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Autore: Kifuru    16/10/2022    2 recensioni
Al termine della Seconda Guerra Magica, il giovane Ronald Weasley, deciso fermamente a non ripetere più gli errori del passato, si appresta ad affrontare una nuova vita insieme ai propri cari e ad Hermione, la ragazza che ama alla follia. La terribile guerra appena combattuta lo ha portato a conoscere il terribile dolore della perdita, ma al termine di essa il giovane mago si sente finalmente pronto a vivere e ad amare. Entrando a far parte del Corpo Auror, Ron affronterà dure prove che lo porteranno a conoscere meglio sé stesso e il mondo sia magico che babbano.
La storia di un eroe fallibile e generoso alla disperata ricerca della giusta via da seguire.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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CAPITOLO 5
 
 
ORIZZONTI
 
Inverno 1998
Mare del Nord, Isola delle Bestie
Un’isola glaciale e selvaggia a largo della costa scozzese
 
“Il sangue della famiglia è immortale. La razza deve essere preservata, è l’unica cosa degna di essere tramandata in un mondo corrotto e sporco popolato per la maggior parte da razze inferiori”
 
Aginolf Eckart Boleslaw aveva rigorosamente vissuto rispettando questo credo. Il credo della sua famiglia d’origine. L’onore della sua stirpe, il sangue di una delle più potenti famiglie della santa Germania, nella vita di Aginolf non c’era mai stato niente di più importante. La sua era una razza superiore, una razza di conquistatori e cacciatori. La Germania era piena di famiglie dalle origini antiche, abituata a vivere nel lusso più sfrenato sfruttando il nome di una stirpe tanto potente e rispettata. Tuttavia, la famiglia di Aginolf aveva sempre cercato di spingersi sempre più avanti nella conquista, in qualsiasi epoca storica. Dopo la terribile sconfitta nella Prima Guerra Mondiale, Suo padre Eckart Boleslaw aveva ciecamente aderito al movimento nazista e in seguito egli dedicò la vita al buon nome della sua famiglia e alla difesa della suprema razza ariana.

Mentre molti dei coetanei di suo padre prendevano vigliaccamente servizio nei numerosi campi di concentramento impiegati dal governo tedesco in tutti territori occupati, Eckart decise fin da subito di arruolarsi per combattere il più grande conflitto che il mondo ebbe mai visto. Sia chiaro, Eckart Boleslaw era un accanito sostenitore della soluzione finale, della necessità di sterminare veri e propri rifiuti umani, ma allo stesso tempo si riteneva troppo sprecato per portare a termine personalmente un compito del genere. Il suo posto era sul campo di battaglia.

Suo padre era stato educato con i più alti e severi valori militari, che lo portarono ad affrontare i più terribili fronti di guerra della storia dell’umanità. Prima, andò a combattere i bolscevichi nel terribile fronte russo, affrontando il gelido inferno della Russia sconfinata e la ferocia smisurata dei soldati sovietici. Ma quasi sul finire del conflitto, nonostante tutto il dolore, le ferite e la stanchezza, suo padre, ormai colonello promosso sul campo, venne inviato nei campi di battaglia della Germania occidentale ad affrontare l’inarrestabile avanzata di inglesi e americani.

Suo padre Eckart venne di nuovo ferito e poi fatto prigioniero. Morì alcuni anni dopo nella loro antica villa di famiglia a Norimberga. Eckart Boleslaw non ebbe la fine gloriosa che aveva sperato, ma non smise mai, nemmeno in punto di morte, di ricordare al figlio Aginolf l’importanza della loro stirpe e la superiorità del loro sangue. Così, Aginolf decise all’età di diciassette anni che avrebbe addirittura superato suo padre. Avrebbe portato la potenza della famiglia Boleslaw verso vette mai viste prima, verso traguardi mai immaginati da suo padre. La sua famiglia si era sempre arricchita in Germania con le numerose fabbriche d’armi sparse in tutto il territorio, ma con la sconfitta tedesca nell’ultima guerra, molte di queste vennero chiuse o distrutte, minacciando sempre di più il patrimonio di Aginolf.

Il giovane Boleslaw si accorse ben presto che, mentre il suo popolo si umiliava senza ritegno dopo la sconfitta, la potenza economica e politica della famiglia diminuiva costantemente, con il concreto rischio che nel corso di pochi decenni il secolare nome dei Boleslaw si sarebbe perso per sempre nell’oscurità e nel disonore. Tutti i discorsi patriottici del padre non gli erano serviti per imparare la più importante lezione, quella comprensione così essenziale per un uomo che aspirava alla grandezza.

Tuttavia, Aginolf la imparò ugualmente con le proprie forze, vivendo ogni genere di esperienza. Il mondo cambiava continuamente e soprattutto cambiavano le regole del gioco. La caduta del nazismo portò un nuovo equilibrio e Aginolf comprese che la strada da seguire non poteva più essere quella tradizionale, quella che suo padre aveva seguito fedelmente prima e durante della guerra. Il regime nazista aveva garantito al suo vecchio un appoggio assoluto per la produzione di armamenti di ogni genere. La situazione in cui si era ritrovato Eckart poteva essere considerata tutto sommato semplice.

