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Autore: lilianarossa    04/10/2022    2 recensioni
Post 15x19. Cas è morto e Dean parla, ride, esce. Cas è morto e Dean è rimasto.
"Vorrebbe davvero non aver abbassato tanto la guardia perché ci sono porte che non vanno aperte e dolori che non vanno mostrati. Perché mentre la sua controfigura esce, parla e sorride Dean – il vero Dean – è ancora seduto nella stessa stanza del bunker, i capelli tra le mani e le urla mute che gli raschiano la gola."
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Rowena, Sam Winchester
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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DISCLAIMER: Nessun personaggio purtroppo mi appartiene, ci guadagno solamente in ossessioni.
AVVERTENZE: Post 15x19. La storia tratta delle fasi di superamento di un lutto e la situazione psicologica di Dean in alcuni momenti risulta alquanto problematica. Se siete sensibili a tale tematica vi prego di non leggere. Si tratta inoltre di una Dean/Cas, in cui i sentimenti di entrambi risultano espliciti. Se vi turba, evitate la lettura. 
NOTE: I pensieri di Dean sono inseriti tra parentesi tonde ad intervallare il testo. Questo capitolo è stato particolarmente complesso da scrivere, vista la delicatezza della tematica. Se siete sensibili a tal riguardo, tenete presente che in questo capitolo Dean pensa più volte al suicidio. Il suo punto di vista domina la narrazione e pertanto il suo giudizio non è affidabile. Non ho davvero alcuna pretesa di poter esprimere realmente ciò che significa trovarsi in una simile condizione, ed è tutto filtrato attraverso la mia sensibilità e la mia esperienza, ma invito chiunque di voi si rispecchi almeno un minimo in ciò che trova qui scritto (e spero davvero non sia così) a chiedere aiuto. Si sta meglio, dopo. Grazie di cuore.
  1.  Depressione
Mercoledì, 7.45 a.m., 24 gennaio 2021. Dean sa tre cose con assoluta certezza: non ha dormito, è il suo compleanno, deve urinare. Non sono necessariamente in ordine di importanza. Sa anche che per almeno una di queste cose la soluzione è semplice: potrebbe, banalmente, alzarsi e andare in bagno. Potrebbe, dovrebbe farlo. Se lo dice da circa trenta minuti – mezz’ora che ha visto scorrere sulle lancette dell’orologio, lo stesso che è caduto dal comodino verso le cinque di mattina e che non ha avuto la forza di tirar su. Solo che, ecco, non riesce a farlo. Come non riesce a mangiare, a dormire, a concentrarsi, a respirare.
Dunque Dean è fermo, disteso nel letto, il giorno del suo fottuto compleanno, con il telefono accanto a sé che squilla e la vescica che fa male. E aspetta. Aspetta, strenuamente, inutilmente, che qualcosa cambi.
Vorrebbe solo riuscire a vedere una via d’uscita. Non vuole altro – non vuole nulla.
(Sei morto dentro).
Solo che le tempie gli scoppiano e ha un nodo in gola e vorrebbe piangere e non riesce nemmeno a versare una singola lacrima e strapparsi i capelli perché non c’è nulla da fare, non c’è soluzione questa volta, non tornerà. Non c’è più un grande pericolo da combattere, nessun nemico in vista, nessuna azione eroica, nessun sacrificio. Nulla. E in questo nulla anneghi.
E ricordi. Ricordi come da piccolo non riuscissi a capire – non concepissi come a volte la vista dei tuoi occhi potesse ferire tuo padre. Non realizzavi davvero perché bevesse così, perché scappasse così. Poi hai capito – quando sei stato abbastanza grande per vedere, hai compreso quale fosse la vera causa di tutto ciò: del dolore di tuo padre, della sua rabbia, della sua assenza – l’amore. John aveva amato troppo, troppo pazzamente, senza limiti. Sapevi che tu non avresti mai dovuto farlo, perché nulla avrebbe potuto distoglierti da Sammy – che doveva fare i compiti, essere accompagnato alle visite mediche, mangiare.
