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Autore: Johnee    03/08/2022    1 recensioni
Una storia parallela alla trama principale di Inquisition che concerne: due nevrotici, i traumi™, gufi appollaiati su trespoli impossibili e la ricerca della reciprocità.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cullen, Hawke, Inquisitore
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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12 - Dolore Binario


La cavalcata da Crestwood fino alle Montagne Gelide fu il viaggio peggiore che Cassandra avrebbe mai affrontato in vita sua e, di conseguenza, il migliore per Varric.

Viaggiare in compagnia di Hawke e dell'uomo che aveva affrontato l'Arcidemone nel Ferelden, durante l'ultimo Flagello, permise a Lavellan di fare una vera e propria abbuffata di informazioni, esplicite e implicite.

Sia Alistair che Hawke, infatti, brandivano uno scudo di comicità in maniera così salda che sembrava impossibile scalfire la loro guardia, il che era estenuante per una persona che cercava di ottenere spiegazioni chiare ed esaustive. Però, il senso dell'umorismo di Lavellan, che era paragonabile a quello di un bambino di sei anni che ride di un cane che fa la cacca in mezzo alla strada, riuscì in qualche modo a introdursi organicamente in quella battaglia di sarcasmo e inappropriatezza, permettendo ai due di annetterla nel loro club esclusivo senza troppi problemi.

-Davvero è più alta di un Qunari?-

Alistair si voltò verso Lavellan, che cavalcava tra lui e Hawke, e le rivolse un sorriso sghembo. -Dipende dal Qunari. È alta...- ci rifletté un istante. -Come se io ti prendessi sulle spalle e ci mettessimo un cappotto lungo, fingendo di essere un adulto per entrare nei posti zozzi.-

-È il gene elfico. Se la nostra anatomia ci permettesse di restare dritti, saremmo più alti di tutta questa gente impilata in una torre.- minimizzò Lavellan, agitando una mano.

-Si, ma io non posso usare la stessa scusa. L'ultima volta che ho controllato, non avevo le orecchie a punta.-

-Sicuro di non avere discendenze elfiche? In cinque giorni non ti ho mai visto fare la barba e hai comunque meno peli in faccia di quanti Solas ne abbia in testa.-

-Ed ecco un'altra insicurezza da aggiungere alla lista.- commentò Alistair, con una nota di rassegnazione nel tono di voce.

-Non tutti gli uomini possono vantarsi di riuscire a crescere una barba folta e perfetta come la mia.- intervenne Hawke, lisciandosi i baffi.

Lavellan si voltò, indicando Blackwall, che guidava il carro alle loro spalle. -E lui, allora?-

-Lui non conta.- decretarono Hawke e Alistair in sincrono. -Quanto ci hai messo per farla crescere, a proposito?- domandò il primo.

Blackwall aggrottò la fronte. -Non lo so, era già così quando avevo vent'anni.- ammise, spostandosi di poco per permettere a Varric di sedersi al suo fianco.

-Se avessi una lista nera di persone da uccidere, tu saresti al primo posto.- lo attaccò Alistair, facendo sghignazzare lui e Sera.

-Lascia perdere questi discorsi, Lav.- si aggiunse Cassandra, dalle retrovie. -Per un fereldiano, la barba è ciò che di più sacro c'è al mondo. Se gli venisse chiesto se resuscitare la santa Andraste o crescere una barba forte e rigogliosa sul mento, un uomo sceglierà sempre la seconda.-

-Sicura di non essere fereldiana anche tu, Cercatrice?- la punzecchiò Varric, assicurandosi uno scappellotto sulla coppa in tutta risposta.

-Smetti di tormentarla, Varric.- lo rimproverò Hawke. -I baffi di dama Pentaghast sono deliziosi!-

Cassandra esalò un lamento di fastidio, in risposta all'ennesima provocazione sul suo aspetto fisico.

-Insomma, l'Eroe del Ferelden è effettivamente alta come la descrivono le cronache.- riprese a dire Lavellan, per evitare che la sua compagna di squadra li buttasse giù da cavallo uno a uno in un raptus piuttosto legittimo.

-Le cronache non le rendono mai giustizia.- suggerì Alistair, sorridendo tra sé e sé.

-A chi lo dici.- aggiunse Hawke, scambiando con Varric un'occhiata d'intesa.

-In realtà, la descrizione del Campione nell'Epopea è piuttosto accurata.- disse Cassandra, agognando vendetta. -Pancetta compresa.-

-Sono addominali.-

-E la faccia costantemente sporca di cibo.-

-Se non mangiassi in grandi quantità, smetterei di crescere e diventerei piccino come Varric.-

Alistair gli scoccò un'occhiata scettica. -Non funziona proprio così, lo sai?-

-Funziona come lo dico io.- tagliò corto Hawke. -Chi è che fa la conta delle insicurezze, a proposito?-

Il Toro, dal vagone del carro, alzò pigramente la mano. -Per ora il Mezzelfo è in testa.-

-Sei tu il Mezzelfo.- suggerì Hawke, sporgendosi verso Alistair.

-Per l'ennesima volta: se fossi un Mezzelfo eviterei di fracassarmi il mignolino sugli spigoli quando mi alzo in piena notte per andare al bagno.-

-Essere Mezzelfi è unicamente una questione di sangue. I tratti fisici non si ereditano.- spiegò Lavellan. -Sei comunque più suscettibile alla magia e sogni vividamente.-

-Corretto.- intervenne Solas, che cavalcava al fianco di Cassandra. -Il legame tra un Mezzelfo e l'Oblio è molto più forte di quello che avrebbe un Umano. È riportato che Mezzelfi con genitori nanici riescano persino a interagire con l'Oblio durante il sonno, anche se in maniera frammentaria.-

-Interessante.- commentò Dorian,, accarezzandosi il mento. -Quindi l'eredità elfica passa comunque al figlio, ma in maniera meno evidente.-

-Ci sono tanti Mezzelfi, nel Tevinter?- domandò Alistair.

-Metà della popolazione, probabilmente.- replicò Dorian. -Ecco spiegato perché i Maghi con discendenze elfiche hanno un'affinità con la magia molto più istintiva.-

-Esistono Mezzelfi anche tra i Qunari.- si aggiunse il Toro, che sedeva di fronte a lui. -Ma questa è la prima volta che sento una cosa del genere.-

-Considerato il modo in cui trattate i vostri Maghi, se fossi un Mezzelfo nel Qun preferirei tenermi certe informazioni per me.- disse Dorian.

-Il bue che parla male dell'asino.- borbottò Hawke.

-L'asino che parla male del bue.- lo corresse Dorian, rivolgendogli un'occhiata eloquente.

-Capita? È una combinazione di insulti nei miei confronti, perché sono grosso e cornuto.- aggiunse il Toro, sorridendo maliziosamente. Dorian ricambiò.

