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Autore: aki_penn    08/09/2009    5 recensioni
Si è sempre parlato di gente "sfigata" che vuole diventare bella ricca e famosa, ma a nessuno è mai interessato se qualcuno sta bene nel suo bozzolo da nerd con una catenella da gabinetto attaccata alla porta? Beh, mio fratello stava bene così. E finchè se ne è stato nel suo piccolo paradiso di 20 metri quadrati nessuno ha mai avuto da ridire (a parte mia madre ovviamente), ma poi è arrivata quella tipa , ed è cambiato tutto, a partire dalla catenella del wc,e a finire col cercare di farlo diventare una specie di latin lover! E io sapevo che avrebbe portato guai, io lo sapevo, ma figurati se qualcuno mi ascolta mai in questa famiglia!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei venti metri quadrati' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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I miei venti metri quadrati

Capitolo Quattordicesimo

Criminal

 

 

 

 

Venni a sapere giorni dopo che Sofia, la mia oca blu , che se la spassava con Joyce, era finita col piede nella torta che le avevo lasciato sullo zerbino, mentre usciva di casa per andare a scuola.

Non mi arrabbiai. Forse la mia torta di scuse faceva schifo, forse era un veleno. Forse mi ero risparmiata l’ergastolo e la morte prematura di una ragazza sulla coscienza.

Una mattina qualunque di qualche giorno dopo decisi che era ora di andare a dar fastidio a Joyce. Nonostante mi fossi svegliata nel cuore della notte lo avevo risparmiato, non gli avevo telefonato nemmeno una volta.

Cominciava a fare freddo, uscii in strada mettendomi la sciarpa di lana simil-Chanel, che mia madre aveva sferruzzato a maglia per tutta la settimana, continuava a non piacerle e a rifarla, finché alla fine a forza di modifiche non assomigliava più neanche lontanamente a quella prodotta dalla nota casa di moda.

Ero abbastanza felice, ormai era natale, mancavano meno di due settimane, il che voleva dire che mancava meno di un mese al mio compleanno.

Ero indecisa se essere felice o meno del raggiungimento della maggiore età. Avrei potuto prendere la patente, ma allo stesso tempo avrei potuto essere anche perseguibile penalmente. Niente più sparaneve. E forse avrei dovuto anche rinunciare ai gavettoni di aranciata a pioggia, su Nikka.

No, sui gavettoni potevo ancora contare, non erano reato. Sparavo.

Non ci misi molto ad arrivare davanti alla porta di casa Cumoli, mi piegai e presi la chiave da sotto lo zerbino e la infilai nella toppa.

 

 

La porta di casa Cumoli si aprì svelandone un’impacchetta Rachele ostinatamente contraria al freddo invernale. Jane alzò appena la testa dal libro su cui stava studiando, per vederla. Ma la ragazza blu non le diede grande attenzione, bensì notò molto meglio Joyce e la sua oca Sofia che si stavano sbaciucchiando appassionatamente appoggiati allo stipite della stanza da letto di Joyce.

Non ci misero  molto ad accorgersi di lei, probabilmente la sua presenza era stata svelata da una folata d’aria particolarmente gelida.

Sofia si voltò a guardarla rivolgendole un sorriso raggiante, nell’ultimo periodo non la trattava neanche troppo male, rispetto ai vecchi standard di antipatia e tortura verso le oche blu.

Anche Joyce le rivolse un sorriso, ma non era raggiante , non era sibillino, sembrava più un ghigno.

Rachele che nel frattempo era riuscita a togliersi la giacca senza che nessuno se ne accorgesse si avvicinò con passo deciso trovandosi alla fine a dividerli, poi guardo Sofia le sorrise e disse “Niente di personale”.

Poi prese Joyce per il colletto della camicia (insolitamente sobria) e si alzò sulle punte per dargli un bacio. Senza allontanarsi ne fare alcunché che potesse permettere a Sofia di sbalordirsi ulteriormente o dire qualche cosa , roteò sulla punta di un piede, e se lo portò via, mentre Joyce per nulla perplesso si chiuse la porta alle spalle. Ed entrambi sparirono in meno di venti secondi.

Sofia si ritrovò nuovamente perplessa con una porta sbattuta davanti senza aver nulla da dire.

Jane del canto suo non aveva dato granché peso alla scena , aveva invece continuato a studiare il suo libro grosso come un elenco telefonico, sottolineandolo con una matita quasi spuntata.

Dopo un po’ che Sofia stava lì impalata senza sapere cosa fare la ragazza alzò la testa e si abbassò gli occhiali da lettura per guardarla meglio.

“Era seria quando diceva che non era nulla di personale… non ce l’ha con te perché vai con Joyce” sbuffò con un modo di fare strano, quasi divertito, prima di tornare a dare attenzione al suo tomo.

“Ma se…” cominciò la ragazza blu.

Jane fu più veloce, più brava più esperta, insomma conosceva nei minimi particolari la situazione.