Aginolf non ebbe la stessa fortuna. Il nuovo governo tedesco, schiavo della disastrosa sconfitta, non avrebbe più potuto offrire quelle storiche garanzie, di conseguenza bisognava trovare altri canali di rifornimento. Altri mezzi per accrescere la propria autorità. Il mondo criminale divenne il punto di lancio della sua ascesa. Nel giro di venti lunghi anni, Aginolf Boleslaw divenne uno dei più importanti produttori clandestini di armi dell’intero continente europeo. La potenza economica e territoriale dell’impero criminale da lui fondato divenne smisurata, al punto da procurargli importanti contatti politici in tante nazioni. Attentati, rivoluzioni, piccoli e grandi conflitti. Chiunque desiderasse combattere o raggiungere un determinato obiettivo con la forza delle armi, giusto o sbagliato che sia, doveva obbligatoriamente rivolgersi al più grande commerciante e trafficante d’armi del secondo dopoguerra.

Mentre il suo impero cresceva, Aginolf continuò a credere fermamente di meritare più di ogni altro la vetta del mondo. Il credo della sua famiglia lo accompagnò sempre durante la sanguinosa scalata del potere. Suo padre aveva combattuto valorosamente per difendere la purezza della razza, ma alla fine aveva perso. Aginolf, invece, aveva trionfato, superò di gran lunga la grandezza di Eckart Boleslaw.

Con l’inizio degli anni Settanta, la sua potenza in quel mondo corrotto sembrava assoluta, invincibile e incontrastabile. Tutto questo fino al crollo definitivo, fino a quando non accadde quell’evento. Quell’episodio terribile che cambiò per sempre la sua vita. Fedele agli ideali con i quali era cresciuto, Aginolf aveva sempre vissuto con una certa consapevolezza del mondo, soprattutto riguardo a quei popoli che da sempre considerava i nemici giurati del popolo tedesco. Per molti anni il suo odio implacabile aveva colpito tutte le razze inferiori da estirpare senza pietà come gli ebrei, i sovietici o persino gli americani.

Durante la costruzione del suo impero criminale Aginolf ne aveva uccisi così tanti e mai si era pentito delle innumerevoli azioni gloriose che aveva compiuto. Eppure tutto questo cambiò nel giro di una sola notte d’inferno, in un attimo tutto quello che credeva di sapere sul mondo che intendeva dominare si infranse come una palla di cristallo.

Si trovava in viaggio con la sua famiglia in Inghilterra. Con la moglie, una nobildonna tedesca dalle antiche origini e con il suo giovane erede Eckart di quindici anni. Doveva gestire alcuni affari in tutto il territorio della Gran Bretagna e per dimostrare la longevità del suo retaggio decise di portare tutta la famiglia. Durante il viaggio notturno verso Londra, la sua macchina blindata e antiproiettile era scortata da ben tre furgoni, vale a dire una scorta di venticinque uomini armati e addestrati.

Apparvero dal nulla. Sbucarono nel cuore di quella notte gelida al centro della strada. Figure nere e incappucciate, le quali stavano immobili sul gelido asfalto di quella strada solitaria. Si trattava di un gruppo di dieci persone, tra loro Aginolf riconobbe anche qualche donna. I mercenari di Aginolf scesero tutti dai veicoli, posizionandosi a difesa della macchina del padrone, ognuno di loro era armato con un modernissimo AK-147.

Una strana inquietudine si impossessò immediatamente di Aginolf. Quelle figure lo spaventarono come nessuno era mai riuscito a fare. Quasi in modo stridulo e infantile, ordinò ai suoi uomini di sparare senza indugi. Voleva vedere quei pagliacci morti e lo voleva subito.

I suoi uomini spararono, forse anche loro spinti da una paura incomprensibile. Eppure nessuna pallottola ferì gli aggressori, le pallottole sembravano quasi sparire nel nulla, come se le armi sparassero a salve. Gli incappucciati ridevano come matti di fronte all’impotenza dei mercenari, a distanza di anni, Aginolf sognava ancora quelle risate di scherno. Gli assalitori sfoderarono con calma degli strani oggetti dalle loro tuniche nere, come degli strani bastoncini di legno. Li puntarono verso di loro come una pistola o un fucile. I mercenari si bloccarono terrorizzati come bambini, mentre gli incappucciati urlavano parole che Aginolf non riuscì a comprendere.

Nell’istante successivo uno spettacolo assurdo di luci verdi illuminò quella notte così tenebrosa. Le luci verdastre fuoriuscirono dai piccoli bastoni di legno e slittarono come missili verso gli uomini di Aginolf. Ogni volta che una luce colpiva il corpo di un uomo, questi uccideva all’istante un membro della sua scorta, fino a quando non restò soltanto lui, con sua moglie e suo figlio. Nella più totale impotenza.

Si divertirono con loro. Con i loro satanici poteri, facevano levitare i loro corpi, li torturarono, con le loro armi scatenavano in loro terribili sofferenze mentali e fisiche. Aginolf conobbe quella terribile sensazione di impotenza che molte volte egli stesso aveva fatto provare alle sue vittime, l’orribile consapevolezza di non poter far nulla per ribaltare la situazione. Eppure alla fine gli incappucciati commisero un errore fatale: lo lasciarono in vita.