-L'avevamo capito.- brontolò Varric. -Piuttosto, come sono messo nella classifica, Piccoletto? Sono sopra o sotto la Cercatrice?-

-Questo dipende da come finirà il tuo nuovo libro.- rispose Lavellan, anticipando Hawke di un millesimo di secondo. Quello, colpito dalla prontezza della sua compagna di viaggio, si sporse dal cavallo per appoggiare le nocche sulla sua spalla in segno d'approvazione.

-Ti ci metti anche tu, adesso?- si lamentò Cassandra.

Lavellan indicò prima Alistair, poi Hawke. -Sono tra celebrità, Cas, devo fingermi una persona divertente per sentirmi parte del gruppo.-

-La benedizione magica che ti ha dato Andraste in persona non è abbastanza?- domandò Alistair, divertito.

-Magari alle feste.-

Cassandra alzò gli occhi al cielo, mentre Varric agitava una mano in direzione del Toro per incitarlo a rispondere.

-Sei molto sopra.- rispose quello. -Lei è una habituée delle ultime posizioni, scalzata unicamente dall'Inquisitrice e da madame Vivienne.-

-Com'è che sono sotto Cassandra?- domandò Lavellan, ridendo nervosamente. -Se c'è una persona con un minimo di stabilità, in questo circo, quella è lei.-

Il gruppo intero si soffermò a fissarla con aria confusa.

-Te la stai giocando male, Manina.- le suggerì Varric.

-Perché, devo fare finta di avere sempre tutto sotto controllo?-

-Non è quello che fai di solito?-

Lavellan fu pronta a dissimulare. -Sono brava a improvvisare, tutto qui.- rispose, ostentando indifferenza. In cuor suo, però, sapeva che non era il caso di articolare.

-Non ho detto che sei scevra di insicurezze, ho detto che non ne hai abbastanza da guadagnarti i posti più alti della classifica.- articolò il Toro. -Sei la meno incasinata di tutti, qui dentro, a parte madame Vivienne, ovviamente.-

Quella, sentendosi presa in causa, passò uno sguardo veloce sul gruppo. -Scusate, fantasticavo su quanto sarebbe bello trovarsi in tutt'altro posto in compagnia di tutt'altre persone.- disse, per poi tornare a farsi gli affari suoi.

-Insomma, è lui il confessore del gruppo.- ipotizzò Hawke.

-No, è solo una spia Ben Hassrath incapace di farsi gli affari suoi.- gli suggerì Dorian.

Hawke sollevò le sopracciglia sopra un'espressione sorpresa. -Siete effettivamente incasinati, allora.- affermò.

-Vuoi sapere una cosa che ti incasinerà l'esistenza ancora di più, Dorian?- fece il Toro, con un sorriso sornione. -Sei due posizioni sopra Cullen.-

Dorian sgranò gli occhi, facendoli scattare immediatamente verso Vivienne. -Posso approfittare della tua ospitalità e dissociarmi anch'io?-

Lei lo squadrò eloquentemente. -No.- rispose, asciutta.

Hawke scoppiò a ridere sonoramente, mentre Alistair scuoteva la testa, con in viso un gran sorriso rassegnato.

 

Nello scorgere il profilo di Skyhold all'orizzonte, Lavellan si sentì pervadere da un gran senso di conforto. Sfortunatamente durò poco, perché venne assalita dalla consapevolezza di dover ritornare a chiudersi nella sala di guerra a prendere decisioni difficili e sedare i pareri forti di tre persone profondamente diverse. E quell'idea la colpì direttamente sullo stomaco con la stessa intensità della cornata di un druffalo imbizzarrito.

-Pesante è la testa che regge la corona.- commentò Hawke, notando il viso di Lavellan trasformarsi da lieto a una maschera di fastidio. -Guarda il lato positivo, almeno adesso potrai smettere di struggerti e passare direttamente ai fatti.-

-Si strugge?- domandò Alistair, interessato.

-Oh, se si strugge!-

-Sono qui, eh, se non ve lo foste dimenticato.- bofonchiò lei.

-Scusa, ti avevo persa di vista per un istante. Colpa del gene elfico.- la prese in giro Alistair, per poi voltarsi verso il sentiero in salita che conduceva ai cancelli della fortezza.

Lavellan attraversò il portale per prima, accolta dalla curiosità degli ospiti e dai sorrisi di chi aveva sentito delle imprese dell'Inquisitrice a Crestwood. Espugnare una fortezza in meno di due ore, salvare un intero villaggio dalla distruzione e sconfiggere un drago senza battere ciglio; sembravano storie inverosimili, ma la gente non poteva fare a meno di crederci, perché sapeva di che pasta era fatta colei che le aveva compiute.

Lavellan scese da cavallo, affidando le redini al mastro stalliere, poi prese un respiro profondo e fece vagare uno sguardo trasognato sul cortile.

Quando notò Cullen scendere di corsa le scalinate che conducevano al mastio, perse immediatamente il buonumore. Normalmente, sarebbe stata felice di vederlo, ma l'espressione che indossava era presagio di notizie terribili. La sua faccia, infatti, era sconvolta dalla serietà, mentre la raggiungeva per appoggiarle una mano sulla schiena.

-Non posso lasciarvi soli un istante.- commentò lei, ancor prima che il nuovo arrivato potesse aprir bocca, o prenderla da parte.

Cullen sollevò lo sguardo verso il gruppo, contraendo le palpebre nell’accorgersi di Alistair. Quello fece altrettanto, fallendo nel riconoscerlo.

-Fare un sorriso ogni tanto ti farebbe bene.- intervenne Hawke, scorrendo un'occhiata incerta sui suoi lineamenti.

Cullen lo ignorò. -Devi seguirmi, è urgente.- mormorò, chinandosi su Lavellan per consegnarle un foglio di pergamena. -Riguarda il tuo clan.-

Lei abbandonò la voglia di scherzare all’istante. Gli strappò il foglio di mano, lo lesse velocemente, quindi seguì Cullen a passo svelto fino alla sala del consiglio, dove Leliana e Josephine li stavano aspettando, con un alone di nervosismo che macchiava l'atmosfera attorno a loro.

Nessuno si perse in convenevoli.

-Opzioni.- disse Lavellan, affacciandosi al tavolo tattico con decisione.

-Siamo d'accordo che non si tratta di un semplice gruppo di banditi.- iniziò Josephine. -E il fatto che la presenza di una forza armata sia sfuggita al duca di Wycome è quantomeno sospetto.-

-Abbiamo un avamposto a poche miglia di distanza, possiamo intervenire.- suggerì Cullen, appoggiando le mani sul tavolo nello sporgersi verso Lavellan.

