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Autore: elyxyz    09/09/2009    18 recensioni
“Una rondine non fa primavera”, si era detta Trisha Elric, con convinzione.
Se l’era ripetuto un milione di volte, all’infinito.
Fin da quel giorno lontano in cui Van Hohenheim – l’uomo che
non aveva sposato, ma che considerava a tutti gli effetti suo marito – l’aveva messa al corrente della sua irrevocabile decisione di partire.
QUARTA CLASSIFICATA al Contest “E’ in arrivo la Primavera” indetto da Hikaru_Zani – EFP Forum e vincitrice del “Premio Speciale per la miglior ff su FMA” all’interno del medesimo Contest.
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Hohemheim Elric, Trishia Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una rondine non fa primavera

Questa storia si è classificata quarta al Contest “E’ in arrivo la Primavera” indetto da Hikaru_Zani qualche mese fa, ed ha ricevuto anche il “Premio Speciale per la miglior ff su FMA” all’interno del medesimo Contest.

Presa da altro, mi sono sempre scordata di postarla.

Oggi però vorrei usarla per festeggiare un mio traguardo personale: è la mia 111ª storia che pubblico su EFP.

La gente normale festeggia la 100ª fan-fiction, ma io ho raggiunto quella meta e non me ne sono neppure accorta, dev’essere accaduto 5 o 6 mesi fa. Pazienza.

In vena di conti, invece, ho calcolato che questo è anche il 248° capitolo caricato, tra one-shot, raccolte e long-fic.

Se il back-up di EFP facesse un tracollo (come successe anni fa), temo che stavolta sarei costretta a fare harakiri per disperazione. XD

 

La frase che mi è stata imposta da bando del concorso è la n°1 “Una rondine non fa primavera” del filosofo Aristotele.

 

 

Ringrazio Flà, Valy, Tao, Anna e Andrea per il supporto morale ai miei scleri. XD

 

 

 

<>O<>O<>O<>

 

 

Una rondine non fa primavera

 

 

- Abandon -

 

 

 

 

Una rondine non fa primavera”, si era detta Trisha Elric, con convinzione.

Se l’era ripetuto un milione di volte, all’infinito.

Fin da quel giorno lontano in cui Van Hohenheim - l’uomo che non aveva sposato, ma che considerava a tutti gli effetti suo marito - l’aveva messa al corrente della sua irrevocabile decisione di partire.

 

Di tanto in tanto accadeva che egli si assentasse per qualche tempo da casa.

Per compiere degli studi d’Alchimia, affermava coscienzioso. Anche se lei non ci aveva mai creduto fino in fondo.

E poi, un giorno d’autunno come tanti altri, lui si era accomodato a tavola e, anziché aprire il giornale e leggere le novità facendo colazione come d’abitudine, le aveva chiesto di sederglisi accanto perché doveva parlarle.

Uno strano nodo d’apprensione le si era formato nel petto, mentre acconsentiva.

D’altro canto, la cosa era quantomeno inconsueta, poiché il consorte non brillava certo in loquacità: aveva familiarità solo con i suoi libri astrusi, con i suoi appunti indecifrabili, con le sue teorie strampalate che talvolta gli sentiva borbottare, immerso nei suoi contorti ragionamenti.

 

L’espressione con cui la fissava, quel mattino, non prometteva niente di buono.

 

Trisha, ascoltami… è una cosa importante.” Aveva esordito, mortalmente serio, senza nemmeno sapere bene che parole usare. “Me ne devo andare, per il tuo bene e per quello dei bambini.”

 

E così il piccolo mondo perfetto di Trisha Elric si era irreparabilmente incrinato in un solo istante.

Neppure gli allegri gorgoglii del piccolo Alphonse riuscirono a destarla da quell’incubo ad occhi aperti.

 

Pe-perché?” aveva balbettato, incredula. “Dove andrai?”

 

Ma l’uomo si era limitato a scuotere la testa, facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi, prima di rispondere con un vago “Credimi, è meglio che tu non lo sappia.”

