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Autore: In_This_Shirt    26/08/2022    1 recensioni
1986 - Hawkins, Indiana. Chrissy Cunningham è una brava ragazza ma con grandi segreti; Eddie Munson, invece, sembra quasi non aver paura di niente - ribelle e sfacciato, vive la sua vita in modo libero e senza preoccuparsi dei giudizi degli altri. Chrissy non riesce a non invidiarlo, a non guardarlo di nascosto, a desiderare di essere simile a lui e avere la sua stessa forza di tirare i propri sogni fuori dal cassetto. Entrambi si scrutano di nascosto prima con diffidenza, poi con curiosità. Una storia dedicata al modo in cui si cresce, alla scoperta delle proprie imperfezioni e alla loro unicità. [ Chrissy x Eddie | What If - il racconto riprende dall'ultima scena Edssy, senza tener conto dei fatti avvenuti nella serie. ]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Chrissy Cunningham, Eddie Munson
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Eddie, cazzo, hai di nuovo marinato la scuola?
La voce di Zio Wayne arriva da lontano – talmente lontano che rischia di perdersi. Eddie vorrebbe borbottare qualcosa, ma il suo cervello è ancora impigrito dal sonno e le sue labbra ancora incollate. Nell’oscurità dei suoi pensieri, la fluorescente reminiscenza di un nastro verde brilla tenue, senza corpo e senza significato. Le prime pulsioni del risveglio cancellano gli ultimi residui di sogno, qualsiasi cosa fosse, mentre la coscienza comincia, lentamente, a dare una forma a ogni cosa nella realtà circostante, mettendo a fuoco gli elementi ordinari della vita uno dopo l’altro.
Quando apre gli occhi, Eddie riconosce immediatamente la sagoma torreggiante di suo zio, l’espressione nervosa e preoccupata, l’aria stanca di chi ha lavorato tutta la notte. Ha le occhiaie nere, odora di fumo e le unghie delle dita sono ancora sporche di grasso, quello che filtra attraverso i guanti in lattice.
Si assomigliano. Sono alti nello stesso modo, hanno le stesse labbra, lo stesso modo di camminare, in certi momenti persino la stessa espressione assorta e lontana. Momenti rari in Eddie; ma molto più vivi e tangibili sul volto di Wayne, reso più vecchio di quello che è davvero dalla vita dura, dai problemi che si trova a dover affrontare giorno dopo giorno in fabbrica.
- No, no, ora vado. – biascica Eddie, mettendosi a sedere. Si stropiccia gli occhi, cercando di risvegliarsi. La sera prima si è addormentato sul divano mentre ascoltava l’ultimo album dei Metallica, rollandosi una canna.
- Sarà meglio, sono già le dieci. Vedi se riesci a entrare almeno per tre ore.
Lo zio si muove con un certo, pesante affanno. I piedi battono pesantemente contro il pavimento, mentre va verso la cucina per cercare qualcosa da mangiare. Finirà, come sempre, a pizza surgelata e birra fredda, gli unici elementi essenziali e ridondati del frigo di casa Munson.
Da che Eddie ha memoria, zio Wayne è sempre stato un uomo burbero e solitario. Sua madre lo prendeva in giro, diceva fosse un grande orso delle caverne: sempre serio, sempre impegnato, sempre solo. Non vede una donna da secoli, gli aveva confidato una volta. Eddie aveva dodici anni e non era riuscito a dirle che preferiva mille volta la solitudine dello zio ai suoi continui fidanzati. Ognuno di loro arrivava, le prometteva che in un modo o l’altro le avrebbe riempito la vita di cose belle e invece alla fine se ne andava sempre, portando via un pezzo di lei alla volta. Non erano mai bravi uomini, persone che volevano impegnarsi. Spesso non lavoravano nemmeno, orbitavano da una situazione degradante all’altra, incontravano Helena sul percorso e la trascinavano con sé. Qualcuno diceva di essere un artista, altri non ci provavano nemmeno a sembrare migliori dei ratti di strada che erano effettivamente. Quello che avevano in comune, sempre, era l’amore per lo sballo. Per l’eroina, in particolar modo.
E a Helena l’eroina piaceva. Amava farsi, sdraiarsi sulla poltrona della sala e rimanere in attesa che arrivasse l’oblio a portarla in una zona felice dove tutto era concesso. Spesso, quando era in quelle condizioni, era proprio Wayne a stare con Eddie. Quando non era in fabbrica andava a casa loro, si sedeva al tavolo per fargli fare i compiti, tentava di fargli da mangiare. Quando Helena decideva che era una pessima madre ed era arrivato il momento di disintossicarsi, era sempre lì a gestire le sue crisi, a tenere il secchiello per il vomito senza dirle una parola. Spesso, quando lei aveva attacchi di ira dovuti all’astinenza, prendeva Eddie e lo portava a mangiare hamburger e patatine in una tavola calda. Non parlavano molto. Ogni tanto si scambiavano qualche osservazione su ciò che mandava la televisione. Andava bene tutto: che fosse il telegiornale, una qualche partita o una soap opera, ogni argomento che gli proibiva una conversazione troppo sentimentale era bene accetto. Ma erano i loro momenti, e andavano bene così.
