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Autore: moira78    23/08/2022    6 recensioni
Una raccolta di missing moments in ordine cronologico, che ripercorrono momenti del manga e del romanzo appena accennati dall'autrice o mai approfonditi. Una mia personale interpretazione dei capitoli più belli e significativi incentrati sull'evoluzione del rapporto tra Candy e Albert e non solo.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Candice White Andrew (Candy), William Albert Andrew
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing Moments'
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Il quadro di Slim

Albert si guardò attorno chiedendosi d'improvviso se si trovasse a Londra o in una città d'Italia: nonostante ottobre fosse ormai alle porte c'era una giornata splendida, seppure piuttosto fredda, e il sole aveva già dissipato tutta la nebbia scorta all'alba dalla finestra del suo albergo.

Aveva ancora un giorno prima di prendere il treno che lo avrebbe riportato a casa e voleva passarlo curiosando nelle zone più popolari della città, dove c'era il vero cuore pulsante. Trovò il mercatino delle pulci quasi per caso, mentre la carrozza lo stava riconducendo in centro a ritorno dal Blue River.

Lo zoo era quasi come lo ricordava, ma nessuno dei dipendenti che aveva conosciuto all'epoca lavorava più lì. Quando il direttore lo aveva rivisto e riconosciuto aveva fatto subito il collegamento tra il suo ex dipendente di un po' di anni prima e il patriarca degli Ardlay: "Ecco perché la sua foto sul giornale mi aveva sempre ricordato qualcuno! Che mi venga un colpo!".

Mentre girava per le bancarelle, pensò che avrebbe dovuto fare di nuovo quel viaggio con Candy quando non avesse dovuto lavorare e fossero stati in vacanza. Voleva farle rivedere lo zoo ma anche la Saint Paul School che si stagliava sempre imponente sotto ai cieli, quel giorno incredibilmente tersi, di Londra.

Passò vicino a una bancarella che vendeva della frutta fresca e acquistò alcune mele da portare in albergo e dividere con Georges. Ne cominciò a mordere subito una facendosi strada a fatica nel mare di persone che si fermava a guardare ogni pochi passi gli altri banchi. Quasi trasportato dalla corrente umana, ammirò a sua volta una serie di orologi finemente intarsiati su cui erano stati realizzati degli uccellini con le ali spiegate che parevano vere. Riuscì a crearsi un nicchia per avvicinarsi e ne individuò uno che sarebbe stato benissimo sul camino del salone, per sostituire la piccola pendola vagamente spettrale donata loro in occasione delle nozze dai Lagan. Da loro non si era aspettato nulla di meno che la sola presenza di Raymond e quel regalo di dubbio gusto dai colori scuri e tetri.

"E dai, Albert, alla fine il pensiero lo hanno avuto, apprezziamo lo sforzo!", gli aveva detto Candy scrutandolo con un'espressione che esprimeva l'esatto contrario delle sue parole.

"A me sembra più un pensiero da veglia funebre", aveva ribattuto con un brivido lungo la schiena. Non era mai stato un uomo fatalista, ma avere quella specie di cimelio da film horror in salotto non lo aveva mai entusiasmato. Diamine, la prima volta che ne avevano udito il suono erano sobbalzati nello stesso istante e un'occhiata complice era passata tra loro: Albert aveva eliminato la suoneria smontandolo senza troppa cura ma l'orologio era rimasto lì, dimenticato, in attesa di essere sostituito con qualcosa di più allegro.

Su quella bancarella di Londra, Albert individuò un modello orizzontale che era stato persino dipinto a mano: i due volatili che parevano librarsi davvero nell'aria sembravano uccelli del Paradiso con quelle piume lunghe di colore giallo e azzurro carico. Nonostante il contrasto cromatico, il risultato era molto delicato e i due volatili circondavano il quadrante di forma tonda.

Si mise la mela in tasca e chiese permesso a una signora per guardarlo da vicino. Sì, a Candy sarebbe piaciuto di certo e potevano finalmente mettere in soffitta quella specie di orologio del malaugurio dei Lagan.