“Se ce l’hai con lei è un altro conto. Ma ti assicuro che non ne caveresti in ragno dal buco. Forse se lo merita, forse no. Chi lo sà…”

Sofia rimase come al solito stupita, non erano solo quei due a essere strani, anche la sorella di Joyce non scherzava. Era magra, non molto alta e con due lunghe trecce corvine che le ricadevano sul petto, aveva un’aria studiosamente trasandata e la matita in bocca mentre guardava con interesse il suo libro.

Sofia raspò un poco nella borsa e vi estrasse un bigliettino colorato che poi mise tra il viso di Jane e la sua lettura.

“Cos’è?” chiese lei sobbalzando, senza neanche darsi il tempo di leggere.

“E’ una festa. Nikka l’ha chiamata Criminal. Mi sembra carina, mi chiedevo se tu ed Emily voleste venire” disse con aria un po’ intimorita e dolce. Jane ridacchiò, era così carina che avrebbe voluto adottarla.

“Potremmo venire, che roba è?” si informò.

“E’ una specie di festa in tema guardie e ladri… gli inviti li ho avuti da Millie” concluse con una smorfia, a volte per divertirsi bisognava ascendere a patti col nemico.

Jane si grattò il mento “Credo che a Emily potrebbe piacere. È il suo genere di follia, crede sempre di poter adescare un qualche ricco milionario americano a queste feste in simil maschera. Non ho mai avuto il cuore di dirle che è seriamente improbabile… credo ci saremo”

Sofia si dondolò ancora sui piedi, e la ragazza non disse nulla immaginando che fosse lei a voler parlare a qual punto.

“Avrei voluto chiedere anche a Rachele… ma non credo che voglia venire a una festa di Nikka… o almeno non venirci con l’invito. Di solito si imbosca a quanto ne so” disse senza guardarla, e roteando gli occhi da un ragno in uno spigolo al barattolo che conteneva le erbe per le tisane.

Jane alzò le spalle “Glielo chiedo io, mi deve un favore, qualche giorno fa si è trangugiata una mia intera millefoglie che mi ero preparata per colazione, e mi è toccato mangiare un toast coi sottaceti. Perbacco che schifo! Chissà chi è che li compra quei cosi odiosi che impestano il frigo, sono davvero…”

Sofia lasciò la ragazza con le trecce al suo monologo contro i sottaceti, e uscì silenziosamente senza essere notata.

 

Mei si grattò la tempia, entrando nel parco cittadino camminando un po’ storto. Quella maschera gli dava fastidio, tra l’altro gli cadeva sempre sugli occhi e non vedeva più nulla. Si sentiva un po’ spaesato c’era un capannello di gente che attorniava un bar in vimini e beveva alcolici, non vide nessuno che conoscesse, a parte una ragazza pallida che era in classe con lui, ma con cui non parlava mai. Di Joyce, Rachele, Nikka , Vanessa, Millie e delle oche blu neanche l’ombra.

Non capiva in che razza di festa fosse capitato. Il parco era pieno e c’era un sacco di gente che si muoveva sul prato o si imboscava dietro ai cespugli.

Conosceva quel posto, suo padre ce lo portava sempre da piccolo.

Decise di andarsi a sedere. Non è che avesse molto da fare in quel momento, anche perché probabilmente se al bar ambulante avesse chiesto un’aranciata si sarebbe fatto ridere dietro. Si andò a mettere su un muretto in mattoni rossi per gran parte coperto di edera, e un po’ rovinato dal tempo, doveva essere vecchio. Suo padre aveva detto che c’era già quando lui era piccolo. Probabilmente l’avevano costruito poco dopo la seconda guerra mondiale.

Rimase seduto guardandosi in giro. Si appoggiò con le braccia al bordo dietro del muretto dondolandosi un po’ guardando in alto, le gambe erano un poco piegate. Era buffo, poco prima si sentiva troppo alto per passare inosservato. Non si era mai chiesto come aveva fatto a passare inosservato a così tanta gente dall’alto del suo metro e ottantacinque.

E infatti quella sera non successe, non aveva ancora iniziato a sentire freddo al sedere che una ragazza bionda tinta ancheggiò verso di lui.

“Ciao” disse con aria gentile, tenendo le gambe strette e piegandosi un po’ da una parte come se fosse una bambina.  “Posso sedermi ?” chiese gentile stringendo il bicchiere usa e getta che aveva in mano.

Mei sembrò perplesso per la domanda e ci mise qualche secondo a realizzare la situazione “Oh, sì … certo,puoi sederti” aveva risposto infine, alla ragazza che portava un cappello blu molto simile a quello delle forze dell’ordine.

Mei tornò a farsi i fatti suoi. Alzò nuovamente gli occhi alla ricerca dell’orsa maggiore. In realtà in astronomia non era ferratissimo. Cioè, se si parlava di teoria si era grandemente informato in uno dei suoi interminabili pomeriggi di solitudine, ma se bisognava cercare stelle realmente in cielo la situazione si faceva leggermente più complicata.

