Serie TV > Stranger Things
Segui la storia  |       
Autore: lo_strano_libraio    28/09/2022    1 recensioni
Cosa successe nei mesi tra la morte di Billy e l’attacco di Vecna, nella vita di Maxine Mayfield? Scopritelo in questa storia angst, ricca di emozioni forti, misteri e colpi di scena!
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dustin Henderson, Lucas Sinclair, Maxine Mayfield, Mike Wheeler, Undici/Jane
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Quarto capitolo: Carestia, Portami Via

 

La mattina del giorno successivo Max si svegliò sentendo voci fuori dalla porta dell’entrata, e voci che la chiamavano. 

“Maxine! Sei in casa? Vogliamo solo parlare.” A primo acchito pensó, o forse sperava, che fossero i suoi amici. Si stropicciò gli occhi e sbirciò dalla finestra. Erano un ragazzo, accompagnato da una donna sulla quarantina; lui era vestito casual con una giacca di jeans con sotto una camicia, lei invece indossava abiti da ufficio, e stava guardando circospetta alle finestre. “Merda...i servizi sociali...” si abbassó a raso della finestra per occultarsi il più possibile. “Bob ci ha detto che ti piace molto il gelato di Captain Ahoy: te ne abbiamo portato un po.” Il ragazzo sollevò una vaschetta col logo dalla busta, sventolandola come una bandiera. Solo il pensiero del gelato alla crema e fragola sul palato, le fece venire l’acquolina in bocca. “Ma ti abbiamo portato anche altre cose da mangiare; sappiamo che hai fame, se non ci apri però, non possiamo portartele”. Avrebbe voluto aprirgli e accettare il cibo: era disperatamente affamata. Ma c’era un problema: se l’avessero trovata in quello stato da sola, sua madre avrebbe passato guai seri con la legge. L’abbandono di minore era un reato punito col carcere, e anche se una parte di lei avrebbe voluto farla pagare a sua madre, perché comunque l’aveva abbandonata; le voleva comunque bene e sapeva quanto avesse sofferto. Inoltre, c’era il rischio che la sbattessero in una casa famiglia, e forse non avrebbe rivisto più i suoi amici; non se ne parlava neanche. O avrebbero chiamato sua padre, che l’avrebbe trascinata via in California, e a quel punto se li sarebbe visti in sogno gli amici di qui, come accaduto con Tommy a Arianna. 

Doveva resistere fino al suo ritorno, a quel punto anche se fossero tornati, non avrebbero potuto far arrestare sua madre se era con lei, e avrebbe potuto giustificare la scenata alla fumetteria di bob come una bravata adolescenziale, o almeno ci avrebbe provato per quanto improbabile che le credessero. 

“Credi che sia fuori?” Lui chiede a lei.

“Probabile, proviamo dopo...”

“Vorrà dire più gelato per noi Maxine...” disse ad alta voce lui, voltandosi, per un ultimo tentativo.

I due andarono via seguendo la strada sul viale. Max posò la testa al muro e tirò un sospiro di sollievo. 