Forse Zio Wayne non è mai riuscito a stare con una donna proprio perché doveva prendersi cura di me e della mamma.
È un pensiero che ha formulato tante volte, e di cui spesso si è sentito in colpa. L’idea di averlo privato di una parte della sua vita è qualcosa che lo tormenta, ma anche la molla per cui ha deciso di muoversi, di smettere di litigare coi professori e diplomarsi. Ha passato anni interi a giocare a fare il ribelle, a convincersi di non poter essere niente di meglio che il figlio di una tossica, che ora togliersi dai panni di quel personaggio è la cosa più difficile del mondo. Tanto cerca di andare verso l’alto, tanto è trainato verso il basso da una qualche forza opposta. Sa che zio Wayne non sarebbe d’accordo se sapesse che anche lui vende droga, che non lo capirebbe. Troverebbe assurdo che si sia infognato nelle stesse dinamiche che hanno affossato sua madre, che la spingono a fare avanti e indietro dalle cliniche. Ma Eddie non è riuscito a farne a meno: sono soldi facili, è un lavoretto pulito, molti a scuola hanno bisogno per aumentare le prestazioni nello sport o nei test. Nessuno gli offrirà una borsa di studio per l’università e nessun lavoretto da solo pagherà mai abbastanza perché possa andarsene quando avrà finito di andare a scuola. Verso Chicago, o forse addirittura New York. Per questo ha semplicemente deciso di non dirglielo.
Occhio non vede, cuore non duole, soldi in più fanno sempre comodo.
Improvvisamente, dal nulla, Eddie si ricorda di Chrissy.
Chrissy Cunningham è stata qui.
Il pensiero lo folgora così prepotentemente che deve per un attimo guardarsi intorno, per accettarsi che l’ambiente sia sempre lo stesso. Chissà che hanno visto i suoi occhi da principessina, se i suoi piedi abituati alle scarpette di cristallo non si sono scandalizzati dei tappeti polverosi.
Eppure non sembrava a disagio.
Eppure – Eddie è pronto a scommetterci – a un certo punto si è messa persino a ridere.
Di gusto, poi, come se fossero in qualche modo complici. Come se appartenessero allo stesso mondo e non a uno dove lei è in cima alla scala sociale e lui, invece, è quello che non vede l’ora di andarsene.
Lei reginetta, lui scarto umano, figlio non voluto, nipote degenere, pessimo studente.
Ma non sarà sempre così. Non deve esserlo. C’è qualcosa di migliore ad aspettarlo, fuori dai confini dell’Indiana. La musica, le città, la vita intera.
Questo è il mio anno. L’ha detto a Dustin Anderson e Mike Wheeler, l’altro giorno a pranzo.
Deve solo crederci, insistere perché sia così. Ce la può fare.
Deve solo alzarsi per andare a lezione. Quello che lo separa dal diploma è solo uno stupido test con la O’Donnell, e poi salirà su quel palco e sarà, finalmente, libero.
 
Quando arriva a scuola un po’ del suo entusiasmo si è spento.
Non solo perché lo studio gli rimane indigesto, ma perché anche le persone lo fanno. Non gli è mai piaciuto il clima del liceo, l’aut aut terribile dell’essere un atleta o non essere assolutamente nessuno. Anche se è stato fortunato, se è riuscito a ritagliarsi un suo spazio e trovare dei suoi amici, questo non significa che le cose siano state semplici.
Uno dei motivi, ora, è precisamente davanti a lui, appoggiato al suo armadietto e circondato da un paio di adepti della squadra di basket.
Jason-Fottuto-Carver. La perfetta incarnazione dello statunitense medio, con la sua mascella squadrata, i capelli biondi, la sua fottuta borsa di studio per Princeton, l’ennesimo college costoso della Ivy League.
Eddie sa che non è un caso che sia lì. Non lo è mai. Specialmente se è circondato da altri buzzurri, scagnozzi di fiducia di cui ignora persino i nomi.
Sa anche che non deve farsi intimorire o mettere i piedi in testa; alza il mento, decidendo impulsivamente che la strategia migliore è quella di attaccare per primo.
- Ehi, Carver! – esclama allegro. Sapendo che è la cosa che gli darà più fastidio: il fatto che non ha paura di lui. Che non lo spaventano i suoi scagnozzi, la loro aria intimidatoria, il loro modo di fare cospiratorio nel tentativo di intimorirlo – Avrei bisogno di aprire l’armadietto. Sai quello dove sei appoggiato? Ecco, sarebbe il mio. Lungi da me interrompere una riunione della nostra graaande squadra. Forza Tigri!
Si appoggia il pugno sul cuore, ostentando una certa fierezza.
Non gliene può fregar di meno del basket e loro lo sanno. Non glielo perdoneranno mai, di essere così disinteressato, di non riconoscere la loro autorità.
Ma è Jason che parla, che gli restituisce lo stesso sorriso finto e di convenienza, quando probabilmente vorrebbe solo staccargli la giugulare. Ribolle di rabbia e si vede, da una certa luce fredda negli occhi.
