Ho
finalmente provato a scrivere qualcosa y__y
Sono su Efp da secoli, con diversi account (in ordine: Momoka Takahashi – con
diversi simboli che non ricordo – poi Sephta, poi questo) e le storie che
pubblicavo con i primi due non sono mai riuscite ad arrivare alla fine – per
quanto riguarda le longfic, ovviamente – perché l’ispirazione svaniva,
nonostante la gente mi incitasse a scrivere. Adesso, ho ritrovato la mia
ispirazione, grazie ad un sogno. Cercherò di rendere quel sogno realtà, di
imprimere quelle immagini su carta tramite la tastiera.
Grazie in
anticipo per chi leggerà o – eventualmente – recensirà!
Makoto
History
Questa storia forse non può essere
collocata nel “vostro” tempo. È una storia complicata, ma allo stesso tempo è
una storia banale, semplice.
Una storia come tante.
La “mia” storia è un po’ speciale,
un po’ ordinaria.
Una storia di amicizia e di amore,
sincerità e falsità, di guerra e di pace, di sangue e coraggio.
Vi renderete conto che è difficile
raccontare tutto in poche parole.
La nostra storia si svolge in un
luogo senza tempo, in un tempo senza circostanze ben definite, in una bolla di
sapone che vaga senza meta ai confini del vostro mondo.
Il nostro
villaggio si trova a metà tra una montagna e un lago, ed è attraversato dal fiume
che sgorga dal monte per poi terminare la sua breve corsa in quell’enorme
specchio d’acqua dolce.
Siamo suppergiù
cinquecento anime e ognuno di noi ha sempre avuto un’occupazione ben precisa,
anche gli anziani oramai sul tramonto del loro cammino o i bambini che ancora
non sanno parlare.
Tutti
venivano ben presto istruiti al lavoro e spesso c’era chi non riusciva più a
staccarsene, anche se in tarda età.
Era il
caso dell’Anziano – ironico appellativo – che fa parte
della cerchia del Consiglio. Sembra una struttura gerarchica classica, che
avrete sicuramente ritrovato in diversi romanzi della vostra epoca, ma vi
assicuro che era l’unico modo per portare avanti la nostra minuscola società.
L’Anziano
è l’uomo più vecchio del paese, si sussurra abbia più di cent’anni, ma solo io
e la mia famiglia conosciamo la sua vera età, poiché si
tratta del mio trisavolo. Il caro nonnetto può allegramente vantare ben
centotrentadue anni, quasi quanto i metri che misura
la sua lunga barba bianca, in contrapposizione con la sua “zucca pelata” – come
la definisce amorevolmente suo figlio, il mio bisnonno, in carica per diventare
il successivo capo del Consiglio.
Essere il pronipote
dell’Anziano non significa “lusso” o gratificazioni e agevolazioni di alcun
genere: al contrario, sgobbavo e sgobbo come tutti gli altri.
Il
villaggio è ragionevolmente diviso in periferia e centro. Nella grande piazza
attraversata dal fiume sorgono i negozi di alimentari, la merceria, il palazzo
del consiglio – chiamarlo così è esagerato: non è in effetti né più né meno una
costruzione come le altre – la scuola e il cancello del villaggio. Tutt’intorno
alla piazza sorgono le varie abitazioni, che si estendono fino ai limiti del
villaggio perdendosi in un dedalo di vicoli dentro i quali spesso i giovani
ancora si perdono.
Non ci
sono mura a proteggerci, ma a tale scopo bastano la montagna, il lago e la
fitta foresta che ci circonda, popolata da bestie feroci che attaccano i
predatori intenzionati a distruggere la tiepida armonia della nostra piccola
comunità.
Dal lato
del fiume, alle falde della montagna, si sono stabiliti i nostri campi. Portiamo
avanti una modesta storia di agricoltori e riusciamo a cavarcela anche con
l’allevamento, esattamente dal lato opposto.
Insomma,
agli occhi altrui il nostro villaggio è come un paradiso in terra. Un piccolo angolo
di mondo sovrastato da un pezzetto di cielo che regala da sempre una splendida
pace in tutte le stagioni.
L’organizzazione
del lavoro è semplice.
Una parte
degli abitanti, circa un centinaio, è relegata all’agricoltura e un altro
centinaio all’allevamento. Il resto consiste in gente comune che lavora per il
Consiglio, oppure in un proprio negozio, che fosse di piacere o qualche
articolo di alimentari.
La mia
famiglia gestisce la macelleria, perché da parte di madre siamo allevatori da
generazioni.
Fin da
piccolo sono stato istruito a leggere, scrivere e far di conto per poter tenere
i libri contabili e non farsi fregare dai clienti sul prezzo – o non fregare
loro, possibilmente. Il mio cervello si è sviluppato abbastanza da permettermi
un certo sarcasmo o ironia, a seconda della
situazione, e sono diventato una creatura silenziosa che si esprime solo quando
si rende assolutamente necessario.