Era ancora perso nel disquisire tra astronomia teorica e pratica che la ragazza bionda parlò di nuovo.

“Come ti chiami?” . Probabilmente non aveva alcuna intenzione di sedersi soltanto come aveva innocentemente pensato Mei.

“Mei” rispose lui stupito, navigava ancora dei meandri dell’innocenza nei quali l’arte dell’abbordaggio era ancora sconosciuta.

Lei sorrise, non era una di quelle ragazze fatali e intraprendenti, e non era neanche Nikka. Mei in un momento di pura adolescenza pensò che forse quella ragazza potesse essere alla sua portata.

“Io sono Elena” disse lei con un sorriso “Non ti ho mai visto, sei della scuola?” chiese nel disperato tentativo di fare conversazione.

“Me lo dicono spesso. Comunque sì, sono della scuola” rispose lui con un sorriso dolce. Forse avrebbe anche potuto parlarci con quella ragazza.

“E’ strano”  continuò lei, come per dire che Mei non era uno che poteva passare inosservato.

E a lui fece infinitamente piacere.

“Perché è strano?” chiese. Se la ragazza voleva fare conversazione allora avrebbero fatto conversazione.

Elena ebbe un sussulto, probabilmente pensò di essersi messa ai ferri corti da sola.

 “Beh, ecco perché mi sembra che tu non sia una persona che passa inosservata”blaterò senza chiarire nessun quesito. Mei ridacchiò.

“Vuoi?”  chiese lei cercando di spostare l’attenzione dalla sua risposta al bicchiere che teneva in mano.

“Oh, no grazie” declinò lui con un sorriso tirato. Al 99,9% era possibile che il contenuto del bicchiere fosse alcolico.

“Non ti piace la vodka alla pesca?” chiese lei guardando dentro al bicchiere come per controllare che non ci fosse un insetto morto.

“Non simpatizzo” affermò annuendo, e la maschera gli cascò un poco. Lei annuì, e lui preferì non specificare che non simpatizzava per nulla di lontanamente alcolico. Non gli stavano neanche tanto simpatici i babà.

“Allora tu da chi verrai acchiappato a mezza notte?” chiese lei ritrovando l’entusiasmo. Mei la guardò stralunato.  Chi è che doveva acchiappare chi?

Si avvicinò un poco al viso della ragazza e disse piano “Eh?”

Elena lo guardò perplessa poi rise. “Non hai mai giocato a guardie e ladri?”

Mei boccheggiò, a dire il vero no, ma sapeva che era un gioco per bambini ed era consapevole del fatto di avere una maschera in volto. Come ladro non era credibile, ma come cliché non era male. Anche se forse una maschera del genere faceva più Zorro. Ma preferì non raccontare tutto alla ragazza bionda che gli stava davanti.

Fece una risatina che avrebbe dovuto essere disinvolta ma che probabilmente non lo fu e disse “Certo che lo so che cos’è, i poliziotti inseguono i ladri no?”. Elena sembro rincuorata. Fece un sospiro, si era avvicinata al ragazzo mai visto perché le sembrava carino, ma era un pochino strano. A partire dal fatto che non aveva fatto una piega quando lei gli aveva chiesto di sedersi accanto a lui. O almeno, l’aveva bellamente ignorata. E si era rimesso col naso all’insù a guardare chissà cosa, e a quel punto sembrava cadere dalle nuvole mentre parlavano di guardie e ladri.

Era ovvio che non era un gioco per bambini , ma una scusa idiota per imboscarsi. Si chiese se non fosse meglio desistere, e andare dal più volgare Palotti , lui almeno aveva i piedi per terra, e poi tempo prima avevano avuto una specie di storia più o meno.

“Quindi, chi vuoi che ti acchiappi?” continuò.

“Beh” fece una pausa che a Elena sembrò maliziosa, ma era solo un momento di indecisione “Non lo so” aggiunse avvicinandosi un po’.

“Potrei acchiapparti io se vuoi” disse lei mordendosi un po’ le labbra. Una spia rossa si accese nel suo cervello. Bene, probabilmente quello era uno dei momenti che Nikka stava da tempo aspettando. La sua entrata in società! Con tanto di flirt con … con… ah sì, Elena.

Mei strizzò gli occhi e disse un po’ titubante “Se vuoi” . Elena sorrise e si alzò lentamente.

“Allora a dopo , Mei” fece lanciandogli un bacio. Mei fece un sorrisetto un po’ teso e la salutò con la mano.

E adesso che doveva fare? No era sicuro di quello che stava provando. Era impaccio, era esaltazione.

Quando quella ragazza gli aveva chiesto se poteva sedersi accanto a lui, lui non aveva certo pensato che ci volesse provare con lui… e invece…

Era la prima volta che una ragazza ci provava con lui. A parte Vanessa e Millie vestite da odalische che non erano proprio il massimo. E Nikka che lo aveva baciato, ma non era esattamente la stessa cosa. Per lei era più un oggetto. 

