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Autore: Eevaa    22/10/2022    8 recensioni
Dopo il primo mirabolante scontro con Broly, Goku decide di recarsi sul pianeta Vampa per potersi allenare con lui.
Il tempo vola quando ci si diverte, no? Tre anni passano in un batter d'occhio, tuttavia Goku non può immaginare che di ritorno sulla Terra troverà dei grossi, dolorosi cambiamenti.
[Post-Dragon Ball Super] [No Spoiler al manga] [Kakavege]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Goku, Vegeta | Coppie: Goku/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
 
 
 


- SOMETHING HUMAN -


Capitolo 8
Un'altra vita

L'ironia del destino vuole che
Io sia ancora qui a pensare a te
Nella mia mente flash ripetuti
Attimi vissuti con te
È passato tanto tempo, ma
Tutto è talmente nitido
Così chiaro e limpido
Sembra ieri
Ieri avrei voluto leggere i tuoi pensieri
Scrutarne ogni piccolo particolare
Ed evitare di sbagliare
Diventare ogni volta l'uomo ideale

C'era un sottile strato di polvere sui comandi di quell'aggeggio infernale. Possibile che anche dentro le capsule Oplà gli oggetti si impolverassero?
Vegeta soffiò sui pulsanti e una nuvoletta lo fece tossire. Pregò ogni divinità a lui conosciuta che quell'affare si accendesse e, dopo aver azionato la chiusura della cupola, premette il tasto di accensione.
Qualche cigolio, qualche calo di tensione.
«Avanti, vecchio catorcio». Bulma l'avrebbe senz'altro rimproverato dei metodi rozzi, ma lui era fermamente convinto che il modo più efficacie per far partire un vecchio trabiccolo fosse quello di prenderlo a pugni.
«Avanti!» ringhiò, tirando un altro pugno sul display dei comandi. E, finalmente, dopo qualche singhiozzo, la Macchina del Tempo prese vita. «E che ci voleva?!»
Non l'avevano mai adoperata. Bulma l'aveva costruita dopo il torneo di Cell per qualsiasi evenienza, ma non ce n'era stato bisogno. Quando Mirai Trunks era tornato avevano utilizzato la sua, per fronteggiare il pericolo di Zamasu, perciò Vegeta ricordava come far funzionare quell'affare.
E, inutile dirlo, le coordinate spazio-temporali le aveva ben chiare in mente. Da undici maledettissimi anni.
Non avrebbe mai dimenticato quella notte, non lo aveva mai fatto. Ogni giorno della sua esistenza ripensava a quanto accaduto, ogni giorno era stato tentato di tornare sui propri passi e porre rimedio alla più mastodontica cazzata della sua vita. Man mano che il tempo era passato si era convinto che fosse troppo tardi. Aveva accampato scuse su scuse, maledetto il suo orgoglio!
Non era mai stato certo della decisione presa ma, dopo mesi, dopo anni, il pentimento si era fatto sempre più forte.
Dopo undici anni l'unico suo grande desiderio era quello di poter tornare indietro, di poter rimediare. Tuttavia era conscio che, per lui – per loro – non ci fosse più oramai speranza.

«Vegeta... non è mai troppo tardi».

Gli aveva detto Bulma. Poi gli aveva consegnato la capsula. Aveva sempre pensato che lei l'avesse distrutta, dopo che gli Dei li avevano minacciati di estinzione per aver viaggiato troppo nel tempo.
Invece la Macchina del Tempo era lì, sotto le sue mani, perfettamente funzionante – forse.
Era incredibile che, tra tutti, proprio Bulma l'avesse spinto a prendere coraggio, lei che aveva sofferto così tanto! Proprio lei che, per anni, aveva faticato a rivolgergli la parola.
Al giorno d'oggi era grato che fossero tornati in buoni rapporti. Che riuscissero persino a uscire insieme, partecipare alla vita dei loro figli.
Così era stata lei a convincerlo, a suggerigli che ci fosse ancora una possibilità.

