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Autore: Jeremymarsh    17/11/2022    8 recensioni
Nel peggior giorno della sua vita, Kagome ripensa alle leggende che il nonno le raccontava da piccola prima di andare a dormire e alle quali ha smesso da tempo di credere.
È convinta che sia ormai impossibile uscire dal baratro in cui è precipitata all’improvviso, ma non è detto che tutti i mali vengano per nuocere. Un unico evento – per quanto disastroso – ha provocato conseguenze impensabili e ben presto dovrà affidarsi credenze e valori finora ignorati per sopravvivere, lasciando dietro ogni cosa conosciuta.
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inu no Taisho, Inuyasha, izayoi, Kagome, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: Lemon, Soulmate!AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo XII: Terrore nella notte 

 

 

“It's the best thing that you've ever had 
The best thing you have had is gone away” 

High and Dry, Radiohead  

 

 

Un paio di sere dopo, Izayoi stava accompagnando Kagome nella sua passeggiata per i giardini dato che ora entrambe cercavano di sfruttare quanto più possibile la compagnia reciproca per non dover restare sole con i propri pensieri. Tuttavia, pensò la giovane un po’ infastidita quando erano ormai di ritorno, non voler restare sola non significava dover essere costretta alla presenza di guardie personali in continuazione. L’esercito non era partito da così tanto, ma lei ne aveva già abbastanza della sicurezza che, a detta di Inuyasha, era solo per il suo bene.  

Izayoi colse il suo sbuffo e rise, ma Kagome era stata così silenziosa che si chiese se, dopo aver vissuto per così tanto tempo con dei demoni cane, la principessa non avesse sviluppato anch’ella alcuni tratti distintivi. Come l’udito fine, per esempio. O forse era l’aver portato in grembo uno di loro per nove mesi ad averla cambiata? Certo era, si disse, che nessuno avrebbe dovuto sentirla se non i diretti interessati del suo fastidio. Di conseguenza, calò il capo imbarazzata quando fu colta in fragrante dalla dama.  

“Non c’è bisogno di vergognarsene, Kagome. Credi che io non abbia sperimentato gli stessi sentimenti almeno una volta?” La sacerdotessa alzò lo sguardo sorpresa e Izayoi ammiccò di rimando – ammiccò.
Rimase senza parole.  

“Ebbene sì, l’istinto di protezione di un demone cane è una delle cose più belle che possa esserci, vero, ma, oddio, certe volte può essere davvero una fonte di fastidio per quanto asfissiante. Pensavo che Toga fosse terribile poco dopo averlo conosciuto, ma quanto mi sbagliavo. Dopo essere diventata la sua compagna si è amplificato tutto, per non parlare di quanto possa lasciarti interdetta il fatto che il tuo stesso figlio di a malapena cinque anni cominci a seguire le orme del padre. C’è da uscirne pazze ad essere l’unico soggetto di queste attenzioni. Per lo meno, ora che ci sei tu, la maggior parte del focus di Inuyasha sarà su di te. Senza contare che già poterne parlare con qualcuno che può capirmi è molto liberatorio.”  

Kagome spalancò la bocca, inorridita, quando Izayoi ebbe finito. Stava davvero dicendo che quando lei e Inuyasha sarebbero diventati compagni sarebbe stato ancora peggio? 

La principessa rise ancora. “Dalla tua espressione posso immaginare cosa ti stia passando per la testa.” Intrecciò le loro braccia e riprese la passeggiata, non prima di averle dato una pacca affettuosa sulla mano. “Ma non ti preoccupare troppo; ti abituerai al punto da scordarti anche di avere delle guardie personali.” Kagome alzò un sopracciglio, scettica. “Oppure puoi sempre lamentartene con mio figlio; ogni tanto serve imporsi su di loro. Ma sono certa che vivendo insieme imparerai tante cose da te mentre le altre… beh, è per questo che ci sono io, no?”  

Quando ammiccò una seconda volta e le sorrise, Kagome tirò un sospiro di sollievo. Non era meno infastidita di quanto lo era stata prima di sbuffare, certo – e non le sembrava impossibile che avrebbe potuto mai dimenticarsi delle guardie per quanto silenziose fossero – eppure le sue parole le erano state in qualche modo d’aiuto. Izayoi aveva un qualcosa che le rendeva impossibile non fidarsi, oltre al fatto che la sua aura irradiava nella maggior parte dei casi una calma che influenzava anche la sua. Soprattutto in momenti come quelli.  

