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Autore: lo_strano_libraio    31/10/2022    1 recensioni
Cosa successe nei mesi tra la morte di Billy e l’attacco di Vecna, nella vita di Maxine Mayfield? Scopritelo in questa storia angst, ricca di emozioni forti, misteri e colpi di scena!
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dustin Henderson, Lucas Sinclair, Maxine Mayfield, Mike Wheeler, Undici/Jane
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Capitolo 9-Quando guardi a lungo l’abisso, l’abisso ti guarda dentro.

 

N.B. Ho ricaricato il capitolo per problemi col correttore dell’iPhone, ci sono anche delle piccole modifiche, quindi vi suggerisco di rileggerlo. 

Attenzione: questo capitolo tratta temi forti, preparatevi perché sarà una montagna russa d’emozioni.

 

La casa era silenziosa, anche troppo silenziosa. Le tapparelle, semi abbassate, ma quello era normale: sua mamma soffriva spesso di mal di testa, sopratutto quando beveva: la luce non aiutava molto. Il salotto e la cucina sembravano in ordine, tutto era a posto e la pila di stoviglie da lavare nel lavandino non c’era più. Qualcosa però l’inquietava: respirava un atmosfera cupa, sinistra, come se in quella buia normalità ci fosse qualcosa fuori posto; un intruso che snaturava il tutto. Si incamminò verso il salotto, dove posò la scatola della macchina da scrivere sul tavolo. 

“Mamma! Sono Maxine, sono tornata, vieni a vedere cosa ti ho portato!”

Nessuna risposta, silenzio tombale. 

La sua voce navigò su per le scale, dove lei l’aveva direzionata: se non era seduta in cucina o stravaccata sul divano, doveva essere in camera da letto. Diede un ultima occhiata alle stanze del piano terra, cercando un segno del passaggio della madre. Poi si mosse verso l’inizio delle scale, ma si bloccò dubbiosa al primo gradino. C’era qualcosa di profondamente oscuro che l’inquietava riguardo quella salita, come un aura negativa proveniente dal piano di sopra che la spaventava all’idea di salire. Scosse la testa, scacciando quei pensieri. 

“Ma che ti prende? Su, sali e vai da lei, che aspetti?!” Ora sembrava calmarsi, e i suoi piedi potersi muovere. 

Arrivò in cima al pianerottolo, dove la porta della camera di mamma era leggermente socchiusa.

“Mamma! Sono io, ma non mi hai sentita di sotto?”

Aprí la porta, ma sulla soglia si bloccò nuovamente, a causa di cosa vide dentro: sua madre era seduta a letto, con la schiena poggiata sui cuscini rialzati sullo schienale. Il suo sguardo era catatonico, e le pupille spaventosamente bianche. Gli occhi sfarfallavano, sbattendo di tanto in tanto; la testa si muoveva con scatti brevi laterali, come colpita da veloci tic nervosi.

“Mamma!” Max corse al suo fianco, guardandole le pupille da vicino, e cercando di smuoverla, scuotendola dalle spalle. 

“Cazzo mamma! Dicevano che avessi smesso; cosa ti sei presa? Alcol e psicofarmaci?!” 

Ma non serviva a niente: sua mamma era in uno stato catatonico duro e puro. Provó anche a tirargli schiaffi in faccia, a urlarle nelle orecchie: tutto inutile. All’improvviso, sentí una sinistra presenza alle sue spalle, e poi le sue orecchie vennero investite dal rumoroso e rimbombante suono di un orologio a pendolo che segna l’ora. Unico problema: non c’e n’erano in casa. 

Spalancando gli occhi e tremando come una foglia, si voltò e vide alle sue spalle una densa e profonda oscurità davanti la porta di camera, decisamente più fitta di quella presente in casa e assente quando era entrata. Questa sorta di varco sull’abisso copriva del tutto l’altro lato della stanza, offuscando completamente la porta. Max era terrorizzata e non capiva cosa diamine stesse succedendo, incapace di muoversi, pensare o anche solo prendere una qualsiasi decisione. Quel buco nero sembrava stare assorbendo a sé la sua mente e tutti i suoi pensieri, tutto il resto non esisteva più.

“Ma cos-“

“Ciao Maxine...é da tanto che non ci vediamo...”

