyce
fece una risatina “Allora non sono l’unico ad essere andato in
bianco sta sera!!”
Non
lo guardai e mi concentrai sulla luna , che da quasi piena illuminava quasi a
giorno il parco.
Ormai
tutti se ne erano andati a casa, o in una camera a ore, ma comunque a
tergiversare nel prato erano rimasti in pochi a parte noi.
“Sai,
credo che a Nikka piaccia tuo fratello…” disse poi Joyce. Irrigidii
la mascella e assottigliai gli occhi, rimanendo senza guardarlo. “E credo
che anche a Mei non dispiaccia Nikka”
Infine
sbuffai e mi decisi a guardarlo in faccia “Le cattive notizie non vengono
mai da sole eh?”
Joyce
sembrò divertito e alzò le spalle.
Mi
alzai “ Andiamo a casa che domani devo andare a sistemare il gabinetto
della Spagnola!”. Mi seguì trotterellando allegro, mentre io mi
toglievo la maschera e me la mettevo in tasca.
Ed eccoci giunti al
quattordicesimo capitolo!!! Ringrazio tantissimo le quattordici persone che
hanno inserito la storia tra i preferiti, e le otto che l’hanno messa tra
le seguite. Infine ovviamente anche chi ha commentato:Suni(Beh, che si sposino
non credo, magari però qualche cosa d’altro…e per Nikka stai
tranquilla nessuno mi ha ancora detto che gli sta simpatica!!), Lidiuz93(Oh, ti
ringrazio per la tua perseveranza, i tuoi commenti sono sempre puntualissimi..
*.*),DiraReal (*.* grazie mille!! E’ bello sentirselo dire!!) e Novembre(
Mei è un po’ pirla, ma poi prima o poi ce la farà a
concludere qualche cosa!!! Speriamo!!).
Faccio notare una cosa:
tempo fa avevo detto che Mei e Rachele erano nati lo stesso anno ma non erano
gemelli. La questione dell’età in questa storia però non mi
ha dato pace, quindi ho deciso che Rachele è nata nel gennaio
dell’anno dopo rispetto a Mei. Quindi ha un anno in meno di tutti gli
altri, ma ha fatto la primina, quindi anche se ha diciassette anni è al
quinto anno di superiori come tutti gli altri personaggi! E’ per questo
che in questo capitolo dice che a gennaio arriverà alla maggiore
età!!
Grazie a tutti per
avermi sopportato, vi devo avvisare, come ho scritto sulla mia pagina, che sono
molto impegnata con una storia inedita a quattro mani e come se non bastasse mi
è anche venuto male a una mano, quindi gli aggiornamenti andranno un
po’ a rilento! Prometto che mi impegnerò!!
Un Bacio a tutti!!
AKi_Penn