E indiscutibilmente a lui piaceva da morire.

Oh, e che cavolo! L’aveva detto ad alta voce, finalmente. Anzi, pensato ad alta voce. Sospirò. Forse sarebbe stato decisamente più felice se quell’Elena fosse stata l’imperscrutabile ed esaltata Nikka.

Sospirò e mise le mani a coppa per poi appoggiarci il mento. E sbuffò quando la sua maschera difettosa gli scivolò sul naso.

Si chiese cosa poteva fare con quella ragazza. Sicuramente Nikka avrebbe apprezzato la sua prima conquista. Conquista? Forse non era proprio una conquista , dato che aveva fatto tutto da sola. Forse avrebbe solo dovuto lasciar andare gli ormoni e stare tranquillo, ma decisamente non era il suo campo. Essere baldanzoso era più una caratteristica intrinseca di Joyce. Ecco, si chiese cosa avrebbe fatto Joyce al suo posto. E proprio in quel momento passò un impellicciato e mascherato Joyce che tubava con una ragazza blu. Più bassa di sua sorella, con i pantaloni da centro commerciale e il sedere un po’ piatto. E decisamente meno ostile nei confronti dell’impellicciato. Storse il naso, mentre i due si imboscavano dietro a un cespuglio. Mei sbatté qualche volta le palpebre e resistette all’impulso di seguirli, pensando che probabilmente avevano da fare cose private. Si alzò e si avviò nel buio del parco con l’intento di perdersi.

Sofia trascinò Joyce dentro il cespuglio tirandolo per i bordi del pellicciotto arancione e gli stampò un bacio sulle labbra, mentre lui l’abbracciava e la stringeva a sé.

Le passò una mano tra i capelli, era bellissimo quel blu elettrico. Gli venne da ridere pensando che indirettamente l’aveva scelto lui.

Sofia si alzò sulle punte passandogli le labbra sugli occhi, Joyce scese lentamente sedendosi sul prato invernale, con la ragazza blu in braccio.

Aveva la schiena bollente, tutto il contrario delle sue mani. Era decisamente freddo, ormai era Natale. Sofia gli diede un altro bacio a palpebre serrate, Joyce seguì il suo esempio, a occhi chiusi era tutto molto meglio era come se non fossero lì, era come se non fosse lei.

Ma probabilmente lei non la pensava così, perché si allontanò abbastanza da poterlo guardare bene, e Joyce si sentì costretto a seguire il suo esempio.

Lei, ancora seduta sulle sue gambe lo guardava con aria stralunata. E disse quello che lui non avrebbe mai voluto sentirsi chiedere.

“Tu mi ami?”. Joyce sentì il respiro fermarsi a metà della trachea, e tornare su. Si può vomitare un respiro? Evidentemente sì. Forse fece una smorfia, involontaria, senza accorgersene. Non aveva intenzione di ferirla, ma neanche di prenderla in giro.

“Sei sicura di volerlo sapere?” domandò infine guardingo. Sofia sapeva già la risposta alla sua domanda. Ma come si suol dire , la speranza è l’ultima a morire. Bene, e allora che la speranza era morata cosa rimaneva da fare?

Joyce vide lo sguardo di Sofia incupirsi ed abbassasi, mentre appoggiava la testa alla sua spalla. Il cappello da guardia scivolò stancamente per terra sul terriccio. Joyce le guardò i capelli, dato che erano l’unica cosa visibile dalla sua posizione. Sospirò, in un sol colpo aveva fatto star male una ragazza e perso uno dei suoi passatempi migliori. Dondolò un po’ il ginocchio mentre Sofia rimaneva immobile seduta in braccio a lui, con il viso sprofondato nel suo petto.

Si sentiva maledettamente in colpa. E a qual punto rimaneva solo una cosa da fare : ricucire i tagli, senza stringere troppo.

“Sofia…” sussurrò “ti va un panino? Ce ne andiamo di qui e facciamo una passeggiata…”.

Sofia si raddrizzò e lo guardò asciugandosi lacrime immaginarie. Poi annuì.

Furono visti pochi minuti dopo dalla mandria di guardie in attesa dello scoccare della mezzanotte, dirigersi verso il centro storico, mano nella mano.

La ragazza del bar guardava perplessa quel capannello di ragazzi con i capelli da poliziotto. Non le era ben chiaro il senso di quella pagliacciata, in particolare a gestire i giochi c’era una ragazza tonda e mora decisamente poco attraente che rispondeva al nome leziosissimo di Millie.

Alzò le spalle e si disse che se si divertivano così potevano fare, l’importante era che la pagassero.