-Vorrei ricordarvi che il duca è un nostro alleato. Va usata cautela.- precisò Josephine, mettendo le mani avanti. -Chiediamogli assistenza e chiarimenti.-

Leliana si carezzò il labbro inferiore con l'indice, pensierosa. -Potremmo mandare un gruppo di pattuglia a creare una distrazione affinché i tuoi si ritirino, mentre indago sulla situazione.- propose, con voce sommessa. -Come ha detto Josephine, è tutto troppo sospetto.-

Lavellan, rigida come una lancia, piantò lo sguardo sul segnalino posizionato sopra la città, faticando a trovare la concentrazione necessaria per analizzare la situazione razionalmente. La linea tra le tre soluzioni era offuscata, perché la sua mente iperattiva stava trascinando l'opzione logica da una parte all'altra per colpa del suo attaccamento alla questione, lasciando una scia di insicurezza al suo passaggio.

-Quanto tempo ci vorrebbe per raggiungerli, da Skyhold?- chiese, istintivamente.

-Non abbastanza perché sopravvivano al tuo arrivo.- rispose Leliana, intuendo il pensiero che passava nella testa di Lavellan. Quest'ultima le assestò un'occhiata patibolare, ma si impedì di impuntarsi, perché sapeva che l'intervento della sua collega avrebbe potuto essere una potenziale freccia nella direzione giusta.

-In ogni caso, la tua partenza per le Valli è prevista tra meno di una settimana.- intervenne Josephine, supportando la risposta di Leliana. -Dobbiamo rendere stabile la regione dagli squarci, tempestivamente.-

-Non serve che me lo ricordi.- affermò Lavellan, senza nemmeno guardarla. Rifletté attentamente per un minuto esatto, soppesando le azioni nella sua testa, poi sollevò lo sguardo su Cullen. -Mobilita le truppe.-

Lui, che era già pronto, drizzò la schiena e si diresse di gran carriera fuori dalla sala del consiglio.

Per un tempo che a tutti parve infinito, Lavellan rimase immobile a fissare la mappa con tanto d'occhi, poi prese un bel respiro, rivolgendosi alle sue colleghe, che la guardavano con aria tesa. -Già che sono qui, aggiornatemi sulla situazione.- demandò, avida di entusiasmo.

 

*

 

Josephine accompagnava Cullen attraverso i camminamenti del muro meridionale di Skyhold, approfittando della frescura serale per rigenerare le energie dopo una giornata decisamente troppo lunga e troppo pesante. Gli riferiva i punti salienti di un resoconto dei giardini risalente al giorno precedente, per evitare di entrare in merito a questioni troppo personali, con la speranza di smorzare la tensione che gravava sulle loro spalle.

Cullen apprezzò il gesto più di quanto non diede a vedere, cercando di contribuire regolarmente alla conversazione, senza perdere il filo del discorso nemmeno una volta.

Nonostante si stesse impegnando alacremente per evitarlo, arrivò il momento in cui la sensibilità di Josephine ebbe la meglio e lei non ebbe altra scelta se non quella di esprimersi. Si lisciò il mantello sulle spalle, per proteggere la piega dal vento, poi esalò un sospiro nervoso. -Leliana mi ha detto che non ha ancora lasciato le sue stanze.- gli rivelò.

Cullen serrò la mascella, rivolgendole un'occhiata preoccupata.

-So che dovremmo lasciarla riposare, dopo il viaggio, ma allo stesso tempo mi chiedo se non sia meglio offrirle una spalla su cui appoggiare la testa.- proseguì Josephine, raggiungendo la merlatura esterna per sfiorarla con le dita. Osservò le montagne arrossire, baciate dal sole che calava, poi si umettò le labbra, chinando la testa. -Se fossi nella sua stessa situazione, non so proprio cosa farei.-

Cullen la raggiunse, appoggiandosi a un merlo nello spiare l'orizzonte. -Potrei dirti quello che ho dovuto fare io, durante il Flagello, ma non ti sarebbe di nessuna consolazione.- ammise. -Vorresti andare a parlarle?-

-Tu no?-

Cullen deglutì una risposta schietta in tempo per evitare di sbottonarsi troppo. -Lo farò, a tempo debito.- disse, invece. -Per una volta che si affida al mio consiglio, vorrei ritornare da lei con una vittoria.- appoggiò istintivamente una mano sull'impugnatura della spada. -Ironico.- aggiunse, sottovoce.

-Come?-

-Dico che è ironico che per una situazione così delicata si sia affidata a me e non a voi due. Di solito la sua adorata "soluzione logica" si trova sempre tra le vostre mani.-

Josephine inspirò profondamente l'aria di montagna, esalando un lungo respiro. -Non sempre, a quanto pare.- disse. Indietreggiò di un passo, poi rivolse un sorriso moderato al collega, chinando appena la testa. -In bocca al lupo.-

Lui le rivolse un cenno composto a sua volta. -Che il mabari gli morda la coda.- replicò, per poi incamminarsi verso il suo ufficio.

Una volta di fronte alla porta, Cullen si voltò in direzione della grande torre settentrionale, soffermandosi a osservare il profilo della terrazza che abbracciava le stanze personali dell'Inquisitrice. Se però di solito sorrideva all'idea che i loro sguardi potessero incrociarsi nella distanza, in quel momento non gli veniva proprio di farlo.

Entrò nella stanza con un gran peso al cuore, muovendosi lentamente verso la sua scrivania. Immediatamente, si rese conto che qualcosa non quadrava. La sua poltrona era in una posizione diversa da dove l'aveva lasciata e il tappeto, da quel lato, era intriso di impronte fangose.

Trattenne il fiato, mentre sguainava la spada nell'aggirare la scrivania con circospezione, tenendosi abbastanza distante da essa per evitare che qualsiasi cosa si fosse rintanato sotto potesse balzare fuori e sorprenderlo.

Quando però arrivò alle spalle del mobile, il cuore gli scivolò tra le caviglie. Rinfoderò la spada e si accucciò, con aria preoccupata.

Lavellan era rannicchiata sul fondo, come una piccola cosa. Vestiva ancora l'armatura media che aveva portato durante il viaggio di ritorno da Crestwood, compresa di accessori ed equipaggiamento, segno che non fosse mai arrivata nelle sue stanze. Avvolgeva l'elmo dell'Inquisitore tra le braccia, come se si trattasse di un oggetto di conforto. I suoi occhi erano gonfi e arrossati su un viso sporco di polvere e residui di trucco, ma anche graffiato da solchi umidi e brillanti che si nascondevano con poco successo tra le ramificazioni dei suoi Vallaslin.

Si voltò lentamente verso Cullen, con il capo che dondolava dal dolore e dalla stanchezza, quindi si pulì le guance con il dorso della mano.

Lui si sporse nella sua direzione, reggendosi sul bordo della scrivania. -Lavellan.- esalò, tristemente intenerito da quell'immagine.

-Non è un cognome.- disse lei, con voce flebile e rauca. -È il nome del mio clan.-

Cullen strinse le labbra, indeciso su cosa dire.