Forse, un giorno, sarebbe arrivata ad eguagliarla e avrebbe imparato a essere più tranquilla e in comunione con quel luogo, ma per il momento le sembrava troppo strano guardare in avanti, soprattutto perché farlo presupponeva avere un animo leggero in grado di progettare e illudersi – e Kagome non lo aveva. Ciò nonostante, annuì. “Tenterò di ricordarmi che la loro missione non è procurarmi fastidio.” 

“Questo è scontato, cara. Meglio esserne infastidita che apprendere cosa significa la loro mancanza.” E per quanto fosse stata intesa come una frase confortevole, al tempo stesso quelle ultime parole nascondevano un presagio che nessuna delle due avrebbe conosciuto se non fino a notte fonda.  

 

*** 

 

 

Non fu una sorpresa faticare a prendere sonno più tardi ma lo fu destarsi dopo poco.  

Kagome si alzò di scatto e stropicciò gli occhi, ancora assonnata e per nulla cosciente, se non dei rumori che l’avevano disturbata. La stanza era avvolta nel buio totale tranne per la flebile fiammella che proveniva dalla parte opposta e che lei aveva incoscientemente dimenticato di spegnere quando era riuscita a lasciarsi andare. Sbatté un paio di volte le palpebre e si rese conto di non essersi sbagliata: era davvero troppo presto per poter udire determinati rumori. Quella scoperta la svegliò del tutto e un brivido le corse lungo la schiena; un secondo dopo si accorse di poter sentire anche il respiro di qualcun altro oltre al suo e quando volse lo sguardo nella direzione da cui proveniva una risata echeggiò.  

“Non avrei voluto svegliarti e rovinare il tuo sonno di bellezza. Mi spiace, cara Kagome. Sarebbe stato tutto più semplice anche per me se fossi rimasta ignara.” L’uomo le aveva parlato in un tono tranquillo, tentando di rassicurarla ma ottenendo l’effetto opposto: la sua voce poteva sembrare ammaliante e confortevole, ma anche ancora un po’ assonnata Kagome seppe leggervi il sottotono mellifluo che non lasciava predirre nulla di buono. Infine, accese anche una seconda candela, come se volesse farsi vedere di proposito, e lei riconobbe la divisa delle guardie del castello.   

Perché quel demone che nemmeno ricordava le aveva parlato con tanta confidenza? Cosa ci faceva nella sua stanza a quell’ora della notte? A loro era proibito entrare se non in casi di emergenza e solo a seguito di espressa richiesta. “Cosa ci fa lei qui? E perché sta deliberatamente ignorando gli ordini del suo Signore?” 

A quella domanda, la guardia fece una smorfia che cancellò per mezzo secondo ogni traccia di benevolenza dal suo viso. “Io non ho nessun signore,” sputò. “E per rispondere anche al tuo altro quesito, sono qui per portarti dove appartieni davvero.” 

Kagome avrebbe voluto dire che quelle parole le gelarono il sangue nelle vene e che nulla di ciò che avvenne in seguito avrebbe potuto spaventarla di più, ma quelle sensazioni impallidivano in confronto a ciò che avrebbe provato da lì a breve. Il suo turbamento interiore, quello che aveva sempre trovato posto in un angolo del suo cuore anche nei momenti più felici, trovava finalmente significato e, soprattutto, si avverava come il peggiore degli incubi.  

L’uomo abbandonò del tutto le sembianze e si rivelò a lei come colui che l’Inu-no-Taisho, Inuyasha e il loro esercito erano andati a cercare: una lunga e candida pelliccia bianca lo copriva dalla testa ai piedi, lasciando visibili solo alcuni tratti del viso, tra cui spiccavano due profondi e spaventosi occhi neri e un sorriso che Kagome era sicura avrebbe inquietato i suoi sogni a lungo ancora – se fosse sopravvissuta.  