Nikka aveva distribuito cappellini e mascherine tutto il giorno. La sua festa Criminal doveva essere un colpo di genio, e invece perché era così tesa. Si mordicchiò le unghie. Non era una cosa affatto elegante, si disse, ma era decisamente nervosa. Aveva dato la tua mascherina a Mei? E lui era venuto? Si era trovato un ragazza? Si era già imboscato con qualcuna?

No, conoscendo Mei sicuramente no.

Chissà se qualcuno l’aveva puntato. Qualcuno a parte Vanessa che era esaltatissima all’idea di partecipare. No, Vanessa era una ladra, era già sparita.

Scorse lo sguardo sulla folle di liceali, e scorse Pallotti inguaiato da guardia. L’aveva fatto apposta, in modo che non potesse provarci con lei in modo legale. Non avrebbe potuto palpeggiarla con la scusa di doverla acchiappare in quanto ladra.

Il premio in palio per chi portava alla base più ladri era un walkman. La base era costituita da una scocciatissima Millie con megafono incorporato, che si ritrovò finalmente a fare il conto alla rovescia.

Nikka si guardò ancora in giro. Joyce non c’era , l’aveva visto allontanarsi con una delle oche blu, (forse non era gay allora) ma la cosa non le interessava granché. Se conosceva bene Rachele Pavesi si era accaparrata una maschera da ladra, e in qual momento se ne andava in giro per il parco fumando. Le sorelle Cumoli cinguettavano allegramente tra la folla mentre Millie urlava dieci.

C’erano le pettegole con i loro cappellini da guardie, quella sera sarebbe stata ghiotta di pettegolezzi, ne erano sicure.

sette…

C’era anche una ragazza bionda con le sue amiche che chiacchierava riguardo a un tipo timido, con cui quella sera aveva una specie di appuntamento combinato. Si chiamava Elena se non si sbagliava.

Cinque…

Spuntò dal nulla Alberto. “Nikka, anche tu sei qui? Allora come faccio ad acchiapparti se sei una guardia anche tu?”. Nikka gli diede un bacio accanto alle labbra.

“Mi sa che ho sbagliato! Con tutte queste maschere e cappelli” fece una risatina maliziosa.

Tre…

“Ci vediamo dietro al vecchio bar” gli sussurrò all’orecchio facendolo sorridere. Alberto la prese per mano e le sorrise strizzandole l’occhio, mentre si allontanava nella folla.

Due…

Alberto sparì e Nikka rimase sola nel caos con tutti che spingevano come se fosse stata una corsa alle olimpiadi.

Uno…

Nikka si sistemò il cappello sulla testa chiedendosi ancora dove si fosse cacciato Mei. Come ladro di sicuro non era un granché.

“Via!” decretò Millie decisamente mal disposta dal fatto di non poter partecipare, nessuno si interessò al suo disappunto e tutti partirono e corsero a perdersi per il parco, Nikka s’incamminò lentamente verso il bar.  Vanessa correva facendo urletti eccitati per attirare l’attenzione. Ovviamente tutti la evitarono come la peste.

Si chiedeva perché diamine organizzava quelle feste. Tanto lei non aveva bisogno di tutto quello per trovare un ragazzo, o un passatempo per una sera. Bastava che lo volesse e si trovava qualcuno. Anche quando non lo cercava,  come era successo ad esempio con Alberto. Le era capitato tra capo e collo senza che lo avesse chiesto.

Ed era simpatico, si certo. Era un signore. Aveva classe. Era intelligente.  E allora perché era scocciata?

Non ebbe il tempo di rispondersi, perché qualche cosa la trascinò dietro una vecchia colonna degli anni cinquanta. Nikka finì addosso ad Alberto che l’aveva tirata ed entrambi finirono per terra. Alberto si mise a ridere e le stampò un bacio sulle labbra.

Non molto più lontano un ragazzo biondo e smilzo aveva acchiappato una ragazza blu vestita di nero. Lei sorrideva mentre si sedevano sul davanzale di pietra che dava sulla fontana. La notte era illuminata, ma loro le davano la schiena.

“Come ti chiami?” aveva chiesto lui che non era sicuro di averla già vista a scuola. Rachele sorrise ancora stringendo la bottiglia di vodka per il collo.

“Cosa ti importa?” chiese lei avvicinando il volto mascherato a quello del ragazzo “Ti basti che ho portato da bere”.

Il biondo sorrise e la strinse a sé. Oh, quella doveva essere sicuramente la Pavesi, i capelli blu ce li avevano anche altre ragazze a scuola, ma quella era sicuramente lei. Anche se non la conosceva personalmente aveva una certa fama a scuola.

Ridacchiò. Voleva dire che quella sera avrebbe potuto godere delle grazie della Pavesi. Altro che quell’impellicciato che girava con lei, ma gli piacevano gli uomini!

Poi Rachele gli diede un bacio, e lui decise che pensare a Joyce era una perdita di tempo, finché era in simile compagnia.