Lavellan lasciò ricadere il capo all'indietro, appoggiandosi al legno con la nuca. -Me lo sono fatta piacere, perché il mio lavoro qui li rappresenta. Il mio clan mi ha dato alla luce e mi ha aiutata a diventare la persona che sono adesso. Semmai risultassi una brava Inquisitrice, alla fine di questo percorso, lo dovrei al modo in cui mi hanno cresciuta.- detto questo, singhiozzò, contraendo il viso in una maschera di dolore. -Ma non lo sono. Ho lasciato che la paura mi sconvolgesse e ho preferito la via più sicura a quella più intelligente.-

Cullen lasciò la presa, decidendo di scivolare al suo fianco, sotto al mobile. -Perché la via intelligente non è necessariamente la via più sicura. Possiamo investigare in un secondo momento. Ora, la cosa più importante è metterli in salvo.- affermò. -Chambreterre è una dei miei migliori ufficiali, Ankh. Porterà a casa una vittoria, te lo giuro sul mio onore.-

Lei non disse nulla, prendendo a fissare un punto non specificato sopra di sé. Rimase in silenzio a lungo, poi chiuse gli occhi, esalando un sospiro stanco. -Sai perché ho scelto i Vallaslin di Falon'Din, all'epoca? Almeno, sai chi è Falon'Din?-

Lui le mostrò un'espressione a mezza via tra il desolato e l'incerto.

-Il Nume della morte e della fortuna, intesa come sorte.- spiegò lei, senza fargli pesare la sua ignoranza. -Quando uno di noi muore, preghiamo che Falon'Din lo guidi con mano sicura attraverso l'Oblio.- fece una pausa, per spostarsi i capelli dal viso e mostrargli l'intricato disegno dei suoi Vallaslin. -La quercia. Noi i nostri morti li doniamo alla terra assieme a un ramo di quercia per evitare che si perdano durante il cammino. Essa è il legame tra il mondo fisico e l'aldilà, perché le radici sono profonde e i suoi rami toccano il cielo, tra le altre cose.- lasciò ricadere i capelli sulla fronte, per ritornare ad accarezzare il metallo dell'elmo. -Senza la guida Falon’Din, è l’unico modo per arrivare sani e salvi a destinazione.- fece una pausa, scorrendo uno sguardo smarrito sul suo riflesso distorto, prima di proseguire.

Cullen le circondò le spalle con un braccio, protendendosi verso di lei, in ascolto.

Lavellan cercò il contatto visivo, che scinse subito dopo essersi resa conto del bagaglio di conforto che le veniva offerto. Era troppo pesante da gestire, anche se si era trascinata lì per quello. -Dall’alto della mia vanità, ero certa che il mio compito fosse quello di guidarli verso la salvezza, prima di affidarli a Lui. Sai di cosa sono in grado, vhenas. Se non io, chi altro?-

Cullen diede un cenno d’assenso, senza rifletterci troppo.

-Anche se non sapevo cosa comportasse, perché ero troppo piccola per capirlo, con il tempo mi sono sempre affidata a Lui e ogni perdita, ogni dolore… tutto sembrava avere un senso.- tirò su con il naso, coprendosi gli occhi con una mano tremante. -Anche adesso dovrebbe consolarmi e invece...- fece una pausa. -È come se mi stessero strappando l'anima dal corpo.- ammise, con la voce talmente distorta dal dolore che le sue parole facevano fatica ad assumere una forma. -Che cos’ho fatto di sbagliato? Perché mi sta mettendo alla prova?- strinse i denti, bloccando un lamento in gola, prima di tornare a sfogarsi. -Perché stavolta non riesco a passare oltre? Perché non riesco a trovare un senso a quello che è successo?- gemette, annaspando per potersi aggrappare a qualsiasi cosa apparisse ragionevole. -Io… non… io ho fatto tutto quello che mi ha chiesto.- si coprì il viso, premendo le mani su di esso per impedire al dolore di uscire, infettando la percezione che il mondo aveva di lei. Una volta che il pianto nervoso l’ebbe trascinata in uno stato di profonda stanchezza, Lavellan approfittò della tregua e chiamò a sé quell’ultimo brandello di compostezza che le restava. -Mi vuole qui.- disse, imponendosi di non cedere di nuovo alla straziante confusione che la annebbiava la testa.

Cullen aggrottò la fronte, preoccupato. -Qui?- mormorò, carezzandole il capo con gentilezza.

Lavellan cercò di regolarizzare il respiro per molto tempo, infine allungò lo sguardo verso l'alto. -I gufi.- sussurrò, a occhi chiusi, appoggiando la guancia sulla mano che la stava consolando.

Il pollice di Cullen intercettò una lacrima, disperdendola, mentre lui osservava Lavellan con aria triste.

Lei singhiozzò di nuovo, per poi aggrapparsi al suo polso faticosamente. La qualità dell’occhiata che gli lanciò fu più eloquente di qualsiasi richiesta d’aiuto.

Cullen annuì, appoggiando il mento sulla sua fronte nell'avvolgerla in un abbraccio. -Conta su di me.- affermò, abbandonando istantaneamente la tristezza per indossare la determinazione.

 

Le torce stavano venendo via via accese lungo le mura mentre Cullen usciva dal suo ufficio.

Si richiuse la porta alle spalle, dando un giro di chiave per evitare che qualche messaggero entrasse all'improvviso, poi si inoltrò nel camminamento che collegava la caserma al mastio, muovendosi con decisione.

Nel vederlo entrare nel suo studio di gran carriera, Solas lo accolse con un sorriso composto, che si trasformò in curiosità quando realizzò che, invece di dirigersi verso il salone si stava muovendo verso la biblioteca. -Posso aiutarla, Comandante?- gli domandò.

Cullen si fermò di colpo, rendendosi conto solo in quel momento della sua presenza. Esitò, poi scosse semplicemente la testa.

Solas alzò le mani in segno di resa, poi recuperò un libro dalla sua scrivania, fingendo di interessarsi esclusivamente a quello, mentre il suo ospite temporaneo si allontanava dal suo studio. Una volta che fu distante, alzò il capo verso l'impalcatura che sfruttava per dipingere, rivolgendo le sue perplessità verso di essa.

Cole, le gambe a penzoloni, gli rivolse un'occhiata vacua e acquosa. -C'è grande sofferenza nel cuore dell'Inquisitrice.- disse, sommessamente. -Rabbia. Fame. Senso di incompletezza. Paura di rivolgere le sue speranze a chi la sta mettendo alla prova.- fece una pausa. -La sua anima è divisa. È qui, intrappolata nel caos, e allo stesso tempo vorrebbe essere con loro. Dov’è vhenas ?-

Solas ci rifletté attentamente. -Il suo clan è in pericolo?- domandò.

Cole si limitò a far dondolare le gambe, nascondendo la sua esile figura con la tesa del cappello. Solas rimase a fissarlo a lungo, corrucciato, poi annuì. -È in buone mani.- disse, secco.