«Non cambierà quello che ho fatto».
«No, ma darai la possibilità a qualcuno di avere un futuro migliore».


Vegeta alla fine si era convinto che lo meritassero.
Inserì le coordinate di tempo e di luogo e, dopo aver immagazzinato coraggio e determinazione con un lungo respiro, lo premette.
Lo avrebbe fatto per Kakaroth.




Corse nella notte di nuvole dense, corse veloce per raggiungere quella che era stata la prima e l'ultima volta. La prima e l'ultima volta che si era sentito nel posto più giusto.
La casa era illuminata da luci di cortesia fievoli, traballanti. Trattenne il respiro nonostante il fiatone, azzerò l'Aura e si avvicinò lento all'entrata sul retro. Il display d'accesso riconobbe le sue impronte digitali e la serratura si aprì. Si ritrovò in camera sua, buia, silenziosa.
Tutto era così pacifico, così rasserenante come i respiri lenti provenienti dal soggiorno.
Vegeta seguì il debole fascio di luce e aprì la porta socchiusa. Giusto uno spiraglio, quanto bastasse per spiare il soggiorno e morire di dolore a quella vista.
Tra il divano rovesciato e il tavolino mezzo rotto loro erano lì, sdraiati, sotto una coperta verde acqua. Kakaroth appoggiato sul suo avambraccio che fissava una falena annoiata intorno al lampadario.
Vegeta avvertì una morsa dolorosa allo stomaco. O forse era un attacco di cuore? Sarebbe morto lì? Sarebbe morto nell'assistere con i propri occhi il giorno – o meglio, la notte – in cui si era distrutto la vita con le proprie mani? Sarebbe morto nel vedere quanto quello che lui aveva chiamato “errore” era ciò che di più giusto ci fosse?
L'unica notte in cui si erano concessi di amarsi per davvero.
«E sì che ho sempre pensato fosse una cosa platonica».
La sua stessa voce risuonò placida nel salotto, e Vegeta sobbalzò. Era dunque giunto al momento opportuno. Platonica un bel niente, pensò.
«Pla-che?»
Vegeta sbuffò e non riuscì a non sorridere. Quel gran deficiente! – la voce della versione passata di se stesso ribadì lo stesso concetto.
Kakaroth era sempre riuscito a farlo ridere, nonostante all'esterno il massimo che si era concesso fosse stato alzare un angolo della bocca. Kakaroth e le sue idiozie da decerebrato. Kakaroth e quello sguardo gioioso, il cuore grande, il sorriso da bambino.
Quanto gli erano mancate quelle piccole cose, in quegli undici anni. Gli erano mancate le loro battaglie, i loro battibecchi, tutte le volte in cui Kakaroth lo mandava ai matti. Gli era mancata la loro rivalità e la loro amicizia.
Oh, sì, erano stati amici, sebbene lui lo negasse. Aveva faticato a realizzare che quello che provava andasse ben oltre l'amicizia. Non si era mai reso conto di quanto ci tenesse a lui - da ben prima del Torneo del Potere, da ben prima di Majin Bu, da ben prima di Cell o di Freezer.
Da quando gli aveva risparmiato la vita, dopo la loro prima grande battaglia, qualcosa era scattato.
Un sentimento che era cresciuto, l'aveva divorato dall'interno sempre di più ogni volta che tentava di reprimerlo, di tenerlo celato persino a se stesso.
Poi un giorno Kakaroth se ne era andato per tre anni e lui, oltre a rendersi conto di cosa fosse quel sentimento, non aveva saputo perdonarlo. Non aveva saputo gestire che tutto fosse cambiato, le conseguenze di quell'allontanamento, il fatto che Bulma avesse capito e l'avesse lasciato. Non aveva saputo perdonare che Goku fosse tornato e avesse preteso che tutto tornasse come prima, che tornassero amici.
