Capitolo
59
Non
è lei
“Corpo
di donna mia, persisterò nella tua grazia.
La
mia sete, la mia ansia senza limite, la mia strada indecisa!
Oscuri
fiumi dove la sete eterna continua,
e
la fatica continua, e il dolore infinito.”
Pablo
Neruda, Corpo di donna
Sugli
ultimi gradini, Hermann si volse indietro e le sorrise. Le rosee labbra si
curvarono in un rasserenante sorriso, si sollevarono le guance or floride,
segno di una buona salute e lui ne fu rincuorato, scintillarono gli occhi color
miele sotto le folte ciglia scure, mentre una luce evanescente l’avvolgeva,
come in un sogno, come un miracolo.
Poi,
d’improvviso, il volto gli si corrugò chiedendosi come avesse fatto a
ritrovarla e perché fossero lì, sui gradini scheggiati, fra le pareti grigie,
nello sfondo cupo dell’edificio occupato dai tedeschi a Fossoli, ma fu solo per
un fuggevole istante.
Non
gli importò darsi una risposta né fare delle congetture, giacché ciò che
contava era che lei fosse lì, viva e godente di buona salute, felice e, a
quanto pareva, condiscendente perdono nei suoi riguardi, a stringere la sua
mano come ad aggrapparsi al passato e, al contempo, incoraggiare entrambi a un
futuro nuovo insieme.
La
sua bocca si riaprì in un sorriso incantato che lo distrasse e al quale lei
rispose con una risata vispa e cristallina che non le aveva mai sentito, prima
di precederlo per guidarlo verso la sua stanza, la loro alcova a Fossoli.
Aprì
la porta, irrompendo entrambi con frenetico entusiasmo in un ambiente che
profumava di acqua di rose e lisciva, e, mentr’egli
la richiudeva, sciolse l’intreccio delle loro dita.
Rise
ancora e fece eco una risata dal timbro civettuolo che lo ridestò da quel sogno
ad occhi aperti, catapultandolo in una lussuosa sala da bagno con rivestimenti
in onice bianco e finiture in oro rosa e spegnendogli il sorriso.
Distante
qualche passo e di spalle, la figura di donna si rivestì del lungo e fasciante
abito color oro con lustrini e orlo a sirena stile charleston e, portando le
unghie smaltate di rosso fra i biondi capelli raccolti nello chignon adesso
scompigliato, si acconciò il fermaglio gioiello, prima di voltarsi lentamente
per ostentare sensualità e finti risolini di divertimento.
“Oh
Hermann, Hermann”, esordì Else, fingendo anche un respiro ansante, un suono che,
unitamente a quello delle risate, rendeva la situazione piuttosto irritante.
Lei già lo era, non essendo Sarah.
“Credo
di averci perso l’abitudine”, disse e, troppo improvvisa per poterla definire
una reazione naturale, le risate si spensero e il respiro tornò regolare. Di
colpo, a dimostrazione della sua farsa.
“Allora?”
Else riprese a parlare con un tono imperioso, di biasimo, portando le mani ai
fianchi. “è vero quello che dice
la gente?”
Dinanzi
a tale atteggiamento, incrociò le braccia e si rivestì della tracotanza
appartenutagli un tempo e, pur sapendo dov’ella volesse andare a parare,
rispose con un’altra domanda: “E cosa dice la gente?”
“Che,
quand’eri in servizio a Fossoli, avresti perso la testa per un’ebrea.” Fece una
pausa, lunga abbastanza da poter imprimergli nella mente l’immagine della sua
espressione di disprezzo. “E che, adesso, ti staresti preparando a un viaggio
in Italia per ritrovarla.” Di nuovo, si zittì per comporre le labbra a un riso
ironico. “Il colmo sarebbe venir a sapere che vorresti anche sposartela.”
Il
silenzio come risposta, gli occhi dilatati in un’espressione rugiadosa
lasciarono intendere un assenso e tal era, ma furon, in realtà, la reazione a
un’irragionevole delusione che lo sopraffò, quand’ella, con atteggiamento
beffardo e voce ancor più da oca giuliva, riprese: “Ma dai! Non mi dirai che è
vero? Oddio!”
Il
senso di delusione assunse così i contorni della rabbia la quale dardeggiò nei
suoi occhi verdi e mosse stizzosamente i suoi passi verso di lei. Un fulmineo
lampo di stupore le rifulse negli occhi color oceano che tornarono subito a
raggelarsi per l’innata sua presunzione, sebben egli le fosse troppo,
minacciosamente vicino.
“Ci
rivediamo dopo quattro anni e, nonostante tu sappia – perché tu lo sai, la
gente ti avrà sicuramente detto anche questo – dove sono stato e tutto quello
che ho passato nelle mani dei russi, non mi chiedi neanche come sto.” Di
rancore, ringhiava la voce di Hermann, a tratti, spezzandosi e incespicando
nelle parole. “Siamo stati insieme per ben otto anni, Else, abbiamo vissuto
sotto lo stesso tetto come se fossimo sposati. Te ne rendi conto?”
“E
tu? Te ne rendevi conto, mentre mi tradivi con la mia amica d’infanzia, oppure
quando andavi a sollazzarti con la cantante di quel cabaret da quattro soldi?”
Nella voce di Else, non v’era nessun tremolio di rancore, né velo di rabbia nei
suoi occhi, ma soltanto gli parlò, assumendo un tono di sufficienza e
guardandolo con aria di sfida.
Di
Hermann stavolta fu il cuore a incespicare, al ricordo dell’uomo che era stato
e con il quale, dimenticatosene nel far guerra al sé nazista, non aveva ancora avuto
modo di confrontarsi, ma non lasciò trapelarlo né
mostrò alcun cenno di esitazione, mentre, restituendole lo sguardo, le
rispondeva col medesimo tono: “Come te ne rendevi conto tu, mentre te la
spassavi con quello che sarebbe diventato tuo marito.”
“No,
ti prego. Di lui non ne voglio sentir parlare.” Con i gesti che rimarcavano la
risolutezza della voce, la mano accompagnò le parole, finché non si pose sul
suo petto, con le dita a strofinargli il papillon. “Non adesso”, concluse, in
tono lascivo.
Come
da copione, l’alchimia fra loro fu accesa,
ridestata dal tocco ammaliante e seducente di donna, dalle sue labbra rosse
socchiuse in un’attesa sensuale, dall’elisir avvolgente del suo Chanel N°5 che
fecero emergere l’ego di Hermann.
Questi
iniziò a sudare, incapace di trattenersi da ciò che, molto probabilmente, anche
con un’altra donna sarebbe accaduto, considerata la lunga astinenza.
“Cos’è
che vuoi da me?” Nel tono della voce e nelle espressioni facciali, Hermann
sforzò austera indifferenza, mentre le dita affusolate di Else percorrevano
lentamente il suo addome, tracciando un’immaginaria linea sinuosa.
“Ricordare
il passato con te”, rispose languida e le parole gli arrivarono all’orecchio
come un lieve sussurro, alle giunture come brivido libidinoso, ma, poco prima
che la mano potesse giungere alla meta, di colpo, gliel’afferrò, allontanandola
bruscamente dal suo corpo.
“Non
è così che puoi comprarmi, baby.
Tu
lo sai.
È
un po’ più giù che devi andare, lady.
(Al
cuore?)
Se
ce l’hai.
Io
ce l’ho.
[…]
Ridi pure, ma
non
ho più paure (forse) di restare
senza
una donna.”
Zucchero,
Senza una donna