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Autore: Part of the Masterplan    21/07/2022    1 recensioni
“Sally”
“Sì?” sputo nel microfono. Sento la sigaretta bruciare fino al filtro e iniziare a pizzicarmi le dita.
“Vieni a Londra. Adesso.”
“Il concerto? – ”
“Ho lasciato gli Oasis. Per sempre”
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Until Sally I was never happy.'
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“Qui ci sono tutte le foto, spero ci sia qualcosa di buono.”
“Le scegliamo insieme?”
Si ferma, ruotando su sé stessa. “Lo faresti? Cioè… Se sei impegnata…”
“Prima impari a scremarle da sola, prima io mi libero un po’ di tempo”, le sorrido. “Prendi la sedia, mettiti qui vicino a me.”
Inserisco la chiavetta USB mentre Audrey prende posto. “Chi lo faceva con te?”
“Cosa?”
“Chi selezionava le foto con te?”
“Uh, era più complicato di così. Ma ho fatto la mia gavetta, e lì c’era chi le selezionava al posto mio. Poi mi hanno dato una libertà tale per cui ero io a decidere che cosa andava bene e cosa no.”
“Te l’ha data Noel, quella libertà?”
Scrollo le spalle, “Chissà.”
Sul mio schermo si aprono infinite icone, ognuna rappresenta una fotografia. Sospiro, apprestandomi all’ennesimo paio d’ore a friggermi gli occhi davanti ad uno screen.
Il mio iPhone inizia a trillare, al centro della scrivania. Lo sollevo.
Noelie
“Sally, vuoi sposarmi?”
Lo lascio ricadere sulla scrivania, avvicinandomi al pc. “Allora, queste che cos’hanno che non va?”
Audrey non risponde, tanto che mi volto verso di lei per controllare che non si sia addormentata. “T’è venuto un ictus o mi rispondi?”
Lei ride, spostando lo sguardo al mio iPhone, che ora recita: Chiamata persa Noelie (7)
“Sette chiamate perse?”
“Può arrivare anche a venti, te lo dico per esperienza.”
“Perché non gli rispondi?”
“Sto lavorando e dovresti anche tu. Queste foto”, allungo l’indice verso lo schermo “cos’hanno che non va?”
Songbird inizia a suonare, sempre dal mio cazzo di iPhone.
“Pronto?”
“Ciao blondie, hai ricevuto la mail?”
Prontamente apro la finestra delle mail sul desktop, ce n’è una dal fotografo dei Beady Eye. “Yap, qui davanti a me.”
“Vanno bene?”
“Appena finisco di lavorare, Weetabix, mi faccio sentire.”
“Uhm, ok. Però fai in fretta. Secondo me io sono venuto proprio bene. Luv ya.”
Audrey mi guarda divertita, mentre do sfoggio del mio miglior turpiloquio mancuniano. “Non ti mollano un attimo, eh.”
“Liam non mi molla da quando è nato”, sorrido. “Allora, queste foto?”
“In quelle secondo me c’è un problema di luce. E queste”, si allunga raggiungendo il mouse ed indicandone altre “non mi convincono per la composizione.”
“Brava ragazza, vedi che iniziamo da qualcosa.”
Il lavoro di selezione, certosino e corredato da spiegazioni e aneddoti, ci porta via un paio d’ore. E’ quasi ora di cena quando consiglio ad Audrey di andare a casa a riposarsi.
“Tu… Stai bene, vero?” si ferma sulla porta, guardandomi con i suoi grandi occhi curiosi.
“Sì, perché?”, domando sorridendo. “Ti sembra che non stia bene?”
“Sei… Sfuggente.”
“E’ un’arte che si impara con gli anni. Buona serata, cutie.”
Quando ho accettato questo lavoro, Deborah mi ha fatto trovare sulla scrivania – quella che era stata sua per dieci anni – una bottiglia di whiskey con un biglietto che recitava: Per quelle sere di solitudine in cui intorno è silenzioso e hai un sacco di pensieri per la testa. Break a leg, blondie.
Apro l’armadietto alle mie spalle, recuperando la preziosa bottiglia e un bicchiere tanto tozzo da poter sfondare una porta. Negli anni Novanta avrei testato il mio pensiero, incazzata e in costante ricerca di una maschera appropriata per il mondo esterno, lanciando bottiglia e bicchiere in giro per la stanza, ma ho una certa età e soprattutto una posizione da mantenere.
Lascio scivolare in gola il primo sorso, aprendo sullo schermo le foto dei Beady Eye. Sono incazzata, rabbiosamente, come quando avevo vent’anni. Mi accendevo e mi spegnevo in un lampo, Kate suggerirebbe che la cocaina non aiutava. Era impossibile non sapere cosa mi passasse per la testa, ma con il tempo, con l’esperienza, ho vestito e addobbato quella ribellione con il silenzio, il contegno, la pazienza, qualche volta il mutismo. Un ribollire di sentimenti che si agitano sotto la superficie e in apparenza, una maturità finalmente conquistata.