Dopo aver ucciso sua moglie e suo figlio, i servi del diavolo lo lasciarono in vita, credendo nella loro infinità superbia di umiliarlo. Era vero, lo avevano umiliato, ma la sopravvivenza di Aginolf Boleslaw decretò la loro condanna a morte.

Tutto l’odio che in passato aveva provato per le razze inferiori sparì in un istante. Il suo odio selvaggio, implacabile e smisurato si riversò interamente verso coloro che lui definiva dei veri e propri servi del diavolo. L’odio gli diede forza e lo portò a sopravvivere nonostante le terribili ferite. Così iniziò la caccia. Una caccia che lo portò a scoprire l’esistenza di una società parallela, popolata da persone che si facevano chiamare maghi o streghe. All’inizio per Aginolf era stata davvero dura, infiltrarsi nel cuore di un mondo così oscuro, un vero e proprio inferno sulla Terra, ma lui era forte, lo era sempre stato. Impiegò ogni risorsa possibile per trovare i responsabili dell’attacco, trattare in quel mondo di diavoli non era poi così diverso dalla società che conosceva. Scoprì molto presto che la sua immensa potenza economica poteva essere sfruttata anche tra i servi del diavolo e lui lo fece. Bastava soltanto trovare i canali giusti.

Trovò i contatti che gli servivano e per diversi anni proseguì le sue indagini in territorio nemico. Finalmente venne a conoscenza del fatto che gli sterminatori della sua famiglia facevano parte di un’oscura setta di maghi estremisti noti come Mangiamorte. A quanto pare erano maghi oscuri che odiavano coloro che non possedevano i loro stessi poteri satanici. In realtà quell’informazione lo aveva interessato fino a un certo punto, per Aginolf tutti i maghi e tutte le streghe rientravano in un’unica e sporca razza. Una razza da sterminare. Il nobile tedesco si erse a difensore del mondo, a difensore dell’umanità contro la progenie del diavolo.

Furono necessari molti anni di indagini e perlustrazioni, ma la pazienza era la virtù di ogni predatore. Uno dopo l’altro, Aginolf Boleslaw scovò tutti i responsabili della strage della sua famiglia e dopo averli trovati li uccise personalmente con ogni mezzo possibile: li sorprese nel sonno, li attaccò alle spalle, uno di loro venne persino fatto a pezzi dalla furia omicida che ormai lo dominava. I dieci servi del diavolo, responsabili dell’agguato notturno, pagarono le azioni commesse con il loro stesso sangue.

Alla fine, la vendetta fu compiuta. Gli uccisori della sua famiglia subirono la loro giusta condanna, eppure qualcosa non andò per il giusto verso. Aginolf aveva creduto sinceramente che una volta ucciso l’ultimo bastardo dei cosiddetti Mangiamorte, si sarebbe finalmente sentito in pace, pronto a ricominciare nella sua opera di dominio. Ma così non fu.

L’odio non si era spento. Il fatto di essere stato costretto a confondersi nell’oscuro mondo della magia lo aveva portato a conoscere meglio sé stesso, a conoscere ogni lato, anche quello più nascosto, del suo essere. Dopo aver visto una presenza tangibile del diavolo tra gli uomini, Aginolf capì che non avrebbe più potuto riprendere la sua vita di prima. Mai più. A distanza di anni il tedesco ancora ricordava con precisione il momento solenne in cui era arrivata l’illuminazione finale. Rammentava che si trovava in una specie locale magico malfamato nel cuore di Londra, ricordava distintamente la sensazione di euforia, forte a tal punto da farlo tremare come una foglia.

Aginolf si rese conto di una verità che probabilmente aveva cercato di soffocare per troppo tempo. Il vero fulcro della sua rabbia non stava nell’uccisione della sua famiglia, non stava nel dolore per la loro perdita. C’era qualcosa di molto più importante che aveva perso quella notte: l’onore, il sangue, la stirpe, il rispetto della persona che era. L’umiliazione subita lo aveva travolto, tormentandolo come una ferita inguaribile.

Lui era un uomo destinato a dominare, lo era sempre stato, ma la magia aveva osato mettere in discussione questa verità. Pertanto, non sarebbe più bastato uccidere maghi e streghe, Aginolf doveva andare oltre. Doveva prima di ogni cosa umiliarli, farli sentire meschini e impotenti, come vermi della peggior specie, come la vittima naturale di un predatore inarrestabile. La morte doveva essere solo la parte finale di un viaggio pieno di esaltanti soddisfazioni.

Per questa ragione, la caccia doveva proseguire, anche se su un livello completamente differente. Ancora una volta Aginolf impiegò tutte le finanze e le risorse a disposizione. Paradossalmente quello che gli serviva era più facile da trovare rispetto alle lunghe ed estenuanti indagini che lo avevano portato a scovare e a uccidere gli incappucciati neri.
Tuttavia, il viaggio in terra straniera, per tutto il territorio della Gran Bretagna, fu lungo e faticoso, ma ne valse la pena. Dopo diversi tentativi vani, la sua missione lo portò ad esplorare la gelida costa scozzese sulle rive del selvaggio e affascinante Mare del Nord. Le acque tempestose di quella costa lo affascinavano, così indomabili e glaciali. Nessun potere umano avrebbe mai potuto eguagliare una forza simile.