-Lo dici come se cercassi di rassicurare te stesso.- commentò Cole.

Solas si passò una mano sul braccio, nervosamente, poi gli rivolse un sorriso tirato. -Già.- affermò.

 

Nel frattempo, Cullen aveva raggiunto la cima delle scale, sporgendosi al di là della porta con fare guardingo, nell'accarezzarne la cornice. Quando finalmente intravide Dorian, che sistemava in uno scaffale la pila di libri che teneva tra le braccia, si affrettò a raggiungerlo.

Dorian, notandolo con la coda dell'occhio, si voltò appena nella sua direzione con aria stanca. -Non ho intenzione di chiederti una rivincita, se è per questo che sei venuto fin qui.- disse, continuando nel suo lavoro di archiviazione.

Cullen si portò vicino, appoggiando le mani sui fianchi. -No, non sono qui per quello.- sussurrò, guardandosi attorno con circospezione.

Dorian inarcò un sopracciglio, passando le dita sulla costa di uno dei libri che stava reggendo, prima di riporlo. -E cosa vorrebbe mai da me il prode comandante dell'Inquisizione, allora?- domandò, enfatizzando eccessivamente sull'aggettivo.

Cullen aspettò che un Mago libraio passasse loro di fianco, poi si avvicinò a Dorian maggiormente. -Ho bisogno del tuo aiuto.-

-L'avevo intuito, non sono come i beoti di cui ti circondi.- rispose Dorian, prestandogli finalmente attenzione. Gli rivolse uno sguardo incerto, allegandoci un sorrisetto. -Francamente, speravo di non dover tirare a indovinare. Quando un uomo per bene come te mi chiede un favore, di solito concerne il sesso extraconiugale, la negromanzia, o peggio: l'interior design.-

Cullen ignorò la provocazione, preferendo evitare di allungare una conversazione già di per sé spiacevole. -Riguarda lei .- precisò.

Il sorriso di Dorian scemò, lentamente, abbandonando il suo viso assieme alla voglia di scherzare.

-Non sta bene.- sussurrò Cullen, portandosi talmente vicino da essergli quasi a ridosso. -Non posso dirti cos'è successo, perché me ne sto occupando io.- fece una pausa, voltandosi brevemente altrove. -Ma ci sono cose che non posso e non voglio fare, anche se ne avrebbe bisogno.-

Dorian appoggiò i tomi rimasti su un tavolo, con cautela, poi si sporse nella direzione del suo interlocutore, per poter mantenere a sua volta un tono di voce moderato. -Non sarebbe più indicato rivolgersi a Cassandra, visto il loro legame?-

Cullen scosse la testa. -So cosa vuol dire sentirsi così male da provare vergogna per i propri sentimenti.- disse, con una nota d'urgenza. -In questo momento non ha bisogno della forza per rimettersi in piedi. Ha bisogno di qualcuno che la faccia sentire a suo agio con il suo dolore e penso che non esista persona più indicata di te, per aiutarla.-

Dorian scorse uno sguardo critico sul suo viso. -Cosa devo fare?- gli domandò.

L'espressione di Cullen si tinse di sollievo. -Ce la fai a entrare nelle sue stanze e a recuperare un cambio di vestiti?-

Dorian sputò un gemito sprezzante, agitando una mano tra loro con noncuranza. -E io che pensavo chissà cosa! C'è altro?-

Cullen gli diede una pacca sul braccio, in segno d'approvazione. -Quando hai finito, bussa cinque volte alla porta settentrionale del mio ufficio. Io andrò a recuperare qualcosa da mangiare.- fece una pausa. -Sii discreto, mi raccomando.-

-Non è il mio primo giro.- replicò Dorian, afferrando una tracolla per svuotarla del suo contenuto. -Tu, piuttosto, datti una calmata. L'Usignolo è sul suo trespolo.-

Cullen sollevò lo sguardo, trovando la conferma delle sue parole nell'incrociare il sorriso di Leliana, appoggiata alla balaustra della piccionaia. La salutò con un cenno del capo, poi si voltò verso Dorian, che gli stava porgendo un libretto che aveva appena estratto dalla borsa. -Non ho idea di cosa sia ma... ecco ciò che mi hai chiesto, Comandante.- disse, alzando lievemente la voce nel pronunciare l'ultima frase. -Sfoglialo brevemente, prima di andartene e fai finta di leggerlo finché non sei sicuro che non ti stia guardando più.-

-"La vedova lasci..."- Cullen gli rivolse un'occhiataccia. -Sul serio?- gemette, sventagliando l’oggetto bruscamente.

Dorian fece spallucce. -Se ti avessi prestato un Genitivi non sarebbe stato altrettanto credibile.- affermò, per poi dileguarsi.

 

Cullen aveva appena fatto in tempo ad appoggiare una scodella di minestrone sulla sua scrivania quando sentì Dorian bussare al suo ufficio.

Si precipitò ad aprirgli, tenendogli la porta finché non fu entrato. -Un signore.- commentò l’ospite, in risposta alla gentilezza. Fece un giro su se stesso, incuriosito da quello spazio nuovo, assumendo una nota di disappunto quando il suo sguardo raggiunse la scrivania. -Potevi prenderle qualcosa di più sostanzioso, almeno!- lo rimproverò.

Cullen lo ignorò, facendogli cenno di seguirlo al piano di sopra. Dorian lasciò che lo precedesse di qualche passo, poi salì la scala a pioli, con decisione.

Una volta a destinazione, Cullen cercò il profilo di Lavellan con lo sguardo. Prima di lasciare la stanza, l'aveva aiutata a sistemarsi a letto, coprendola a modo e restando seduto al suo fianco finché non l'aveva vista chiudere gli occhi. In quel momento, però, il letto era vuoto e le coperte erano state trascinate a terra. Lavellan, invece, era rannicchiata a ridosso di un angolo, con il viso rivolto al muro e l'elmo ancora stretto tra le braccia. La luce soffusa della lanterna a olio appoggiata sul comodino illuminava fiocamente la curva della sua schiena, accentuando lo stato pietoso in cui versava.

Alle spalle del padrone di casa, Dorian si ritrovò ad aggrottare la fronte su un'espressione incredula.

Cullen, che si era avvicinato a lei, si chinò e appoggiò una lieve carezza sul suo viso, ricevendo uno sguardo smarrito in tutta risposta. La rassicurò con un sorriso gentile, avvolgendole la coperta sulle spalle. Una volta sistemata in modo che non soffrisse il freddo, voltò il capo in direzione di Dorian, che aveva appena appoggiato la borsa sul letto. Ne aveva estratto una bottiglia di vino, che stappò, poi fece cenno a Cullen di spostarsi. -Non è per lei, tranquillo. È la mia cena.- precisò, intercettando un'occhiataccia. -Ora togliti dai piedi, di grazia. Le cose che abbiamo da dirci non sono affar tuo.- aggiunse, invitandolo ad alzarsi con un cenno sbrigativo.