Sono
sempre stato affascinato dai meccanismi con i quali si muove il Consiglio; tempo
fa, non appena avevo un minuto libero, ero sempre al palazzo, cercando di
sbirciare attraverso i complicati ingranaggi che tenevano e tengono in piedi la
cittadinanza. Ero riuscito a sapere abbastanza da potermi rendere conto che
tutto era organizzato secondo una scala in base al grado di età
e di abilità della persona.
A questo
punto si penserà che fosse l’Anziano il capo del nostro
villaggio e colui che prende le decisioni più importanti.
Ma in
realtà c’è qualcuno ancora più in alto di lui, colui al quale ci siamo sempre rivolti nei momenti di difficoltà.
Il nostro
personalissimo Dio.
Non è un
Dio come gli altri: andiamo, nel vostro mondo ne esistono di divinità sotto le
più varie forme e dalle storie più svariate.
Il nostro
Dio è… una bollicina. Anzi, diverse bollicine. Vive racchiuso in una grotta
sotterranea all’ingresso di un tunnel, simile a quella che voi chiamate
“terme”, e si rivela ai nostri occhi sotto l’aspetto di una massa d’acqua
rossastra, come vino, al centro della quale si raccolgono milioni di bollicine
sussurranti.
La sua
storia è affascinante, ma molto lunga e complicata, e non è il momento di
svelarla.
Quella grotta non è certo un luogo di piacere, ed è difficile
riuscire a parlare con il Dio. Bisogna arrivarci digiuni e
solo al tramonto, quando la divinità è generalmente disposta ad
ascoltare. Chi l’ha disturbata la mattina presto, si dice non sia più tornato
indietro.
In ogni
caso, non si tratta di una divinità malvagia, come si può immaginare; al
contrario, è la sua protezione a permetterci di andare avanti e l’Anziano ogni
due giorni si reca in visita a porgergli i suoi omaggi e a chiedere consiglio.
Lo
chiamiamo “Dio Bolla” per comodità. Con lui, il villaggio ha un rapporto
amichevole e quando la gente si reca a parlargli – ovviamente con tutte le
disposizioni del caso – ha a che fare quasi con un suo
pari. È sempre stato molto piacevole, opinione di tutti.
Forse
avrete pensato che il mio villaggio sia fuori dalla
sua epoca, totalmente estraneo ai conflitti che intanto devastavano il resto
del mondo.
Non è
così.
Anche se
non siamo collegati alle nostre terre tramite treni o navi, possediamo qualcosa
che si rende notevolmente più utile.
Il nostro
Oracolo.
È una
donna, di circa trentacinque anni. Da che ho memoria non è mai cambiata di una
virgola, e stando ai libri di storia non ha mai variato il suo aspetto da
quando fece la sua comparsa al villaggio, circa tre secoli fa.
È abbastanza
alta da riuscire a catalizzare l’attenzione di chiunque quando di tanto in
tanto si muove per il villaggio. Per quanto il Consiglio tenti di proteggerla,
lei asserisce che non ce ne sia bisogno, in quanto la sua protezione era il
villaggio stesso, e viceversa.
Ho avuto
occasione di parlarle soltanto una volta, dalla mia nascita.
Per quanto
lei sia sempre presente in mezzo a noi, è impossibile avvicinarla. Non perché abbia
un’aria truce, una scorta indistruttibile o ignorasse ipotetici tentativi di
conversazione; ma è la sua aura che ci impedisce quasi di guardarla negli
occhi.
Il suo
aspetto è quello di una qualunque donna della sua età: capelli castani, lisci e
portati in un caschetto un po’ più lungo della media, ricadono in ciuffi sbarazzini
sul viso e spesso coprono gli occhi, molto grandi e belli. Sono di un verde
polveroso, affascinante. Il resto del corpo e del volto non hanno
caratteristiche particolari: un mento un po’ troppo pronunciato, un naso un po’
troppo sporgente e forme un po’ troppo abbondanti.
Quella
donna è davvero un po’ troppo comune,
per essere un personaggio così di spicco.
Forse
l’espressione del viso, forse il fatto che qualunque cosa uscisse dalla sua
bocca diveniva realtà, o forse era proprio il tono di voce così melodioso e
ritmico, ma nessuno poteva avvicinarsi a lei a testa alta e guardandola negli
occhi.
È impossibile.
Riuscii a
parlare con lei una sera di tempesta, nell’autunno gelido dei miei undici anni.
Anche se
“parlare” non è esattamente il termine adatto.
Avevo
fatto tardi a lezione e stavo correndo a casa, sollevando schizzi di fango e
scusandomi a caso con gente che magari non avevo neanche sfiorato.
Finché non
la vidi, al centro della strada. La pioggia non sembrava minimamente sfiorarla
e – forse un’allucinazione – la sua figura pareva circondata da un alone
biancastro. Mi immobilizzai anch’io, imbambolato da quell’apparizione
improvvisa, quando lei si mosse. I suoi piedi non sembravano smuovere la
fanghiglia a terra e li seguii, ipnotizzato, finché lei non mi fu di fronte.