E, infine... quella notte. Quella notte che aveva davanti agli occhi, quando Kakaroth si era presentato da lui alle tre del mattino e gli aveva poggiato una mano sul cuore.
Maledetto figlio di puttana.
Non aveva saputo resistergli e, insieme, avevano distrutto mezzo salotto nel consumare fino alla fine quel sentimento tenuto represso per anni.
Era stato lo sbaglio migliore.
«Non possiamo stare insieme. Tutto questo è un stato errore».
L'errore migliore.
Vegeta li ascoltò discutere lì, seduti per terra, ancora nudi e arruffati. Una discussione che, sapeva bene, ci avrebbe messo poco per degenerare in quello che invece era stato lo sbaglio peggiore. L'errore, quello vero.
«Di cosa hai paura, Vegeta?»
«Non ho paura di niente».
Bugiardo. Gli aveva mentito deliberatamente, aveva mentito a se stesso. Aveva avuto una paura fottuta. Aveva avuto paura delle conseguenze, aveva avuto paura di quello che avrebbe comportato stare insieme ma, soprattutto... aveva avuto paura di lui.
Che se ne sarebbe potuto andare nuovo, che alla prima occasione avrebbe trovato un altro combattente più forte di lui – come aveva fatto con Broly – e se ne sarebbe andato.
Aveva avuto paura che si sarebbe comportato come si era comportato in precedenza con la propria famiglia. Aveva avuto paura di essere abbandonato.
«Vegeta, io non me ne andrò... lo sai, io... sono cambiato».
Kakaroth non aveva mentito. Era cambiato per davvero e lui ce le aveva sotto gli occhi le prove, eppure non le aveva sapute guardare.
Lui si era rivestito di tutta fretta e neanche l'aveva guardato negli occhi, mentre diceva di non fidarsi di lui. Di non fidarsi di ciò che diceva.
Stupido, stupido idiota.
«Fidati di lui» mormorò supplichevole Vegeta, chiuso dietro porta, al buio di una stanza. La pioggia, fuori, batteva incessante.
Quasi sperava che le cose sarebbero potute andare diversamente, quella volta.
«E ora?»
«E ora io voglio solo che tu esca da quella porta, Kakaroth».
Il Principe digrignò i denti nel guardare agire se stesso, sempre più idiota, sempre più stupido.
«Non permettergli di aprire quella porta» ringhiò, così arrabbiato che quasi ebbe paura l'avessero sentito.
«... non puoi... non puoi mandarmi via, adesso. Non dopo che...»
«Posso. Posso, Kakaroth. Posso, e devo. Lo devo a me stesso».
Cazzate, pensò Vegeta, mentre guardava Kakaroth abbassare la testa, affranto. Era doloroso vederlo in quello stato, quando fino a poco prima sapeva gli avesse sorriso contro la bocca e, affidandosi a lui, si fosse lasciato amare incondizionatamente.
Era doloroso non sentirlo ridere, era doloroso guardare i suoi occhi lucidi. Forse per quel motivo Vegeta del passato nemmeno lo guardava in faccia perché, se lo avesse fatto, avrebbe tradito ciò che desiderava per davvero e l'avrebbe frenato.
«Almeno... ci penserai?» lo supplicò Goku.
«Sì...» disse Vegeta del passato. «Ma adesso... ti prego, vai via, Kakaroth».
Maledetto codardo. Maledettissimo codardo.
«Non lasciarlo andare» soffiò, supplichevole. Ma non c'era alcuna speranza che le cose si risolvessero da sole, che quel codardo di un Vegeta alzasse gli occhi e lo fermasse.
Quel Vegeta stava solo trattenendo le lacrime per dimostrarsi - per l'ennesima volta - un cinico pezzo di merda.
Kakaroth lo guardò un'ultima volta. Poi varcò la soglia.
Fu doloroso guardarlo andarsene via per sempre.
No, non per sempre. Non quella volta.