Poco più sotto stava Mei perplesso, che camminava avanti e indietro vicino alla fontana. Non aveva neanche notato sua sorella indaffarata in faccende poco raccomandate dalla Sacra Rota.

Che doveva fare? La sua presenza lì sembrava una presa in giro! E chi se ne fregava se Nikka voleva che lui avesse successo con le ragazze. Non era sicuro di voler baciare o fare altro con quella ragazza. Era carina, sì era decisamente carina, ma non è che gliene fregasse granché.

Si sentiva un po’ come quelle ragazzine che aspettano il principe azzurro, e non come il ragazzo sfigato che non aspetta LA ragazza, ma una ragazza, una qualunque.

Lui avrebbe potuto benissimo accontentarsi di una ragazza carina qualunque. Insomma, non gli sembrava che Joyce e Pallotti si facessero tanti problemi a scegliersi la ragazza con cui spassarsela una sera!!

I suoi pensieri furono interrotti da un “Preso!” e da due dita puntate sulla nuca che dovevano stare a sostituire una pistola. Di tutta la risposta la sua mascherina cedette e gli cadde sul naso.

“Girati lentamente con le mani in alto!” ordinò lei ridacchiando. Mei accecato dalla sua stessa maschera alzò le braccia e sbuffò stancamente prima di voltarsi verso di lei.

Lei scoppiò a ridere più forte di prima e gli spostò la maschera mettendogliela sulla testa, per poterlo vedere meglio.

Mise le labbra a cuore e piegò la testa mentre Mei che non aveva idea di che stato d’animo avere rimaneva fermo a mani in alto.

Elena sembrò pensierosa “Sei carino anche senza maschera” fu il verdetto. Ecco, cosa si dice a una ragazza che ti fa un complimento? Bisogna scherzarci su? Bisognava ricambiare? Nikka non glielo aveva mai detto.

“Grazie” disse infine con un mezzo sorriso. Mei avrebbe solo detto grazie. E Mei non era decisamente Nikka. Ed era solo colpa di Nikka se ora era lì con una tipa mai vista che non aveva l’aria di voler fare una chiacchierata.

“Hai preso qualche cosa da bere?” chiese lei. Mei alzò le spalle e abbassò le mani. “No”

“Tu non ami bere, vero?” concluse lei prendendolo per mano, mentre insieme si avviavano del parco.

“Mi accontento dell’acqua…” rispose lui guardandola dall’alto. Era decisamente più bassa di lui, non bassa come Nikka, ma di sicuro più bassa di Rachele.

Era surreale, non aveva mai avuto un inconto ravvicinato del genere con una donna che non fosse stata sua sorella, sua madre o Nikka.

Elena chiacchierava, stava quasi parlando da sola, mentre Mei si era perso nei suoi pensieri, era indeciso. Cosa fare? Scappare? Parlare con lei? Non sembrava avere bisogno di lui per mandare avanti la conversazione.

Mei le strinse la mano, l’avvicinò a sé e le diede un bacio, chiudendo gli occhi e senza respirare, tirandosela di forza addosso.  Elena scambiò il tutto per un impeto di passione, e non per il sacrificio clinico che si fa prendendo una medicina.

Per Mei fu più o meno così. Non poteva essere così orribile baciare una ragazza che non fosse Nikka. Era la prova nel nove, così alla fine decise anche di respirare, e le cose andarono meglio. Non era nulla di esaltante, ma non era neanche così terribile. Più che altro la sensazione fu di calore umido. Non di più , non di meno.

Elena gli sorrideva addosso e lo abbracciava. E forse era andato tutto bene.

Altrettanto bene non era andato per qualcun altro, che appena all’inizio della serata se ne stava già tornando a casa, anche perché fuori non c’era più molto da fare.

“Sai” disse Joyce dopo un po’ di tempo che camminavano per mano in un vicoletto poco illuminato “tu lo potresti trovare un ragazzo che ti ama…”

 Sofia alzò gli occhi dalle scarpe, dove erano puntati “… e che non ti usa…”aggiunse alzando un sopracciglio, alludendo a sé stesso.  Sofia capì benissimo l’allusione, salendo i tre gradini che sopraelevavano l’entrata del suo condominio dalla strada.

“Se solo evitassi di cercare di emulare qualcun altro. Per esempio con dei capelli blu”continuò, facendola sussultare. Le faceva male, ma sapeva che non lo stava facendo per cattiveria e che era tristemente vero, che lui l’aveva usata, che lei emulava Rachele e che entrambe erano cose stupide.

Non ebbe nulla di ribattere quindi disse semplicemente “Grazie per il panino”.

Joyce sorrise avviandosi per la stradina male illuminata “E’ stato un piacere cara…”.

La ragazzina blu rovistò nella borsa e ne estrasse la chiave di casa, poi gli venne in mente qualche cosa e si rigirò a guardare l’amico arancione. Ormai era quasi arrivato alla fine della strada.

“Joyce!”