Le si avvicinò porgendole una mano e invitandola ad andare con lui come se fosse la cosa più ovvia da fare e quando non gli diede segno di voler obbedire, l’essere non si rabbuiò. “Che sbadato, sicuramente così non mi riconosci e quale donna di buona educazione come te andrebbe con uno sconosciuto? Ma non devi temere, mia dolce Kagome, questo non è il nostro primo incontro. Non posso rivelare oltre ora, ma avrai tutte le tue spiegazioni presto. Ti basti sapere che sono venuto a liberarti da questa prigionia prima che tu potessi essere data in pasto a questi cani degenerati. Ha aiutato anche l’essere riuscito a inserire qualche traditore tra le loro file.” 

Kagome non riuscì a nascondere la paura dal volto, ma cercò di non tremare o dare a quell’essere motivi in più per capire quanto fosse spaventata. Si chiese se credesse davvero che parlandole in quel modo l’avrebbe convinta ad andar via con lui; quelle parole riuscirono soltanto ad immobilizzarla mentre ancora il suo cervello tentava di tracciare l’intero disegno dietro quella che appariva chiaramente come una trappola. Perché affermava di conoscerla e come mai quella sua sicurezza le metteva ancora più paura? Se soltanto non fosse stata preda di quelle sensazioni e più vigile magari avrebbe potuto difendersi o mettere in pratica ciò che aveva imparato negli anni per scappare, ma riuscì soltanto a farlo arrabbiare.  

Per quanto avesse tentato di mostrarsi gentile e amichevole con lei, la sua maschera crollò abbastanza presto, rivelando la sua mancanza di pazienza. Non appena si accorse che Kagome non era intenzionata a collaborare una seconda smorfia gli apparve sulle labbra. “Abbiamo già perso troppo tempo, Kagome; non ci vorrà molto prima che verrà scoperto l’inganno. Ho provato con le maniere dolci, ma a quanto pare il tempo trascorso in questo castello ti ha fuorviato al punto da non farti più vedere la ragione.” Strinse gli occhi e senza nemmeno darle il tempo di rispondere, agì.  

Un attimo dopo il buio totale era calato su di lei.  

 

*** 

 

Quella stessa notte, non molto lontana dalle stanze di Kagome, anche Izayoi faticava ad addormentarsi e per quanto avesse mantenuto un contegno calmo nel pomeriggio per non impensierirla ancor di più, era ben consapevole delle sue paure; nasconderle non aveva evitato a Izayoi di leggergliele in viso o nel comportamento. Sapeva anche di non essere riuscita molto bene a tranquillizzarla e che c’era, purtroppo, poco da fare se non attendere notizie o il ritorno degli amati. Quei pensieri, dunque, continuavano a frullarle nella testa impedendole di abbandonarsi del tutto alla stanchezza che provava sia nelle ossa che nella mente, non che quando era lontana da Toga riuscisse davvero a riposare.  

Negli anni la tensione e l’ansia ogni volta che si separavano non erano mai diminuiti, in più la necessità di essere sempre vigile e attenta quando era sola – al di là delle guardie che non la lasciavano mai – le aveva insegnato che proprio nei momenti di presunta debolezza bisognava accendere i propri sensi.  

Izayoi non era una sprovveduta e nonostante si fosse sempre dimostrata il ritratto della gentilezza e della calma nascondeva dentro di sé quel carattere forte e deciso che Kagome aveva intravisto la prima volta che si erano incontrate. Non era più la ragazza isolata e immatura che suo padre aveva formato e, per questo, nessuno quella stessa notte avrebbe potuto prenderla alla sprovvista come era accaduto con Kagome. Aiutava anche l’aver imparato a difendersi e che non faceva male tenere a portata di mano qualche regalo più particolare del compagno, come le bellissime armi che commissionava sempre al fabbro Totosai. Fu così dunque che quando degli strani rumori la destarono da quei pensieri più oscuri Izayoi era più che preparata ad accogliere l’intruso.  

Non era la prima volta che qualcuno tentava di attaccarla in assenza di Toga e se c’era una cosa che tutti quei traditori avevano in comune era l’ingenuità: credevano davvero che lei fosse così debole come appariva. E tutto ciò le era sempre di immenso aiuto. Dopo tutto, per quanto addestrata, Izayoi sapeva che in determinate situazioni non avrebbe mai potuto vincere e contava sempre nell’ottusità dei suoi nemici per far fronte a debolezze che non poteva eliminare in altri modi. Quando, poi, a intrufolarsi nella sua stanza fu un’unica guardia, la donna seppe di aver guadagnato più di un vantaggio che le sarebbe stato fondamentale.  