"Mi dispiace, purtroppo non ha la suoneria, ma è stato realizzato interamente a mano", stava spiegando il vecchio venditore con la pipa in bocca, prendendolo tra le dita nodose.

"Si vede che è stato fatto con amore. Mia moglie lo adorerà!". L'uomo fece una risata rauca e franca, facendogli l'occhiolino e facendo ridere di cuore anche lui. Gli sembrò persino sorpreso quando non contrattò sul prezzo.

Con quella reliquia al seguito e le mele, Albert non disdegnò comunque di curiosare ancora e scorse oggetti molto belli ma anche altri piuttosto dozzinali. Si fermò pensieroso davanti a un set di cappello e guanti lavorati a maglia su cui erano stati ricamati degli elefanti, esitando per qualche istante. Con la coda dell'occhio, però, vide qualcosa che gli fece accelerare il battito cardiaco ancor prima di metterlo a fuoco per bene.

Perché il suo cuore aveva già riconosciuto quello che gli occhi non avevano ancora colto del tutto.

Sbatté le palpebre e aggrottò le sopracciglia, incredulo: "Non è possibile", mormorò muovendosi automaticamente verso quel dipinto a olio esposto poco alla sua sinistra, assieme a un'altra decina di quadri.

Qualcuno lo colpì arrivando dal senso opposto e l'incarto con le mele cadde a terra, distraendolo.

"Mi scusi", dissero all'unisono Albert e l'uomo con i capelli scuri e la sciarpa. Quest'ultimo aveva barcollato solo per un istante e se ne andò stizzito senza neanche dar cenno che alle sue scuse seguisse un reale intento. Forse si era reso conto che Albert stava camminando senza guardare dove andava.

Con gesti veloci, raccolse il sacchetto con le mele e tornò ai quadri, dove uno stuolo di curiosi aveva formato un capannello coprendogli la visuale. Terrorizzato dal fatto che potessero aver già comprato il quadro durante quel prezioso minuto perso, Albert cercò ancora una volta di intrufolarsi chiedendo permesso e guadagnandosi persino altre occhiatacce e alcuni "c'ero prima io".

Se avessero saputo che in uno di quei dipinti lui c'era stato nel vero senso della parola...

Ma il quadro era lì, solo che Albert si accorse con orrore che lo stava tenendo in mano un distinto signore coi baffi all'insù e il cappello a cilindro.

Non doveva comprarlo, quel quadro apparteneva a Candy e a lui, anche se ancora non l'aveva acquistato, dannazione! E se non si fosse fermato a guardare quello stupido set di guanti con sopra gli elefanti che gli ricordavano l'Africa... un momento! A pensarci bene, se proprio il destino aveva voluto metterci lo zampino ci aveva davvero visto lungo: non era stato forse a seguito del suo viaggio in Africa e della perdita di memoria che era, alfine, giunto nel paesaggio più luminoso della sua vita?

E quel paesaggio non doveva essere che in un posto.

"Uhm, per questo posso darle mezza sterlina, giovanotto", commentò l'uomo elegante facendogli gelare il sangue nelle vene.

"Ma, signore... l'autore non è famoso, però se guarda attentamente i colori...". La voce titubante del venditore gli arrivò come ovattata alle orecchie.

Anche se non riusciva a vederlo per intero per come lo teneva l'aspirante acquirente, Albert si era già perso in quel paesaggio. Senza pensarci disse, a voce abbastanza alta per farsi sentire: "Io le offro il doppio!".

Il signore col cilindro si voltò di scatto, squadrandolo dalla testa ai piedi: "Perbacco, non credevo che ci trovassimo a un'asta!". Sembrava molto seccato e si chiese se ne sarebbe nata una discussione. Sperava solo che non dovesse davvero giocare troppo al rialzo, perché aveva speso quasi tutti i soldi che aveva in tasca quella mattina per l'orologio e sarebbe stato davvero imbarazzante dover chiamare Georges in albergo per farsene portare altri.