 

E lei aveva annuito, di riflesso, assorbendo il colpo. Un’unica lacrima le era scivolata lungo la guancia, non aveva fatto scenate né pianti isterici.

 

Amava Van Hohenheim, aveva accettato tutto di lui, dal temperamento taciturno alle stranezze che scadevano talvolta in misteri. Non gli aveva mai chiesto nulla più di quanto lui fosse disposto a darle, ma sapeva che era ricambiata, che ciò che li legava era un sentimento vero e profondo, e tanto le bastava.

Dalla loro unione erano nati anche due figli - degli splendidi bambini -, per i quali Van provava del sincero - benché impacciato - affetto. Ne era certa.

Un’altra cosa di cui era sempre stata sicura era che quel momento tanto temuto sarebbe giunto, prima o poi.

Ma saperlo non la rendeva senz’altro più pronta all’evento. Anzi.

 

La vocina di Edward la riportò al presente. Al piagnucolava, dall’alto del suo seggiolone, stanco di venire ignorato.

Stringendo il grembiule con uno spasmo, ella incontrò lo sguardo del compagno, i suoi occhi smarriti si sciolsero in quelli dorati che tanto amava. Ed egli si sollevò paziente, andando a prendere in braccio il figlio minore, cercando di farlo smettere in qualche modo.

Mentre l’odore del latte tracimato sul fornello si spandeva nell’aria, Trisha guardava il suo uomo occuparsi del loro bambino, come se fosse stata la prima volta.

 

Nuove lacrime le punsero le palpebre, eppure lei le ricacciò indietro, come il groppo che le stringeva la gola e minacciava di soffocarla.

Edward le tirava ancora la gonna, chiedendole silenziosamente attenzione.

 

“Un attimo, Ed. Arrivo.” Sussurrò, cercando di ricomporsi.

 

Quella colazione fu la più silenziosa della sua vita, o almeno così le parve.

In realtà Ed e Al avevano fatto i loro soliti versacci e gridolini, soprattutto il maggiore, che la faceva arrabbiare quando si ostinava a rifiutare il latte.

Quel giorno Trisha non insistette, non se la sentiva; e fu il marito ad alzare la voce - cosa assai rara, da che lo conosceva - e Edward rimase così stupito dal rimprovero paterno da ingollare, in un sol sorso, il doppio del latte che di solito beveva.

 

“Come faremo, quando te ne sarai andato?” si sorprese a chiedere, posando la forchetta ancora intonsa sul tovagliolo immacolato.

 

Van rimase un istante con la tazza del caffè a mezz’aria, poi rinunciò a bere, adagiandola sulla tovaglia.

“Sai meglio di me che questa casa va avanti solo grazie a te, il mio contributo è ben poca cosa.” Non lo disse con falsa modestia, ma come un dato di fatto.

 

“Ci sono cose che io non posso fare.” Obiettò lei, aggrappandosi disperatamente a motivi inutili.

 

“Farò qualcosa… quel che potrò.” Accondiscese lui.

 

“I bambini hanno bisogno di te…”

 

“Non sono mai stato un buon padre per loro.”

 

“Non servono grandi gesti. Sanno che li ami, ed è quello che conta!”

 

“Abbi fiducia in me: ti dico che sarà più sicuro per voi, se io me ne andrò al più presto.”

 

“…Ritornerai?”

 

Trisha…”

 

“Non importa. Io ti aspetterò.”

 

L’uomo aprì la bocca per replicare, ma lei stava già iniziando a rassettare la tavola imbandita. Sembrava che il discorso fosse chiuso e invece d’un tratto lei riprese.

 

“Aspetta fino a primavera, ti chiedo solo questo.”

 

“La separazione sarà solo più dolorosa, se…

 

“Non m’importa.” L’interruppe lei, perdendo l’inflessione pacata che la caratterizzava. “E’ la mia unica richiesta, Van Hohenheim.”

 

“In primavera?”

 

“Potrei dirti che l’inverno è ormai alle porte, e che non è saggio mettersi in viaggio. Però dubito che questo ti fermerebbe. Non capisco quale grande pericolo incomba su di noi, non ho la pretesa di farlo. Ma questi mesi mi serviranno. Così io avrò modo di accettare questa cosa e in cambio non ti chiederò le tue ragioni.