Una sinistra voce proveniva da quel vortice oscuro, rimbombando nella sua testa. Una mano pallida, squarciata, si fece largo dal varco, trascinandosi sul pavimento; poi un altra, un busto, delle spalle e sopra di esse una testa cadaverica, con ciuffi biondi sparsi qua e là sulla cute squarciata che faceva intravedere parti di cervello marcio, senza naso, occhi chiarissimi e un ghigno pendente come la sua bocca, stampato sulle labbra quasi recise. L’apparizione geló ancora di più il sangue a Max.

“Che cos-che cosa sei tu?!”

“Ma dai, non ti ricordi di me?! Oh beh, forse qui ho un aspetto diverso...ma abbiamo condiviso momenti tragicamente toccanti insieme, piccola Maxine, e ora  lo faremo di nuovo...”

“Che dici?! Io non ti conosco! Va via!” La , ragazzina si aggrappò alla madre, come se potesse essere difesa da lei.

“No, no, no...lei è mia Maxine! come te stessa sei mia. Mia, mia, mia...ti ho presa: sei un giocattolo, una bambolina nelle mie mani ormai. E ora giocheremo insieme a tua mamma.”  Il cadavere puntò il dito verso la donna.

“Susan, fammi il piacere di tagliarti la gola col giocattolo che ti ho messo in mano, per favore...”

La madre sollevò il braccio e Max poté notare che fosse apparso, quasi per magia, un coltello nella sua mano sinistra. Il suo braccio si dirigeva verso il collo, e la figlia si mosse con entrambe le braccia per bloccarlo.

“Mamma, no! Fermati!” Disperata, premeva con tutta la sua forza, cercando di allontanare l’arnese dalla pelle della madre. Ma una forza spaventosa sembrava aver posseduto il corpo di Susan Mayfield, e lo sforzo era immenso. 

“Ma che cazzo fai?! Fermati per l’amore del cielo!” Urlava a squarciagola.

Il cadavere fissava lo sforzo di lei con fare infastidito, scuoté la mano dal polso quasi disarticolato, facendo scricchiolare le ossa fratturate all’interno.

“Susan, eddai! Comportati da madre e tira un pattone a quella guastafeste di tua figlia!” Si lamentò con tono rauco e scocciato, agitando il polso fratturato della sua mano scheletrica; lo scricchiolio del polso rotto rendeva il gesto così semplice e umano, comicamente lugubre. Dal modo in cui le parlava, sembrava che il tentativo di Max di salvarle la vita, fosse soltanto una scortesia, una terribile scocciatura per lui.

Susan interruppé il suo sforzo suicida e colpì a gran forza, col dorso della mano disarmata la guancia della figlia, facendola cascare a lato del letto. Lei si rilanciò immediatamente a trattenere il braccio della madre, che ora puntava il coltello a soltanto pochi millimetri dalla gola. Lo sforzo fisico era immane ormai, e la ragazzina non sapeva quanto avrebbe potuto resistere ancora, a trattenere l’atto che pareva essere diventato d’acciaio da quanto era forte. 

“Questo è troppo! Non voglio che tu muoia! Mi dispiace tantissimo per quello che ti ho detto, non farlo! Prometto che non litigheremo più e saremo felici!” Max era scoppiata in un pianto terribile, disperata e incapace di comprendere cosa stesse succedendo o cosa potesse fare. L’incubo si fece ancora più profondo, quando lo zombie la chiamò per attirare la sua attenzione su qualcosa.

“Maxine, tesoruccio, dovevi pensarci prima di gettare via tua madre trattandola come un peso. Sai che ti dico? Forse qualcun’ altro può convincerti: guarda chi c’è qui: presto lei lo raggiungerà!”

In mano teneva dai capelli lunghi e biondi, la testa cadaverica di Billy, che agitava dolorosamente gli occhi rossi e dilatati, e boccheggiava dalla bocca, come i pesci a cui manca l’ossigeno nella boccia di vetro. 

“Aaaaah...Max, aiutamiiii...perché mi hai lasciato morireeeee...guarda cosa mi fa sopportareeeee...” La sua voce sembrava proprio il lamento di un dannato proveniente dall’inferno. 

Un conato di vomito salí fino alla bocca di Max, che rimase impietrita nel fissare quell’immagine diabolica: era davvero lui?

“B-Bill-Billy! Io...oddioooooh!”

Cercò di concentrarsi sul volto della madre, ma quell’aura vacua e spenta che gravitava nei suoi occhi, dava l’idea che la madre fosse già morta dentro, e che quello sgozzamento, se fosse avvenuto, sarebbe stato soltanto una formalità. Lo sconforto e il terrore giunsero a livelli assurdi nella sua testa, sconvolgendola nel profondo.