Così, Aginolf si mise, quasi ossessivamente, a studiare i tratti della costa scozzese, visitando le città e i paesini bagnati dal Mare del Nord e imparando a fondo la geografia del territorio. Anche questa fase della sua missione durò alcuni anni. In particolare, il tedesco si interessò alle numerose isole disperse in quel mare terrificante e meraviglioso al tempo stesso. Alcune delle isole erano troppo piccole, poco adatte al suo progetto, altre, invece, erano troppo civilizzate.

Dopo diversi tentativi, finalmente la nave di Aginolf raggiunse l’ennesima isola dispersa in quel mare glaciale. La ricerca era ben mirata, perché nel corso dei suoi giri aveva tanto sentito parlare di un’isola di grande dimensione situata nel punto più oscuro e terribile del Mare del Nord, dove così tanti marinai avevano perso la vita.  Si trattava di un’isola quasi del tutto disabitata, situata proprio nel cuore della tempesta del nord, la più lontana in assoluto dalla costa. Raggiungerla era stata una vera impresa, una sfida contro la morte che molti dei suoi sottoposti avevano perso per il gelo e le continue tempeste.

Due settimane di puro inferno, ma alla fine Aginolf raggiunse l’isola di cui tanto aveva sentito parlare. Comprese subito che si trattava del posto giusto, era lì che doveva creare il proprio regno di terrore. Un’isola che l’uomo non era riuscito a contaminare e dove Aginolf avrebbe condotto la parte più importante della sua guerra. Poco importava se si trovava così lontano dalla madre patria. Impiegò meno di due anni, costruì il suo regno della morte in quella bellissima isola, una complessa rete gerarchica che culminava proprio davanti allo sfarzoso palazzo costruito nella parte nord dell’isola.

Mentre si gustava un buon bicchiere di vino sull’elegante balcone principale del proprio palazzo, una delle poche costruzioni presente sull’isola, Aginolf pensò che tutta la sua vita lo aveva portato alla fondazione di quel regno. Un regno dove solo lui aveva diritto di vita e di morte. Il nome che aveva scelto rispecchiava il suo ambizioso progetto. L’Isola delle Bestie, così l’aveva chiamata, nessun’altro nome poteva essere così azzeccato.

< < Il regno di Aginolf Boleslaw > > disse a voce alta con un sorriso soddisfatto, osservando lo straordinario panorama dinnanzi a sé.

Il potente cannocchiale in oro mostrava ad Aginolf la vita che lui aveva scelto per il suo regno ai confini del mondo. La grande pianura innevata nella parte centrale dell’isola, ben visibile dal palazzo, conduceva inesorabilmente verso lo strapiombo sul mare in tempesta. La preda correva disperata, arrancando pateticamente sulla neve. Ogni volta il tedesco trovava affascinante il fatto che una preda non capisse pienamente in quale situazione si trovasse. Tutte le prede credevano scioccamente di avere qualche speranza di salvezza nel suo regno. Anche se erano servi del diavolo, la paura li spingeva ad aggrapparsi ad ogni pallida possibilità di fuga.

Aginolf Boleslaw continuò ad osservare il sublime spettacolo fino alla fine, sentendosi finalmente in pace. Finalmente era diventato un dio, una divinità spietata che osserva impassibile il proprio mondo dall’alto. Solo lui decideva chi doveva morire e chi sopravvivere.
 
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25 dicembre 1998
Casa Granger, Londra, Ore 05:00
 
Hermione Granger era fermamente convinta di non essersi mai sentita così felice in tutta la sua vita. Se ne stava beatamente e pigramente distesa sul proprio letto a due piazze, godendosi della nuova ed esaltante sensazione di avere tra le braccia il corpo nudo e lentigginoso del suo fidanzato. Ovviamente anche lei era nuda e in tutta sincerità la cosa riusciva ancora a farla sentire leggermente in imbarazzo, il che era ridicolo considerando la notte appena trascorsa. Forse perché tra tutti i posti possibili e immaginabili, i due si erano finalmente amati per la prima volta nella casa dei genitori di Hermione, nella vecchia camera di Hermione.

Ron avrebbe dovuto dormire sul divano letto preparato dalla ragazza nella sua stessa stanza, i suoi genitori avevano da tempo superato la classica fase della diffidenza. Non c’era stato niente di programmato, entrambi i giovani si erano lasciati trasportare da emozioni rimaste per troppo tempo soffocate.

Si coricarono nella camera di Hermione dopo la lunga cena della Vigilia di Natale. Hermione non poteva essere felice e soddisfatta di come erano andate le case. Il momento di imbarazzo di Ron fu stato davvero irrisorio, l’intera cena andò proprio come sperava la giovane strega. Fu una cena serena e tranquilla, Ron conversò amabilmente con i suoi genitori, lanciandole continuamente sorrisi sinceri e soddisfatti. Osservandolo attentamente, Hermione sentì che finalmente un suo vecchio desiderio si era finalmente avverato: avere Ron nella casa in cui era nata e cresciuta, accettato a tutti gli effetti come suo fidanzato e come membro della famiglia Granger.

