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Autore: Autumn Wind    21/09/2022    5 recensioni
[Mini-long in quattro capitoli
Main pairing: Percy Weasley/Hermione Granger]
La guerra è finita oramai da anni e la vita sembra tornata alla normalità per tutti nel mondo magico. O, meglio, per quasi tutti. Hermione Granger, infatti, non ha affatto la vita che si aspettava di avere: Ron l’ha lasciata e lei, dopo aver terminato Hogwarts, si è trovata a dover affrontare l’impossibilità di restituire la memoria ai suoi genitori, oltre alle conseguenze delle torture fisiche e psicologiche inflittele da Bellatrix Lestrange.
Per questo, nella solitudine, si ritrova a fare ciò che sa fare meglio: studiare. E, studiando, si ritrova, a venticinque anni, a lavorare come avvocato delle creature magiche, come ha sempre sognato, anche se la cosa non la soddisfa come pensava. Ed è proprio per lavoro che rivede dopo anni un Percy Weasley decisamente diverso da come lo ricordava …
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Hermione Granger, Percy Weasley
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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4.
Casa

“Ovunque tu sia, lì è la mia casa. La mia unica casa.”
(Charlotte Bront
ë)

La Tana, quattro anni dopo
Arthur Weasley non negava di aver avuto le sue colpe, come padre. Quando erano nati i suoi figli, del resto, era molto giovane e Molly era sempre stata fin troppo autoritaria, per cui, per una qualche assurda equazione genitoriale, a lui spettava l’arduo compito di bilanciare diventando il genitore buono da cui rifugiarsi ed a cui chiedere il permesso per ottenere qualunque cosa. Nel complesso, riteneva di aver fatto un buon lavoro con tutti i suoi figli, anche se un rimpianto gli era sempre rimasto: Percy.
L’aveva capito tardi, ma l’aveva capito, alla fine: il suo terzogenito non era mai stato un bambino ed a causa sua. Con Bill e Charlie aveva avuto tutto il tempo di far loro regali, farli giocare e dedicare loro tutte le attenzioni, ma, quando era nato Percy, c’erano i fratelli maggiori in un’età complicata che avevano bisogno di una guida maschile e, dopo poco, erano arrivati quattro fratelli minori uno dopo l’altro. Prima che se ne rendesse conto, si era accorto che Percy non si era mai comportato come i fratelli: non chiedeva mai niente, né regali né niente e, se voleva qualcosa, raccoglieva i soldi di compleanno e Natale e se la comprava da sé. Le poche volte che Arthur e Molly avevano voluto fargli un regalo, aveva rifiutato, dicendo anche come e dove avrebbero speso meglio i loro pochi soldi, considerate le esigenze dei fratelli. Ed anche quando Molly lo pregava di andare fuori a giocare, Percy declinava e restava a badare ai gemelli mentre la madre si prendeva cura di Ron e Ginny.
Solo a distanza di anni Arthur aveva compreso che tutto quello studiare e quel voler eccellere era solo un modo per imitare i fratelli e per dimostrare che poteva essere meglio di loro, per non essere ignorato da lui. Era innegabile che un ragazzo, di qualunque età, cercasse l’esempio e l’approvazione del padre e Percy non aveva mai avuto niente che non si fosse guadagnato da sé. E, poi, c’era stata la litigata … Arthur era stato così arrabbiato da non vedere, ma, a distanza di anni ed a mente fredda, riusciva a capire perché Percy si fosse arrabbiato in quel modo che non gli aveva mai visto e non gli apparteneva. In fondo, quello che per lui era il suo maggior successo e per cui si aspettava lodi e premi, finalmente, era stato criticato e liquidato dopo che, per anni, Arthur e Molly avevano lodato fino allo sfinimento i lavori di Bill e Charlie. Aveva sbagliato a parlargli così, ma riusciva a capire cos’avesse provato: era stato giovane anche lui, del resto, anche se meno complicato di Percy. Il suo terzogenito era indubbiamente il figlio che gli aveva dato più grattacapi, ma, paradossalmente, era anche quello che gli assomigliava di più nella sua diplomazia. L’unica volta in cui si era arrabbiato davvero era stato quando avevano litigato: per il resto, Percy annuiva e scrollava le spalle.
Aveva visto quanto avesse faticato anche solo per presentarsi alla porta dopo la guerra, figurarsi per tornare a vivere a casa e quanto si fosse sentito tremendamente ed irrimediabilmente in colpa per anni, faticando quasi a parlare. I suoi fratelli, naturalmente, non gli avevano facilitato il compito … e forse neanche lui. La ferita di essersi sentito un fallito dinanzi ai suoi figli bruciava ancora … e, così, non si era accorto che Percy stesse precipitando di nuovo verso un oblio di tristezza, autocommiserazione e senso di colpa. Ma quella volta, per fortuna, c’era stato qualcun altro a tenerlo a galla.
