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Autore: Demy77    29/07/2022    2 recensioni
Sequel di “Finché morte non ci separi”. Una breve carrellata sulla vita di Ross, Demelza ed i loro figli quindici anni dopo la conclusione della storia precedente.
AVVERTIMENTI: per chi non avesse ancora letto “Finché morte non ci separi”, Valentine e Julia qui NON sono fratelli, in quanto Julia non è figlia di Ross. La cronologia inoltre, volutamente, non rispecchia fedelmente quella della saga di Graham.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demelza Carne, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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George Warleggan, chiuso nel suo ufficio di Truro, si stava dedicando ad una delle sue attività preferite: contare monete d’oro. Lo rilassava percepire sotto i polpastrelli il peso del prezioso metallo, poter tastare con mano la ricchezza, frutto dei suoi sforzi  di anni per elevarsi socialmente grazie al potere economico. Da tempo era ammirato e rispettato, non era più il nipote di un fabbro ammesso a frequentare le stesse scuole dei ragazzi ricchi, la sua banca finanziava le attività commerciali più fiorenti in zona; il matrimonio con una nobildonna dello Yorkshire, conosciuta l’anno prima, aveva ulteriormente contribuito a porlo in evidenza negli ambienti che contano. Harriet era una donna elegante e fascinosa, garbata ma non priva di carattere, e si era rivelata un’ottima compagna di vita per George. Non si era lasciata condizionare dalla malattia mentale che aveva afflitto il banchiere negli anni precedenti, si era mostrata priva di pregiudizi ed anche per questa ragione Warleggan se ne era innamorato e aveva deciso di sposarla. Adesso era in attesa del loro primo figlio e George non poteva che gioire di quella paternità inattesa, giunta quando egli aveva già passato la soglia dei 40 anni.
Il banchiere, compiaciuto per i profitti dell’ultimo trimestre, annotò con cura le cifre sul registro e chiuse le monete in una cassaforte. Mai avrebbe potuto immaginare che quella tranquilla ed ordinaria mattina di ottobre qualcuno  lo avrebbe distolto dalle sue attività, portandolo a ricordare eventi dolorosi che aveva cercato di rimuovere dalla mente.
Uno dei suoi impiegati bussò alla porta e gli comunicò che un giovane chiedeva udienza. Quando chiese più informazioni sull’identità della persona che voleva parlargli George restò meravigliato nell’apprendere che si trattava del figlio maggiore di Ross Poldark. Per un istante pensò di sottrarsi con un pretesto qualsiasi, ma poi, nascondendo la sua agitazione al sottoposto, gli disse di far accedere Valentine Poldark al suo studio.
Erano trascorsi almeno 15 anni da quando lo aveva visto l’ultima volta.  Al cospetto del giovane ricciuto che gli si parava dinanzi George non ebbe difficoltà nel riconoscere il bambino che aveva tenuto sulle sue ginocchia a Cusgarne, durante le numerose visite a sua madre. Al primo impatto Valentine assomigliava a Ross: aveva la stessa chioma ribelle, riccia e scura, lo stesso portamento fiero, lo sguardo tenebroso. Ad un occhio attento non poteva però sfuggire che il colore delle iridi era quello di sua madre e da Elizabeth aveva ereditato anche certe piccole movenze, il modo di scuotere la testa mentre parlava, i modi forbiti che doveva avere assimilato nei primi anni di vita grazie all’educazione materna. Dio, quanto aveva amato quella donna! George vacillò per un attimo ricordando la sua orribile fine, in cui lui aveva giocato un ruolo primario, ed il senso di colpa con il quale aveva combattuto per anni, giungendo infine a conviverci senza autodistruggersi.
“Vostro padre sa che siete qui?” – fu la prima cosa che il banchiere domandò al giovane, meravigliandosi della sua visita.
“No, e gradirei che continuasse a non saperne nulla anche dopo che avremo parlato– replicò Valentine– ho bisogno del vostro aiuto, signor Warleggan, perché siete l’unico a potermi fornire le risposte che cerco. Si tratta di una questione personale di cui non ho piacere di discutere con mio padre”.
George tremò al pensiero che il giovane Poldark intendesse conoscere aspetti del passato riguardanti il rapporto fra sé e sua madre. Dissimulò il suo turbamento e si limitò a precisare che, data l’esperienza passata, aveva giurato a se stesso che la strada sua e quella di Ross non sarebbero tornate ad incrociarsi; pertanto non intendeva condividere con il figlio del suo antico rivale alcun segreto, né essere coinvolto in qualche mistero riguardante Ross.