- Buongiorno, Munson. – lo saluta, finto come una banconota del monopoli – Non credevo ti servisse l’armadietto, sai com’è. Quanti anni hai, trentacinque?
- Oh, andiamo. Andavamo alle medie insieme. Mi ricordo benissimo, per dire, quella volta che non sei riuscito ad arrivare in bagno.
Ora che Jason è capitano della squadra tutti fingono di non averlo preso in giro o averne parlato alle spalle la volta in cui si è fatto la pipì addosso nell’ora della signorina Thompson. Lui stesso ha un piccolo scatto alla tempia, qualcosa che acuisce il suo stato d’animo già alterato. Per quanto siano adolescenti, a un passo dall’essere adulti, non si tratta di così tanto tempo fa: la loro vita è un’eterna zona grigia, una sospensione tra chi sono stati e chi hanno il potenziale di essere.
- Dev’essere stata un’allucinazione. Cosa ti metteva mammina la mattina nel latte, zucchero e LSD?
Gli altri, sagome indistinte, ridono. Eddie, però, non si lascia perdere d’animo. Finge di ridere, poi diventa serio di colpo e gli mostra il dito medio: stanco di aspettare, cerca di spingerlo via dal proprio armadietto, biascicando un;
- Hai detto anche abbastanza stronzate, ora scusami…
È quando sono vicini, quando Jason lo agguanta all’improvviso per un braccio e lo spinge contro la superficie metallica, che capisce il motivo di tanto astio. Gli si avvicina all’orecchio, attento a non farsi sentire dai suoi amici.
- Qualcuno mi ha detto che ieri hai portato Chrissy in quel letamaio di casa tua. Te lo dirò una e una volta soltanto: stalle alla larga. Se scopro che le hai venduto anche un grammo di quella merda, giuro che ti stacco le palle con le mie mani.
- Bella prova, Carver. Ora che hai dimostrato che sei il più forte di tutti ti senti meglio con te stesso?
- Brutto pezzo di…
- Jason!
È proprio Chrissy che si insinua tra loro, che scioglie il conflitto. Lo fa semplicemente con la sua presenza allibita. Gli occhi sgranati, i capelli biondi raccolti nella solita coda. Con il solito nastro verde, non può fare a meno di notare Eddie, ricollegandosi improvvisamente alla mattina, al suo sogno.
C’era lei da qualche parte. Non solo dentro casa sua, ma dentro di lui. Adesso che la vede lì, in piedi, spaventata, lo realizza.
Ha addosso un maglione bianco oversize che le nasconde parte delle mani, dei semplici jeans azzurri, scarpe da tennis. Vicino a lei c’è la sua amica Kelly, che sembra essere altrettanto confusa.
Jason gli strattona il colletto, prima di lasciarlo.
- Scusa, Chris. Munson, qui, aveva bisogno di una lezione.
- Con la violenza? Ma ti sembra giusto? Lo sai che non lo sopporto – sbotta lei, prima di girarsi – Stai bene, Eddie?
È la prima volta che gli rivolge la parola a scuola, davanti a tutti. Per un attimo sembra esserci un’interdizione totale. Qualcosa, nel equilibrio del liceo di Hawkins, è appena cambiato. Una barriera è appena andata distrutta, aprendo uno spiraglio su un mondo nuovo. Tutto quello che Eddie riesce a vedere di quell’universo sconosciuto, però, è il sorriso di lei, lo stesso del giorno prima. Puro, limpido e bellissimo.
- Sì  - riesce a dire dopo una manciata di secondi – Grazie, Chrissy, sei gentile a preoccuparti.
Jason, al suo fianco, è ammutolito. Sembra incapace di dire qualsiasi cosa, mentre lei gli sorride con una gentilezza che smuove qualcosa, dentro Eddie.
Gli sembra, per un attimo, di essere pervaso da un sentimento struggente. Riconoscenza, forse, o ammirazione. Non sa distinguerlo, non lo capisce subito. È così disabituato a provare tenerezza che quando ce l’ha dentro non riesce a darle il nome che le appartiene. Rimane semplicemente sbalordito, come se qualcuno gli avesse sbattuto un uovo in testa.
- No… è normale. – dice lei, forse rendendosi conto ora del contesto, di tutte le stupidaggini adolescenziali. La vede arrossire e Jason, approfittando di quel piccolo momento di ripensamento, le passa un braccio attorno alle spalle.
- Già, è normale Chrissy. Perché tu sei una persona buona anche con chi non se lo merita affatto.
L’occhiata che gli lancia Jason, il suo tono crudele e la sua altezzosità, rimettono a posto ogni cosa. Le passa un braccio attorno alle spalle, portandola via da lì con tutto il suo codazzo di amici e i loro cori, le loro risate e maldicenze, lasciando Eddie da solo davanti all’armadietto. Ci batte un pugno sopra, ormai solo e infastidito, sibilando tra i denti un:
- Vaffanculo.
Rivolto a tutti e nessuno.
   
 
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