Hermione gli era sempre piaciuta: una ragazza nata babbana, carina, seria, intelligente e tenace, con la testa sulle spalle. La nuora ideale per i propri figli, insomma. Arthur ci aveva seriamente sperato, con Ron, ma non era durata e, per quanto ne fosse rimasto deluso, capiva anche che erano davvero troppo diversi. Aveva perso la speranza di vedere Hermione in famiglia quando Percy aveva sganciato la bomba … ed Arthur si era sentito nuovamente e tremendamente in colpa. Per un anno, suo figlio si era tenuto dentro un peso enorme, senza fidarsi a confidarsi con nessuno per timore del giudizio della sua stessa famiglia, quasi la sua felicità fosse sbagliata. Ma, intanto, Hermione aveva curato le sue ferite e gli aveva mostrato che c’era ancora una vita che valeva la pena vivere che lo aspettava.
Così, Arthur, seppur in leggero ritardo, aveva deciso di rimediare e, in quei nove mesi, aveva fatto tutto solo e solamente per Percy: assieme a Molly, aveva tenuto Hermione alla Tana e l’aveva aiutata più che poteva affinché si riposasse, aveva assistito Percy nella scelta degli oggetti per il bambino ed aveva ascoltato tutti i suoi timori di non essere abbastanza per il bambino. Onestamente, non credeva di aver fatto un buon lavoro, ma aveva dovuto ricredersi quando, verso la fine del termine di Hermione, ad una riunione di famiglia, Percy ed Hermione avevano ufficialmente chiesto sia a loro che ai fratelli se potevano fermarsi a vivere alla Tana, almeno per i primi tempi. Bill, Charlie, George e Ginny (dal momento che Ron ancora si rifiutava di parlare al fratello) ne erano stati entusiasti: credevano che quella casa fosse un po’ uno spreco per solo Molly ed Arthur. Molly, poi, ne era stata entusiasta ed aveva stritolato figlio e nuora, felice come non lo era dal matrimonio di Bill, dato che quello di Hermione e Percy, a suo dire, era stato troppo piccolo ed intimo.
Naturalmente, quella che doveva essere una soluzione temporanea era diventata definitiva: Molly aveva lasciato loro tutto il piano superiore, che avevano ristrutturato e sistemato come piaceva loro aggiungendo un ingresso autonomo con delle scale ed un terrazzino che Hermione aveva riempito di piante, con tanto di un soggiorno stracolmo di libri e fiorellini ed una cucina anticata in uno stile che Hermione adorava e che si chiama ‘shabby’, a quanto ricordava Arthur.
Si era ritrovato in men che non si dicesse al pianoterra con Molly, sempre circondato da nipotini e figli che andavano e venivano … e, con sua grande sorpresa, quello che aveva scelto di rimanere era proprio quello che in passato se n’era andato. La più contenta, forse, era Hermione ed Arthur capiva anche perché: quella povera ragazza non aveva più nessuno. Vedeva come si adombrava quando parlava dei suoi, felici in Australia senza di lei. Anche ora che era una madre non sapeva come fare ed avere Molly l’aveva indubbiamente aiutata a superare le difficoltà: oramai si destreggiava abilmente tra il suo studio e la Tana ed Arthur era ben contento di fare da babysitter alla sua nipotina di oramai quattro anni.
Non avrebbe mai osato dirlo agli altri, naturalmente, ma Charlotte era la sua preferita: non piangeva mai e se ne stava sempre tranquilla ad ascoltare le storie del nonno. Parlava già perfettamente e mostrava una conoscenza che turbava, ma, sapendo come i genitori le stavano dietro, non c’era da aspettarsi niente di diverso da quella bimbetta con grandi occhioni blu e capelli castano-rossicci leggermente mossi che, sin da neonata, aveva tenuto un piede nel mondo babbano ed uno nel mondo magico. 
La cosa che forse l’aveva reso più orgoglioso era vedere Percy che, in quegli anni, era diventato la sua esatta copia, seppur in versione più ordinata e precisa: tutta la sua vita erano la sua famiglia ed il lavoro al Ministero, in quest’ordine. Con sgomento di tutti, oramai, pur prendendo fin troppo seriamente i suoi incarichi, lavorando anche di domenica a casa e pretendendo di fare tutto a modo suo, non esitava a prendersi un permesso dal lavoro per stare con la moglie e la figlia. Molly aveva provato a suggerire velatamente loro di sfornarle altri nipotini, ma il ‘no’ di Percy ed Hermione era stato categorico: a quanto pareva, erano entrambi maghi troppo talentuosi ed i loro eventuali figli sarebbe stati tutti fin troppo magicamente dotati. Hermione non aveva intenzione di trascorrere altri nove mesi di malesseri ed un parto fin troppo complicato e Percy sembrava non avere minimamente voglia di rivivere nell’ansia continua e di venire nuovamente preso in giro da Bill per essere quasi svenuto in sala parto.