Alla fine Ron e Hermione si trasferirono in camera, soddisfatti e pieni da scoppiare dopo l’infinita cena natalizia. Si coricarono ognuno al proprio posto e chiacchierarono per quasi un’ora senza riuscire a prendere sonno. Ad un certo punto quella seppur minima lontananza tra loro si rivelò inutile e persino stupida per Hermione. Si amavano follemente e insieme avevano affrontato pericoli di ogni natura e un’intera guerra magica, non c’era alcuna ragione per non dover restare insieme quando era possibile. Hermione si liberò silenziosamente delle coperte, si avvicinò al suo ragazzo ancora sveglio sul divano letto e lo prese per mano ignorando le sue spiegazioni. Lo fece distendere nel proprio letto e di colpo anche Ron smise di parlare.

Per molto tempo, nessuno dei due parlò, restarono coricati l’uno di fronte all’altra. Poi si baciarono, dapprima con calma, quasi fosse una lenta esplorazione. Hermione ebbe soltanto il tempo di scagliare un incantesimo Muffliato alla porta della camera. Nel corso di quei mesi di intensa relazione, la loro intimità fisica si era evoluta sempre di più, ma qualcosa li aveva sempre fermati entro un certo tacito limite.

Quella notte, invece, quel limite sembrava ridicolo, niente riuscì a fermare la loro passione. Nemmeno il pensiero dei genitori di Hermione al piano di giù. In breve il pavimento della stanza era colma di una massa disordinata di vestiti divenuti così inutili e soprattutto ingombranti sui loro corpi. I baci divennero sempre più appassionati, mentre con le mani si esploravano a vicenda mostrando continuamente ammirazione e sorpresa. Poi lentamente iniziavano a scoprire nuovi aspetti su loro stessi e sui loro corpi. Piccoli gemiti di piacere accompagnavano i movimenti sempre più frenetici della coppia.

Anche senza parlare, Ron ed Hermione iniziarono lentamente a capire come muoversi mentre facevano l’amore, sebbene la perfezione fosse ancora ben lontana. Ron si sforzava di essere il più dolce possibile e fin da quella loro primissima notte insieme, il giovane mostrò chiaramente quanto desiderasse procurare il massimo piacere alla donna che amava. Sempre senza parlare, Hermione l’aveva capito ed era stata ben felice di guidarlo nella giusta direzione.

Fu per entrambi una nottata incredibile. Si amarono e si unirono come mai prima di allora, fino a quando non si addormentarono esausti e soddisfatti l’una tra le braccia dell’altro. Fin da piccola Hermione era sempre stata una persona mattiniera, per nulla abituata a restare troppo tempo a oziare a letto, ma per quella mattina non aveva nulla da obiettare. Si svegliò presto, poco prima dell’alba e dopo una breve sensazione di smarrimento, la sua mente la riportò velocemente a ciò che finalmente aveva condiviso con il ragazzo nudo stretto tra le sue braccia.

Ron dormiva pacificamente sotto le coperte, con il viso completamente seppellito nell’incavo del collo della ragazza. In effetti il giovane mago si era addormentato letteralmente sopra di lei. Quest’ultima era comunque ben lontana dal lamentarsi. Dalla posizione in cui si trovava, Hermione poteva facilmente scorrere la propria mano tra i suoi capelli rossi e lungo la schiena nuda del compagno fino alle parti più basse. Arrossì leggermente nonostante tutto.

Dopo quasi due ore, finalmente Ron si svegliò tra le braccia della sua ragazza. Quest’ultima sorrise affettuosamente nell’osservare i suoi stiracchiamenti e lamentii simili a quelli di un bambino.

< < Buongiorno, amore > > disse Hermione, sempre più divertita.

< < Mmmhhh > > mugugnò il rosso, tra i capelli cespugliosi della giovane.

< < Dovremmo muoverci, sai > > mormorò Hermione con voce dolce. < < Non possiamo tenere questa camera sotto incantesimo silenziante per tutto il giorno. I miei potrebbero notarlo > >.

< < Da quanto tempo sei sveglia? > > chiese Ron, non provando nemmeno ad aprire gli occhi.

< < Beh, da un bel po’ di tempo a dir la verità. Mi piace guardarti dormire, soprattutto se lo fai come un bisonte sopra di me > >.

Di colpo Ron si ricordò di trovarsi nudo completamente sopra il corpo della sua ragazza. Aprì gli occhi di scatto, mentre le orecchie assumevano un colorito rosso fuoco. < < Oh scusa, devo averti rotto chissà quante costole > > scherzò, affrettandosi, però, a spostarsi di lato per farla respirare.

Hermione rise di gusto. Anche il suo viso mostrava un certo rossore, ma Ron era certo di non averla mai vista così felice e serena.

< < Non preoccuparti, Ron > > esclamò allegramente Hermione. < < Credo proprio che mi riprenderò dal trauma fisico. Non pesi poi così tanto, ma la prossima volta faremo cambio. Sarò io a usarti come cuscino umano, che ne dici? > >.

< < Direi che è ragionevole > > rispose il ragazzo con un caloroso sorriso.

Hermione si spostò di lato per poterlo guardare e Ron non poté evitare di spostare lo sguardo sul seno di lei. < < Merlino, quanto è bella > > pensò, totalmente estasiato.

Se avesse potuto, sarebbe rimasto disteso su quel letto per tutta la vita. In quel momento Ron non riusciva a desiderare niente di diverso da Hermione per la propria vita. Era ancora primo mattino, ma presto si sarebbero dovuti alzare. Non soltanto per i genitori di Hermione, ma anche il consueto pranzo di Natale alla Tana, considerando poi che anche gli stessi signori Granger avrebbero partecipato al pranzo.