«Così ti bagnerai», aveva
sussurrato con quella sua voce da usignolo. Si era sfilata la mantella e me
l’aveva appoggiata sul capo e sulle spalle. Ero forse troppo sconvolto per
accorgermi dell’ondata di calore e di asciutto che quegli indumenti mi avevano
provocato.
Mi aveva sorriso, prima di
superarmi, e io mi pietrificai sul momento, tanto che rimasi per un minuto
buono in mezzo alla strada finché non ero riuscito a smuovermi per correre a
casa. Mi ero voltato per poterla guardare allontanarsi, ma era sparita dalla
strada, forse in un vicolo secondario, forse no.
Quella mantella fu restituita il
giorno dopo, asciutta e intatta, e di tanto in tanto gliela vedo ancora addosso
e ricordo quel nostro incontro fugace. Se mi incontrasse ancora una volta per
strada, mi riconoscerebbe? Mi userebbe di nuovo la stessa cortesia? È un dubbio
che mi dilania.
Ed è un dubbio che sicuramente non
troverà mai sbocco.
La
vita dell’Oracolo coincide con la vita del villaggio. Per questo a lei piace
così tanto girare per le strade, perché dice di sentire una connessione intima
con ogni pietra di ogni vicolo.
Si
dice che sia anche collegata al Dio delle bollicine, ma forse nessuno troverà
mai la risposta a questo quesito.
Solo
grazie a lei conosciamo le guerre che devastavano il pianeta, solo grazie a lei
i nostri raccolti e le nostre bestie possono trovare terreni favorevoli. Grazie
a lei conosciamo in tempo le catastrofi naturali e grazie a lei riusciamo a
vivere serenamente.
La
storia del villaggio che ci insegnano a scuola è zeppa di falle, che io ho
potuto colmare grazie alle mie incursioni nel palazzo del Consiglio.
Dalla
sua nascita, il villaggio ha dovuto far fronte a due catastrofi naturali e due
guerre più o meno disastrose. Forse vi starete chiedendo come potevamo
combattere, visto che non ho menzionato né un esercito né qualcosa che ci
somigliasse.
Semplice:
non combattiamo.
La
nostra offensiva è la difesa, come dice quel vecchio detto.
Avvisati
dall’Oracolo, tutto il villaggio rimaneva a digiuno per riunirsi nella grotta
del Dio, al tramonto. La divinità, soddisfatta da quei sacrifici e dai doni che
gli venivano fatti, proteggeva il villaggio, in un ciclo eterno.
Sembra
così semplice, così ovvio, così stupido, ai vostri occhi, vero?
Sembra
così facile rimanere a digiuno tutto il giorno e pregare con l’intensità di
ogni singola fibra del corpo, vero?
Conoscete
la parola “sacrificio”?
Veniva
scelta una pecora, di solito.
Ma
in anni di magra l’Oracolo sceglieva una persona.
La
seconda guerra avvenne quando avevo tredici anni. Aveva provocato pestilenze e
sofferenze incredibili, stando a quel che ci diceva l’Oracolo, e non eravamo
stati in grado di trovare un animale che fosse abbastanza in forze da
soddisfare le esigenze del Dio.
Così
l’Oracolo scelse una persona.
Mia
madre.
Era
una donna forte e non si sottrasse alla volontà del cielo. Sapevano tutti che
l’Oracolo e il Dio Bolla erano in connessione e se entrambi volevano che fosse
lei a sacrificarsi, allora lo avrebbe fatto.
Ricordo
come avessi tentato di invadere la dimora del Dio Bolla, imprecando ad alta
voce contro il suo volere, la sua crudeltà, ricordo come dovettero tenermi
buono due uomini adulti per impedirmi di fare del male a me stesso e agli
altri.
Mia
madre, sorridendomi, mi si era avvicinata e mi aveva accarezzato i capelli.
«La
mamma vi salverà, piccolo mio» mi sussurrò con dolcezza, e sentii i miei
bollenti spiriti calmarsi, lasciando posto a una violenta vergogna, che accese
di rosso le mie guance. Lei sorrise ancora e avanzò fino alle scale scavate
nella pietra che conducevano nell’acqua, dal Dio.
Chiuse
gli occhi mentre continuava a scendere fino a scomparire.
Gridai
il suo nome con tutte le mie forze, accasciandomi a terra.
Fui il
primo, insieme all’Oracolo, ad iniziare la preghiera che si levò alta,
rimbombando nelle pareti della grotta.
Quell’anno
non ci furono altre perdite e la guerra riuscì a non scalfire ulteriormente la
nostra civiltà.
Da
allora sono passati cinque anni.
L’Oracolo
ci assicura che nelle terre vicine gli imperatori hanno stipulato armistizi e
contratti di pace e solo due anni fa ci fu una battaglia particolarmente
violenta che rischiò di colpire anche il nostro piccolo paradiso, ma
fortunatamente così non successe.
Quest’anno
festeggiamo il raggiungimento di un primo lustro felice e abbondante, e la
ricorrenza del sacrificio della mamma.
Quest’anno
è il termine di un’era, e l’inizio di un’altra.
L’inizio
della fine.