Era strano ammettere che Percy era un padre migliore di quanto lo fosse stato lui, ma era così: dava regole e paletti, ma era anche incredibilmente affettuoso e dedicava tutto il suo tempo alla figlia.
Anche quel giorno di metà settembre in cui la Tana si stava riempiendo per il compleanno di Hermione, Arthur aveva lo sguardo fisso su Percy, come sempre in completo da lavoro e cravatta, che sedeva con Charlotte sulle ginocchia e le leggeva un librone di fiabe babbane che aveva scelto Hermione, tra le zucche intagliate ed illuminate ed i colori aranciati della Tana intonati alla sera rosata fuori dalla finestra. Dopo poco, Hermione emerse dalla cucina, dove aveva aiutato Molly per tutto il giorno, sempre elegante in un bel vestito blu ed in un lungo cardigan aperto. Abbracciò e baciò Percy e la bambina prima di sedere accanto a loro ed iniziare a leggere, Charlotte che, entusiasta, si accoccolava sempre un po’ di più tra i genitori ad ogni frase.
Da quel poco che Arthur aveva capito, l’avevano chiamata così perché l’autrice preferita di Hermione era Charlotte Brontë e lei e Percy si erano ritrovati proprio grazie ai libri, senza contare che una raccolta delle famose sorelle scrittrici era il primo regalo che il marito le aveva fatto. Ma era noto che Arthur Weasley non fosse un grande estimatore della letteratura e di tutte quelle cose su cui suo figlio e sua nuora conversavano anche per ore o giorni, trovandosi sempre perfettamente d’accordo ed a loro agio.
Mentre guardava sua nuora ridere, serena, Arthur sospirò: sapeva che non sarebbe durata. Andava avanti così da quando era nata Charlotte: ad ogni compleanno, suo o della bambina, Hermione sorrideva per tutto il giorno, si comportava come al solito, ma, verso sera, iniziava ad adombrarsi. Arthur l’aveva notato quasi per caso, ma non vi aveva dato troppo peso: probabilmente, tra la casa, la bambina ed il lavoro, era solo stanca. Poi, però, la sera del suo primo compleanno da madre, passando davanti alle scale comunicanti con la casa del figlio per chiudere le finestre, l’aveva sentita piangere. Inizialmente, aveva pensato fosse colpa di Percy e stava già per andare a dirgliene quattro quando si era accorto che, con lei, c’era anche il marito che cercava di consolarla e di invitarla ad andare da Charlotte, che aveva bisogno di lei. Aveva chiesto spiegazioni al figlio, naturalmente e la risposta l’aveva sorpreso, anche se la immaginava: a quanto pareva, ad Hermione, in quei giorni, mancavano i suoi genitori.
Perciò Arthur sapeva benissimo che la serenità di Hermione non sarebbe durata e gli dispiaceva, perché, in fondo, la capiva: anche a lui Fred mancava ad ogni secondo di ogni giorno, in fondo. Impacchettare le sue cose era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto in tutta la sua vita.
“Ehi, Charlotte, come andiamo?” esordì George, comparendo sulla soglia con Angelina. La bambina sorrise, correndogli incontro ed abbracciandolo. “Tutto bene, grazie, zio George! Ciao, zia Angelina!” rise, salutando anche la zia. “Ehi, stellina! A quanti libri siamo, questo mese?”
“Quattro. Ma uno l’avevo già letto, non conta.”
“Di già? Merlino, ma capisci almeno quello che c’è scritto?”
“Perfettamente: leggere velocemente non significa mica non capire!” sbottò Percy dal soggiorno. “Sei inquietante, piccoletta!” sospirò George, scuotendo il capo prima di precipitarsi a fare gli auguri ad Hermione. “Perce, non dirmi che le hai regalato altri libri, ti prego!”
“Ovvio!” rise la strega. “Ma erano edizioni regalo che desideravo da tempo!”
“Ed un anello bellissimo, beata lei!” commentò Fleur dalla cucina, suscitando uno sbuffo di Bill. Arthur, in quella giovialità, non poté non cogliere la leggera tensione di Percy: parlava poco, cosa già abbastanza strana per lui, ma continuava a guardare l’orologio, come in preda all’ansia.