Il demone si immobilizzò nel non trovarla sul futon addormentata e quell’attimo di esitazione fu quel che bastò a Izayoi di bloccarlo in tempo per l’arrivo di guardie più fidate.  

“Izayoi-sama!” urlò una di loro non appena si fu assicurato che stesse bene mentre il suo compagno si occupava del traditore. “Per fortuna state bene.” 

Lei lo riconobbe subito ma invece di esserne sollevata vederlo la spaventò ancora di più: non era una delle sue. Quello e la presenza del traditore nella stanza lasciavano presagire che più di qualcosa era andata storta.  

“Jiro, dove sono gli altri?” volle sapere immediatamente mentre si copriva le spalle con una giacca ancora più pesante per nascondere i brividi che le stavano attraversando il corpo. Ma sebbene la paura minacciasse di impadronirsi di lei, Izayoi sapeva che non poteva lasciarsi andare ad essa: era lei a comando in questo caso e non poteva in alcun modo dimostrarsi impaurita davanti a dei demoni che avrebbero potuto approfittarne. Per questo motivo il suo sguardo era duro e il tono di voce tagliente e autoritario sebbene a venire in suo soccorso erano stati dei soldati che si erano sempre meritati la sua fiducia. Non poteva abbassare la guardia; non in quel momento.  

“Eravamo a difesa delle mura interne quando abbiamo sentito delle urla provenire dal villaggio insieme all’odore di fumo e carne bruciata.” La principessa non seppe nascondere un brivido di orrore nel sentire le ultime parole, ma il demone fece finta di nulla e continuò il racconto. “Ci siamo divisi, mia signora, e noi siamo giunti in tempo per liberarvi di questo traditore mentre gli altri accorrevano in aiuto di Kagome-sama.”  

“Kagome? È salva, dunque? Kagome è salva?” chiese febbrilmente, dimenticandosi per un attimo dell’assenza delle sue guardie e muovendosi dal punto in cui era stata ferma finora per uscire dalla stanza e raggiungere la ragazza così da sincerarsi in prima persona delle sue condizioni. Tuttavia, Jiro la bloccò e, se pur con dispiacere, la informò che non poteva lasciarla andare oltre fin quando non avrebbero saputo cosa stava accadendo mentre il suo compagno stordiva e legava il demone che si era introdotto per farle del male. Stava anche per dirle che loro due non erano ancora a conoscenza di ciò che era accaduto a Kagome, visto che si erano precipitati da lei, quando altri tre demoni entrarono nella stanza che non era mai sembrata così affollata come ora.  

“Izayoi-sama,” urlò quello che lei riconobbe come Kazuo o, come Toga scherzosamente lo definiva, la sua ombra personale – anche per questo motivo la principessa si era stupita della sua assenza. “Izayoi-sama,” ripeté. Il suo tono allarmato, l’espressione spaventata e le vesti insanguinate la fecero impallidire e il terrore che aveva sentito poco prima aumentò in modo esponenziale. “La giovane sacerdotessa è sparita.”  

In un attimo tutto il resto fu dimenticato.  

Izayoi non si accorse che qualcuno aveva dovuta sorreggerla prima che potesse svenire né udì altri demoni fare rapporto e riferire che la sua seconda guardia più quelle di Kagome erano state trovate morte o che i danni al villaggio e ai loro abitanti erano stati tremendi prima che avessero potuto spegnere l’incendio. Più tardi non rilevò la presenza di Kaede accanto a sé o sentì il sapore amaro della bevanda che l’anziana le somministrò per calmarle i nervi e indurla a riposare. Le uniche immagini che continuavano a registrarsi davanti ai suoi occhi erano l’espressione impensierita di Kagome quel pomeriggio e il sorriso che suo figlio aveva riservato alla giovane prima di lasciarla nelle sue cure. E prima che smettesse di combattere la stanchezza e lo shock e si arrendesse al buio, il senso di colpa la invase, seguito subito dall’orrore.  