Ma ora Sam è grande, forte – più di te – e sicuramente più stabile, quasi felice. E tu davvero ce l’avevi quasi fatta; con Lisa di cui amavi la familiarità e perfino con Cassie di cui amavi l’esuberanza.
Ce l’avevi quasi fatta – davvero.
Ma ora, a dispetto di qualsiasi altra convinzione, ne hai la certezza – l’ossessione cantilenante che rimbomba senza tregua nella tua mente e che mormori, devastato, muto, a fior di labbra: sei esattamente come tuo padre.
Sei talmente stanco, stanco ed esausto ad ogni minima azione. Dovresti mangiare, dovresti andare in bagno. Dovresti lavarti. Dovresti alzarti.
Dovresti.
Se solo trovassi un secondo di pace, se solo la tua testa smettesse di pulsare – il mal di testa non ti abbandona da giorni – se solo dentro di te ci fosse un po’di silenzio. Perché Dio, ti prego basta. Ti dondoli piano mentre pensi che vorresti solo che fosse qui, che ti aiutasse piano ad alzarti, che ti portasse in bagno e ti spogliasse e ti lavasse – senza alcuna malizia, senza nulla di sessuale – come se fossi un bambino, come se fossi un malato.
Vorresti solo che si prendesse cura del tuo corpo, che ripartisse dalle tue terminazioni nervose, che ti ricomponesse come sai che saprebbe fare, come ha già fatto tante volte. Se avessi la forza di immaginare, immagineresti le sue mani – fresche e morbide – che ti massaggiano le tempie. Le mani di Castiel – l’angelo del signore, il guerriero ribelle, ma anche le mani di tua madre. Di Bobby. Di Charlie. Di Benny. Di Kevin. Di John. Persino di Crowley.
Di tutte le persone che (non) pianto e hai perso. Perché il peggio, l’orrore della sofferenza, è che non soffri per qualcosa. Semplicemente il dolore attira il dolore e tutta la disperazione che hai stipato sul fondo in questi anni torna a galla, reclama spazio, ti risucchia.
Non sei più il Dean di una volta. Hai perso così tanti pezzi per strada – i migliori, credi – che non sai davvero cosa ne è stato di quella persona. E di conseguenza chi è che sei adesso. Adesso, sei solo un cumulo di lenzuola sporche e di rimpianti. Se solo sapessi ancora piangere – come quando eri davvero piccolo, i mostri erano solo fantasia e la tua famiglia era perfetta e ti si rompeva un giocattolo e dopo lo sfogo avevi fame e prendevi una fetta di crostata – per dare una manifestazione visibile al tuo dolore.
La verità è che non sei stupido. Che ci hai girato intorno per tanti, troppi anni. Che se ogni tuo sacrificio è stato teso a salvare gli altri, almeno una parte – una piccola, oscura sezione marcia del tuo io – è stata mossa dal desiderio di annientamento. Di fine. Di cessazione. Una brama latente e incessante che ti segue da quando hai memoria. Hai sempre scherzato sul fatto che saresti morto giovane. Solo che forse non scherzavi così tanto.
È solo che… il sollievo di non avere più bisogni, responsabilità, desideri, speranze.
Il sollievo di non sentire.
E sarebbe talmente facile – più facile di tante altre cose che hai fatto, che sei riuscito a fare. Più facile della tua vita.
Ci pensi, ci pensi tanto e forte, finché non senti dei passi fuori dalla tua porta e il rumore di un piatto che viene lasciato per terra.
E – da sempre/improvvisamente – sai che non puoi. Perché anni e anni fa tu e Sammy avete lasciato le vostre iniziali incise sulla macchina di vostro padre. Perché di là, in cucina, c’è un uomo che ha perso troppo: padre, madre, amici, amori e non perderà anche suo fratello – non a causa tua.
Quindi ti alzi.
Vai in bagno.
Entri in cucina.
Guardi tuo fratello e dici: “Ho bisogno di aiuto”.
E non hai mai avuto tanto coraggio.
  
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