Cullen esitò per un solo istante, il tempo di rendersi conto che lo sguardo stanco di Lavellan non cercava più il suo alla ricerca di una spiegazione, ma viaggiava verso Dorian assieme alla supplica di raggiungerla il prima possibile. Sapere di aver fatto la cosa giusta, gli permise di fare un passo indietro e lasciarla nelle mani di una persona di cui lei si fidava.

Raggiunse l'ultimo gradino della scala con la scena di un abbraccio disperato impressa nelle retine.

 

Seppure avesse la testa altrove e passasse la maggior parte del tempo con lo sguardo attaccato al soffitto, Cullen riuscì comunque ad adempiere alle responsabilità che caratterizzavano il suo ruolo, finendo prima della mezzanotte gran parte del lavoro che aveva accumulato nelle ore precedenti.

Dopo aver smaltito la corrispondenza arretrata, decise di uscire dal suo ufficio giusto un istante, per riprendere fiato prima di ritornare a concludere il lavoro. Si soffermò a osservare la volta stellata con occhi stanchi, incrociando le braccia al petto nel sollevare il mento alla ricerca della luna.

Con la coda dell'occhio, notò una ragnatela di luci che si disperdevano dalla cima della torre di guardia orientale fino allo spiazzo di scambio dei camminamenti. Localizzata in direzione delle luci, viaggiava una cacofonia di risate e canti fereldiani che, per un attimo riportarono Cullen tra le mura della fortezza di Kinloch, assieme allo spettro dei suoi confratelli.

Riconobbe la voce di Hawke, che intonava il ritornello del Mabari di Andraste con la sua profonda voce baritonale e sorrise istintivamente, nel sentire che chiunque stesse partecipando a quella riunione conosceva le parole. Anche lui le conosceva, ovviamente, anche se la Chiesa scoraggiava i suoi Templari a imparare sciocche canzoni popolari, in virtù dei canti approvati dalle Gran Sacerdotesse.

"...Dicono che il Creatore l'abbia reso speciale, leale e fedele, mai borioso, affinché fosse compagno per sempre della santa sposa del Creatore."

-Compagno per sempre della santa sposa del Creatore.- canticchiò, sorridendo alla vista di Hawke che saliva su una cassa, improvvisandosi direttore d'orchestra. Quando la canzone finì, il pubblico esplose in un applauso, assieme alle grida di chi aveva bevuto troppo e alle risa di chi aveva piacere di un bis.

Hawke si inchinò profondamente, poi fece per scendere dalla cassa, ma si fermò all'ultimo secondo, notando di essere osservato. Allora, eseguì un saluto militare molto poco credibile e agitò una mano nel rivolgere un gestaccio all’osservatore. Cullen ricambiò, alzando un palmo per deflettere l’offesa, poi rientrò nel suo ufficio, con l’accenno di un sorriso dipinto sulle labbra.

Si richiuse la porta alle spalle proprio mentre Dorian scendeva l'ultimo gradino della scala a pioli, con il viso ebbro di stanchezza.

I due si scambiarono una lunga occhiata, poi Dorian si mosse verso la scrivania, appoggiandoci la ciotola, piena per metà, e la bottiglia vuota. -Dorme.- dichiarò, abbandonandosi a sedere sulla sedia che Cullen aveva recuperato per lui qualche ora prima.

-Com'è andata?- chiese il padrone di casa, a bassa voce.

Dorian allacciò le caviglie sul bordo della scrivania, appoggiando i gomiti sui braccioli della sedia. Si passò una mano sulla fronte, poi sospirò rumorosamente. -Ci siamo fatti coraggio e abbiamo esplorato un po' di traumi insieme. A quanto pare, ne avevo bisogno anch'io.- fece una pausa, per recuperare la tranquillità necessaria a proseguire nel dialogo. -Hai da bere qualcosa che non sia acqua benedetta?-

Cullen spostò uno sguardo indeciso tra il Mago e la bottiglia vuota, poi lo assecondò, perché anche lui sentiva il bisogno di riscaldarsi la gola. Recuperò un fiasco da un ripiano della libreria e riempì due bicchieri di liquore.

Una volta sedutosi, sollevò il suo e il suo ospite fece altrettanto, nel condividere un brindisi silenzioso.

Dorian si bagnò le labbra, poi osservò il liquido ambrato che gli era stato offerto, colpito. -Sei un uomo pieno di sorprese, Comandante.- mormorò, rauco.

-Se mi conoscessi davvero, non ti sorprenderesti più di tanto per queste inezie.- commentò Cullen, con una nota di rimprovero nel tono di voce.

-Mi sembra ovvio. Così come mi sembrava ovvio che non ci fosse l’interesse di esplorare una conoscenza reciproca, da entrambe le parti.-

Cullen gli rivolse un'occhiata eloquente. -Sono un fereldiano vecchia scuola, ex-Templare, per giunta. L'unica cosa che odiamo di più del Tevinter sono gli orlesiani.-

-Chi è che non odia gli orlesiani?- domandò Dorian, proponendo implicitamente un altro brindisi che venne contraccambiato subito. Bevve un sorso di liquore, poi si schiarì la voce. -Immagino che non salirai a controllare la situazione, stanotte.-

Cullen scosse la testa. -Resterò nei paraggi, nel caso avesse bisogno di aiuto, ma vorrei evitare di metterla più in difficoltà di quanto già non lo sia.- rispose.

Dorian inclinò la testa, rivolgendogli un'occhiata scettica. -Non è una donzella in pericolo.-

-No, ma è la donna...- Cullen si impedì di proseguire, serrando la mascella. -Lo so che non ha bisogno di essere protetta e che è consapevole che qui non corre nessun pericolo. Sto rispettando i confini, ecco quanto.- aggiunse, dopo un po'.

Dorian esalò un lamento con una distinta sfumatura sprezzante. -Hai permesso a un estraneo (di cui sospetti, tra l'altro) di stare ore da solo con lei a parlare di sentimenti e ad aiutarla a cambiarsi... e mi vieni a parlare di confini?- scosse la testa. -Siamo un po' incoerenti, o sbaglio?-

Cullen scacciò l'accusa con un cenno sbrigativo. -Non sei un estraneo a caso: sei la persona di cui aveva più bisogno.- disse, tranquillamente. -Un amico.-

-Mi risulta che sia venuta da te, però.-

-Perché sapeva che avrei fatto la cosa giusta.-

-E perché non è andata dritta da Cassandra? Anche lei ha a cuore i suoi interessi e le vuole bene.-

-Sì, ma lei non...- Cullen spalancò lo sguardo, in piena illuminazione. -...è innamorata di Cassandra.-

Dorian gli rivolse un sorriso accennato, sollevando il calice per la terza volta. -Benvenuto nel mondo dei vivi, dolce fiorellino campestre.- commentò, prima di finire il drink in un sorso.

