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Autore: In_This_Shirt    23/08/2022    2 recensioni
1986 - Hawkins, Indiana. Chrissy Cunningham è una brava ragazza ma con grandi segreti; Eddie Munson, invece, sembra quasi non aver paura di niente - ribelle e sfacciato, vive la sua vita in modo libero e senza preoccuparsi dei giudizi degli altri. Chrissy non riesce a non invidiarlo, a non guardarlo di nascosto, a desiderare di essere simile a lui e avere la sua stessa forza di tirare i propri sogni fuori dal cassetto. Entrambi si scrutano di nascosto prima con diffidenza, poi con curiosità. Una storia dedicata al modo in cui si cresce, alla scoperta delle proprie imperfezioni e alla loro unicità. [ Chrissy x Eddie | What If - il racconto riprende dall'ultima scena Edssy, senza tener conto dei fatti avvenuti nella serie. ]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Chrissy Cunningham, Eddie Munson
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Special K

Sul tavolo in vetro del piccolo salotto ci sono una stecca di sigarette – Lucky Strike Rosse – e uno zippo graffiato, che riflette la flebile luce del caravan sulla superficie specchiata. Un velo di polvere sottile, come se nessuno pulisse da chissà quanto tempo, copre ogni cosa. A tratti, i pulviscoli danzano nell’aria umida della sera, perfettamente visibili sotto il led che segnala l’inizio della zona cucina. Una mosca sbatte nervosamente contro la luce, incapace di trovare una via d’uscita, attratta da quell’unica fonte di calore.
Una topaia. Il genere di posto in cui sua madre, la signora Cunningham, non metterebbe piede nemmeno sotto tortura. Si lamenterebbe dei tappeti dozzinali, delle abat-jour scadenti, delle tracce di pioggia lasciate sul vetro della finestra, incrostata come se fosse scesa dal cielo la sabbia e non l’acqua.
Eppure a Chrissy, per qualche strano motivo, quel piccolo e angusto spazio piace. Neanche lei capisce bene perché; forse sono i libri e le riviste accatastati in un angolo, o forse l’idea che tutto quel disordine appartenga a qualcuno. Che ci sia della vita vissuta e non apparente, fatta di carne e ossa, di oggetti vissuti, di discussioni ma anche di piccoli momenti di condivisione, progetti personali, sogni. Non una vita di vetro, da ballerina di carillon: perfetta, laddove batte la luce, priva di apparenti zone d’ombra e allo stesso tempo fragilissima, appesa a un filo. Una vita da dove è semplice cadere giù, dal palco o da qualsiasi linea immaginaria tra la perfezione e la realtà.
Una vita proprio come la sua.
- Trovata! La pace dei sensi arriverà in un attimo.
Quando Eddie Munson sbuca fuori dal corridoio, sventolandole in faccia la bustina di Special K, le viene automatico sorridere.
È l’effetto che le fa lui. Che non sapeva le facesse prima di parlarci, nel pomeriggio. Scoprirlo così vulcanico, così leggero l’ha resa in qualche modo riconoscente.
Perché ha bisogno di leggerezza.
Per sfuggire dallo spavento che sente.
Dalla sensazione di panico che le prende certe volte, dal terrore che ha quando si avvicina alla bilancia o mette una gonna o si siede a tavola, sapendo che il suo cervello comincerà in automatico a contare le calorie, che poi dovrà alzarsi, correre in bagno e chiudersi dentro.
Una volta Michael, suo fratello minore, l’ha beccata a vomitare, ma senza capire la sottigliezza del suo malessere, la sfumatura oscura del suo cervello: piuttosto l’ha presa in giro, accusandola di essere incinta di Jason. È stata sua madre, come sempre, a metterlo a tacere. A dirgli: non dire sciocchezze. Chrissy non è stupida, non farebbe mai qualcosa per mettere a repentaglio la sua reputazione o quella della nostra famiglia.
O sì?
Ci pensa proprio ora, mentre prende in mano la bustina e allunga le banconote a Eddie.
Un momento di trasgressione, solo questo. Si è voluta concedere un attimo. Quando l’ansia ha cominciato a premere troppo forte, quando la paura le ha impedito di respirare, l’unica idea che le è venuta è stata quella di trovare una via di fuga non congeniale. Nulla a che vedere con la psicologa della scuola o gli allenamenti di cheerleading.
- Grazie – bisbiglia, con un mugolio spaventato.
- Non c’è di che – risponde lui, sempre col suo sorriso divertito, infilando i soldi nel retro dei jeans – Hmm. Ti offrirei qualcosa molto volentieri, ma credo di avere solo birra e che tu oggi abbia trasgredito una quantità di regole sufficienti per i tuoi standard.
Ridono insieme, senza nessun imbarazzo. Chrissy non ha così voglia di andare via, di tornare alla normalità: sa che dovrebbe, ma preferisce tergiversare, prendere tempo. Si muove in giro per la saletta di Eddie in modo imbarazzato, senza una meta precisa. Le maniche che le coprono le mani, il corpo nascosto dentro la felpa, la coda dietro alla testa un po’ molle, segno di un fiocco che comincia a cedere, di una coda che chiede di essere sciolta.