Valentine dovette faticare a lungo per convincere Warleggan a non metterlo alla porta. Giurò e spergiurò che suo padre non ne avrebbe mai saputo nulla e che quello che doveva domandargli era di vitale importanza. L’altro restava irremovibile. Aveva pagato duramente per le trame ai danni di Ross, un terribile segreto li aveva divisi in passato ed aveva indirettamente cagionato la morte di una persona, conducendolo quasi alla follia. Non avrebbe commesso due volte lo stesso errore.
“Vi scongiuro - insistette Valentine – eravate il più caro amico di mia madre; ricordo bene, anche se ero molto piccolo, l’affetto che nutriva per voi… abbiate la bontà di ascoltarmi, in nome di lei, in memoria dell’amicizia che vi legava! So che avete rischiato di perdere il senno dopo la sua morte, immagino che sappiate cosa significa amare una persona fino al punto da non poter sopravvivere senza di lei…”
“Basta! – tuonò il banchiere, mascherando con la rabbia il dolore che quelle parole facevano riaffiorare – fuori dal mio ufficio e dalla mia banca! Non voglio vedervi un secondo di più!”
George capì immediatamente che il figlio di Ross, in questo così simile a suo padre, non avrebbe accettato un no come risposta. Benchè fosse nel regno dei Warleggan, dove un solo cenno del padrone sarebbe stato sufficiente ad allertare chi di dovere per punire il minimo gesto di trasgressione, Valentine si avvicinò a George sovrastandolo con il corpo – Warleggan infatti era un uomo di non elevata statura – e gli fece notare come non convenisse a nessuno che quella conversazione si concludesse in maniera spiacevole. Di certo, se non voleva scontrarsi con Ross, la mossa più furba era evitare un conflitto con suo figlio.
“Anche se mio padre non sa che sarei venuto qui, non avrebbe piacere di ritrovarmi in tribunale a causa di una denuncia da parte vostra; e potete stare pur certo che se  qualcuno dei vostri scagnozzi mi mettesse alla porta mi metterei a gridare in piazza ad alta voce, mettendo in cattiva luce la vostra banca e la maniera in cui vengono trattate le persone oneste che vogliono solo investire i propri risparmi! Non dimenticate che sono il figlio del deputato eletto per il nostro distretto, godo di riflesso di una certa credibilità, non trovate?”
George fece un ghigno ironico. Quel maledetto moccioso era più odioso ancora del padre.
“Non ho tempo da perdere con voi. Che cosa volete sapere?” – concluse rapido.
“Nel 1785, l’anno della mia nascita, a giugno morì lo zio di mio padre, Charles Poldark, mentre a settembre suo figlio Francis. Ho controllato le date sui registri parrocchiali. Poco tempo dopo voi avete acquisito la proprietà di Trenwith all’asta, è così?” – chiese Valentine, trovando la conferma di George.
“Quando voi siete subentrato ai Poldark, la servitù che lavorava a Trenwith è rimasta al vostro servizio?” – continuò il ragazzo.
George, sempre più stupito da quelle domande, rispose che supponeva di sì, anche se non poteva esserne certo dopo tanti anni. Valentine gli domandò se era possibile ricavare i nominativi di tutto il personale dell’epoca. George replicò che era impossibile, e che comunque eventuali documenti del tempo non erano più nella sua disponibilità, dovevano semmai trovarsi a Trenwith “nella proprietà di vostra sorella”, tenne a sottolineare il banchiere. “Non. capisco poi perché non possiate chiedere questa informazione alla moglie di vostro padre, che come ben saprete aveva lavorato a Trenwith come dama di compagnia di Agatha Poldark fino a poco prima del mio arrivo. Per lei sarebbe certamente più agevole che per me ricordare i nominativi dei suoi colleghi!”
Un lampo di luce attraversò la mente di Valentine. “Come dite? Demelza era andata via da Trenwith prima della vendita all’asta?”
“Certo, questo lo ricordo benissimo. Si era licenziata qualche settimana prima del suicidio di Francis. Lo ricordo perché c’erano delle mensilità arretrate da pagarle, ma il maggiordomo mi disse che Ross gli aveva riferito che se ne sarebbe fatta carico sua zia; come era giusto che fosse, del resto.”
“Era andata via senza farsi pagare… ad agosto…” – ripeteva meccanicamente Valentine.
George, vedendo il ragazzo sbiancare, si sincerò che si sentisse bene. Valentine rispose che era tutto a posto, lo ringraziò per le informazioni che gli aveva dato ed uscì di corsa dai locali della banca. Salì in sella al cavallo che aveva lasciato legato fuori e si mise in cammino verso Nampara.