Il ragazzo interessato si voltò verso di lei perplesso, non si aspettava che avesse qualche cosa da dirgli ancora, forse voleva insultarlo per averla usata, e per essersi esplicitamente imboscato con Rachele davanti ai suoi occhi, e invece “Spiegami come va tra te e Rachele” chiese. Joyce sbatté le palpebre stupito per la domanda che di certo non si aspettava gli porgessero. Non gliela aveva mai posta nessuno, così finì per rispondere nell’unico modo possibile “Va esattamente come hai visto questa mattina”

Sofia fece una smorfia “E’ una cosa un po’ confusa” ammise. Joyce incredibilmente serio rispose soltanto “Infatti è esattamente così” .

Le regalò un ultimo sorriso poi girò definitivamente i tacchi diretto al parchetto cittadino.

Quando arrivò il walkman era già stato vinto da un tizio brufoloso che non era riuscito ad acchiappare nessun altro che Vanessa, e non aveva perso tempo ad imboscarsi con lei. Erano l’unica coppia ritornata, gli altri erano indaffarati in altre faccende, evidentemente.

“Ma questo non è veramente un gioco a premi!” strillava Vanessa disperata “Le coppiette dovrebbero imboscarsi!!”

“Non mi imboscherei con te neanche se mi pagassero!” rispose lui, che probabilmente non era un gentiluomo.

Joyce passò avanti ridacchiando, lasciando Millie a separarli, mentre Vanessa cercava di picchiare il tipo brufoloso.

Vide Nikka e Alberto sbaciucchiarsi dietro a una colonna del vecchio bar, entrambi con il cappello da guardia in testa. Alla faccia delle regole, anche le guardie si divertivano!

Ridacchiò passando avanti e si inciampò prontamente in qualche cosa che poi si dimostrò essere un groviglio indistinto tra sua sorella Jane e un tizio con gli occhiali che non aveva mai visto.

“Hai visto Emily?” chiese Joyce completamente a suo agio. Di solito la situazione avveniva al contrario, ma in famiglia non si preoccupavano molto di certe cose.

“Sarà andata a cercarsi un marito ricco!” sbottò Jane sperando che suo fratello la lasciasse in pace.

“Niente di più facile” ribadì lui andandosene e lasciandoli soli.

Poco lontano da lì Elena non  voleva saperne di lasciar andare Mei, a lui non dispiaceva la situazione, non è che si fosse abituato, ma non è che gli facesse del tutto schifo. Si sentiva una persona normale, era contento , erano baci disinteressati.

Ecco, e se quell’Elena si fosse presa sentimentalmente? Non ci aveva pensato! E adesso  che fare? Ancora panico ed ansia immotivata mentre Elena lo stringeva sempre più forte.

Poi la libertà arrivò più che inaspettata. Elena fece un sorrisetto.

“Scusa è poco romantico… ma devo andare in bagno…” ammise tra il malizioso e il vergognoso.

Mei non trovò nulla di malizioso nei bisogni fisiologici, ma comunque sorrise e le indicò la strada più breve per  arrivare al bagno pubblico. Elena si staccò da lui e sparì nel buio dopo avergli fatto promettere che sarebbe rimasto lì immobile.

Mei si appoggiò al muro pieno di muschio che gli stava alle spalle. Sospirò. Non aveva idea di quello che avrebbe dovuto fare. Si chiese perché non si poteva comportare come tutti, senza pensare per una volta alle conseguenze. Era ovvio che tutto ciò fosse impraticabile. Ed era davvero buio, e tra l’altro la mascherina continuava a cadergli sul naso.

Non passò molto tempo che sentì uno scalpitio, Elena era già tornata?

Ma non fece in tempo a fare niente perché un altro bacio lo azzittì definitivamente. Si sentì stringere, mentre la ragazza (sì, sì era una ragazza!!) lo tirava giù al suo livello, era troppo alto per lei, da in piedi.

e… beh… ci mise un po’, ma il profumo era inconfondibile. Nikka, Nikka,Nikka,Nikka,Nikka… !!

Se fino ad allora era stato amorfo, probabilmente gli venne un accidente e gli sembrò che gli avessero rovesciato addosso qualche cosa di estremamente bollente.

“Nikka?” disse senza fiato. E lei si stacco da lui allontanandosi di diversi passi,con lo scatto di chi ha appena visto un fantasma.

“MEI!” disse lei.

“NIKKA!!” ripeté lui.

“Ma tu non sei Alberto!” strillò. Mei si guardò in giro come a dire al pubblico: l’avete visto tutti! Io non ho fatto niente! È  colpa sua!!

“AH…ah…” Nikka era evidentemente imbarazzata “Ero andata a cercare Alberto, che era andato a prendere da bere, la maschera e i buio… mi sono confusa, pensavo che fossi Alberto!”.

Mei aveva il fiatone e Nikka gli occhi sbarrati.