< < Hermione > >.

< < Mmmh > > mugugnò pigramente lei, stringendosi al suo fianco. In silenzio, Ron si godette la sensazione travolgente di avere il corpo nudo di Hermione stretto tra le braccia.

Ron esitò un attimo prima di rivolgerle una certa domanda. Suo malgrado dovette distogliere lo sguardo per l’imbarazzo, eppure ci teneva davvero a saperlo, per questo raccolse tutto il suo coraggio.

< < Sei stata bene la scorsa notte? > > chiese il ragazzo in un sussurro, mentre le orecchie bruciavano sempre di più.

< < Cosa? > >.

< < Io volevo dire……..insomma sei stata bene con me? Mentre facevamo l’amore intendo. Sono riuscito a farti stare bene? > >.

Di colpo Hermione capì dove il suo ragazzo volesse arrivare. In effetti all’inizio Ron era stato un po’ impacciato, ma lo era stata anche lei. L’imbarazzo e l’esitazione erano durati veramente poco, in breve la passione e il desiderio di arrivare a quello che entrambi avevano sognato per anni avevano preso il sopravvento su tutto.

Hermione era stata benissimo, come mai lo era stata in tutta la sua giovane vita.

< < Io…..Hermione > > mormorò Ron, quasi affondando la testa sul cuscino. < < Sono…sono riuscito a farti provare mmh….. > >.

Ma il ragazzo non poté proseguire la frase. La sua ragazza lo zittì forzatamente, afferrandogli il viso tra le mani e baciandolo con foga, fino a lasciarlo completamente senza fiato.

< < Sei stato perfetto, Ron > > esclamò lei, con voce sicura. < < Sognavo questo momento da così tanti anni e tu l’hai reso perfetto oltre ogni mio desiderio > >.

Ron sentiva il cuore battere all’impazzata. Non aveva mai provato un’emozione così intensa. Le piccole e delicate mani di Hermione gli carezzavano ancora le guance con dolcezza e Ron non poté fare altro che appoggiarsi quasi senza forze a quel tocco.

Nonostante le preoccupazioni per la presenza dei signori Granger in casa, la giovane coppia continuò a godersi di quell’inaspettato primo mattino insieme sullo stesso letto, scambiandosi di tanto in tanto baci e carezze. Nudi, sotto le coperte del letto di Hermione, restarono abbracciati per un’altra ora intera prima di decidere finalmente di alzarsi in vista del solito pranzo di Natale alla Tana.
 
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Natale 1998
Quartiere residenziale di Notting Hill
Londra, Inghilterra
 
Layla Connors sedeva comodamente sul divano dell’accogliente e caloroso soggiorno di casa sua. Adorava il tipico clima natalizio, molto sentito e apprezzato sia nella cultura babbana che in quella magica, ma non era stato sempre così per lei. Un tempo era una persona totalmente diversa. Lei, che adesso dirigeva un’intera sezione di maghi guerrieri, da giovane non soltanto ignorava e disprezzava malamente quelle tradizioni, ma cosa ben peggiore alcune incursioni, forse tra le peggiori di cui si era macchiata, le aveva commesse proprio durante i periodi natalizi. Da giovane aveva fanaticamente seguito gli insegnamenti e lo stile di vita della sua stirpe di origine. I Connors, nota famiglia Purosangue dell’Inghilterra.

Ora sembrava un’altra vita, di cui lei non faceva minimamente parte. Da quando Layla si era costruita una nuova vita con la sua piccola famiglia, aveva imparato anche ad amare le cose più banali, come ad esempio le tradizioni natalizie.

Tutto quello che non c’era mai stato nella sua vita, come i regali, le cene, le decorazioni o i momenti di relax davanti ad un confortevole camino, erano tutte cose che lei desiderava ardentemente, soprattutto per il suo piccolo Max. Poco importava se il Natale fosse festeggiato alla babbana o seguendo la tradizione del popolo magico. In effetti, date le circostanze, la piccola famiglia di Layla seguiva entrambe le tradizioni ogni anno.

Era una serata glaciale e tenebrosa, tipica di quel periodo dell’anno. La prospettiva di trascorrerla serenamente a casa con le due persone che più amava al mondo davanti ad un confortevole camino bastava a scaldarle il cuore. Si sentiva soddisfatta e in pace. Nessun discorso delirante sul sangue della famiglia o sulla razza suprema l’aveva mai fatta sentire così.

La casa che condivideva con la sua famiglia era luminosa e accogliente. Una classica casetta babbana londinese a due piani, con un piccolo giardino che fungeva anche come vialetto d’ingresso. Era un posto completamente diverso rispetto all’immensa villa di famiglia, dove era nata e cresciuta. Villa Connors, un vanto nella secolare storia della sua stirpe di maghi purosangue.