 

Senza chiedere perché
Da te mi allontanai
Ma ignoravo che
In fondo non sarebbe mai finita


 

Appena la porta si chiuse, Vegeta del passato si lasciò cadere con le ginocchia sul pavimento, stremato, ucciso. Aveva usato tutta la forza che possedeva per mandarlo via, per non ripensarci, per non tornare sui propri passi. E, soprattutto, per non scoppiare in quel pianto e quell'urlo soffocato dalle proprie mani.
Vegeta, quello del futuro, lo guardò e provò di nuovo quelle sensazioni tra le ossa, tra le pieghe della pelle. Lo ascoltò singhiozzare e maledirsi, pentirsi solo la metà di quanto si sarebbe pentito nei giorni, nei mesi successivi. Negli anni. Per tutta la vita.
Consapevole e inconsapevole allo stesso tempo di aver fatto un enorme, enorme sbaglio.
Provò un gran dolore nel rivedersi in quello stato, ma non c'era tempo da perdere.
Si fece forza e mandò in fumo qualsiasi promessa fatta agli Dei. Avrebbe cambiato le cose.
Aprì la porta e questa cigolò quanto bastasse per far sussultare l'altro, il quale trattenne un singhiozzo e avvampò di colpo, convinto che si trattasse ancora del deficiente entrato con il Teletrasporto.
«Kakaorth! Ti ho detto di anda-» si bloccò non appena lo vide e, da scarlatto, divenne pallido come un cencio. Sgranò gli occhi arrossati e, confuso, non si mise neanche in posizione di difesa.
Che delusione! Se fosse stato un nemico avrebbe potuto ammazzarlo con un solo colpo, vulnerabile com'era.
Vegeta inghiottì l'espressione di disappunto e avanzò ancora verso di lui, decidendo di soprassedere.
«Tirati in piedi» gli disse invece, lapidario.
Ciò bastò per farlo scattare come una molla e, finalmente, tornare a essere il Principe dei Saiyan.
Si alzò con un balzo, aumentò l'Aura e si asciugò le lacrime con un gesto secco, quasi come togliersi il sangue di dosso dopo aver ricevuto un pugno.
Oh, Vegeta gliel'avrebbe volentieri dato, quel pugno.
«E tu chi diavolo saresti?» ruggì l'altro.
«Chi pensi che io sia?»
L'altro lo squadrò dalla testa ai piedi. «Vieni dal futuro» asserì poi, convinto. «O da una dimensione alternativa».
Vegeta sapeva di non possedere le caratteristiche di un comune sessantenne terrestre – i Saiyan vivevano in media centoquarant'anni, quindi la vecchiaia giungeva più tardi – ma i segni del tempo erano un poco evidenti. Una nuova cicatrice sul sopracciglio, l'ultima battaglia.
«E se fossi un nemico con le tue stesse sembianze venuto qui per ucciderti?» disse Vegeta, con un ghigno beffardo.
«L'avresti fatto un minuto fa» replicò l'altro.
Se non altro non era stupido. Che discorsi! Ovvio che non lo era.
«Credo che tu abbia già capito perché io trovi qui» sospirò quindi il Principe, serio.
«A dire il vero non ne ho la più pallida idea».
Forse gli stava dando troppa fiducia. O aveva solo sperato che smettesse subito di mentire a se stesso – letteralmente.
«Stai mentendo,» disse quindi Vegeta, «come hai fatto poco fa con Kakaroth».
L'altro divenne livido.
«Come osi?!»
Testardo, caparbio... idiota. Beh, del resto si conosceva come le proprie tasche, quindi ben sapeva che non l'avrebbe convinto con giri di parole o grandi riflessioni.
Alzò gli occhi al cielo e si fiondò sull'altro, prendendolo per il bavero.
«Stai zitto. Stai zitto e ascoltami bene, perché non c'è un'altra possibilità» berciò. «Se tu lo lasci andare oggi, lo lascerai andare per sempre».
«È la cosa giusta da fare!»
«È la cosa più stupida che io abbia mai fatto in tutta la vita».