Cullen gli indicò il soffitto con enfasi, poi si appoggiò l'indice al petto, con un palese interrogativo nello sguardo.

Dorian rimase immobile a fissarlo, con una punta di rassegnazione.

-Allora non è una delusione!- gemette Cullen, afflosciandosi sulla sedia.

Dorian gli porse il bicchiere vuoto, mettendosi in piedi per congedarsi. Aspettò che Cullen si alzasse a sua volta e raccogliesse il contenitore, prima di rivolgergli un sorrisetto tinto di compiacimento.

L'altro si passò una mano dietro al collo, in evidente imbarazzo. -Grazie di non avermelo detto.- mormorò.

Dorian aprì le mani verso il soffitto, fingendo noncuranza. -Dovevi arrivarci da solo, ma se avessi continuato con la tua andatura avresti finito per rendertene conto il giorno del mai.- fece, aspettando di farsi aprire la porta, prima di muoversi verso l'esterno.

-Insomma, stanotte mi hai fatto due favori enormi.- borbottò Cullen, appoggiando le mani sui fianchi. -Cosa mi toccherà fare, in cambio?-

- Un favore.- precisò il suo interlocutore, scorrendo uno sguardo divertito sul suo viso. -L'altro era un dovere che avevo nei riguardi dell'Inquisitrice, da amico.-

Cullen gli rivolse un mezzo sorriso. -Sei un brav'uomo, Dorian.- affermò.

-Lo so. Non mi serve il beneplacito di un'autorità competente.-

-No, ma la prossima volta che mi farò spedire del West Hill, te ne terrò da parte qualche bottiglia.-

Dorian sollevò l'indice di fronte a sé, assestandogli un'occhiata macchiata di rimprovero. -Cassa.- lo corresse.

Cullen lo guardò di sottecchi. -Non esageriamo, adesso.-

Dorian alzò le mani in segno di resa, voltandosi per ritornare nel suo alloggio. -Ci ho provato.- disse. Cullen lo osservò allontanarsi, assicurandosi che raggiungesse il mastio in sicurezza, prima di rientrare.

Si sedette comodamente nella sua poltrona, recuperando il bicchiere di brandy nel sollevare lo sguardo verso il soffitto. Nonostante Dorian gli avesse confermato una verità dolcissima, seppure per vie traverse, non riusciva comunque a smettere di pensare al senso di solitudine che doveva provare Lavellan, in quel momento.

I suoi compatrioti festeggiavano ancora, così vicini a lui che poteva sentire distintamente la voce di Hawke rimbombare tra le pareti del suo ufficio. Stavolta, aveva scelto di cantare una canzone triste, di guerra e di speranza. Una flotta di navi bianche veleggiava verso l'orizzonte, dando le spalle al porto di Gwaren, abbandonato dal suo teyrn e sopraffatto dalla Prole Oscura, per raggiungere la salvezza in seno ad Andraste.

La canzone gli ricordò del Custode Grigio che aveva intravisto nel cortile di Skyhold in mattinata e che aveva accompagnato Hawke durante il pomeriggio. Gli pareva di aver già visto la sua faccia, ma dovette scavare a lungo e a fondo nei meandri della sua testa per capire chi fosse.

Nel realizzarlo, Cullen si sentì schiacciare verso il basso, come se un masso di dimensioni pantagrueliche fosse appena franato sulla sua schiena.

Le orecchie presero a fischiargli, mentre attorno a lui le pareti ribollivano di pustole di lava e squarci osceni che partorivano demoni della Pigrizia e dell'Ira. Sentì chiaramente l'eco della risata nervosa di fratello Drass, mentre un demone del Desiderio gli sfilava l'elmo, spingendolo ad affondare la spada nel cuore dei suoi confratelli.

Come se fosse lì, in quel momento.

Poi vide se stesso e il comandante Hadley sigillare la porta alle loro spalle, per prendere tempo affinché gli altri avvisassero Ser Greagoir del pericolo, mentre un'orda di demoni rovinava su di loro come una marea nera e ripugnante.

Come se fosse lì, in quel momento.

Cullen, con il cuore che batteva furiosamente nella sua cassa toracica, fece un respiro profondo e chiuse gli occhi. -Non è reale.- mormorò, appoggiando il bicchiere sulla scrivania con mani tremanti. Fece un altro respiro, mentre la sua memoria gli riproponeva un tormento dietro l'altro, accompagnata dalla canzone struggente di Hawke.

-Non adesso.- disse, a denti stretti, cercando febbrilmente nella sua testa un ricordo che lo ancorasse al presente, per riportarlo a concentrarsi su ciò che stava proteggendo. Per evitargli di perdersi.

Provò a pensare al sorriso di Lavellan, mentre giocavano nella neve. Contò le lentiggini sulle sue guance macchiate dal freddo, carezzò con lo sguardo il profilo del suo naso screpolato dal sole e indugiò sulla morbidezza del suo labbro inferiore, arricciato sul palmo della sua mano in un lieve bacio, consegnatogli segretamente poche ore prima.

Tutto d'un tratto, il suo viso si sovrappose a quello dell'Eroe del Ferelden, che lo fissava dal di là della sua prigione magica con disprezzo, abbandonandolo, ignorando i suoi avvertimenti e il suo dolore. Nei suoi occhi non c'era la pietà che gli aveva mostrato Leliana, nell'offrirgli cibo e rifugio, ma solo una grande urgenza di togliersi di torno l'ennesimo uomo ferito che implorava aiuto sul suo cammino.

Lo stesso che aveva fatto la Chiesa. Lo stesso che aveva fatto quel Custode, che aveva fatto finta di non vederlo fino a quel giorno.

Solo il dolore aveva posto per lui, solo il dolore l’aveva accolto tra le sue braccia. E lo aveva cullato per anni, nutrito di rancore, appagandolo e appannandogli la vista, mentre il suo cuore avvizziva. La tentazione di ritornare da lui era insopportabilmente rumorosa.

Cullen cercò di svuotare la mente, eseguendo un respiro profondo dietro l'altro, giungendo le mani sul tavolo e stringendole con forza, mentre mormorava una, due, venti, cento preghiere per far sì che quel tormento finisse.

 

Si svegliò di scatto, alzando la testa verso la porta del suo ufficio che si apriva.

Si diede qualche istante per riacquistare la lucidità, passando uno sguardo spaventato sulle pareti.

I demoni erano scomparsi, le voci erano cessate. C'erano solo il residuo di una notte tormentata dagli incubi, un sole battente che filtrava dalla porta aperta e un messaggero ignaro, che aspettava di parlare con lui, in piedi di fronte alla sua scrivania con aria preoccupata.