- Quindi i Bara Acida esistono ancora? – chiede, facendo la prima domanda che le viene in mente, riprendendo le fila del discorso iniziato nel pomeriggio.
Qualcosa nel modo in cui Eddie si muove le suggerisce già la risposta. La sua naturale incapacità a stare fermo, tanto per cominciare, la tensione quasi elettrica che sembra sprigionare il suo corpo, la naturale mancanza di attenzione. I capelli lunghi, quel tatuaggio sul braccio, il modo disinvolto e teatrale in cui si lascia cadere sul divano. Lui non sembra per niente nervoso, sembra sempre a suo agio nel mondo, nonostante tutto. Le prese in giro non lo sfiorano: ha il suo mondo e, sotto un certo aspetto, sembra una creatura di un altro universo.
- I Bara Acida esisteranno sempre. – le spiega lui, enfatizzando l’ultima parola – Seriamente, dovresti prendere in considerazione il mio invito a venire al The Hideout. Ogni martedì. Potrai raccontarlo come aneddoto, sai, per quando saremo famosi.
E ci crede davvero, in quella fama. Si vede da come sorride, da come gli brillano gli occhi.
- Non credo che i miei genitori sarebbero molto contenti se gli dicessi che vado in un locale dove fanno musica punk.
- Metal, bimba. Metal. Anche se accettiamo pure il punk, noi crediamo nei fottuti Iron Maiden. E tu, fai sempre tutto quello che dicono i tuoi?
Sì. È una risposta talmente palese che Chrissy la trattiene tra i denti per un attimo, risentita. Sì, fa sempre quello che dicono i suoi. La cheerleader, gli ottimi voti a scuola, gli abiti e persino Jason. Non sente di aver mai veramente scelto qualcosa per se stessa: ma è un pensiero troppo difficile da accettare, troppo lungo da metabolizzare. Adesso quello che riesce a fare è accarezzarlo, guardarlo da diverse prospettive dentro se stessa. Sentire l’eco di quella rabbia che la tormenta, così disdicevole per una così brava ragazza.
- Più o meno – risponde con un sorriso – Questo però non lo dicono i miei.
E sventola la bustina di Special K. Non sa se la prenderà sul serio, ma l’idea di avere una via di fuga in tasca l’aiuta a stare tranquilla. Ad avere l’illusione del controllo.
- Sei davvero una ragazza piena di sorprese, Chrissy Cunningham.
Però adesso Eddie non ride. La guarda serio, e Chrissy ha la strana impressione che possa vederle attraverso. Non trova una soluzione migliore di fissare la punta delle proprie scarpe da allenamento, scoprendole sporche di un terriccio che poi dovrà giustificare.
 
Un cervello abituato a contare le calorie è un cervello che può contare tutto. Il numero di passi che ci vogliono dalla porta alle scale (otto); le scale stesse, che portano al piano superiore (dodici); la distanza che intercorre tra l’inizio del ballatoio e la porta di camera sua (dieci); il tempo che ci vuole a percorrere il tutto (tra i ventiquattro e i trentasei secondi).
Le variabili sono sempre le stesse; la presenza dei suoi, la probabilità che la fermino per chiederle qualche cosa. Com’è andata oggi, cos’hai fatto, sei tornata tardi, come sono andati gli allenamenti, il compito di inglese, quello di matematica, cosa farete tu e Jason questo weekend?
Tutte domande a cui Chrissy non ha voglia di rispondere. O perlomeno, l’unico modo in cui vorrebbe farlo sarebbe un: lasciatemi stare, Cristo. Lasciatemi stare, ho diciassette anni. Tra due mesi diciotto. Tra due mesi posso andare via, posso andare a visitare quel negozio a Londra, quello con l’orologio a East End che sogno di vedere da anni ma che ne sapete voi?
I pensieri vanno velocissimi mentre apre la porta.
Le arriva l’odore del pollo caramellato che Ruth, la domestica, fa seguendo la ricetta originale di sua nonna. Ha una flagranza irresistibile, che si condensa nello stomaco vuoto come un pugno.
- Chrissy!
Sua madre appare sulla porta della cucina. Non importa se sono a casa, se potrebbe mettersi il pigiama e stare comoda: lei ha sempre il suo tailleur blu, le scarpe nere e lucide che indossa per andare in studio, i capelli raccolti in un severo chignon biondo da cui non sfugge nemmeno una ciocca. Gli occhi chiari cerchiati dalla stanchezza, dalla tensione nervosa di una giornata difficile. Perle alle orecchie e attorno al collo, un filo di rossetto color carne, per non cedere a nessun eccesso.
Non sorride quasi mai, Eva Cunningham. È un privilegio che concede a pochi, che ha una sua personale intimità.
- Hai il fiocco nei capelli completamente sfatto. Si può sapere dove sei stata fino ad ora?