Mentre faceva rientro verso casa si sentiva disorientato. La verità era stata per tanto tempo dinanzi ai suoi occhi ed egli non l’aveva vista! Da principio credeva che il padre di Julia fosse un altro domestico; per questo aveva deciso di chiedere informazioni a Warleggan. In quale altro luogo poteva infatti Demelza aver conosciuto questo fantomatico uomo, se viveva a Trenwith tutto il tempo? Qualcun altro della servitù non poteva non aver notato il nascere di questa simpatia, ed anche se ci fosse voluto del tempo sentiva che prima o poi, interrogando le persone che vi lavoravano, avrebbe avuto la risposta che cercava. Quello che George gli aveva involontariamente riferito però cambiava tutto.
Gli ritornò alla mente un episodio di qualche anno prima: le sue sorelle stavano giocando alle dame, agghindandosi con dei gioielli. Demelza ad un tratto aveva detto che uno degli anelli nel cofanetto era di zia Agatha, era un antico anello di famiglia che la prozia aveva donato a Julia per la sua nascita… Valentine aveva letto sui registri parrocchiali che l’anziana zia di suo padre era morta una settimana prima che Julia nascesse… perché donare un gioiello di famiglia ad una perfetta estranea? Forse perché quella bambina non era una perfetta estranea…
Il cuore gli batteva a mille. Da un lato poteva sentirsi sollevato, lui e Julia non erano fratelli. Erano figli di cugini. Non c’era altra spiegazione.
Come era possibile che Demelza avesse provato una passione improvvisa per un altro uomo quando diceva di essersi innamorata di suo padre a prima vista? Perchè esattamente nove mesi prima la nascita di Julia Demelza aveva lasciato il lavoro senza pretendere nemmeno il pagamento delle sue spettanze? Perché la famiglia Poldark si era sentita in debito nei confronti della ragazza, tanto da volerla personalmente risarcire per lo stipendio perduto? Perché il dono dell’anello? Perché Trenwith era stata riscattata ed intestata proprio a nome della bambina? Solo una risposta combaciava con tutte quelle domande, e cioè che il padre di Julia era un Poldark; non Charles, che era morto almeno due mesi prima di quando Julia era stata concepita, ma Francis! E che non si fosse trattato di una normale storia d’amore lo rivelava il fatto che Demelza aveva lasciato la casa quando l’uomo era ancora in vita, e quando era impossibile che ella sapesse già di essere incinta! Una parte della storia narrata dai loro genitori era dunque vera: il vero padre di Julia era morto, prima ancora di sapere della gravidanza di Demelza. Quello che Valentine non avrebbe mai potuto immaginare prima di allora – e di cui era convinto, pur senza averne la certezza – era che Julia fosse frutto di una violenza. Ora comprendeva perché suo padre odiava affrontare l’argomento, scacciando quel ricordo devastante allo scopo di proteggere sua moglie!
Valentine provava una certa consolazione nel sapere che non vi erano ostacoli ad una sua relazione con Julia, ma al tempo stesso era profondamente turbato: come avrebbe potuto convivere con il segreto che aveva appena scoperto senza far trapelare nulla?  Julia non meritava di soffrire apprendendo una verità così sconvolgente. Gli dispiaceva anche per Demelza, per tutto ciò che aveva dovuto patire. Rifletté che la ragione dell’astio di sua madre nei confronti della giovane di Illugan forse stava proprio nel timore di dover affrontare uno scandalo a causa di una semplice domestica, oppure nella gelosia di vedere Ross così impietosito nei confronti della ragazza e pronto a fare di tutto per rimediare agli errori del cugino… si sentì male al pensiero che forse era stata proprio Elizabeth ad allontanare Demelza da Nampara! Possibile che sua madre avesse mostrato così poca empatia nei riguardi di un’altra donna? Fermò il cavallo, respirò a grandi boccate, fece il pieno di ossigeno e cercò di calmare il tormento che lo agitava. Scoperchiare quella vecchia storia gli aveva fatto più male che bene, ed ora doveva darsi un contegno dinanzi alla sua famiglia, anche se era difficile dissimulare il suo stato d’animo.
A casa, intanto, Ross e Demelza avevano deciso che era venuto il momento di affrontare con i ragazzi il tema della malattia della donna. Mancavano poco più di 15 giorni alla data dell’operazione, e Demelza e Ross sarebbero andati a Londra una settimana dopo per sottoporsi alle ultime visite e preparare l’abitazione per la successiva convalescenza di Demelza. Attesero che Valentine rientrasse a Nampara e spiegarono, con parole semplici e comprensibili anche dai figli più piccoli, che la mamma aveva un problema all’addome e che dei dottori di Londra dovevano curarla. Spiegarono che i bambini sarebbero rimasti con Prudie, perché la mamma e il papà non potevano prendersi cura di loro a Londra. Promisero ad Harry e Bella che appena la mamma si fosse sentita meglio la zia Caroline li avrebbe accompagnati nella grande capitale e sarebbero stati di nuovo tutti insieme.