“E basta piccola stronzetta! Smetti di tormentare tua madre, e lascia che ponga fine alle sofferenze che hai portato nella sua vita, dal giorno in cui sei nata!” Le urlava il demonio da dietro, facendo rimbombare la stanza. Le sembrava di stare impazzendo, la testa vagava indiscriminatamente da un pensiero all’altro, perché ognuno di essi era un peso insostenibile, un ostacolo inutile che non le avrebbe permesso di uscire da questo incubo; tutto quello che poteva fare era urlare.

“MAMMAAAAAAAH!!! TI SCONGIURO BASTAASAAAAAAAH!!!”

 

Erano passate ormai tre ore da quando Max era entrata in casa, oltre al cinguettio degli uccelli, e il sibilare delle foglie al vento; il parco caravan era immerso in un silenzio pacifico e solenne. Il gruppo di amici, tra l’impazienza e la preoccupazione che qualcosa potesse essere andato storto, incominciarono a discutere sul da farsi.

“Io dico che dovremmo entrare a chiedere se è tutto a posto!” Propose Will.

“Ma no! Magari, semplicemente, hanno fatto pace, e si sono messe a parlare perdendo la cognizione del tempo; se entrassimo così di colpo ora, le interromperemmo e non sarebbe gentile da parte nostra!” Rispose Dustin.

“Beh, non è comunque casa nostra, dovremmo essere invitati per entrare...” disse dubbioso Lucas.

“Ragazzi, state perdendo di vista il punto focale: siamo qui per aiutarla, e lei lo sa; non ci costa niente dare un occhiata, no? Anche perché di sta facendo una certa ora, e credo che andarsene senza dire niente sarebbe decisamente peggio.” Cercò di convincerli Mike.

Jane annuí decisa alla proposta del fidanzato; lo dimostrò battendo un pugno sulla mano aperta per attirare la loro attenzione.

“Esatto! E così la mamma di Max, vedrà anche quanti amici ha che si preoccupano per lei; la renderemo orgogliosa!”

Si fiondò quindi alla porta d’entrata, seguita a ruota dagli altri. Bussò forte col pugno sulla porta di legno bianco.

“Ehi! Siamo noi, possiamo venire dentro un attimo?!” Urlò a gran voce, nella speranza di farsi sentire bene dall’interno. Ma non ci fu alcuna risposta, ne si sentirono rumori di passi dall’altro lato.

Si girò a guardare Mike, e lui fece spallucce in risposta. Lucas si fece avanti.

“Fa provare me”

Il ragazzo aprí uno spiraglio della porta, dove piazzó il viso, cercando di intravedere qualcosa. Stranamente però le tapparelle erano ancora semi chiuse, e non sentiva voci. 

“Max! Sono Lucas, ci chiedevamo perché ci mettessi così tanto, entriamo un attimo ok?” Ancora nessuna risposta; silenzio tombale.

Lucas spalancò la porta, incuriosito e impressionato allo stesso tempo, dalla situazione. Il gruppo di ragazzi entrò nella casa, e incominciarono a guardarsi intorno nel piano terra. Non c’era anima viva, ne trovarono segni di recenti attività umane, come bicchieri sporchi sul tavolo in cucina, da cui avrebbero potuto bere le due ritrovatesi. 

“Questa è bella! Cos’è? Sono scappate dal retro per partire in una gita madre e figlia, senza dircelo?” Sogghignò Dustin, cercando di sdrammatizzare. Nessuno rise però: c’era un certo nervosismo che condividevano tra loro.

“Proviamo a salire.” Propose il fidanzato della ricercata. 

Salirono lentamente, timorosi, le scale, e arrivati in cima, videro la porta della camera sulla destra, semi chiusa come l’aveva trovata Max. 

“Ehi, aspetta, quella è pur sempre una camera da letto, non possiamo entrare così come se non fosse niente!” Sussurrò tesi Will a Lucas.

“Senti: c’è chiaramente qualcosa che non va, dobbiamo farlo; meglio maleducati che  menefreghisti!” Il fatto che questo scambio di battute si fosse svolto a un basso tono di voce, spiegava quanta tensione ci fosse tra i ragazzi: percepivano che stessero per scoprire qualcosa di profondamente sbagliato. 