Si avvicina a lei con le mani alzate, per sistemarle i capelli. Non è un gesto affettuoso: più che altro, una tendenza all’ordine, un rifiuto totale e scattoso dell’entropia.
- Mi sono fermata a mangiare con Kelly, dopo gli allenamenti.
Lei e Kelly si sono messe d’accordo dopo scuola. L’amica, impegnata con un appuntamento misterioso, le ha chiesto di coprirla e Chrissy ha accettato chiedendole la medesima cortesia. Hanno tracciato la propria giornata con semplicità: gli allenamenti, poi un salto alla tavola calda per rifocillarsi e riprendere le energie. Un hamburger, delle patatine fritte e una coca, un po’ di chiacchere tra ragazze e la promessa di andare al cinema insieme, magari nel weekend?
- Dove, sempre alla tavola calda?
- Sì, si. Ci troviamo bene lì.
- I ragazzi non vengono mai con voi?
- Jason oggi doveva aiutare suo padre, però forse andiamo tutti insieme al cinema nel weekend. Cioè io, lui, Kelly e qualche suo compagno di squadra… Danno Top Gun.
- Noi andiamo a cena dai Rogers, nel weekend. Fammi sapere se hai bisogno di un passaggio, ci organizziamo con papà.
- No, credo passi Jason in macchina.
- Bene. Quindi non mangi, suppongo.
- No, esatto. Anzi, è meglio se salgo di sopra, devo studiare per il compito di chimica.
Eva non fa obiezioni, non di fronte allo studio. La conversazione si esaurisce rapidamente così com’è nata: nessuna delle due sembra ansiosa di prolungarla con qualcosa che sia più che una sorta di elenco della spesa.
Quando Chrissy entra in camera tira un respiro di sollievo. La sua zona protetta, il suo mondo. Uno spazio con una carta a parati bianca e verde, con sopra disegnati dei fiori di nebbiolina. C’è una scrivania color noce sotto la finestra, l’unico elemento che le piaccia davvero. Era della nonna: ha tanti cassetti e lo spazio per la macchina da cucire, appoggiata sul lato sinistro. Il letto è di fronte a uno specchio rettangolare, invece. Non ci sono poster, sua madre le ha sempre impedito di appenderli. Però ci sono delle foto e dei piccoli ricordi appesi a una bacheca di sughero, l’unica cosa da adolescente che le è concessa.
Chrissy si appoggia per un secondo con le spalle alla porta, il tempo di rimettere in ordine i pensieri, gli eventi della giornata, le bugie. La bustina di Special K, adesso, pesa il doppio nella sua tasca. Sa che deve nasconderla in un punto dove nessuno può trovarla, mai.
C’è un cassetto della scrivania, il terzo, che ha un doppiofondo.
Gliel’aveva fatto vedere la nonna una volta.
- Ti servirà per proteggere i tuoi segreti. Qui puoi mettere una parte di te da tenere solo per te stessa.
Chrissy sa che dentro quei pochi centimetri, in quel reparto nascosto, può essere chi vuole. Libera come l’aria. Solleva il piccolo nascondiglio, tirando fuori il suo contenuto.
Ci sono alcune riviste di Vogue comprate di nascosto, un raccoglitore per i suoi disegni, e un menabò dedicato alla carriera di Vivienne Westwood, la stilista inglese che lei, segretamente, idolatra.
Sa ogni cosa di lei. Sa che aveva ventisei anni, quando ha lasciato il marito e i figli per aprire il suo negozio e vestire i musicisti punk; sa che le remavano tutti contro, perché sembrava una follia, ma lei si è intestardita e ha creato se stessa dal nulla. Sa che i suoi abiti vengono definiti ‘nuovo romantico’ e si ispirano all’epoca vittoriana, che ci sono corsetti, pizzi, cose che anche lei vorrebbe indossare ma ha troppa paura.
Disegna abiti come i suoi ovunque. Sui quaderni di scuola, dietro le cartelline, negli incarti della mensa, sui tovaglioli. Disegna quando nessuno la vede, quando si sente al sicuro. Disegna donne altissime e oscure, che indossano abiti che le rendono dee caotiche.
Vorrei essere come Vivienne. È il desiderio che ha espresso quando ha soffiato le candele del suo diciassettesimo compleanno.
Sa che per la sua famiglia sarebbe inaccettabile. Una figlia stilista. Una sartina, che fa una cosa frivola, lontano dal perimetro rassicurante della legge, dello studio Cunningham e soci.
Ma i sogni sono sogni.
Chiude la bustina lì, insieme a tutte le Chrissy parallele.
Non c’è nessun compito di chimica, solo la stanchezza. Si butta sul letto e forse vorrebbe ascoltare una canzone, ma non sa neanche lei cosa.
Non il punk. Le piace, ma lo sente solo quando è troppo arrabbiata, quando le sue crisi prendono possesso di tutto il suo corpo.
Ora invece è rilassata, ha sonno. Sta quasi per addormentarsi quando un pensiero le attraversa la mente.
Chissà, magari potrebbe farsi consigliare un buon brano da Eddie.
   
 
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