Lui, William Albert Ardlay a corto di penny in un mercatino londinese: la zia Elroy avrebbe avuto uno svenimento e Archie lo avrebbe preso in giro per tutti gli anni a venire.
Per fortuna, l'uomo si disinteressò subito al dipinto e lo restituì al venditore, togliendogli un macigno dal cuore. Rimase fermo a guardare il suo gesto, ma dentro di sé gioiva e saltellava come un bambino che stia per avere il suo giocattolo preferito.

"Ho visto dipinti più belli su un'altra bancarella", ribatté girando i tacchi e andandosene come la volpe con l'uva. Albert sospettò, però, che si sentisse colpito nell'orgoglio per essersi fatto giocare il quadro da qualcuno vestito in maniera molto meno elegante della sua e, soprattutto, senza accompagnatore al seguito che s'inchinasse restituendogli il bastone come stava facendo il suo in quel momento.

Calamitato dal quadro, Albert non si curò più di lui e chiese al venditore di poterlo vedere. E quando lo vide si sentì proiettato in un istante sulla Collina di Pony: se si concentrava poteva persino sentire le fronde dell'albero, sotto al quale aveva incontrato e poi sposato Candy, le urla festose dei bambini e persino il canto degli uccellini.

Un'ondata di emozioni lo travolse e fu quando udì la voce del ragazzo che lo chiamava da dietro la tela che si riscosse: "Signore? Lo vuole davvero comprare?".

"Sì, certo che lo voglio comprare! Io ci sono stato in questo posto", mormorò in tono rapito come in sogno.

"Davvero?". Il tono genuinamente curioso del ragazzo gli fece spostare gli occhi su di lui.

"Oh, sì, puoi scommetterci!".

Quando Georges lo vide arrivare in albergo con quell'incarto e altre due buste, per poco non lo rimproverò: "Avrebbe potuto mandarmi a chiamare e sarei venuto con la macchina a prenderla!".

"Non ce n'era bisogno, Georges, stai tranquillo. Mi sono divertito molto, a dire il vero, e ho fatto anche ottimi acquisti", disse posando tutti gli incartamenti su un tavolo e cominciando a tirare subito fuori il dipinto dal suo come fosse una reliquia preziosa. Non era molto grande, ma per lui era qualcosa di immenso.

Sentì l'ansito di Georges alle sue spalle e capì che anche lui l'aveva riconosciuta: "La Casa di Pony qui è stata dipinta prima che io intervenissi con i lavori di ristrutturazione, ma il resto del paesaggio è identico. Voglio creare personalmente una cornice migliore, però, e... aspetta, questa non è una firma?".

Le parole gli uscivano a fiumi ma Georges non parve accorgersene e si sporse un poco sulla sua spalla per guardare: "Dove, signore?".

"Slim", dissero a una voce prima che si voltasse a guardare il suo braccio destro. "Mi ricorda qualcosa! Candy me ne deve aver parlato, potrebbe essere uno dei ragazzi della Casa di Pony".

"Davvero sorprendente, signorino William. Chissà come è arrivato fin qui quel quadro".

Albert sorrise senza distogliere gli occhi dal dipinto: "Non lo so, davvero, ma è come una specie di magia del destino. Georges, sicuro che non possiamo partire oggi?", chiese speranzoso.

Lui parve rifletterci: "Beh, abbiamo l'ultimo appuntamento questo pomeriggio, ma se non vogliamo viaggiare di notte...".

"Ti dispiacerebbe molto dormire in un vagone letto?", chiese scoccandogli un'occhiata.

Georges incurvò le labbra, sorridendo a sua volta: "Certo che no. Me ne occupo subito".

"Grazie di cuore, amico mio", rispose mentre lo vedeva allontanarsi.

Albert riportò l'attenzione al quadro, sfiorandolo con le dita con delicatezza come se temesse di rovinarlo, immaginando la nuova cornice che avrebbe creato con le sue stesse mani. Immaginando il volto stupefatto e felice di Candy. Immaginando quel quadro in salotto a ricordare loro, in maniera inequivocabile, come quella collina fosse inesorabilmente legata alle loro vite fin dall'inizio della loro meravigliosa storia.


 
Con questa ultima storia si conclude la serie di missing moments. Grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno seguita!
   
 
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