Scese in cucina; mangiò quello che rimaneva in casa, rovistando ogni sportello, ogni ripiano, ogni anfratto della cucina; trovò un pacchetto di cracker, qualche cetriolo sott’olio sul limite dell’ammuffire e una banana già fin troppo matura. Si sedette a tavola con austera tristezza, e tale era il suo abbrutimento, divorò tutto con le mani: senza tagliare i cetrioli o cercare di disporli a fette sui cracker, per dargli un apparenza di cucina. No, ingurgitò tutto con ferocia animalesca, usando come piatto un pezzo di carta casa. Con le stesse mani sporche di olio e pezzetti di cracker, mangiò anche il frutto, dopo aver velocemente tolto la buccia, le sue mani sfangarono la polpa ormai nera della banana, obbligandola a trangugiarla rozzamente, anche leccandosi le dita dove si era creato un disgustoso miscuglio di banana e olio di sottaceti. Era così affamata, che non le venne neanche nausea nel mangiare questo rozzo pasto, in questo ancor più barbaro modo. Ma comicamente, si pulì prima col tovagliolo e poi lavandosi le mani in bagno, col fare perfettino di una signorina; come se si fosse resa conto dell’inciviltà di un momento prima, e stesse cercando di lavarla via col sapone, facendo finta di niente. La “colazione” comunque non l’aveva ovviamente riempita, e la fame la attanagliava, fomentata al pensiero che quello era tutto il cibo rimastole, e non aveva neanche denaro per acquistarne altro. Dissetatasi dall’arsura dell’olio con un bicchiere d’acqua, questa non mancava di certo, restò a rimuginare seduta al tavolo per un po’. Sua madre non sarebbe tornata prima di un altra settimana e mezzo probabilmente, quindi non poteva sperare sul breve periodo sul suo arrivo coi fantomatici soldi che aveva promesso. Infine comprese che fissare i muri tutto il giorno, l’avrebbe fatta uscire ancora più di testa, e già non si poteva dire fosse molto a posto, viste le scenate dei recenti giorni. 

Ricompose la treccia dietro la sua testa, per cercare di darsi un accenno di presentabilitá, e per non non dover vedere più i suoi capelli scoloriti, la cui vista la deprimeva. Si rimise gli sgualciti capi invernali e uscì di casa, prese con sé anche il suo zainetto: non si sa mai se sarebbe potuto tornare utile. 

Non sapeva esattamente dove fosse diretta, o cosa avesse intenzione di fare; tutto pur di non rimanere ferma in quella prigione, pensare, deprimersi. L’importante era muoversi, non rimanere ferma troppo a lungo in un posto, anche se le mancavano le energie. Prima o poi avrebbe trovato l’occasione per mettere qualcosa sotto i denti.

Cosí passò la maggior parte della giornata, ma il vagabondaggio non sembrava portarle consiglio; anzi, vedere le coppie felici passeggiare amoreggiando, le famiglie coi bambini fare compre per i regali di Natale, i ragazzi della sua età farsi un giro insieme agli amici di scuola; aumentò solo la sua malinconia, la coscienza di non essere come loro. Stava passando vicino a un diner, dal cui interno proveniva una grande e calda luce gialla. Dalla vetrata, poteva vedere tavoli pieni di gente, intenta a straforasti di hamburger e patatine fritte. L’acquolina in bocca divenne un mare in tempesta, la cui corrente la portò ad appoggiarsi con la mano sul vetro, e a contemplarne uno poggiato su un vassoio con occhi sognanti, quasi sul punto di sbavare come un cane. L’omone che stava per addentarlo la notò dal vetro, e rimase interdetto. Quando Max se ne accorse, si allontanò immediatamente vergognandosi in volto. Si mise le mani nelle tasche e fece dietrofront, facendo finta di niente. 