Ma quando Lucas aprí la porta per primo, non si immaginava neanche lontanamente di trovare quello che i suoi occhi videro.

“Oh...porca...troia...”

Il resto del gruppo accorse dentro, e uno dopo l’altro rimasero pietrificati sul posto, congelati nel terrore, sconvolti ognuno in modi diversi, alla vista di quello spettacolo. 

Undi coprí la bocca con le mani, per evitare di urlare, prese a tremare come un gattino caduto nell’acqua e i suoi occhi rossi cominciarono a versare cascate di lacrime. Dustin si tolse il cappello dall’incredulità, cosa che non faceva mai, e i suoi denti si sporsero dalla bocca spalancata, che affannosamente cercava aria per i polmoni affaticati dalla paura.

Addirittura Will si mise una mano sul cuore dallo shock, e sarebbe caduto se Mike non l’avesse sorretto.

Davanti loro infatti, c’era il letto, alla cui fine vi erano Susan Mayfield e sua figlia Maxine, abbracciata a lei. La gola della madre era squarciata lungo tutta la lunghezza e un lago di sangue era spruzzato fuori insozzando tutto quello che c’era intorno. Lo strumento che aveva causato questo era ancora nella mano della donna, posata sulla gamba destra, con stretta ad essa quella della figlia. Max era appoggiata al cadavere, con l’altro braccio al fianco della madre; una gamba era a lato del corpo, mentre l’altra a cavallo tra le gambe della donna e il braccio con l’arma. Dalla posizione, sembrava come se si fosse lanciata addosso alla vittima, forse nel tentativo di fermarla. La sua testa non era però girata verso quella di Susan, ma voltata verso la porta, con gli occhioni azzurri spalancati, vacui, e la bocca semi aperta. Era completamente ricoperta del sangue di sua mamma: il maglione bianco a maglia che indossava aveva assorbito il liquido come una spugna, cambiando colore in più punti. Sul viso, era talmente sporca della sostanza che anche i denti esposti si erano finti di rosso, e si era venuto a creare un suggestivamente terribile contrasto tra i suoi occhioni azzurri e la pozza di sangue che la ricopriva. Era ferma immobile; il dubbio terribile che attanagliava gli amici, veniva non solo dall’immobilità, ma anche dal fatto che non potevano capire dalla quantità di sangue, se c’è ne fosse anche del suo, se avendo fatto prima di loro la terribile scoperta, avesse reagito estremamente. D’altronde, c’era anche la sua mano sul coltello. Sembrava a tutti gli effetti morta, la domanda albergava nelle teste di tutti senza che dovessero chiederselo a vicenda, ma nessuno voleva conoscere la risposta; così, per una quantità di tempo indeterminato, rimasero lì, fissi in piedi, a contemplare quell’oscenità. Lucas peró non poteva trattenersi oltre, doveva cercare di capire. 

“Max!”

Gli occhi di lei si mossero di scatto, tracciando la direzione della sua voce. Il movimento fu così repentino e inaspettato, che tutti sobbalzarono, e Dustin tirò anche un breve grido. 

La ragazzina inizio a respirare più profondamente, rendendolo più visibile rispetto a prima. 

“Max...stai bene?!” Chiese disperato Mike, mentre Undi, singhiozzante, doveva ancora far uscire le parole. 

Max iniziò a far rimbalzare gli occhi sui presenti, come se non si aspettasse di vederli lí, e non potesse credere alle immagini riflesse sulla sua retina. Poi si fissò su Mike, mosse per un po’ la bocca, facendo sibillare il respiro, e vocalizzando brevemente. Stava esercitandosi a parlare, come se non lo avesse fatto da secoli. Infine, strozzata e stridula, la sua voce si compose finalmente in parole.

“La mamma...si è fatta male...devo starle vicino, così guarisce...” il tono era incredibilmente bambinesco: lo shock dell’accaduto l’aveva fatta regredire, cercando disperatamente l’affetto materno perduto.

“VOGLIO LA MAMMAAAA! VOGLIO LA MAMMAAAH!” Scoppiò in un disperato pianto infantile, scalciando sul letto con le gambe, come i bambini quando fanno i capricci. I ragazzi erano completamente spiazzati dalla reazione, ma non Lucas, che si fiondò su di lei, cercando di tirarla via di lì. 

