Avviso: ho aumentato il rating da giallo ad arancione, ma più per precauzione che per altro. Grazie per l’attenzione.
The Sign of the Southern Cross
IV.
[ giorno 11 — aurora ]
Ti aspettavo per delle ore. Ti aspettavo per tutta la notte. Seduto su una sedia scomoda, la schiena dritta, tesa. Gli occhi spalancati nel buio, solo le luci della strada fuori a penetrare per un po’ in quel nero fondo. Le mani rannicchiate sulle ginocchia composte, le dita strette in una morsa dalla quale non sapevo se sarei mai riemerso.
Ti aspettavo per delle ore perché promettevi sempre che saresti venuto presto, che quella spedizione (l’ennesima) sarebbe stata una passeggiata. E invece attendevo, il cuore in gola, senza bere né mangiare né riposare. Era come se se mi trovassi in una bolla senza peso, in un tempo fuori dal tempo. Sarebbe sempre stata così, la mia vita? Un continuo, incessante attendere? Una spasmodica veglia? Un’affannosa preghiera alla morte affinché ti risparmiasse? Ancora una volta, sempre?
L’aurora era appena sorta quando arrivavi, sporco di polvere, il viso torvo e stanco. Aprivo la porta e ti lasciavi cadere tra le mie braccia e io ti prendevo come se non avessi peso - come se non fossi carico di tutte le illusioni che ti portavi appresso. Affondavi il naso nel mio collo, le dita aggrappate alla mia schiena. Sussurravi parole che non ho afferrato mai, e io chiudevo solo la porta - sul mondo, e su ciò che eri appena stato a fare là fuori.
L’aurora rischiarava la stanza, e il tuo volto. Ti baciavo lentamente ma tu mi spogliavi senza pazienza, affondando le dita nella mia carne come se volessi accertarti che fossi davvero lì, con te, in quel piccolo appartamento di Paddington senza tende alle finestre, troppo stretto per due uomini adulti. Ti lasciavo fare ché sapevo - sentivo - che era ciò di cui avevi bisogno. E anche io ne avevo bisogno.
L’aurora era come al solito nostra testimone, mentre ti lasciavi andare, mentre mi permettevi di affondare dentro di te, “ancora”, e più a fondo, fino a raggiungere la tua anima. E io ti permettevo di gridare il mio nome per poi soffocarlo dentro un respiro comune, unanime, un’altra unione che da noi veniva consumata in mezzo alle mie lenzuola, le tue dita tra i miei capelli.
Ci sono state tante aurore. Ci sono state tante notti, e tante attese, ma un giorno, non ti ho atteso più; un giorno, non sei venuto più. Hai continuato a stare là fuori, ma forse tornavi ad un’altra casa, e ad altre braccia, e da quelle stesse braccia ti facevi stringere, e in quelle stesse braccia ti lasciavi cadere. Chissà.
L’aurora non ha più avuto lo stesso significato, dopo di te. Dopo di te, ho appeso delle tende alle finestre. Dopo di te, l’aurora non l’ho vista più per molto tempo. Finché un giorno, non ricordo nemmeno bene quando, o in quale istante della mia vita, sono tornato a guardare l’aurora, e allora ho capito che stavo bene. Stavo di nuovo bene. Mi sono domandato come stessi tu. Tante di quelle volte... Non te l’ho mai chiesto, però. Scusami. Scusami davvero.
L’aurora ha sempre avuto i tuoi occhi, Frederick.
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NOTE: arrivo velocissima con uno dei prompt della lista pumpNIGHT, quindi da pubblicare dopo le 19; scusate per l'angst, prometto che il prossimo capitolo sarà più soft e dolce ♡