The Sign of the Southern Cross.
VI.
[ giorno 16 — teatro ]
Mia madre Irma mi ha sempre insegnato che abitare la società Purosangue era un po’ come stare su un palcoscenico. Ogni cosa veniva esaminata, ogni atteggiamento scandagliato e giudicato, ogni pensiero autonomo soffocato. C’era solo ciò che era comunemente accettato - e tollerato. Non c’era spazio per l’individualità, e soprattutto, mia madre mi ha sempre fatto capire che l’individualità era una debolezza che non sarebbe stata tollerata.
In quanto secondogenito, ho sempre goduto di particolari libertà. Era come se non valesse neanche la pena tenermi d’occhio. Sia perché mia madre era sempre stata focalizzata su Walburga, e sull’organizzarle un ottimo e utile matrimonio con un qualche cugino Black con il quale portare avanti il cognome e l’eredità di famiglia, e bla bla bla, sia perché non sono mai stato quello che ad una prima impressione si può definire interessante, o brillante.
Per questo motivo, ho transitato su quel palcoscenico quasi da comparsa, ombra fuggente sempre nelle retrovie, a fare da contorno a feste e riunioni più o meno importanti e formali, ad apparire qui e là quando la mia presenza veniva richiesta per poi sgattaiolare via alla prima occasione, fuggendo dagli sguardi indagatori di mia madre - e di mia sorella, poi. C’era sempre un angolo in penombra, su quel palcoscenico affollato e pericoloso, dove trovare rifugio.
E così sono vissuto. Quel palcoscenico non mi ha mai visto protagonista, nemmeno delle mie stesse vicende, che sono riuscito a tenere nascoste. Nessuno ha mai saputo di me e Frederick, a parte Marcus, e poi Morgana, la moglie di Frederick. Nessuno ha mai saputo del mio lavoro al giornale dei Prewett1, dove scrivevo articoli di denuncia sotto pseudonimo. Nessuno ha mai saputo di Lin, poi, e molto probabilmente non lo sapranno neanche dopo che me ne sarò andato da questo mondo - il che potrebbe accadere da un giorno all’altro, viste le mie condizioni attuali.
La mia vita è trascorsa ai margini di un teatro. Ho assaporato l’eleganza, gli sfarzi della società nella quale abitavo, ne ho conosciuto i sotterfugi e i dissapori, le alleanze e gli intrighi, ma non sono mai stato trascinato là fuori, sotto le luci della ribalta, a prendere la mia dose di applausi e biasimi. Posso dire che me la sono scampata, forse. Non mi è mai stato organizzato un matrimonio “di comodo”, non mi sono mai state fatte domande e nessuno è mai venuto a sindacare sul mio stile di vita bohémienne. Nel bene e nel male, sono stato ininfluente, un fantasma che probabilmente nessuno ricorderà, un’altra bruciatura su un arazzo.
La mia vita è trascorsa ai margini di un teatro - ma almeno posso dire di avere vissuto; almeno posso dire di avere amato.
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NOTE
1. Il giornale dei Prewett è una mia invenzione, comparirà senz'altro più avanti nella raccolta.
Oggi ritorno così.
Alla prossima,
Marti
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