 

“D’accordo.”

 

E così non erano più entrati nel merito dell’argomento. Le giornate si erano susseguite nel solito modo, come se nulla fosse cambiato. Eppure in cuor suo Trisha pregava affinché la primavera arrivasse in ritardo.

 

Hohenheim, d’altro canto, aveva rispettato la propria parola. Pur non essendo pratico di attrezzi e arnesi che non fossero inchiostro e calamaio, aveva riparato il tetto e lo steccato della recinzione.

Prima dell’arrivo del grande freddo, aveva tagliato e accatastato la legna in ciocchi perfetti, con una precisione quasi maniacale. Ed erano così tanti, ammonticchiati nel retro della casa, che sarebbero bastati per molti inverni a venire.

La cosa la intristì ancor di più.

 

L’autunno lentamente scivolò via, e arrivò la prima neve dell’inverno.

Fu allora che festeggiarono il compleanno di Edward, e poco dopo quello di Alphonse.

Il solstizio segnò l’apice di quell’immaginaria parabola discendente.

Se Van aveva deciso, niente lo avrebbe dissuaso.

Trisha allora passava le notti stringendoselo contro; abbracciata stretta a lui, per imprimersi nella mente ogni più piccolo particolare. Lo ascoltava russare nel sonno, per ore intere; gli accarezzava con tenerezza i capelli, quando pensava che lui stesse dormendo.

Non piangeva mai di fronte a lui, ma non significava che fosse forte.

E fissava ogni mattina il calendario appeso alla parete con dolore e pacata rassegnazione, poi preparava la colazione per tutti, e andava amorevolmente a svegliarli indossando il miglior sorriso che sapeva trovare.

 

Mentre le giornate passavano, talvolta si faceva aiutare per fare il bagnetto ai bambini.

Van aveva sempre disertato quei momenti, si sentiva chiaramente impacciato e impreparato e, l’unica volta che ci aveva provato, aveva quasi affogato Al nella vasca. In seguito, aveva sempre rifiutato categoricamente di ripetere l’esperienza.

Invece, in quel periodo, quando Trisha gli chiedeva aiuto, lui esaudiva ogni richiesta con mansueta solerzia. Contrariamente al passato, permetteva che Edward entrasse nel suo studio, giocava con lui con un cavalluccio di legno o con un trenino rosso che gli aveva portato da uno dei suoi viaggi.

Imboccava Alphonse quando gli veniva suggerito, oppure lo cambiava, quando si sporcava di pappa.

A volte, la sera, leggeva ai suoi figli le favole della buona notte e capitava che tutti e tre finissero per addormentarsi nel lettone o abbarbicati stretti sulla vecchia sedia a dondolo.

E allora la donna entrava nella stanza in punta di piedi e si sedeva in un cantuccio ad ammirarli e a vegliare sui loro sonni finché poteva.

Ma la cosa non durava mai molto, e l’incanto si rompeva. A lei non restava altro che prendere in braccio Ed o Al, a turno, mentre il suo uomo raccoglieva l’altro figlio assonnato, e li adagiavano tra le coperte, prima di crollare anch’essi. E un altro giorno finiva.

 

Quando le giornate cominciarono lentamente ad allungarsi, l’inquietudine di Trisha crebbe a dismisura.

La luce dell’alba arrivava anzitempo, al mattino. La neve ghiacciata si stava sciogliendo, lungo la strada che portava a Resembool. Il pupazzo che avevano costruito tutti assieme si era disciolto impietosamente, lasciando a testimonianza solo una vecchia carota e una sciarpa consunta.

Non era più necessario spalare il cortile per non rischiare di scivolare sul terreno congelato.

L’inverno stava finendo.

Era impossibile negarlo, benché lei si ostinasse a convincersi del contrario.

 

Il primo giovedì di marzo, aprendo le imposte della cucina per fare entrare la luce, lei percepì subito

qualcosa di diverso, e non si trattava dei fiori che erano timidamente sbocciati in quei giorni nel prato lì davanti, in un tripudio che sapeva di colorata rinascita; si trattava di un rumore nuovo nell’aria. 