Come avrebbe potuto accogliere Inuyasha al suo ritorno sapendo che non era riuscita nel compito che lui le aveva affidato? Ma, soprattutto, come avrebbe convissuto con se stessa se non avesse più potuto rivedere quella felicità sulle labbra del figlio?  

 

*** 

 

Il senso di inquietudine aumentava a mano a mano che proseguivano e la distruzione si faceva più chiara sebbene al momento la luce naturale fosse assente. Alzando gli occhi al cielo, Inuyasha notò le nuvole che lo ricoprivano farsi sempre più nere a causa del fumo che saliva dai vari villaggi insieme alla puzza di sangue e paura mentre le sue orecchie vibravano a causa delle grida e dei pianti in una notte per nulla silenziosa. Sospirò, pensando che a breve avrebbe dimenticato cosa significava respirare aria pulita o apprezzare la quiete; la disperazione stava diventando sempre più opprimente fino a soffocarlo. 

Chiunque stesse reclamando la loro attenzione lo stava facendo in modo molto preciso e seguendo uno schema: non solo stava lasciando loro un messaggio ma, allo stesso tempo, stava tentando di rovinare tutti gli sforzi che suo padre aveva fatto nel corso dei secoli. Ad essere stati attaccati, infatti, non erano solo i demoni che abitavano le loro terre sul confine ma anche i villaggi umani al di là di esso, assicurando quindi che il malcontento dilagasse. A loro non rimaneva altro che tentare di spegnerlo sul nascere, prima che a esso si accompagnasse anche la sete di vendetta e nuove guerre – di cui certamente non avevano bisogno – scoppiassero.  

Non si poteva certo dire che sarebbero rimasti presto con le mani in mano: cercare di soccorrere i sopravvissuti, ricostruire le loro abitazioni, offrire loro un riparo, consolarli e seppellire i morti erano attività che stavano risucchiando ogni loro secondo e non rimaneva tempo libero per catturare colui che era la causa di tutto. Non era difficile immaginare che il colpevole avesse architettato tutto con sapienza e che niente era una coincidenza – proprio come Toga aveva detto quando aveva parlato per la prima volta di ciò che stava accadendo lì più a Sud.  

Quando aveva lasciato il castello Inuyasha aveva immaginato che sperare di tornare presto sarebbe stato da illusi ma non aveva nemmeno pensato di trovare tutto ciò. Si rendeva conto ora, con la distruzione e il dolore costantemente davanti ai suoi occhi e nelle sue narici, che sarebbero passate settimane prima che avrebbe potuto rivedere Kagome. Proprio mentre stava formulando quest’ultimo pensiero e il nome dell’amata gli rimbombava nella mente, Inuyasha udì una voce sconosciuta chiamarlo. Sia lui che suo padre si voltarono nella direzione da cui proveniva e furono sorpresi di vedere proprio colui che erano venuti a cercare. L’Inu-no-Taisho aveva creduto che il demone avrebbe continuato a sfuggire loro per molto tempo e, invece, ora si presentava di sua spontanea volontà – e la cosa non gli piaceva.  

Era avvolto da una pelliccia di babbuino di un bianco candido, proprio come ogni avvistamento precedente aveva rivelato, che lo copriva quasi del tutto, lasciando scoperti solo gli occhi e le labbra, quel tanto perché loro potessero vedere chiaramente il sorriso maligno e la risata derisoria nelle sue orbite scure. Avanzò verso di loro a passo calcolato e con la schiena leggermente curva, lasciando dietro sé terra arida e bruciata, e quando si fermò era ancora molto lontano ma nel pieno della loro traiettoria.  

Toga lo studiò meglio e chissà perché non si sorprese quando scoprì che aveva l’aura più scura e malvagia che avesse mai incontrato – e ne aveva sconfitti di nemici crudeli nel corso della sua lunga vita. Ciò che invece lo scioccò fu l’odore che, seppur per molti versi simile a quello di altri demonî, nascondeva qualcosa di particolare a cui non seppe dare un nome su due piedi. Ciò gli fece capire che colui che aveva davanti era diverso da quel che avevano finora conosciuto: non era un semplice demone e bisognava scoprire la sua vera natura per poterlo affrontare.  