Sono state dette troppe parole, “per fortuna almeno con te non vola della fottuta frutta”, risultato di un dualismo che ho vissuto tutta la vita: le canzoni o la realtà? Oasis o vita di ogni giorno? Da quella semplice perla di saggezza di Kate, si è alimentata la lista infinita di tutte quelle occasioni in cui avremmo potuto e non abbiamo fatto. In bilico tra il condizionale di una vita da condividere e scelte nette, portate avanti su una corsia parallela che, di quando in quando, collideva con la mia. Attraversare Oceani ad uno schiocco di dita, sposare un’altra donna, farci una figlia, comparire, scomparire, dedicare una canzone davanti a migliaia di persone e poi scappare a Las Vegas per un matrimonio lampo. Sciogliere gli Oasis e farmi salire a bordo della fortunata ciurma che deve raccogliere i pezzi, sempre in bilico tra The Chief e Weetabix. Tra un’anima gemella e un fratello mai avuto. Tra l’amore di un’esistenza intera e un legame che va oltre quello di sangue.
Mi manca così tanto che qualche volta mi chiedo se sono capace a respirare.
Avvallo tutte le decisioni dei fotografi dei Beady Eye, una mail asciutta e un messaggio di rassicurazione a Liam.
Ingollo l’ultimo sorso di whiskey e avvio la chiamata. I miei occhi incontrano un appuntamento segnato di rosso sul calendario, dopodomani.
“Alla buon’ora… Se mi fosse venuto un attacco di cuore e ti avessi chiamato per chiedere aiuto ora sarei morto stecchito e mi avresti sulla coscienza.”
“Sono dall’altra parte del mondo, se per caso ti viene un infarto chiama prima Kate, per cortesia.”
“Ciao, luv.”
“Ciao, Noelie.”
Il primo round si è concluso.
“Oggi sei arrivato a sette chiamate, non è il modo di affrontare una pausa.”
“Io non ho mai concordato a questa stronzata della pausa. Io non voglio nessuna pausa tra me e te.”
Sospiro. “Te l’ho chiesta per rimettere assieme i pezzi.”
“Sì, ma mi ha già rotto i coglioni. Pausa finita.”
Mi fa sorridere.
“Dimmi un po’, ne vale la pena?”
“Cosa?”, mi allungo sulla scrivania per spegnere il computer.
“Stare in ufficio fino a tardi, davanti a uno schermo, magari sei pure sola… E aver rifiutato la rockstar più bella del mondo dall’altra parte della cornetta?”
“Quando vedo che fotografa sta diventando Audrey… Sì, Chief.”
Una sonora bestemmia mi fa scoppiare a ridere. “Non ti ho rifiutato, ti ho spiegato di cosa avevo bisogno in quel momento. Mi avevi comprato un brillante, per caso?”
“Assolutamente no e a questo punto mai te lo comprerò. Ma sono volate parole importanti.”
“Già. Ma almeno abbiamo lasciato stare il cestino della frutta.”
Leave alone my bloody oranges”, tossicchia. “Non posso tornare indietro nel tempo, Sal. Posso solo rigare dritto adesso.”
“Ho riascoltato Flashbax, questa mattina.”
“Da uno degli album più di merda che potessi fare, cazzo, che gran scelta blondie.”
“Chissà quando capirai che certi album sono di merda solo per te, ma per noi significano il mondo…”
“Pff. Comunque, quale illuminazione hai avuto riascoltando There’s nothing wrong in my world/These things they really don’t matter now?”
“Niente di particolare. L’ho fatto per sentire la tua voce. Per sentirti più vicino.”
“Ah, che stronzata, luv. Avresti potuto chiamare. O, per la cronaca, accettare di sposarmi.”
“Quando la finirai con questa storia del matrimonio?”
Indovino un tiro di Benson. “Quando il mio ego si sarà ripreso dal rifiuto.”
“Ah, quindi mai…”
“Quando mi sposerai andrà meglio, ne sono certo.”
Lascio che la porta dell’edificio mi si chiuda alle spalle e decido di camminare fino a casa. Una passeggiata sotto un cielo americano terso dopo la consueta nebbia delle sei.
“Sai cosa mi hanno proposto di fare dopodomani?”
“Good Lord, basta con queste proposte. Un altro che vuole sposarti?”
“Mi intervistano. La donna dietro le foto di Rolling Stone. E’ stato Matt a proporlo.”
“Matt… Matt as in “il tuo ex fidanzato”?”
“Precisamente… Sarà lui a intervistarmi.”
“Porco cazzo credevo di averle viste tutte fino a oggi e invece… Glielo dirai che hai rifiutato la mia proposta di matrimonio? Mi stupisco non sia ancora uscito da nessuna parte.”
“Mmm, la scorsa settimana i tabloid rumoreggiavano di una crisi tra noi.”
“E certo, perché io sembro un miserabile con la barba incolta che va a fare la spesa mentre tu sei strafiga per le vie di San Francisco in giubbotto di pelle e jeans a zampa.”
“Normale amministrazione”, ridacchio.
“Blondie, lo sei davvero.”
“Cosa?”
“Strafiga. Sei davvero bella come sei sempre stata ai miei occhi, anche quando per anni non ci siamo visti. Non è che mi passa quella cosa, se ti interessa. Cioè, lo sai che farei sesso con te ogni ora della mia fottuta vita, vero? Magari solo qualche pausa per scrivere le canzoni…”
“E guardare il football”, sorrido. “Lo stesso vale per me, Noelie. Non c’è bisogno che ce lo diciamo.”
“Ogni tanto sì. Sto scrivendo parecchio in questi giorni.”
“Quando sentirò qualcosa?”
“Quando rimetterai il culo a Londra e deciderai di sposarmi.”
“E io che pensavo che per convincermi saresti venuto in California.”
“Preferirei rompermi un posacenere sulla testa.”
 