Un vivace garrire e una traccia nera che fendeva il cielo.

Trisha corse fuori, pizzicandosi le dita col chiavistello per la fretta. Non se ne accorse neppure.

Una coppia di rondini stava nidificando sotto al tetto della sua casa, le vedeva svolazzare avanti e indietro con la paglia e il fango nel becco, pronti a costruirsi una loro famiglia.

 

Una rondine non fa primavera”, si disse, maledicendo quei volatili migratori che incarnavano la sua sventura. Se lo ripeté più e più volte, nei giorni a venire, mentre vedeva nuovi uccelli arrivare, incuranti del suo dolore.

 

E’ presto, è ancora troppo presto”, si persuadeva. Ma il cielo davanti a casa era pieno di scie immaginarie, di insetti da mangiare che venivano catturati, di schiamazzi e pigolii affamati - tempo due settimane e i piccoli della cova erano nati.

 

“Partirò con la nuova luna, dopo l’equinozio.” Le comunicò lui una sera, con voce colpevole eppure inflessibile, mentre asciugavano insieme le stoviglie della cena.

Un piatto le sfuggì di mano, frantumandosi nel lavello.

Van si offrì di raccogliere i cocci, per impedire che si tagliasse, agitata com’era.

 

La settimana seguente, suo marito aveva attaccato un’altalena alla grossa quercia che stava in cortile per far giocare i figli. Edward e Alphonse accolsero la novità con entusiasmo, costringendoli a passare gran parte del pomeriggio a controllare che non si facessero male cadendo, o a farsi spingere “In alto, più in alto!” come gridava Ed, a squarciagola, allungando una mano per cercare di afferrare le rondini che volavano di fronte a lui.

 

Quello fu l’ultimo ricordo di una famiglia unita.

 

Una rondine non fa primavera”, si era ribadita Trisha, anche quella sera, addormentandosi.

Ma il giorno dopo lui non c’era più.

 

 

 

 

- Fine -

 

 

 

 

Disclaimer: la frase scelta è la n°1 “Una rondine non fa primavera” del filosofo Aristotele.

I personaggi e la frase citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Note dell’autore: in uno dei volumi del manga, Edward afferma che lui e suo fratello Alphonse portano il cognome materno ‘Elric’, perché sua madre non ha mai sposato suo padre, Van Hohenheim.

Nel volume uscito questa primavera c’è una piccola incongruenza, quando Van accenna al suo matrimonio con Trisha ad Alphonse. Ma credo che la sua fosse una specie di ‘bugia a fin di bene’, per non mettere in imbarazzo l’ingenuo figlio.

Nello scrivere la fic, ho attinto il più possibile alle poche notizie che la sensei Arakawa ci ha lasciato, il resto è una mia interpretazione verosimile dei fatti, non lo considero unWhat if…?’

 

 

Mi sembra corretto riportare il giudizio:

 

4^ classificata
Abandon by Elyxyz

grammatica 9,5/10
stile 9/10
personaggi 10/10
trama 9/10
giudizio personale 4/5
particolari 4/5
giudizio esterno 4/5

TOT 49,5/55

angolo del giudice:
Ho adorato questa ff, non se ne trovano molte così in giro (o se ci sono non sono ben scritte) se non fosse stato per la ff di Hotaru saresti sicuramente arrivata 3^!
Che altro c'è da aggiungere se non i complimenti per lo splendido lavoro svolto?!?

 

 

 

 

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http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8412910&p=7

 

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“Premio Speciale per la miglior ff su FMA

 

 

 

 

 

 

 

 

Abbiate fede: a breve arriverà anche l’aggiornamento a It’s raining.

 

Un grazie alle 175 persone che mi hanno inserita tra i loro autori preferiti. Ne sono onorata (_ _)

 

Vi invito a dare un’occhiata alle mie fic su Merlin.

Al momento sono accampata in quel fandom, in cui il mio animo slash gongola assai, e posterò presto nuove fic.

 

 

 

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