Prudie soffiò il naso, nascondendo nel fazzoletto una lacrima furtiva. Jeremy, di solito così prodigo di parole, fissava ammutolito il pavimento. Bella strinse la mano di Clowance in silenzio. Valentine fissò suo padre, e cercò di comunicargli con lo sguardo che lo capiva, gli era vicino ed avrebbe fatto quanto in suo potere per alleggerire la situazione in famiglia. Julia abbracciò sua madre, chinando la testa sulla sua spalla. Solo Harry parlò, con voce flebile: “Ma dopo che i dottori ti hanno tolto la pallina dalla pancia, e dopo che ti sei riposata tanto tanto a Londra, mamma, poi ritorni qui?”
Demelza fece salire il bambino sulle sue ginocchia e lo rassicurò. Certo che sarebbe tornata! E ci sarebbe stata una grande festa a Nampara quel giorno, aggiunse Ross. Bella si lasciò entusiasmare dai dettagli della festa, trascinando anche i fratelli nei preparativi: assegnava compiti all’uno e all’altro e battibeccava addirittura sul menu di un buffet che era ancora tutto da organizzare!
La tranquillità sembrò ritornare a Nampara, anche grazie a qualche sgangherata battuta di Prudie sulle capacità organizzative dei ragazzi. Per evitare i soliti lamenti sul fatto che la domestica fosse la sola a portare il peso della gestione della casa, Bella e Clowance si offrirono di aiutare a sparecchiare, Jeremy fu mandato a controllare che la porta della stalla fosse ben chiusa ed Harry fu portato da Demelza a letto.
Julia e Valentine rimasero da soli con Ross nel salone.
“Sei preoccupato, papà?” – gli chiese Valentine.
Ross si versò da bere. “Come potrei non esserlo? – confessò – è un’operazione rischiosa, e lo zio Dwight non è qui… la sua presenza mi infonderebbe più fiducia, anche se il collega presso il quale ci ha indirizzato è un luminare nel suo campo. Mi raccomando, non dite nulla alla mamma né soprattutto ai vostri fratelli!”
Julia e Valentine assentirono, ed il ragazzo concluse che era certo che sarebbe andato tutto bene, non era il caso di preoccuparsi. Infine diedero la buonanotte al padre e si diressero entrambi verso le loro stanze. Giunti sull’uscio di quella di Julia, la ragazza chiese a Valentine se credeva davvero nel buon esito dell’intervento chirurgico oppure lo aveva detto solo per consolare suo padre.
“Dobbiamo tutti avere fiducia, Julia. Demelza è la colonna di questa casa, non riesco ad immaginare la nostra vita senza di lei!”
“Oh, Val!” – esclamò la fanciulla, gettandosi fra le sue braccia e scoppiando in lacrime. “Ho tanta paura…”
Valentine la strinse dolcemente a sé. Era importante starle vicino in quel momento difficile, ma da fratello. Non era giusto approfittare della sua debolezza per strappare a Julia qualcosa di più. “Andrà tutto bene, tranquilla… ed io per te ci sarò sempre quando avrai bisogno di parlare, ricordalo!” – le sussurrò. Julia sollevò il viso rigato di lacrime dalla spalla del ragazzo, lui la guardò e con i pollici le asciugò le ciglia. Dopo alcuni istanti che parvero interminabili Julia avvicinò la sua bocca a quella di Valentine. Era curioso, pensò il ragazzo: stava avvenendo ciò che aveva sempre desiderato, tuttavia quella sera gli sembrava così sbagliato…si allontanò giusto in tempo, e depositò un bacio sui capelli biondi di Julia. “Forse avevi ragione tu: meglio lasciare tutto com’è…”- le disse, lasciandola interdetta nel corridoio.
Valentine si chiuse nella sua stanza, appoggiò la schiena alla porta e si passò le mani tra i capelli. Forse Julia era rimasta delusa dal suo atteggiamento, ma non era più il momento di fare il bambino capriccioso. C’era un problema serio in famiglia, e non occorreva dare ai genitori altre preoccupazioni. Lui sarebbe stato l’uomo di casa per qualche settimana, ed intendeva comportarsi di conseguenza. Basta impuntature e colpi di testa, basta pensare soltanto a se stesso: avrebbe dimostrato maturità, e suo padre al ritorno da Londra sarebbe stato fiero di lui.

 
  
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