Le sue considerazioni non durarono che pochi secondi durante i quali il sorriso sbilenco non lasciò mai le labbra del demonio così come il suo sguardo non vacillò mai, sempre puntato sulla figura di Inuyasha. Quella consapevolezza spaventò Toga che si chiese perché mai quell’essere fosse interessato solo a lui. Inuyasha però, al contrario, non sembrava per nulla disturbato dalla cosa, anzi; nella sua postura e nei suoi movimenti il dai-youkai lesse subito eccitazione, adrenalina e voglia di combattere. Che il sangue gli fosse già andato alla testa? Sapeva che talvolta Inuyasha faticava ad analizzare propriamente una situazione perché partiva subito in quarta – un difetto che lui aveva tentato invano di migliorare.  

“Inuyasha!” lo richiamò, severo, prima che il figlio potesse fare un altro passo. “Ricorda ciò che ti ho sempre detto.”  

Il mezzo demone si voltò verso il padre e Toga vide un ghigno che prima era assente – e che non si addiceva al luogo in cui si trovavano – predominante sul suo viso. “Non ti preoccupare, pa’. Sembra che il nostro ospite qui abbia voglia di combattere con me e allora perché non accontentarlo?” 

Toga sospirò. Non ebbe modo di fermarlo ulteriormente né di ripetergli alcuna raccomandazione perché era già partito all’attacco – ancora una volta come uno sprovveduto, per quanto egli avesse cercato di evitare proprio uno scenario simile.  

Inuyasha, però, non aveva dimenticato le lezioni del padre e, iniziata la battaglia, sapeva che doveva mantenere i sensi all’erta e non lasciarsi comandare dall’adrenalina che gli scorreva potente nel sangue o dall’istinto naturale di sopraffare quel demone solo per dimostrare di essere migliore – pur essendo un mezzo demone, un sangue sporco. Era difficile e come ogni volta gli sembrò che non stesse solo combattendo contro quell’essere, ma anche contro se stesso, contro quelle due parti di sé che in queste situazioni, più di altre, erano in continua lotta. All’inizio fu facile lasciarsi andare suo malgrado alla parte più demonica, godere della potenza con la quale evitava gli attacchi del nemico e ne infliggeva altri, costringendolo a indietreggiare o mettendolo alle strette; la semplicità con la quale si trovò a dirigere il tutto lo inebriò e si sentì per qualche minuto onnipotente. Ma Inuyasha non era uno sciocco e ben presto si rese conto che qualcosa non andava. 

All’improvviso si bloccò con la spada a mezz’aria, sorprendendo sia suo padre che il demone con la pelliccia.  

“Sei già stanco, mezzosangue?” lo provocò quest’ultimo, ridendo in modo sguaiato e raddrizzandosi, rivelando che ogni colpo subito non gli aveva fatto nulla. 

Ed eccola la risposta che Inuyasha stava cercando.  

Era stato fin troppo facile, finora, sottomettere qualcuno capace di cotanta distruzione. L’euforia, per un po’, lo aveva accecato e non si era accorto che tanta facilità non era un buon segno né lo era il modo in cui veniva ora istigato. E perché ce l’aveva proprio con lui? Perché non suo padre? Era a lui che di solito i loro nemici si rivolgevano; nessuno prendeva mai in considerazione il mezzo demone, reputandolo un essere debole che non meritava nemmeno di combattere con loro. E per quanto quest’ultimo pensiero lo avesse sempre fatto infuriare, l’improvviso cambio lo disturbava.  

Raggiunse la stessa conclusione a cui era arrivato il padre e capì il demone di fronte a loro non era come gli altri né le sue azioni potevano essere ricondotte alla comune sete di potere o l’invidia nei confronti dell’Inu-no-Taisho. Allora cosa lo muoveva? Inuyasha aveva quasi paura di scoprirlo.  

“Oh, non mi dire che abbiamo davvero già finito, Inuyasha. Mi deludi. Avevo capito che fossi un tipo energetico, per così dire, sempre pronto a combattere.” Rise di nuovo e quella risata provocò a padre e figlio dei brividi. Toga affiancò Inuyasha, ma prima ancora che potesse parlare, il demone lo precedette. “Come vuoi,” riprese, per un attimo scocciato. “Ero disposto a farti allenare un po’ di più, ma così non fai che rendermi le cose più facili.” 