Arrivata ai cassonetti del diner, illuminati dai lampioni, affianco all’edificio; le venne un idea: “se guardò dentro, potrei trovare qualcosa da mangiare; buttano via sempre così tanto cibo buono in questi posti.” L’idea di fare qualcosa del genere, l’avrebbe disgustata fino a un mese prima; ma la disperazione ci porta a rivalutare al ribasso i nostri standard. Prima di aprire il portone, si guardò intorno circospetta: va bene tutto, ma davanti ad altri no. Non c’era comunque nessuno per strada; a dicembre la gente preferisce passare il tempo al chiuso che per strada; lei era la scena del villaggio. Spalancò il portellone, e lo fissò con il fermo; il blocco si inserì con un rozzo suono metallico. Sbirció dentro, e la puzza di spazzatura le investí il naso. C’erano principalmente sacchetti chiusi, dall’aspetto e odore non troppo invitante. Ma qualcosa attirò la sua attenzione: uno sbrilluccichio splendeva nel mezzo dei rifiuti. Fece strada con le mani, e infine trovò tra delle buste una barretta al cioccolato al latte “Milky Way”. Era aperta, ma qualcuno gli aveva dato solo un morso, per poi buttarla lí dentro; forse di fretta perché qualcuno lo aveva chiamato dall’altro lato della strada. Sta di fatto, che la concezione del cibo cambia radicalmente a seconda della situazione sociale. Cosí, se per quella persona questa barretta era solo un impedimento, per Max sarebbe stata la cena di quella sera. La prese in mano, e la fame era tanta che i suoi occhi l’ammirarono quanto l’hamburger di prima. Non sentiva la puzza che la spazzatura le aveva attaccato, o comunque il suo cervello la censurava appositamente, per spingerla a soddisfare la sua necessità di cibo. Abbassata verso il fondo la carta, i denti affondarono nella morbida cioccolata. La dolcezza era intatta, e la soddisfazione fu tale che chiuse gli occhi, come se stesse pregustando un piatto gourmet, facendo addirittura versi di soddisfazione nel masticare il cioccolato. Al primo morso ne seguì un altro e un terzo, ma sempre di quantità inferiore, per prolungare il più possibile il gusto, come se mangiare più lentamente avesse ingannato lo stomaco, facendogli credere di stare mangiando di più. 

La degustazione fu interrotta da delle risate provenienti dalla porta del diner. Erano uscite due ragazze, che Max riconobbe subito: Valery e Cassidy. Erano delle ragazze di un anno più grandi di lei, ed erano famose per essere delle stronzette principessine.

“No! Ma non mi dire, quello sfigato ci ha provato con te?!” 

“Ti dico di sì! Probabilmente si aspettava un no, ma io gli ho fatto: “bleh”. Devi vedere che faccia! Ahahah”. 

Non era di certo la situazione migliore per incontrarle, e Max rimase bloccata, indecisa sul da farsi. Lo sguardo di Cassidy (la biondina), cadde su di lei e il suo volto si trasformò da allegro, in una smorfia di sorpresa e disgusto.

“Oh, mio, dio! Ma quella è Maxine Mayfield che rovista nella spazzatura?!” 

Anche Valery la notò e si aggiunse al coro:

“Santo cielo, che schifo! Deve averla presa lì dentro quella! E poi guardala, da come è vestita sembra una barbona!”

Max rimase paralizzata, e sul suo viso si leggeva senso di colpa, dagli occhi tremanti e la bocca aperta come se stesse per dire qualcosa in sua difesa. La mano alzata e tesa come in segno di resa. 

“Cos’è sei diventata una barbona?! Facevi tanto la fighetta con la tua amica, al centro commerciale, e ora guardati!” 

In effetti, l’avevano trovata con la bocca sporca di cioccolata, presa da un cassonetto a cui era appoggiata, e con addosso vestiti non proprio in ottime condizioni; chiunque vedendola avrebbe potuto scambiarla per una senzatetto. 

“No...no, giuro! Voi non capite!”

Si avvicinò alle due ragazze, come per voler spiegare qualcosa di straordinario che fosse appena accaduto, e a cui non avrebbero potuto credere.

“Uh! Non ti avvicinare! Chissà cosa hai toccato lì dentro” Cassidy si strinse il naso, mentre cercava di distanziarsi da lei, e con l’altra mano le faceva segno di andarsene.

“Lasciatemi spiegare...”

Ma Cassidy le sputò in faccia, e non avrebbe dovuto farlo. Max prima chiuse gli occhi, trasse un profondo respiro, e poi li riaprí con pura ira dentro loro. 

“Brutta stronza io ti ammazzo!”

Lanciò per terra la barretta, e le si lanciò contro; le sue mani ritrovarono grazie all’adrenalina la forza e attanagliavano ora il collo di Cassidy, che di dimenava e urlava. Max le stava addosso, coi denti sbarrati e gli occhi iniettati di sangue, desiderosi di vedere l’avversaria soffrire. 