Entro in sala riunioni sfoggiando una t-shirt nera con un’esplicativa scritta all’altezza del seno: oasis. Lui mi aspetta, seduto a capotavola, immerso nella lettura dei suoi appunti. Mentre porta la tazza alle labbra per bere il primo di molti caffè della giornata, mi vede e mi sorride.
“Vedo che usiamo ancora le magliette per trasmettere messaggi.”
“Sono più un portafortuna”, sorrido allungandomi verso di lui, posando un bacio sulla guancia. “Ciao Matt.”
“Ciao, Sally. Che bello vederti.”
“Anche per me. E grazie per essere venuto fin qui.”
“Dovere! Sono stato io a proporre l’intervista e dovevo comunque muovermi per incontrare i grandi capi.”
“Ok,” mi siedo accanto a lui, impostando il telefono in modalità silenziosa. “Come funziona?”
“Come sempre”, posiziona verso di me il registratore portatile. “Ti registro per non perdermi pezzi e perché vorrei fosse una chiacchierata e non una lezione universitaria in cui io prendo appunti.”
“Ho una condizione –”
“Scordatelo, le domande sugli Oasis te le faccio.”
“Ah, chissenefrega. La mia condizione è che tu non faccia nessun taglio a ciò che dico. Nessun editing creativo delle mie parole. Qualsiasi modifica passa prima da me”, accanto al registratore, appoggio un foglio che enuncia le mie condizioni. “Firma e procediamo.”
“Wow. Sei arrivata preparata.”
“Ti ho mai detto che stavo con un avvocato? Storia lunga… Comunque, conosco gli altri e conosco te. Siete capaci di creare da zero citazioni solo per vendere qualche copia in più.”
“Tipo…” si porta la biro alle labbra, “Spero che muoia di AIDS?”
“Non farmi innervosire, rischi di far saltare tutto.”
Mi sorride, firmando il foglio che ripongo tra i miei appunti.
“Iniziamo?”
 