Silenzio glaciale calò nella stanza. L'altro tremò.
«C-cosa...?» soffiò, costernato.
Vegeta mollò la presa e lo lasciò andare.
«L'errore più grande, il tormento che mi ha ucciso per undici fottutissimi anni» spiegò, il tono di voce più calmo ma così amaro in bocca da fargli schifo. «E che ucciderà anche te, se questa notte non uscirai da quella maledetta porta e non andrai a riprendertelo, ovunque lui sia».
L'altro trasalì, colpito nell'orgoglio e nella dignità. Quei maledettissimi orgoglio e dignità che avevano corroso la sua vita.
«Non sai quello che mi stai chiedendo» esalò, passandosi una mano tra i capelli.
Vegeta scosse il capo, sempre più convinto di essere stato uno stupido senza materia grigia.
«Sei un coglione o stai solo facendo finta di non capire? Io sono te. Lo so cosa ti sto chiedendo! Lo so quanto ti costi fidarti di lui ma... lo devi fare. Kakaroth era...» deglutì. «Kakaroth era cambiato sul serio. Era cresciuto, e nel profondo del tuo cuore sai che è così. Lui ha saputo perdonarti colpe ben peggiori, abbi cuore di perdonarlo a tua volta».
Vegeta non avrebbe voluto far altro che urlare, nel ripensare a quanto fosse stato ingiusto. Kakaroth l'aveva salvato e perdonato quando ancora era un mostro, un sicario. L'aveva perdonato dopo che si era lasciato possedere da Babidi e aveva ucciso tutte quelle persone. E lui non era stato in grado di perdonarlo per essersene andato per tre anni, per non essere stato un amico perfetto, un padre perfetto, una persona perfetta.
Era stato tremendamente ingiusto.
«Mi stai dicendo che lui non se ne è mai andato?» domandò l'altro, esterrefatto.
«Mai. Mai più. Per undici anni è stato lì, a due passi da me, e io non ho fatto niente se non continuare a pentirmi e maledirmi e chiedermi come sarebbe stato dargli una possibilità, fino a quando...» Vegeta si interruppe, la voce incrinata dal dolore. Spezzato nell'anima, spezzato nel cuore.
L'altro lo notò. Beh, del resto si conosceva.
«Cosa» sussurrò, spaventato, forse già consapevole di cosa significasse quella titubanza.
Vegeta chiuse gli occhi per qualche secondo, nel tentativo di non cedere a quegli orribili sentimentalismi, di non mostrarsi debole e fragile com'era sempre stato e come sempre aveva tentato di nascondere.
Non aveva ancora superato quella fase.
«Fino a quando, per colpa mia e della distanza che ho creato – che stai per creare – non siamo riusciti a combattere insieme. E lui... e lui... lui non c'è più».


Ansimarono pesantemente, sconfitti, sbalzati via dopo a malapena cinque secondi di Fusione.
Il loro nemico rise, rise spavaldo, spietato, in mezzo alle macerie di quel campo di combattimento raso al suolo.

