Videogiochi > Tekken
Ricorda la storia  |      
Autore: Angel TR    24/08/2022    4 recensioni
«Dov'è tuo padre, sfigato?»
{Partecipa alla Challenge "I like that quote said the month" indetta da Mari Lace sul forum di Efp e si è classificata sul podio degli Oscar della Penna 2023 indetti sul forum Ferisce più la penna }
Genere: Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jin Kazama
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Ashes denote that Fire was'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Dicembre 2020: Siamo tutti rami dello stesso albero. {Avatar The Last Airbender}


DOV'È PAPÀ?


Dites-nous qui donne naissance aux irresponsables?
Stromae - Papaoutai


I bambini di madri single sono spesso esclusi all'interno delle loro comunità: i genitori non vogliono che i figli giochino con bambini di "cattive famiglie".
"In Japan, single mothers struggle with poverty and a ‘culture of shame’", The Washington Post


Lo accerchiarono nella piazzetta fuori la scuola e cominciarono a bersagliarlo con la stessa domanda: «Dov'è tuo papà?»
La risposta fu, anch'essa, sempre uguale: «Non lo so».
L'interrogatorio fine a se stesso proseguì: «Almeno sai come si chiama?»
Lui sospirò. «No» ammise; la sua voce fu un soffio che si perse nella dolce brezza che annunciava la fine dell'estate.
I ragazzini sghignazzarono. Indossavano vestiti all'ultima moda che sarebbero stati nuovi fiammanti se non si fossero già sgualciti a causa della loro noncuranza. «Non sa nemmeno come si chiama suo padre, che sfigato!»
Il più grosso gli afferrò un braccio, strattonando il tessuto leggero della felpa grigia che aveva sì qualche anno ma era comunque pulita e in buono stato. Le sue dita grassocce terminavano con unghie piccole e larghe ancora da bambino; avrà avuto un'undicina o una dodicina d'anni. I suoi occhi porcini scintillavano di un divertimento crudele a senso unico. «Come si chiama tuo padre, pezzente?» insistette.
Lui si divincolò. «Ti ho detto che non lo so» tagliò corto; nella voce che recava tracce di infanzia iniziavano a fiorire le prime note di nervosismo.
Il branco si scambiò delle occhiate complici; il bullo alfa avvicinò il muso, le labbrucce rosee ritratte. Così vicino, il suo grugno occupava tutta la sua visuale – una landa chiara tappezzata di macchie solari e un principio di peluria e acne – e perdeva i connotati umani per assumere una forma bizzarra, animalesca.
«Per questo hai il cognome di tua mamma? Kazama Jin?» Il suo cognome fu rotolato da quella lingua come se fosse qualcosa di particolarmente disgustoso. «Sai cosa dicono i miei? Che chi non ha il cognome del padre è figlio di puttana. La tua mamma è una puttana, lo sai questo che significa?» lo disse in un sussurro quasi minaccioso, oltre che soddisfatto, che parve rimbombare tra gli alberi che abbellivano la piazzetta. «Significa che è una poco di buono, una femmina che sa solo prendere cazzi» rivelò, scatenando le risate derisorie del resto dei lupi. «Me l'ha detto papà ieri sera» aggiunse, gonfiando il petto in un moto di orgoglio e arroganza.
Aveva raggiunto il suo scopo: far imbestialire la preda.
Questa volta, la pecorella si liberò della passività che gli si drappeggiava addosso come un manto consunto, se lo stracciò dalle spalle e scoprì i denti. Si dice che il drago divori sia il lupo che la pecora; purtroppo, lui era ancora una piccola lucertola. «Lascia stare mia mamma!» abbaiò e il suo pugno scattò.
I ragazzini si ritrassero, l'ombra delle risate ancora sui volti, le guance rosse per l'eccitazione. Le loro narici da cuccioli avevano fiutato sangue pregiato e avrebbero incurantemente seguito la pista.