Sally ha un nome che, per ogni figlio degli anni Novanta, parla da sé. È entrata in Rolling Stone quando c’erano ancora le Torri Gemelle, Johnny Cash era ancora vivo e gli Oasis non si erano ancora sciolti. Lunghi capelli biondi, piglio dittatoriale, fiero accento mancuniano. La Regina del Britpop.
Da qualche settimana è diventata head of photography di Rolling Stone, mettendo a disposizione un’esperienza maturata in anni passati sotto un palco e sul tour bus degli Oasis. Da quando ha lasciato l’Inghilterra, più o meno ogni servizio fotografico fatto ad artisti leggendari, ha la sua firma. Andate a prendere i numeri che avete collezionato e controllate.
Ho voluto intervistarla, per farvi conoscere chi c’è dietro alle immagini di RS ormai da qualche anno e chi è la donna che è un’ispirazione e una guida nel Rolling Stone di domani.
 
M: Sally, da Manchester a Head of Photography, com’è stato questo percorso?
S: Di mezzo ci sono stati i ruggenti anni Novanta e i più consapevoli anni Duemila. Sono nata a Burnage, un sobborgo di Manchester dove le prospettive di vita non sono rosee e la maggior parte dell’anno piove. Ho studiato fotografia e l’ho vissuta sulla mia pelle: sono stata mesi in giro per l’Europa a scattare, ad affinare il mio stile. Al mio ritorno sono diventata fotografa degli Oasis fino a marzo del 2000, quando sono diventata una delle fotografe di Rolling Stone e da qui non me ne sono più andata.
 
M: Hai vissuto il Britpop con i protagonisti indiscussi e hai vissuto gli Oasis ogni giorno, dalla nascita della band al successo mondiale. Cosa ti ha dato quell’esperienza?
S: Non è stata solo un’esperienza, è stata l’essenza della mia vita. Qualcosa che molto spesso le persone non capiscono del nostro attaccamento agli Oasis è che non erano solo una band. Erano un modo di vivere – sono un modo di vivere. Soprattutto in quel periodo, soprattutto per noi, era un dualismo continuo: Oasis e Blur, City e United. Senza gli Oasis non so cosa sarei e probabilmente, non sarei qui ora. Ho fotografato Maine Road, Knebworth, Wembley e tutto ciò che c’è stato in mezzo. Sono una privilegiata.
 
M: Per chiunque abbia sentito almeno una volta una canzone degli Oasis, il tuo nome è una leggenda. Come ci si sente ad essere la musa ispiratrice di uno dei più grandi cantautori inglesi?
S: Chi te lo dice che sia io la musa? (ride, ndr)
 
M: Non guardiamo al passato. Com’è il presente di Sally qui a Rolling Stone?
S: Bellissimo e sfidante. Curare la fotografia di un colosso dell’editoria come RS è un onore e una responsabilità di cui mi prendo cura con ciò che mi contraddistingue di più: abnegazione e passione. Ho la fortuna di collaborare ogni giorno con creativi e fotografi incredibili.
 