“Facciamo finta che non sia successo nulla!” fece con voce più stridula del solito, Mei non la vide mentre se ne andava perché gli cadde di nuovo la maschera da ladro sugli occhi.

Joyce, che si stava elegantemente svuotando la vescica dietro a cespuglio di bacche secco, sbadigliò e al termine della scena ebbe solo da dire, non visto un giustificatissimo “Mah”.

Non ebbe il tempo di dire altro  anche perché  qualche cosa di non troppo pesante, ma anche non troppo leggero gli finì addosso ed entrambi caddero per terra tra i rami secchi e il terriccio, entrambi urlando come due indemoniati.

“Maniaco!” urlò Elena che si era trovata a stare seduta sulla sua schiena, e a colpirlo con la borsetta.

“Non ti vergogni a girare nudo il un parco pubblico?!!”

“Ma io stavo facendo la pipì!” piagnucolava il povero irlandese tra i rovi e il terriccio.

Dopo un po’ di sputi, pugni e calci finalmente la ragazza bionda si decise a lasciare agonizzante Joyce nel suo cespuglio e a tornare dal suo ladro.

Il suo ladro però non sembrava stare molto bene, dato che quando lei si avvicinò per dargli un altro bacio lui si scansò bruscamente, blaterando scuse idiote sul fatto che dovesse assolutamente andare a casa.

Aveva lasciato il gas aperto, il nonno chiuso in cantina, la mamma addormentata sulla pentola a pressione, il gatto che si voleva mangiare il canarino.

E scappò così praticamente di corsa con quella stupida mascherina da ladro in tasca.

Elena lasciò cadere la borsa per terra e si disse che avrebbe dovuto abbordare Pallotti che era di sicuro una persona molto più rozza ma anche più normale.

Si voltò presa dall’impulso di menar le mani, ma Joyce se l’era già data a gambe fiutando il pericolo.

 

 

Ero da sola a guardare la luna piena quando sentii dei passi che si avvicinavano alla mia panchina.

Appoggiai la bottiglia di vodka vuota accanto a me.

Joyce si lasciò cadere stancamente vicino a me con le mani in tasca.  “Hai fatto baldoria sta sera?” chiese occhieggiando la bottiglia. Grugnii. “Bah, un idiota se l’è scolata tutta e poi si è addormentato!”

Joyce fece una risatina “Allora non sono l’unico ad essere andato in bianco sta sera!!”

Non lo guardai e mi concentrai sulla luna , che da quasi piena illuminava quasi a giorno il parco.

Ormai tutti se ne erano andati a casa, o in una camera a ore, ma comunque a tergiversare nel prato erano rimasti in pochi a parte noi.

“Sai, credo che a Nikka piaccia tuo fratello…” disse poi Joyce. Irrigidii la mascella e assottigliai gli occhi, rimanendo senza guardarlo. “E credo che anche a Mei non dispiaccia Nikka”

Infine sbuffai e mi decisi a guardarlo in faccia “Le cattive notizie non vengono mai da sole eh?”

Joyce sembrò divertito e alzò le spalle.

Mi alzai “ Andiamo a casa che domani devo andare a sistemare il gabinetto della Spagnola!”. Mi seguì trotterellando allegro, mentre io mi toglievo la maschera e me la mettevo in tasca.

 

 

 

 

Ed eccoci giunti al quattordicesimo capitolo!!! Ringrazio tantissimo le quattordici persone che hanno inserito la storia tra i preferiti, e le otto che l’hanno messa tra le seguite. Infine ovviamente anche chi ha commentato:Suni(Beh, che si sposino non credo, magari però qualche cosa d’altro…e per Nikka stai tranquilla nessuno mi ha ancora detto che gli sta simpatica!!), Lidiuz93(Oh, ti ringrazio per la tua perseveranza, i tuoi commenti sono sempre puntualissimi.. *.*),DiraReal (*.* grazie mille!! E’ bello sentirselo dire!!) e Novembre( Mei è un po’ pirla, ma poi prima o poi ce la farà a concludere qualche cosa!!! Speriamo!!).

Faccio notare una cosa: tempo fa avevo detto che Mei e Rachele erano nati lo stesso anno ma non erano gemelli. La questione dell’età in questa storia però non mi ha dato pace, quindi ho deciso che Rachele è nata nel gennaio dell’anno dopo rispetto a Mei. Quindi ha un anno in meno di tutti gli altri, ma ha fatto la primina, quindi anche se ha diciassette anni è al quinto anno di superiori come tutti gli altri personaggi! E’ per questo che in questo capitolo dice che a gennaio arriverà alla maggiore età!!

Grazie a tutti per avermi sopportato, vi devo avvisare, come ho scritto sulla mia pagina, che sono molto impegnata con una storia inedita a quattro mani e come se non bastasse mi è anche venuto male a una mano, quindi gli aggiornamenti andranno un po’ a rilento! Prometto che mi impegnerò!!

 

Un Bacio a tutti!! AKi_Penn

 

 

 

   
 
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