“Cos’è che vuoi?” pretese Toga, imponente. Era impossibile non fare il confronto tra loro due: Toga era più alto, robusto e calmo; l’altro sotto la sua maschera vibrava sempre più di rabbia ogni secondo che passava e non si accorgeva che essere dominato da tale sentimento lo rendeva così piccolo a confronto.  

“Il mio obiettivo qui questa notte era lasciare un messaggio ben preciso, ma non mi è dispiaciuto divertirmi un po’. In più, volevo un assaggio di ciò che mi aspettava e ora che l’ho avuto non credo che quando ci affronteremo davvero dovrò impegnarmi poi così tanto, Inuyasha.” Le sue parole miravano ancora una volta a provocare il mezzo demone che, però, a parte una presa più stretta sull’elsa di Tessaiga si mantenne tranquillo – almeno all’esterno.  

“Il tuo messaggio sembrava chiaro anche prima che ti presentassi a noi,” ribatté Toga riferendosi alla distruzione che li circondava. “E se ti ritieni così tanto superiore a mio figlio perché non lo affronti come si deve in questo momento? Perché invece ci fai perdere tempo con questi tuoi discorsi vuoti?” 

Il demone ghignò. “Non mentono sulla tua intelligenza, Generale, ma non ti servirà molto stavolta. Non ho più bisogno di guadagnare tempo perché ho avuto quel che desideravo: ho lasciato da tempo il tuo castello e ho recuperato ciò che mi apparteneva.” Le sue parole ebbero l’effetto desiderato: i due inu-youkai si immobilizzarono mentre prendevano finalmente consapevolezza di ciò che era accaduto e in quale trappola era caduti. Rise ancora più forte, tanto da coprire per qualche secondo ogni altro rumore in quella radura che ospitava i pochi resti rimasti di un villaggio distrutto. Infine, si alzò in volo e puntò un’ultima volta lo sguardo su Inuyasha, pronunciando parole che lo avrebbero perseguitato durante l’agonizzante viaggio di ritorno. “Ti saluterò la mia dolce Kagome non appena ci riuniremo… o forse no.”  

“Bastardo!” urlò Inuyasha lanciandosi contro di lui e tranciandogli la testa in un sol colpo; questa cadde e rotolò a terra senza lasciare nemmeno una traccia di sangue ma troncando del tutto la risata maligna che avevano udito finora. Il mezzo demone, non soddisfatto, lanciò un urlo ricco di rabbia che echeggiò attorno a loro, tentando di contenere la furia che lo stava infiammando dentro. Ogni tentativo fu però inutile quando scoprì l’ulteriore trappola in cui era caduto. 

Tra i resti del demone che sosteneva di aver rapito Kagome giaceva un piccolo fantoccio in legno ricoperto da un paio di capelli neri che suo padre raccolse con cautela mentre ciò che restava del corpo diventava infine polvere. “Un impostore,” rivelò Toga alzando il viso verso il figlio e leggendo nei suoi occhi il terrore puro.  

“Kagome,” sussurrò quest’ultimo in risposta prima di scattare nella direzione da cui era arrivati qualche ora prima e lasciando dietro di sé ogni altra cosa, senza nemmeno aspettare il genitore. Erano stupidamente caduti nella trappola di quel demone e temeva quel che avrebbe trovato al castello dove aveva lasciato le donne più importanti della sua vita. Tuttavia, la paura che sentiva non gli impedì di correre più veloce che poté verso di loro e sperare che tutto fosse solo un brutto incubo. Quelle vane speranze, almeno, gli impedirono di pensare all’odore che aveva riconosciuto quando suo padre aveva raccolto la statuetta, lo stesso che aveva sentito solo un’altra volta al villaggio di Kagome.  

Qualunque cosa significasse Inuyasha non voleva pensarci perché sapeva che, nel momento in cui lo avrebbe capito, tutto sarebbe peggiorato e sarebbe stato ancora più difficile uscire da quell’incubo in cui era precipitato.  

 

 


N/A: Buonasera a tutti ❤. 
Avevo già lasciato indizi quindi penso che non sia stata una grossa sorpresa questo capitolo, ma come sempre spero vi sia piaciuto. 

A prestissimo! 
   
 
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