Cullen posò uno sguardo incerto sul rompicapo elfico che giaceva tra le sue mani, poi si schiarì la voce. Ripose l’oggetto con cura nella sua scatola, si passò entrambe le mani sui capelli per riordinarli e si alzò, ritrovando la compostezza perduta.

-Un messaggio del tenente Chambreterre.- annunciò il messaggero, porgendogli una busta sigillata.

Cullen gliela strappò di mano, aprendola con un gesto deciso. La scorse, poi sollevò lo sguardo sul suo ospite, rivolgendogli un sorriso soddisfatto. -Se potessi, ti darei un aumento.- disse, chinandosi sulla scrivania, alla ricerca del calamaio. Nella foga, rischiò almeno un paio di volte di rovesciare una tazza di tè e un piatto coperto, lamentandosi con se stesso per aver lasciato tutte quelle stoviglie sul tavolo la notte precedente.

-In realtà, potrebbe.- provò a dire il suo interlocutore, rinunciando immediatamente a muovere questione dopo aver ottenuto un'occhiataccia in tutta risposta.

Cullen scrisse una nota veloce su un foglio di pergamena, soffiandoci sopra una volta finito e agitandola davanti a sé per permettere all'inchiostro di asciugarsi rapidamente. Una volta imbustata e consegnata, spedì via il messaggero con un gesto nervoso. -Veloce!- lo incitò.

Quando fu nuovamente da solo, esalò un sospiro di sollievo a occhi chiusi, posandosi una mano sullo stomaco. Quello che doveva fare, in quel momento, era salire le scale, avvisare Lavellan della situazione e riportare il suo successo in sede di consiglio, per rassicurare le sue colleghe che tutto fosse in ordine, Josephine in primis.

Raggiunse velocemente la scala a pioli, poi ci si aggrappò. Mentre era in procinto di salire, però, realizzò istantaneamente di non aver consumato té, la notte precedente e neppure di aver lasciato stoviglie sulla sua scrivania.

Rimase un istante con le mani a mezz'aria, inebetito dalla sonnolenza, poi ritornò sui suoi passi, guardando la superficie del mobile con aria confusa. Vide la tazza, il piatto coperto e, solo in quel momento, si accorse della presenza di un biglietto ripiegato tra i due oggetti.

"Grazie dell'ospitalità." recitava, ma non era firmata, anche se era ovvio chi l'avesse lasciata.

Cullen se la rigirò tra le mani, osservando un punto non specificato di fronte a sé con aria smarrita.

Dopo essersi sforzato di darsi un contegno, raggiunse immediatamente la sala del consiglio, con il rapporto di Chambreterre stretto nel pugno. Non si sorprese di trovare le sue colleghe già presenti, intente a discutere di un problema minore, piuttosto furono loro a sorprendersi delle modalità del suo arrivo.

Infatti, aveva spalancato la porta e si era diretto verso l'Inquisitrice, senza degnare nessuno di un saluto per consegnarle il rapporto. -La missione ha avuto successo.- affermò, mentre lei lo leggeva.

Aspettò un qualsiasi riscontro con apprensione, trattenendo il fiato e legando le mani dietro alla schiena. Quando Lavellan gli rivolse uno sguardo carico di sorpresa, mista a gratitudine, lui si ritrovò a esalare un lungo sospiro di sollievo.

-Grazie, Comandante.- disse lei, faticando a trattenere un sorriso che denotava un gran senso di distensione. -Li hai salvati.-

Cullen chinò la testa, regalandole un sorriso a sua volta. -Ho fatto solo il mio dovere.- disse, sforzandosi di non dare adito all’impulso di abbracciarla. Riconoscere il suo stesso desiderio tra le ciglia di Lavellan non fu assolutamente d’aiuto, ma si sforzò comunque di mettere in primo piano il contesto in cui si trovavano.

Leliana guardò entrambi con attenzione, poi diede un leggero buffetto a Josephine sulla spalla. Quella, troppo impegnata a tirare un grosso sospiro di sollievo a sua volta, quasi sussultò al tocco. Lanciò a Leliana un'occhiata confusa, al che l'altra diede un cenno con il capo verso i loro colleghi.

Josephine strinse lo sguardo un solo istante, poi assunse un'espressione colpita. Si riebbe giusto in tempo per evitare che la cera della candela del suo leggio gocciolasse sulla mappa tattica che ricopriva il tavolo.

-Le truppe resteranno in zona il tempo necessario per garantire la sicurezza del clan Lavellan.- disse Cullen, imponendosi di riprendere il suo posto al tavolo. -Non appena saranno certi che non ci siano altre minacce, ripiegheranno.-

Lavellan, che ancora stringeva il rapporto tra le mani, annuì. -Ringrazia il tenente Chambreterre da parte mia.- disse, semplicemente.

Cullen si limitò a eseguire un cenno del capo, gonfiando il petto con orgoglio. Per la prima volta, da che era entrato, si soffermò a osservare Lavellan, alla ricerca delle ferite riportate dalla sera precedente. Nel suo viso c'era una lieve traccia di occhiaie, abilmente nascoste dal trucco, ma i suoi occhi avevano ripreso la vitalità di sempre, finalmente sgonfi e leggermente resi lucidi dal freddo.

Si ritrovò il cuore in gola nel riconoscere un dettaglio estraneo al completo che lei usava di solito quando aveva in programma di passare la giornata fuori dal mastio. Si trattava di un fazzoletto rosso rovinato dal tempo, lo stesso che lei aveva recuperato per lui molti mesi prima, sul tetto di un'abitazione di Haven. Lo stesso che lui le aveva consegnato a mo' di portafortuna.

In quel momento lo portava al collo, così come lo portava lui a Kinloch durante l'apprendistato, assieme al ricordo della sua ultima estate tra le viti.

Era il primo di tanti pegni d'amore che si erano scambiati, ma l'unico che per lui aveva un bagaglio sentimentale. L'unica cosa che avrebbe voluto con tutto il cuore che lei tenesse, perché fin da quando gliel'aveva visto tra le mani sapeva che sarebbe stato al sicuro. Che lui sarebbe stato al sicuro.

-Cullen? Comandante?-

Cullen sussultò, posando uno sguardo perplesso su Josephine, che cercava di attirare la sua attenzione.

-Novità dall'Accesso Occidentale?- gli venne chiesto, per la seconda volta.

Cullen si sforzò di ricomporsi, prendendosi i suoi tempi per esporre in dettaglio alla collega ciò che concerneva quella zona, con esaustività e perizia. Procedettero quindi a discutere delle problematiche sorte a Skyhold durante l'assenza dell'Inquisitrice, senza distrarsi o sviare dagli argomenti all'ordine del giorno, se non per un istante.

Un istante che bastò a Lavellan per raggiungere Cullen con lo sguardo di chi ha un bisogno vitale di spiegarsi e farsi spiegare.

E, nella coda di quell'istante, il sentimento venne ricambiato.

 
   
 
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