«Perché non funziona?! Kakaroth, perché diavolo la Fusione non funziona!?» urlò, nel panico.
Gli era costato non poco procedere con quella tecnica, di nuovo, dopo tutti quegli anni senza quasi rivolgersi una parola l'un l'altro – a parte qualche evento famigliare obbligato.
Goku ringhiò di frustrazione e si guardò le mani. Tremavano.
«Credo di sapere il perché. Vegeta, non... non può funzionare» soffiò, stanco.
Stavano combattendo da ore, i loro amici erano quasi tutti al tappeto, quella era l'unica possibilità che avevano e non stava funzionando. Non stava funzionando!
«Forse se utilizzassimo i Potar-»
«VEGETA, ATTENTO!»
Lampo di luce verde, fumo grigio.
Vegeta tossì e si fece strada tra la nebbia e il fumo e lo vide. Kakaroth era steso a terra davanti a lui.
Gli si avvicinò svelto, con il fiato mozzato. No. Non poteva essersi preso quel colpo al posto suo. Non poteva essersi messo in mezzo. No.
Si inginocchiò di fianco a lui e lo voltò. Aveva il volto sporco di sangue e il petto squarciato in più punti. No.
«Kakaroth. Kakaroth? Kakaroth, rispondi!» lo scosse debolmente, ma Kakaroth faticava a tenere aperti gli occhi.
Lo prese tra le braccia. Dopo undici anni.
Faceva male e faceva bene.
«Kakaroth, per favore...» ringhiò, scuotendolo di nuovo.
«Vegeta». Un sussurro.
Un unico sussurro, poi i suoi occhi si chiusero.
«NO. NO, KAKAROTH! KAKAROTH!»



Vegeta scosse la testa e rabbrividì.
Kakaroth aveva dovuto morirgli tra le braccia perché lui si rendesse conto di quanto ci tenesse. Aveva dovuto morire dopo che, oramai non più abituati a combattere insieme, avevano fallito.
La Fusione non aveva funzionato e Kakaroth era morto per proteggerlo, intercettando quel fascio di luce per lui.
Oh, Vegeta l'aveva vendicato eccome. Alla fine avevano vinto, ma lui aveva perso tutto. Aveva perso lui, un'altra volta.
Quindi no, non avrebbe permesso a quello sciocco Principe del passato di commettere lo stesso errore. Lo doveva a se stesso, lo doveva a Kakaroth. Lo doveva a quello che erano stati.
L'altro rabbrividì, comprendendo quello che Vegeta stesse tentando di spiegargli.
«... Kakaroth... lui non può...» balbettò, nel panico. «Tu devi riportarlo in vita! Perché non lo hai riportato in vita!?»
«Non sono qui per sentirmi dire cosa devo fare. Lo so già cosa devo fare!» berciò Vegeta, adirato.
La lettera che aveva in tasca pesava come un macigno. L'aveva scritta poco prima di partire per quel viaggio nel tempo. Una lettera per lui, per Kakaroth, per mettere nero su bianco tutto il suo dolore, il pentimento rispetto a quegli anni.
Non sapeva nemmeno se e quando avrebbe potuto dargliela.
«Sono qui per evitare che tu faccia la cazzata più enorme della tua vita» continuò quindi Vegeta. Non era davvero il momento di pensare a se stesso. «Fidati di lui. Glielo devi».
L'altro si incupì di nuovo, riluttante.
«Ma poi... gli altri... Trunks, Bra, Goten... Bulma... cosa-».
«Non trovare altre scuse. Basta con le stronzate! Vai da lui e affrontate tutto questo insieme. Tutto... ma dovete farlo insieme. Tu lo sai che... sarà lui a darti la forza. Lo ha sempre fatto».
Lo avevano sempre fatto per davvero. Lui e Kakaroth avevano affrontato sempre tutto, insieme. Persino quando erano ancora di due fazioni opposte, su Namek. Persino quando non erano ancora diventati amici. Avevano affrontato le migliori battaglie e i peggiori nemici. Sempre insieme, e insieme avevano superato tutto.
L'altro sembrò andare in escandescenza. La realizzazione. Come una sberla in piena faccia, come un secchio d'acqua gelata.
Si portò le mani tra i capelli e iniziò a camminare in giro per la stanza, in panico.
«Ho fatto una cazzata... ho fatto una cazzata, Zeno maledetto, ho fatto una cazzata» si ripeté, oramai consapevole.
Aveva funzionato.
«VAI!» lo spronò quindi Vegeta, soddisfatto, sollevato di aver portato a termine la sua missione. «Vai subito da lui! Sai bene dove trovarlo».
L'altro annuì in modo convulso, rinvigorito. Fece per scappare veloce fuori dalla porta, ma un attimo di esitazione lo colse. Si voltò e lo guardò con occhi preoccupati.
«Ma... ma tu? Cosa ne sarà di te? Di Kakaroth?»
Vegeta si morse il labbro.