“TU NON MI CONOSCI! NON TI IMMAGINI NEANCHE COSA HO VISSUTO! STUPIDA OCHETTA VIZIATA DEL CAZZO!”

“Aaah! Lasciami! Sei impazzita?!” 

Valery dopo un primo momento di shock, corse in difesa della sua anica, e separò la rossa furiosa da lei spingendola via. Cassidy tossí un paio di volte, per poi partire al contrattacco: un pugno si schiantò sulla guancia di Max, che crollò a terra, avendo ormai esaurito le energie del momentum di un minuto prima.

Valery afferrò l’amica prima che colpisse la ragazza a terra con un calcio.

“Dai, andiamocene: se ci vede qualcuno passiamo dalla parte del torto...”

Cassidy la seguì, ma nel frattempo continuava a sfogarsi, urlando contro la ragazza in stato di semi coscienza.

“E sei fortunata che non abbia deciso di spaccartela quella faccia! Psicopatica del cazzo!”

Prima di voltarsi e andarsene, mise la ciliegina sulla torta facendole il dito medio, come se la disgraziata con la faccia a terra, potesse vederla. Max si massaggiò dolorante il punto in cui aveva ricevuto il colpo, la testa le girava e faticava a mettersi in piedi. “Ooooh...”Si rigirò un paio di volte come si fa nel letto la mattina presto, quando la sveglia ti chiama, ma non sei entusiasta all’idea di alzarti. Il cemento del marciapiede non era però altrettanto comodo: il contatto con esso aumentava solo l’indolenzimento. Si impose quindi, almeno di mettersi seduta. Che l’aiutó a recuperare in parte le energie mentali. Guardò la barretta a terra. “Tutto questo per quella schifezza? Sono caduta proprio in basso.” Finalmente riuscì a rimettersi in piedi, aiutandosi con le mani.

Si trascinó a un bagno pubblico lì vicino; guardandosi allo specchio constatò che un segno nero le era rimasto sullo zigomo sporgente sinistro. Si diede una ripulita come poteva, e massaggiò la zona contusa con dell’acqua calda per alleviare il dolore. 

Ora camminava sul bordo del marciapiede di una strada di periferia, al limitare del bosco. non c’era nessun’altro vicino, nel sul suo lato che l’opposto. L’aria era fresca e il bianco della neve copriva le cime degli alberi che costeggiavano la strada, formando un affascinante panorama bianco-verde. Il cielo era grigio, come tutti gli altri giorni del mese, e il colore incupiva ulteriormente il suo umore. Iniziò a sentire un rombo fragoroso provenire dietro lei: girandosi vide un camion avvicinarsi a grande velocità. Un pensiero le attraversò il cervello: “e se mi investisse? Non c’è nessuno...crederebbero tutti che sarebbe un comune incidente, nessuno penserebbe che mi ci sia lanciata contro.” I suoi piedi iniziarono a muoversi verso il bordo del marciapiede, mentre il camion continuava ad avvicinarsi e il flusso di pensieri continuava a fluire. 

“Un colpo e via, niente più dolore, umiliazioni, mi toglierei anche lo sforzo di dover tornare con la coda tra le gambe da loro; che non so neanche se avrei la forza di farlo, sinceramente...”

Il fragore delle ruote si faceva sempre più vicino, incessante, e l’attirava come il canto di una sirena dell’Odissea. I piedi toccarono l’asfalto e lei si muoveva sempre di più verso il centro. “Ci sono...ancora per poco...” 

il camion tuonò con il potente clacson, scuotendola e risvegliandola da quello stato sognante. Balzò all’indietro e cadde sul marciapiede, salvandosi per poco dalla rovina. “Sta attenta a dove metti i piedi, dannazione!” Le urlò l’autista affacciandosi, rosso in volto, dal finestrino. Max rimase a tremare seduta, scossa da quello che era appena successo. Davvero aveva provato a suicidarsi? Lei?! Che aveva affrontato mostri da un altro mondo e ne era uscita viva; voleva veramente gettare via la sua vita, soltanto perché non riusciva a chiedere aiuto ad altri, poi? 