M: Come si è evoluta la tua fotografia da quando, ventenne, fotografavi in giro per l’Europa a oggi?
S: Credo che sia stata l’evoluzione della mia persona. A vent’anni ero molto più precipitosa, spesso cercavo dei contrasti netti, mi innervosivo se non arrivavano momenti che ai miei occhi sembravano iconici. Poi ho attraversato una fase di silenzio profondo, di contatto con me stessa, e mi sono resa conto che sono i piccoli dettagli, quelle piccole cose disseminate ovunque, che rendono una foto davvero potente. Capace di trasmettere qualcosa. Con il tempo credo di aver imparato ad apprezzare di più tutto ciò che c’è intorno.
 
M: Hai anche scattato nella moda, vero?
S: Sì, qualche anno fa e mi capita ancora di fare qualcosa, ma solo perché me lo chiede la mia amica Mossie (Kate Moss, ndr). In generale non lo sento come un ambiente affine a me, ma credo sia una contaminazione che mi fa del bene. Mi ispira per gli abiti e per il livello a cui arriva la composizione di uno shooting. Non so se hai presente gli Oasis, ma non brillavano per coreografie.
 
M: Però uno dei due fratelli Gallagher un piede nella moda ce l’ha messo…
S: Le polo sono ottime, te le consiglio (ride, ndr).
 
M: Per una fiera mancuniana come te, com’è la vita a San Francisco?
S: Sorprendentemente a San Francisco ho trovato la mia dimensione. L’avevo scoperta di sfuggita nel ’94, nel 2000 è diventata casa mia. E lo è diventata rapidamente, mi ha accolta, credo che spesso mi abbia protetta e si sia presa cura dei miei ricordi. Niente è come la mia Inghilterra, ma San Francisco mi ha permesso di diventare una donna senza mai giudicarmi.
 
M: Progetti per il futuro?
S: E’ appena iniziata la mia avventura in questa nuova veste, l’obiettivo per il futuro prossimo è quello di fare bene e di condurre il dipartimento di fotografia di RS dove merita. In un futuro più lontano, chissà… Magari mi sposo.
 
Un nuovo giorno è sorto, da qualche ora, nella Perfida Albione.
Calcolo, posso farlo approssimativamente, quanto possa metterci per aprire gli occhi e mettere le mani sulla rivista che gli è stata recapitata a casa, in anteprima.
Oggi tutti leggeranno la mia intervista. Lui lo farà ancora prima di bere la sua tazza di the.
Suona il telefono dell’ufficio, rispondo con un sorriso.
“Pronto?”
“Non solo te lo scopi che, vabbè, sai solo tu cosa ci vedi in quel nano di merda, ma lo sposi pure?”
Liam Gallagher forse ci ha messo di più a recuperare una copia della rivista, ma sicuramente di meno a chiamarmi.
“Liam…”
“Pensavi fosse il tuo maritino, eh?”
“Sì. E comunque, se proprio vuoi saperlo, ho rifiutato Noel.”
“Prego?”
“Io-ho-rifiutato-la-proposta-di-matrimonio-di-Noel.”
“E hai accettato la mia offerta di lavoro.”
“Tecnicamente no… Vi faccio da consulente.”
“Consulente dei miei coglioni! Ho vinto io!”, ride a crepapelle.
“Liam, non era una gara.”
“Aaaah, no, certo, perché OurKid non perde mai! Coglione!”
“Liam –”
“E allora perché hai detto quella cosa nell’intervista?”
“Perché un giorno mi piacerebbe che si realizzasse.”
“Con OurKid?”
“E con chi altro?”, sorrido.
Un attimo di silenzio. Un grugnito. “Lo sai che mi ha spaccato una chitarra, vero?”
  
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