«Non è troppo tardi nemmeno per te... per voi».
«Bulma... lui non c'è più».
«Altre scuse. Polunga lo riporterà da noi tra qualche mese, quando le Sfere torneranno attive».
«Ma lui non mi perdonerà mai. Sono passati undici anni».
«Lui non è come te. Saprà perdonarti».



Avrebbe riportato in vita quel figlio di puttana appena possibile, quella era una promessa. Non l'avrebbe lasciato nell'Aldilà per sette anni come l'ultima volta, a costo di andare a prenderlo per i capelli e trascinarlo sulla Terra a calci nel sedere.
Poi... poi gli avrebbe dato quella lettera. Avrebbe dovuto, avrebbe dovuto trovare il coraggio.
Bulma aveva ragione: Kakaroth non era come lui. Avrebbe saputo perdonarlo.
Anche se il loro rapporto non sarebbe mai più tornato come prima, anche se era troppo tardi per riavere tutto, per stare insieme, per vivere felici. A Vegeta sarebbe bastato che Kakaroth tornasse da lui, che tornassero amici, che tornassero rivali come lo erano stati in passato.
Gli sarebbe bastato poter vedere di nuovo quel sorriso da buffone rivolto a lui.
«Lo aspetterò» concluse Vegeta.
L'altro annuì serio, spalle dritte e postura regale. Quasi un gesto di ringraziamento celato, un saluto colmo di fierezza, di coraggio. Il Principe dei Saiyan era tornato.
Se ne andò di corsa, Vegeta rimase solo e, finalmente, riuscì a rasserenarsi.
La sua missione nel passato era conclusa per davvero, con successo.
Ora, però, lo attendeva un'altra sfida. Una sfida personale. Mise le mani in tasca e tastò la lettera che aveva scritto.
Gli ci sarebbe voluto coraggio. E pazienza.
Chiuse gli occhi e sorrise.
«Lo aspetterò, dovesse volerci un'altra vita».


 
So solo che non potrà mai finire
Mai, ovunque tu sarai
Ovunque io sarò
Non smetteremo mai
Se questo è amore, amore infinito

 
⸙⸙⸙


Ciò che gli aveva detto Vegeta del futuro avrebbe cambiato la sua esistenza per sempre. L'aveva salvato.
Aveva salvato loro. Aveva salvato Kakaroth, aveva salvato tutto.
Vegeta camminò lento sotto la pioggia, con il volto bagnato e i vestiti fradici. Poco contava, tutto ciò che importava era essere lì.
E dove avrebbe potuto trovarlo, se non nella landa rocciosa che aveva ospitato il loro primo combattimento, anni e anni prima?
Lui era di spalle, forse non l'aveva avvertito arrivare. Osservava il cielo con le spalle ricurve, Vegeta poteva sentire la sua Aura incrinata dal dolore.
Odiava avergli fatto del male, ma avrebbe rimediato a ogni suo errore. Prese coraggio e lasciò cadere il proprio orgoglio. Era tempo di perdono.
«Kakaroth...» lo chiamò.
Kakaroth si voltò, esterrefatto.
I loro occhi si incontrarono. La pioggia era incessante, ma sarebbe arrivato il sereno.
Sarebbe arrivato insieme a quel sorriso. Il sorriso più idiota del mondo, il sorriso più giusto, il sorriso di chi ha imparato a essere umano.
Il sorriso di chi non odiava più l'amore.