Da bambina Layla aveva ingenuamente accettato le deliranti teorie dei suoi genitori, spingendola verso un odio profondo e illogico verso i babbani e i mezzosangue. Nonostante questa cieca fiducia nella propria famiglia d’origine, Layla era cresciuta continuamente con la sgradevole percezione di vivere in un luogo oscuro e freddo come la morte, dove nessuna emozione positiva sembrava essere ammessa. A volte, mentre trascorreva giornate felici nella sua casetta a Notting Hill, si trovava spesso a domandarsi di come sarebbe andata la sua vita se non fosse stata salvata da una persona veramente straordinaria. Quello che un tempo considerava sacro e inattaccabile non era niente a confronto di ciò che avrebbe imparato dalla persona che la salvò dall’oscurità più profonda.

< < Sembra che il nostro ometto non abbia alcuna voglia di darci tregua stasera > > disse ad un tratto una voce gentile e allegra alle sue spalle, distogliendo l’Auror dalle sue intense e tristi riflessioni.

La voce della sua roccia, della persona di cui si era innamorata. La voce di sua moglie.

< < Fammi indovinare. Il piccolo furbetto non ha alcuna intenzione di dormire, giusto? > > domandò retoricamente Layla, voltandosi verso la nuova arrivata.

L’Auror Layla Connors, capo della Divisione Omega, sorrise calorosamente alla moglie, la quale, anche se visibilmente stanca e provata per le lunghe notti insonni, teneva amorevolmente tra le braccia il loro bambino di un anno. Il piccolo Max si agitò felice quando vide il volto sorridente di Layla. Immediatamente mosse le braccia verso di lei.

< < Il nostro piccolo uomo di casa ha proprio l’intenzione di godersi pienamente queste vacanze. Ovviamente con la chiara intenzione di non far dormire proprio le sue povere madri > > esclamò allegramente la bruna, spostandosi per far sedere la moglie accanto a lei sul divano. Con le dita Layla solleticò il pancino del figlio facendolo strillare di gioia.

Remi Fontaine si accoccolò sul fianco della bruna, poggiando il capo sulla spalla di lei. Remi era una donna attraente, dai capelli lunghi e biondi color sabbia, con un fisico atletico e prestante grazie al lavoro che ancora esercitava con immensa passione. I suoi modi erano energici e gentili al tempo stesso, segno di un carattere forte quando necessario, ma incredibilmente amorevole soprattutto verso le persone a lei care.

Le due donne si strinsero amorevolmente, coccolando il figlioletto sempre più gioioso e felice. Remi e Layla si erano conosciute tantissimo tempo prima, quasi vent’anni ormai, in circostanze particolarmente drammatiche. Un periodo della sua vita che Layla avrebbe volentieri dimenticato, anni di vera follia che ancora popolavano prepotentemente nei suoi sogni. Nonostante tutto il perdono, soprattutto il perdono di sua moglie e nonostante tutte le cose incredibili e buone che era riuscita a fare, l’Auror Connors continuava a vergognarsi terribilmente per i crimini commessi durante la sua giovinezza.

< < Stai bene, amore? > > chiese Remi, carezzandole dolcemente una guancia. < < Anche a cena mi sei sembrata strana, troppo taciturna per i miei gusti > > aggiunse con un sorrisetto.

< < Non ti sfugge niente eh? E pensare che dovrei essere io quella che indaga e scopre le cose. Ti ricordo che sono sempre un pubblico ufficiale > > rispose la bruna, baciando dolcemente la moglie. Questo scatenò immediatamente gli strilli di protesta del bambino. Il piccolo Max odiava essere ignorato dalle proprie madri.

< < Beh, saprò pur poco riguardo la magia, ma anch’io sono brava a scoprire le cose, anche se nella maggior parte dei casi sono cose vecchie di qualche secolo > > disse Remi con tono scherzoso, prima di tornare terribilmente seria. < < Davvero, Layla, puoi dirmi se c’è qualcosa che non va > >.

< < Solo cattivi pensieri……….e cattivi ricordi, non preoccuparti. Mi passerà, Remi > >.

 Notando lo sguardo preoccupato della moglie, Layla si affrettò a rimediare. < < Ti giuro che questa volta non rovinerò le vacanze per il mio caratteraccio. Ho qualche pensiero per il lavoro, ma credimi, Remi, va tutto bene > >.

< < Tu non rovini un bel niente, testona. Sei preoccupata per il tuo nuovo allievo? > >.

Layla si sorprese ancora una volta di quanto sua moglie la conoscesse fin dal profondo. Durante quelle vacanze aveva pensato molto al fatto di avere di nuovo un giovane allievo da addestrare e al rischio di poterlo condurre alla morte come era accaduto ad altri suoi giovani allievi in passato.

Remi era babbana e nonostante tutti gli anni passati insieme, continuava ad ignorare molti aspetti del mondo magico, sebbene fosse a tutti gli effetti riconosciuta come moglie di Layla Connors agli occhi della legge magica inglese, così come quest’ultima lo era nel mondo non magico.

Eppure, Remi, nonostante tutta la sua ignoranza riguardo la magia, restava la miglior confidente di Layla, l’unica persona di cui si fidava ciecamente, l’unica con cui sentiva di poter parlare veramente di tutto, persino dei suoi errori del passato, anche se odiava terribilmente farlo. Solo una persona davvero straordinaria poteva perdonarla per ciò che aveva fatto da giovane e Remi l’aveva perdonata. Sua moglie era stata la sua salvatrice e ora avevano una famiglia tutta loro. Un bambino da crescere e proteggere.

