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Autore: Marti Lestrange    13/10/2022    2 recensioni
[Grimmauld Place non era la casa spettrale che divenne poi, col tempo, man mano che siamo cresciuti e ce ne siamo andati. Grimmauld Place era la casa dei giochi infiniti, delle risate soffocate dietro qualche tendone, delle fughe da Kreacher, delle eterne partite a carte o Gobbiglie, del fuoco che ardeva nel caminetto e la torta alla zucca, delle scale che erano la nostra nave da governare in un mare in tempesta, e la soffitta la terra straniera e selvaggia da esplorare alla ricerca di tesori nascosti.]
— raccolta partecipante al “Writober” di fanwriter.it ;
I. giorno 7 — piccolo
II. giorno 8 — pallore
III. giorno 10 — undici
IV. giorno 11 — aurora
V. giorno 13 — glicine
VI. giorno 16 — teatro
VII. giorno 18 — stelle
VIII. giorno 19 — polvere
IX. giorno 20 — confessione
X. giorno 25 — sangue
XI. giorno 26 — fratello
XII. giorno 28 — penombra
XIII. giorno 29 — seta
XIV. giorno 30 — giuramento
XV. giorno 31 — paura
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alphard Black, Altro personaggio, Sirius Black, Walburga Black
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'in the name of the Black.'
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The Sign of the Southern Cross 

 

V.

 

[ giorno 13 — glicine ] 

 

Ho rivolto per la prima volta la parola a Lin un giorno di novembre. Ma è stato nel giugno successivo che il suo cuore si è schiuso per me. 

 

Da quando le ho parlato, mi ha sempre servito lei, durante i miei pranzi e le mie cene al ristorante di sua madre. La cosa che più mi ha colpito di lei è stata la gentilezza, quel suo modo di sorridere col cuore anche senza dire niente, di irradiare calore senza toccarmi, di scaldarmi l’anima con una parola sussurrata, mai urlata, con quella voce musicale a spruzzare il suo inglese tranquillo, privo di accento. 

 

Un giorno semplicemente le ho chiesto di chiamarmi Alphard e di smetterla con quel “signor Black” che mi faceva sentire vecchio come mio padre, e lei ha riso così tanto che sono rimasto semplicemente a guardarla, incantato, le bacchette a mezz’aria. C’erano pochi clienti, quel giorno a pranzo, e nessuno ha badato a noi. “Io sono Lin”, ha detto quindi, dopo che l’ultimo scampolo della sua risata si è esaurito nell’aria che profumava di spezie. “Lo so,” le ho risposto solo. 

 

È stato un giorno di giugno che mi ha mostrato il giardino sul retro. Lei e la sua famiglia abitavano nell’appartamento sopra il ristorante, e nel retro avevano coltivato un vero e proprio giardino all’orientale, forse per sentirsi meno soli in quel mare di grigio e umidità che era l’Inghilterra. Dopo aver finito di pranzare, Lin mi ha chiesto se volevo vedere una cosa, e come avrei potuto rifiutare? 

 

Così, dopo che anche l’ultimo avventore se n’è andato, Lin mi ha preso per mano, mi ha fatto alzare dal divanetto sul quale sedevo, e mi ha accompagnato fuori. Siamo transitati lungo un corridoio sul quale si aprivano varie porte, tra le quali quella della cucina. Un omone grande e grosso era sbucato proprio da lì, tutto vestito di bianco, i capelli tagliati cortissimi, e le mani appuntate sui fianchi. Lin gli ha detto qualcosa in cinese che ovviamente non ho capito, e lui se n’è rimasto lì a guardarci, silenzioso, mentre procedevamo lungo il corridoio e poi fuori, nel sole. 

 

Il giardino era tutto viola. Mi sono coperto gli occhi con la mano per un attimo, accecato dal riverbero del sole sui fiori che popolavano il giardino.

 

“Wisteria sinensis,” ha mormorato Lin. “Glicine cinese.”

 

Io sono rimasto senza parole. Continuavo a guardarmi intorno, incapace di proferire verbo di fronte a cotanta bellezza. Sembrava quasi una magia, eccetto per il fatto che non c’era magia, nel mondo di Lin. Almeno non la magia come la intendevo io. 

 

“Lin,” ho iniziato. “È bellissimo.”

“Lo abbiamo portato dalla Cina. È fiorito circa un mesetto fa, come tutti gli anni.”

