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Autore: Angel TR    03/09/2022    3 recensioni
Un diavolo in Paradiso.
{Questa storia partecipa alla Challenge "I like that quote said the month" indetta da Mari Lace sul forum di Efp}
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jin Kazama
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ashes denote that Fire was'
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Gennaio 2021 "Il tentativo di nascondere qualcosa lo fa invece apparire!" {proverbio}


City of Angels


Per crescere è indispensabile sentire di appartenere a qualcosa e a qualcuno: un amore, un'ideologia, una bandiera, una fede, un amico, un maestro, un mito.
Paolo Crepet, Non siamo capaci di ascoltarli


Yakushima era una delle isole che componevano l'arcipelago delle Isole Ōsumi, a sud del Kyūshū, e contava quindicimila anime disperse lungo circa cinquecento chilometri quadrati. Yakushima faceva parte della prefettura di Kagoshima che – a detta di qualche giornalista europeo o forse per il fatto che gli esseri umani sono tutti collegati tra di loro, esattamente come diceva sua mamma – era denominata "la Napoli dell'Asia" proprio perché, come la città italiana, ospitava un vulcano ed era bagnata dal mare.
Il clima era classificabile come subtropicale, con estati afose e inverni miti. La sua economia si era basata per molto tempo sulla pesca e sul commercio di legna; in tempi recenti, invece, il turismo si era sviluppato su larga scala, trasformandosi in un'importante risorsa. La maggioranza dei turisti era formata da giapponesi stessi, cinesi, qualche tailandese, alcuni americani ed europei. L'isola disponeva di un aeroporto, oltre al porto marittimo, autobus e ferrovie, diverse scuole elementari, qualche scuola media e addirittura un liceo.
Fiore all'occhiello dell'isola erano le sue immense e selvagge foreste sempreverdi subtropicali, distese immense di alberi svettanti su fino al cielo, che ospitavano centinaia di specie di uccelli – difatti, molte guide turistiche proponevano il cosiddetto "birdwatching", attività che consisteva nell'osservare pacificamente gli animali. Ed era proprio quel patrimonio a rischio ad averle conferito l'ingresso nella lista dei patrimoni naturali e culturali dell'umanità dell'UNESCO.
Jin sapeva tutte queste cose di Yakushima e allora perché continuavano a dirgli che non vi apparteneva, che non doveva farsi vedere in giro, che doveva sparire di lì? E perché persino la mamma, con un sorriso comprensivo, annuiva a quelle parole? Non riusciva a percepire il sentimento di adorazione che lui provava per quell'isola, con la sua vita di città in bilico tra la solitudine e il caos, con le sue foreste tra le quali poteva giocare a nascondino con sua madre o allenarsi o semplicemente respirare a pieni polmoni e bearsi dell'odore fresco della natura incontaminata?
La mamma gli aveva detto: «Tu sei destinato a grandi cose, Jin. Non resterai come gli altri su quest'isola, qui sei solo di passaggio e loro lo sanno, per questo ti escludono».
Jin aveva tentato di nascondere la sua delusione a quelle parole; purtroppo, il tentativo di nascondere qualcosa lo fa invece apparire. La verità era che non voleva essere destinato a grandi cose, non ne afferrava il senso, non voleva che la mamma nutrisse grandi aspettative nei suoi confronti – e se poi l'avesse delusa? No, non avrebbe potuto sopportarlo. La verità, la mediocre verità era che lui voleva soltanto essere uno dei tanti volti sereni che conducevano una vita semplice e banale, e per questo bellissima, sull'isola di Yakushima – come i suoi compagni di classe che giocavano spensierati nella piazza, come i bulletti che l'avevano preso di mira, come il panettiere che gli sorrideva la mattina mentre andava a scuola, il pescivendolo che gli conservava sempre il filetto migliore, il fruttivendolo che gli regalava una mela quando lo vedeva passare, la guardia forestale che aveva ascoltato tutti i racconti di sua madre sull'Africa, come tutte le famiglie che portavano i bimbi al parco.
Avvertiva disperatamente il bisogno di appartenere e, allora, come un'anima dannata perennemente respinta, passava i suoi giorni a girare in tondo dietro le porte chiuse del Paradiso.


어머니는 바다가 푸르다 하셨어
멀리 힘껏 니 목소릴 내라 하셨어
그런데 어떡하죠
여긴 너무 깜깜하고
온통 다른 말을 하는 다른 고래들 뿐인데
~
Mom said that the ocean is blue
She told me to raise my voice with all my strength to reach farther
But what should I do?
This place is too dark
and full of other whales that speak other languages
BTS - Whalien 52


N/D: Tekken Bloodline! verse.
Si ringrazia Wikipedia per le informazioni da libro di geografia su Yakushima e il sito di Costa Crociere (o era MSC?) per avermi fatto scoprire un altro punto in comune con Jin lol spero di riuscire a viaggiare, prima di crepare, fino a Yakushima. Un bello sconto delulu, Costa?
Torniamo a noi. Nei pochi minuti che ho di "pausa" durante l'infinita giornata a lavoro, ho partorito quest'altra sciocchezzuola. Mi ha molto colpita il voler appartenere di Jin – in fondo, chi di noi non vuole appartenere? –, il sentimento di esclusione, il non sentirsi il benvenuto. Penso che tutti noi ci siamo sentiti così almeno una volta nella vita, se non di più. Siccome Yakushima è un vero paradiso in terra (e di Napoli si dice che è "un paradiso abitato da diavoli"), ho cercato di tratteggiare una scissione "naturale" tra il luogo e Jin, che si sente costantemente respinto, come se fosse un diavolo (lmao) alle porte del Paradiso. E ovviamente ci ho buttato la mitica Whalien 52 dei BTS.
Sono più lunghe le note che la ff. Vabbè, un bacio
Angel

  
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