< < E’ passato molto tempo dall’ultima volta che addestrai qualcuno. Oggi la Divisione Omega è troppo malvista in tutto il Ministero e se la situazione dovesse proseguire in questo modo, presto sarà necessario chiuderla per evitare costi eccessivi e inutili allo scopo di salvare una sezione Auror senza speranza di sviluppo e di crescita > >.

< < Molti di voi sono stati degli eroi > > protestò energicamente Remi. < < Siete tra gli Auror più preparati della storia. Le vostre capacità limitano fortemente i punti deboli che normalmente ogni mago porta in missione. L’hai detto tu stessa > >.

< < Eppure la comunità magica tende a dimenticare facilmente, amore > > osservò Layla, con tono pratico. < < La Divisione Omega sfugge per natura dalla normalità della società magica. Questo crea automaticamente diffidenza e scetticismo. È così da sempre > >.

< < Ma in passato non c’eri tu a guidare la Divisione. Presto i cambiamenti si vedranno, ne sono certa > > disse Remi con orgoglio. Layla si sentì sciogliere il cuore dinnanzi alla fiducia incondizionata della moglie. Non sapendo come rispondere, la maga guerriera si limitò a baciarla.

< < Sei pentita della tua ultima scelta? Di aver scelto quel ragazzo? > > chiese Remi, quando si separarono sia per la mancanza di fiato, che per le proteste del piccolo Max.

< < No > > rispose fermamente Layla. < < Mi conosci bene, la vita dei miei uomini e dei miei compagni viene sempre prima di ogni cosa, la loro sicurezza viene prima di ogni cosa. Tuttavia, sono comunque convinta delle capacità di questo giovane. Sono perfettamente consapevole di poterlo seriamente coinvolgere in situazioni pericolose e difficili, eppure sono convinta che Ronald Weasley potrà fare grandi cose come Auror e in particolare come Auror della mia Divisione. Possiede le attitudini necessarie, ma soprattutto ha un cuore buono. Farà grandi cose > >.

< < Da molto tempo non ti vedevo così appassionata e convinta nel tuo lavoro, Layla > > disse Remi, carezzando una guancia della moglie. < < Credo che tu abbia sempre agito seguendo il tuo istinto e i tuoi ideali di giustizia. È giusto che tu continui su questa via > >.

< < Non sempre però il mio senso di giustizia è stato quello giusto da seguire. Ho commesso troppe scelte sbagliate e se non fosse stato per te….. > > mormorò tristemente Layla, senza però riuscire a terminare.

Lottando contro le lacrime pericolosamente vicine ad uscire, abbassò il capo per baciare la fronte del figlio ancora stretto tra le braccia di Remi.

< < Piantala > > esclamò rudemente sua moglie. < < E’ stato molto tempo fa, Layla. Ora sei una persona completamente diversa, non sopporto che tu continui a tormentarti per il passato dopo tutto quello che hai fatto per gli altri, dopo tutte le vite che hai salvato > >.

< < Ma i crimini che ho commesso………….quello che ho fatto a te > >, ma Layla non poté terminare la frase. Remi poggiò delicatamente un dito sulle sue labbra, facendo nuovamente agitare il bambino.

< < Non importa, amore > > esclamò Remi con voce ferma. < < Erano altri tempi, c’era una guerra e tu avevi ricevuto una certa educazione fin da piccola. Io ti ho perdonata tanti anni fa, così come tanti altri lo hanno fatto. Ora sei una persona straordinaria e amorevole. E sei mia moglie. Abbiamo una famiglia tutta nostra e niente mi potrebbe rendere più felice e orgogliosa > >.

Layla rimase letteralmente senza fiato. Solo sua moglie poteva scatenare emozioni così forti in lei, al punto da lasciarla confusa e felice al tempo stesso. Si scambiarono un nuovo lungo bacio appassionato, con in sottofondo gli strilli costanti del piccolo Max.

< < Mi occuperò io della cena > > disse Remi, quando il bacio terminò.

< < Allora mi occuperò io della piccola peste > > ribatté Layla con voce falsamente severa, facendo ridere il bambino. Anche la risata fanciullesca del figlio contribuì a ridarle quella serenità che provava nella maggior parte del tempo che trascorreva a casa sua. Nella sua vera e unica casa.

L’Auror Connors prese abilmente il figlio tra le braccia. Si mise allegramente a giocare con lui, mentre la moglie si accingeva a raggiungere la cucina.

A metà strada Remi si bloccò, voltandosi di nuovo verso sua moglie. < < Ah, Layla? > >.

< < Si, amore? > >.

< < Hai già deciso che arma userai per le prossime fasi dell’addestramento? Con quale arma addestrerai quel povero ed ignaro ragazzo? > >.

Layla sorrise maliziosamente, baciando una manina del piccolo.

< < Non ho ancora deciso > >.
 
FINE DEL CAPITOLO
 
 
Salve a tutti, chiedo scusa per il ritardo e ringrazio ancora volta chiunque legga o segua la mia storia. In questo capitolo ho voluto introdurre un certo personaggio da tempo partorito dalla mia mente malata. Finalmente ho ritrovato un po’ di tempo per scrivere, per cui spero di poter aggiornare presto in futuro con il proseguo dell’addestramento del nostro protagonista.
Grazie di nuovo e alla prossima
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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