 

Mi sono voltato a guardarla, ancora inebetito. E lei era altrettanto bella, i capelli scuri e liscissimi tenuti indietro con un fermaglio, e il grembiule che usava per servire ai tavoli ancora addosso. Gli occhi erano nerissimi ma pieni di luce - pieni di stelle. Sembrava una visione, lì in mezzo, qualcosa di non reale, quasi un prodotto dei miei stessi sogni. 

 

“Perché me l’hai mostrato?” 

Perché a me? Perché proprio io?, avrei voluto chiederle. 

“In oriente, il glicine simboleggia amicizia e disponibilità. Siamo amici, tu e io.”

Ammetto che quella parola, “amici”, un po’ mi ha fatto male. Ho capito che non volevo essere solo amico di Lin. Certo, non sapevo nemmeno cosa avrei voluto essere, per lei, ma questo l'avrei capito col tempo. 

“Amici,” ho ripetuto.

Lei ha annuito, quel suo bel sorriso di nuovo a scaldarmi dentro. 

 

⭐︎

 

Ci siamo baciati la prima volta quando Lin mi ha regalato il glicine. Dopo quel giorno in giardino, siamo davvero diventati amici. Ma quando Lin mi ha regalato il glicine, ho capito che avevamo smesso di esserlo, per essere qualcos’altro. È venuta a suonarmi a casa, io ero pronto per mettermi in tavola, avevo cucinato una cosa al volo. Eravamo di nuovo in giugno, circa tre anni dopo quell’altro giorno di giugno. 

 

Lin teneva tra le braccia un glicine bonsai, i cui fiorellini viola erano già spuntati come tante gemme purpuree. L’ho fatta entrare facendomi da parte, e lei ha continuato a tenere stretto il bonsai come se fosse una cosa preziosa. 

 

“Non aspettavo una tua visita.” Lin non era mai venuta a casa mia, prima di quella sera. “Scusa, ho tutto in disordine.” Ho cominciato a guardarmi intorno, cercando di capire da dove iniziare per sistemare quel caos, ma lei ha fatto un passo avanti, impedendomi di pensare. Il suo buon profumo saturava l’aria e la mia testa era piena di lei, solo di lei. “Al, va tutto bene. Non fa niente.”

 

Ho annuito. Lei mi ha teso la pianta. “Questo è per te.”

“Per me?”

Lin non ha aggiunto altro, le braccia tese, in attesa che prendessi il bonsai.

“Non posso accettarlo, Lin, è troppo…”

“Secondo la tradizione, il glicine viene considerato un potente talismano contro le avversità. E si regala a chi ci sta più a cuore.”

 

Ho alzato gli occhi dalla pianta per puntarli su di lei. Non mi sono nemmeno accorto che stavo trattenendo il respiro finché non l’ho lasciato scorrere fuori. 

I suoi occhi mi dicevano qualcosa. Mi suggerivano qualcosa. Così ho preso la pianta, delicatamente, dalle sue mani, e l’ho poggiata sul tavolo, e il momento dopo Lin era tra le mie braccia, e io la stringevo con altrettanta delicatezza, ché lei quello era, un essere delicato all’esterno, ma che celava una forza innata all’interno, come le piante rampicanti che tanto amava. 

 

Le ho scostato un ciuffo di capelli fini, come seta, e gliel’ho appuntato dietro l’orecchio. 

“Mi stai molto a cuore, Alphard.”

“Anche tu mi stai molto a cuore, Lin.”

“Mi dispiace, avevo promesso che saremmo stati amici.”

“Non possiamo più esserlo, temo.”

 

Ci siamo baciati senza fretta, con lentezza. Ci siamo esplorati con curiosità. Non baciavo una donna da anni. Pensavo che sarebbe stato strano, ma con Lin è stato tutto così facile, così semplice, come bere un bicchier d’acqua dopo aver patito tanto la sete in un giorno particolarmente caldo. 

 

“Possiamo comunque essere amici,” ha sussurrato stringendomi le mani che tenevo sulle sue guance. “Amanti e amici.”

“Ti amo, Lin.”

Lei mi ha guardata con i suoi occhioni. 

“我爱你, Alphard. Ti amo.”

 

Non ci siamo lasciati più, da quella sera. Il glicine ci osservava dal tavolo della cucina.

 

✩ ✩ ✩
 

NOTE: arrivo di corsa (ormai è la mia costante, ahimè); spero che questa piccola cosetta soft vi sia piaciuta (qualche gioia per Alphard) ♡

 
   
 
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