“Su, Max! Ci siamo noi con te, lasciala, vieni via...ragazzi, datemi una mano, dai!” Tutti lo seguirono, ma non Undi, che tremava ancora e fissava in lacrime quello spettacolo pietoso. Mike forzó la sua mano a lasciargli il coltello che lanciò sul pavimento per evitare che si facesse male. Poi le strinse il braccio, tirandola cercando di obbligarla ad alzarsi. Will la afferrò dall’addome con entrambe le braccia; mentre Dustin la tirava a sé dalle gambe. Ma lei si stringeva alla madre con tutte le forze, respingendoli in tutti i modi, come se standola attaccata stesse difendendo un rifugio sicuro, l’ultimo rimastole al mondo. 

“LASCIATEMI! VOGLIO STARE CON LA MAMMAAAH!” 

“Eddai! Tirate più forte!” Cercava di stimolarli Mike. A un certo punto lei si fece manesca: Mike venne colpito da una gomitata sul naso, ma non troppo forte, riuscendo a mantenere salda la presa; ma Dustin non fu altrettanto fortunato: Max gli piazzó un calcio nel basso ventre, facendolo volare col sedere a terra, in un gemito di dolore.

“Max, santo cielo! Siamo qui per aiutarti, lasciala!” La implorava disperato, Lucas.

“NO! NO! LASCIATEMIIIIH, VOGLIO STARE CON LA MAMMAAAAAH! DEVO AIUTARLAAAA!”

“Ragazzi basta! Così le fate solo del male! Lasciate fare a me!” Urlò loro contro Jane, ripresasi dalla paralisi.

I ragazzi si fecero da parte, esausti e ansimanti per lo sforzo fisico. Mike si massaggiava il naso, mentre Dustin si stringeva il punto della pancia dove era stato colpito, dolorante. La ragazza si avvicinò all’amica, chinandosi al suo fianco, prendendola dolcemente per mano. Max si era riattrapita sul corpo di sua mamma, ma quando sentì la sua presenza, si voltò immediatamente verso lei.

“Undi...”

“Si, sono io! E lui chi é?” Gli indicò il fidanzato, senza staccare gli occhi da lei.

“Lucas!” Quelli di Max si illuminarono, spostando la loro attenzione su di lui. Il ragazzo andò accanto a Jane, e le prese l’altra mano. 

“Max...” 

la ragazza si sporse avanti, fissandolo con quegli occhi trasognati. 

“E loro chi sono?” Undi le indicò il resto dei ragazzi.

“Mike...Dustin...Will...” li guardava uno a uno, pronunciando i loro nomi sospirati, come se le mancasse il respiro. 

Tutti le si fecero vicino.

“Siamo i tuoi amici: siamo qui per aiutarti.” Le disse dolcemente Jane. Max la guardò e iniziò a lacrimare di nuovo, ma questa volta si leggeva nei suoi occhi, in mezzo al mare di disperazione, una goccia di felicità.

Si strinse in un forte abbraccio all’amica, e Undi contraccambiò accogliendola senza riserve. Non importava se si stesse sporcando così del sangue che aveva addosso: in quel momento le serviva un abbraccio e lei glielo avrebbe dato. Anche gli altri si aggiunsero, facendole sentire tutto il loro affetto.

L’aiutarono a scendere le scale e ad uscire da quella casa maledetta; sorreggendola, perché era talmente scossa che le tremavano le gambe. 

Will chiamò la polizia e un ambulanza utilizzando il telefono di casa, balbettando nel dover riferire notizie così tragiche, poi si aggiunse agli altri, seduti tutti insieme sulle scalinate di legno all’entrata. 

“Ok, stanno arrivando...”  Undi, accennò a lui con la testa; stava consolando la rossa passandole una mano sulla schiena, rivestita da una coperta di lana, per evitare che prendesse freddo.

Max guardava in basso, alle sue scarpe, le sue mani, semichiuse, toccavano le punte delle rispettive dita. Muoveva leggermente le labbra, pareva fosse sempre sul punto di iniziare a dire qualcosa ma si interrompesse ogni volta. D’altronde era comprensibile: doveva ancora metabolizzare tutto quanto. Una mano scura di posò teneramente sulla sua destra, la sua testa si sollevò: era Lucas che le sorrideva. Si guardò intorno: alla sua sinistra c’era Undi, mentre davanti a sé si erano piazzati seduti sullo scalino inferiore, Mike, Dustin e Will. Tutti la guardavano con premura: non era sola.

“Ragazzi...grazie, vi voglio bene!”

   
 
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