Offesa con sé stessa, si rialzò e prese una decisione: non poteva andare avanti così; quindi, fino a quando non avrebbe trovato il modo di trovare la forza per andare dai suoi amici, avrebbe dovuto prendere decisioni drastiche per uscire da questa miseria. Si incamminò quindi verso un il supermarket dove andava sempre; le dispiaceva dover fare proprio loro questa cosa, ma conoscendola non avrebbero sospettato di lei. Entrando vide che il negozio era pieno, famiglie che facevano acquisti per il cenone di Natale: “bene, sarà ancora più difficile sgamarmi”. Prese all’entrata un cestino della spesa, di quelli piccoli con le maniglie che di alzano ai lati. Cosí non avrebbe dato l’impressione che fosse entrata per fare una grossa spesa, e quando sarebbe uscita a mani vuote non avrebbe insospettito nessuno; al massimo, avrebbero pensato che si fosse scordata di comprare qualcosa che le serviva, ma a un certo punto si fosse resa conto di averla già. Indossava in testa anche le cuffie del Walkman dallo zaino, che era spento non avendo le batterie, ma così facendo, se avessero provato a chiederle qualcosa lei avrebbe potuto fare finta di niente facendogli lecitamente credere che non li stesse sentendo per l musica.

Cercò accuratamente di non parlare con nessuno, né di incrociare i loro sguardi, passare come un fantasma in mezzo alla folla. D’altronde, lo era già: non faceva più parte del loro mondo felice e ordinato, ne era stata esclusa. Doveva accettare che fino a quando non sarebbe riuscita a sistemare la sua vita, sarebbe dovuta coesistere con gli altri in questo “sottosopra sociale”. Un sottosuolo, dove sarebbe vissuta come i ratti che le avevano mangiato il denaro, prendendoli ad esempio. Schivando sistematicamente chi incontrava, arrivò allo scaffale degli snack salati, affianco a quello del cibo in scatola. Magra com’era, sarebbe riuscita a nasconderne un po’ sotto i vestiti senza destare sospetti rigonfiamenti alla vista. Avrebbe messo un paio di buste di salatini sotto il maglione, tanto le fanno grosse solo per far credere che siano piene, ma essendone solo per metà, si appiattiscono facilmente. Una scatoletta di tonno per tasca dei pantaloni; poi si sarebbe diretta nel reparto frutta e lí avrebbe preso qualche mandarino da nascondere nella tasca della felpa: le servivano vitamine. Se tutto fosse andato liscio, avrebbe potuto anche provare a mettere una mela sotto il cappello; e facendo finta di niente, qualcos’altro nello zaino. 

Tutto nella sua testa pareva chiaro e coinciso, ma ora che era lì davanti allo scaffale la paura saliva: non aveva mai fatto niente del genere, e se l’avessero scoperta? Sarebbe finita dalla padella alla brace, in qualche carcere minorile? Tremava come una foglia al vento, con i nervi a fior di pelle. Pensò: ”non puoi comunque stare qui impalata! È sospetto, devi andare fino in fondo: non puoi mica frugare ancora nei cassonetti per mangiare qualcosa...”

Alzò la mano, pronta per afferrare una busta di paratine, stava per toccare la plastica quando-

“EHI!”

Una voce squillante e energetica sulle due spalle, la fece saltare. Il cestino le cadde dalle mani, che alzò a coprirsi il viso in segno di difesa.

“M-mi dispiace non volevo, giuro!” 

La sua voce squittiva dal senso di colpa.

“Max, che c’è? Non volevo spaventarti, ma non mi hai riconosciuta?”

Una voce familiare, amica. Abbassó le mani; si tolse le cuffie e si stropicciò gli occhi incredula: davanti a sé c’era Undi che le sorrideva.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Stranger Things / Vai alla pagina dell'autore: lo_strano_libraio