«Sei un figlio di puttana! Sei un figlio di puttana!» lo schernirono, urlando. Presero a girargli in tondo per sfuggire ai suoi pugni maldestri, seppur ben piazzati. «Dov'è papà? Starà con qualche altra troia come tua mamma! Tu non puoi giocare con noi, vattene via!» lo intonarono come se fosse una filastrocca e poi scapparono via, le loro risate degli stridenti ululati nel morbido tepore di fine estate. Per quel giorno, la caccia aveva dato i suoi frutti e, pertanto, era terminata.
La vittima restò lì, tremante di rabbia, i denti digrignati, il cervello a girare in tondo al pensiero che, se avesse avuto più sangue freddo, la sua tecnica – il suo karate stile Kazama – avrebbe potuto farli tacere per sempre. Ancora scosso, il ragazzino si piegò per raccogliere le monetine cadute per terra che gli aveva dato la mamma – con la raccomandazione di andare a comprare un dorayaki con "gli amichetti" – e fu colto dalla vergogna e dalla rabbia quando alcune lacrime rotolarono dai suoi occhi e caddero sulle sue preziose monetine, bagnandole.
Cos'avrebbe detto alla mamma se fosse tornato a casa in quello stato? Cosa ancora più importante, cos'avrebbe detto lei? Cos'avrebbe pensato dell'appellativo spregevole che le – e gli – avevano affibbiato? Si sarebbe intristita, arrabbiata, inorridita? Sarebbe andata a parlare con i genitori dei bambini? A quale scopo poi? Non l'avrebbero presa sul serio perché era una donna sola. Se ci fosse stato un uomo, se ci fosse stato un papà, allora… ma non c'era. Jin desiderò con tutto se stesso di poter cambiare la situazione, di poter vivere in un mondo dove lui e sua madre non erano esclusi per la sola colpa di esistere, dove sarebbe stato loro possibile ritagliarsi molto più di un angolo di foresta dove vivere in pace.
Qualche anno fa, quando lui era tornato a casa in lacrime perché escluso alla stregua di un cane randagio da un gruppetto di genitori, la mamma l'aveva consolato con una carezza sulla testa. «Siamo tutti rami dello stesso albero, Jin-kun» gli aveva detto misteriosamente.
Lui non aveva capito cosa volesse dire ma il viso di sua mamma gli era parso così sereno che le lacrime gli si erano asciugate e lui l'aveva osservata con stupore, pensando che doveva essere molto saggia per usare parole tanto articolate ed essere sempre così tranquilla.
Forse, anzi, molto probabilmente ancora doveva afferrare il vero significato di quelle parole ma il solo ricordo gli infuse coraggio. Allora, strinse forte le monetine tra le mani ancora di bambino, si asciugò le lacrime e, raddrizzando la schiena, andò verso il chioschetto a comprare due dorayaki: uno per sé e uno per la mamma.


Oggi, il Giappone ha la più alta percentuale di madri single nella forza lavoro tra i paesi della Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Ma questo non significa che se la passino bene. Il tasso di povertà tra le madri single lavoratrici arriva al 56%, il più alto nell'OCSE.
"Japan is no place for single mothers", The Atlantic


N/D: l'anime di Tekken è disponibile su Netflix! Guardaaatevelo!
Era logico che la piccola famiglia Kazama avesse subito i pregiudizi della società sulla pelle. Sono stata felice di vederli esplorati, anche se superficialmente causa tempistiche, nell'anime e ho colto al volo l'occasione per buttarci qualcosa su. I bambini sanno essere molto crudeli e inaspriscono gli atteggiamenti che vedono nei genitori. Qui ho voluto dare loro delle sembianze quasi bestiali per sottolinearne la cattiveria. Ho inserito "tematiche delicate" e rating arancione, probabilmente esagerando ma prevenire è meglio che curare!
P. S. Per festeggiare il ritorno di una certa Casata pure fissata col fuoco, ho inserito una piccola citazione eheheh che dite, a Jun non serviva il drago per farsi rispettare, eh?
Baci baci, Angel

  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Tekken / Vai alla pagina dell'autore: Angel TR