 
“ℐ 𝓃𝑒𝑒𝒹 𝓈𝑜𝓂𝑒𝓉𝒽𝒾𝓃𝑔 𝒽𝓊𝓂𝒶𝓃 𝒶𝓃𝒹 ℐ 𝓃𝑒𝑒𝒹 𝓎𝑜𝓊𝓇 𝓁𝑜𝓋𝑒”.

 
𝑭𝑰𝑵𝑬
 
 
 
Riferimenti:
-Ciò che Vegeta del futuro sussurra dietro la porta ("Fidati di lui"... ecc) erano le frasi che nello scorso capitolo erano al centro della pagina. Questo può essere interpretato in due modi: il primo, quello più semplice, come un paradosso temporale. Oppure, quello che piace a me, si può interpretare come che tutto ciò che succede nel capitolo precedente - dopo che Goku esce dalla porta - sia parte solo della linea temporale futura, e quindi quello che accade qui nel finale -  nelll'ultimo paragrafo - sia la diretta continuazione della storia. Insomma, per farla breve tutta la sofferenza di questi undici anni di distacco esiste solo nella linea temporale futura.
-La canzone citata alla fine è quella che dà il nome alla storia, "Something Human" dei Muse. Mentre quella che ho citato in giro per il capitolo è ovviamente "Infinito" di Raf, e la trovo perfetta per questi due bontemponi. E ogni volta che l'ascolto piango. 
-Il nemico di cui parlo alla fine del flashback di Vegeta del futuro non è canonico, non esiste.
-Sostanza dei fatti ora abbiamo una linea in cui i nostri scemi innamorati preferiti affronteranno la vita insieme dopo quella notte d'ammmore, mentre l'altra linea futura in cui Vegeta passa undici anni prima di accorgersi della stronzata, in cui Kakaroth muore, Vegeta torna indietro nel tempo per cambiare le cose (un po' come HAKAI), e ora tornerà nel futuro per resuscitarlo - forse - e dargli la lettera.

ANGOLO DI EEVAA GRACE:
Eeeeehilà, gente! 
Esisterà mai una mia storia dove il lieto fine sia lieto per davvero e per tutti? SPOILER: NO. 
Qualcuno deve soffrire per forza. E la Macchina del Tempo deve essere sempre presente per incasinare le cose xD sapete che mi piace giocare con le linee temporali, ma spero che abbiate capito bene questo epilogo.
Insomma, vediamo però il bicchiere mezzo pieno: c'è una linea temporale in cui tutto va per il verso giusto e sono felicioni fin da subito XD YAY.
Che dire, gente... spero che questa storia vi sia piaciuta nonostante la mia riluttanza nel pubblicarla. Se volete leggere qualcosa di mio più appassionante, vi consiglio "Mercenari", HAKAI", "Across the universe" o "I've got you, Brother". O se volete cambiare fandom, ce ne sono mille altre!

Anche perché... lo devo proprio dire: sono a corto di storie. Per la prima volta da quando ho pubblicato "Game of ages" penso che dovrò prendermi una piccola pausa da EFP e dalle pubblicazioni, perché non ho niente di completo da proporvi. Sto scrivendo una long sempre su DB e una su Harry Potter, ma sono ancora in alto mare e sapete che mi piace pubblicare con scadenze regolari, non vorrei lasciare incomplete delle storie. 
Però ehi, prometto che tornerò presto, magari con qualche OS nata dal nulla, come è sempre accaduto. Quindi sì, nel frattempo per chi volesse, il mio profilo è pieno zeppo di robaccia da leggere xD

Nel frattempo vi invito a seguirmi anche sui miei social, così da tenerci in contatto - e seguire le mie peripezie con la musica e con il magico mondo dei cosplay (e di quanto sono imbranata a prepararli). 
IG: eevaa_grace_cos
FB: Eevaa Grace
TW: eevaa_grace
TikTok: Grace_Cos

Grazie davvero per tutto il supporto che mi avete dato fino adesso! Non vedo l'ora di tornare qui con delle nuove avventure!
Vi abbraccio forte!
Eevaa Grace
  
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