Era già quasi ora di andare a tavola ed erano arrivati tutti quando il campanello trillò. “Chi sarà, ora? Hermione, cara, vai ad aprire tu!” sospirò Molly. La strega annuì, precipitandosi alla porta.
Non appena l’ebbe aperta, con suo estremo stupore notò che, sull’uscio, c’erano Ginny e Ron. “Auguri!” rise la rossa, abbracciando l’amica. “Grazie. Ma …” mormorò Hermione, sorpresa, fissando Ron con apprensione.
Non avevano mai fatto pace, come Arthur non mancava mai di rimproverare mai al figlio: non era andato né al battesimo né al matrimonio e, a suo dire, era una cosa infantile ed oltremodo ridicola, dettata solo dal tremendo orgoglio di Ron.
Eppure, quel giorno, sembrava deciso a scusarsi, perlomeno a giudicare dall’espressione mortificata che aveva in viso. “Herm, io … sono stato un perfetto cretino per tanti anni. E mi dispiace: non te lo meriti, sei stata la mia migliore amica. Che non abbia funzionato tra noi è dipeso solo ed esclusivamente dal fatto che siamo incompatibili e … beh, suppongo di essere stato un po’ geloso. Però voglio scusarmi: sono un idiota, un deficiente. Ma vorrei comunque riavere indietro la mia amica, perché … beh, mi sei mancata. E mi è mancato anche il mio fratello perfettino …” mormorò, deglutendo. Hermione alzò un sopracciglio, voltandosi verso Percy. “Beh, suppongo che non basterà scusarsi per rimediare a tutto quello che mi hai detto, Ron … ma è un inizio.” ammise la strega, sospirando. “Infatti non sono venuto a mani vuote.”
Prima che Hermione potesse replicare, Ron si era spostato, rivelando le figure di un uomo ed una donna in abiti eleganti fermi dietro di lui. La strega sbarrò gli occhi, portandosi le mani al volto in un’espressione di perfetto stupore. “Mamma … papà!” esclamò, correndo verso di loro, incurante di tutti gli sguardi puntati su di sé. “Hermione!” sorrise sua madre, prendendola tra le braccia e scoppiando a piangere mentre la stringeva. “Io … scusate, io l’ho fatto per voi! Ma poi non riuscivo a sistemare questa cosa e … e poi …” ansimò Hermione, che oramai piangeva copiosamente. “Lascia perdere, tesoro: è tutto passato. Basta. Adesso siamo insieme …” sorrise suo padre, accarezzandole i capelli mentre la stringeva a sua volta.
Quando, finalmente, si separarono, Hermione si volse verso Ron, le guance rosse e gli occhi lucidi e lo stritolò in un abbraccio. “Grazie. Grazie davvero.”
“Non devi ringraziare me: io sono solo andato a prenderli all’aeroporto. Tuo marito ha organizzato tutto: ha trovato un guaritore che è riuscito ad invertire l’incantesimo ed ha spiegato loro tutto.”
“Cosa? E … e da quando vi parlate di nuovo?”
“Da quando Harry ci ha fatto notare che siamo due bambini.”
Hermione sorrise, separandosi. “Grazie comunque, Ron.”
“Di nulla, Herm.”
“Ma … e mia sorella?” domandò poi, volgendosi verso i genitori. Sua madre scosse il capo. “Era la figlia dei vicini: badavamo a lei, ogni tanto. E sai perché? Perché ci è sempre mancato qualcosa, ma non sapevamo neanche noi cosa … non sapevamo che eri tu a mancarci.”
Hermione stava per rispondere, quando sentì le parole concitate ed un po’ timorose di Charlotte dalla soglia. “Papà, ma chi sono quei due?”
La strega si volse verso Percy e Charlotte, fermi alla porta, che le sorridevano. In pochi passi, raggiunse il marito e lo abbracciò, baciandolo, incurante di tutti gli spettatori. “Grazie.” sussurrò. “Dovere.” rispose lui, schiarendosi la voce, imbarazzato. Solo allora Hermione prese in braccio la bambina e per mano Percy. “Mamma, papà … avete già conosciuto la vostra nipotina?” sorrise, raggiante.
Arthur, dal salotto, sorrise alla scena mentre i suoi nipotini lanciavano urletti eccitati. Quando Percy si volse verso di lui, lo sguardo implorante di ricevere un minimo segno di orgoglio da parte sua, gli rivolse un cenno di approvazione che lo fece sorridere mentre tornava a parlare con i suoceri: forse, dopotutto, aveva ragione quella scrittrice che dava il nome a sua nipote. Forse, la casa aveva poco a che fare con i luoghi e molto di più con le persone.



 
 
  
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