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Autore: velocecalogiuri    18/11/2022    4 recensioni
[Serie Tv]
[Serie Tv]Era un collega. Solo un collega. Nient’altro che un collega. Un collega che aveva avuto una sventura, una disgrazia, un “errore fatale” —come lo aveva definito Vitali. [Imma x Calogiuri]
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Piccolo disclaimer: in questo capitolo non ci saranno flashback, ma torneranno!
Come sempre grazie a chi ha letto e doppiamente grazie a chi ha commentato, qui e su twitter (velocecalogiuri). Buona lettura!



Imma aveva contato ogni ora che la separava dalla fine di quella giornata lavorativa. Per la prima volta in vita sua le era pesato il tempo che trascorreva al lavoro. Ogni mezz’ora chiedeva a sé stessa se fosse ancora sicura di ciò che stava per fare ed ogni mezz’ora si rispondeva di sì. Sapeva che era un sì sempre meno convinto e aveva quasi il terrore che man mano che il tempo passava potesse diventare un ni, e poi un no. Per questo quel maledetto tempo doveva sbrigarsi a passare. Addirittura Diana fece caso al modo in cui guardava continuamente l’orologio —senza contare che non aveva mai smesso di muovere il piede sotto la scrivania: “Ma che hai un appuntamento?” Le aveva chiesto. “No, macché appuntamento! E’ che c’ho da ritirare una coperta in tintoria e quelli alle sette chiudono”. Fortunatamente per lei, Diana non fece altre domande.
Poi aveva fatto quella telefonata: “Pietro, guarda che stasera torno tardi. Mi trattengo in procura a controllare dei documenti.” Cercò di trovare ogni briciolo di forza che aveva per mentire, mentre quella maledetta voce nella sua testa le urlava che quella sarebbe stata solo la prima di un’interminabile serie di bugie.
Infine, arrivò quel messaggio che stava aspettando da tutto il giorno: “Sono qui fuori in macchina” le aveva scritto semplicemente Calogiuri. Il cuore prese a batterle come —era sicura— non aveva mai fatto prima. D’istinto si passò una mano tra i ricci e cercò di sistemarli alla bell’e meglio, poi si stiracchiò la gonna. Era tutto ciò che poteva fare per rendersi presentabile dopo quell’interminabile giornata.
Nessuno dei due disse una parola mentre Calogiuri guidava verso il muretto. Imma notò soltanto che aveva già preso due birre ghiacciate, ma qualcosa le suggeriva che non le avrebbero toccate.
Per tutto il viaggio lei guardò fuori dal finestrino, cercando di immaginarsi come sarebbe potuto andare il discorso. Sapeva per esperienza che una cosa programmata non va mai come da programma, quindi evitò quanto più possibile di crearsi delle aspettative. Lanciò uno sguardo al maresciallo, ma lui sembrava completamente assorto nei suoi pensieri mentre guardava fisso di fronte a sé, impenetrabile.

Quando finalmente arrivarono, quel muretto sembrò non appartenere non solo a Matera, ma neppure all’Italia: sembrava avessero trascorso ore in quella macchina in silenzio. Un silenzio che sembrava voler continuare anche ora che erano uno di fianco all’altro, le birre aperte ma intatte davanti a loro. Il sole era tramontato da un po’: gli inizi di dicembre, con le sue giornate troppo brevi erano qualcosa che le aveva sempre messo molta tristezza. A questo pensava Imma mentre si lasciò andare: “Uno dei ragazzi con cui viveva la vittima sembra che sia fuggito a Firenze, dai suoi genitori.” La sua voce era appena udibile. Vide Calogiuri finalmente voltarsi verso di lei, confuso. “Non credo che sia responsabile diretto dell’omicidio, ma credo che sappia molto più di quel che dice”.
“Lo convoco in procura.” Disse prontamente il maresciallo.
“No” disse lei in un sussurro “Andiamo noi da lui.” Ok, ce l’hai fatta, l’hai detto. Non si torna più indietro.
“Volete mandarlo a prendere, dottoressa?”
“No” si voltò finalmente verso di lui e gli fece un sorriso timido “voglio che tu venga con me a Firenze per interrogarlo in modo informale. Partiamo lunedì.”
Calogiuri si sentì tremare lo stomaco, mentre la guardava incredulo: “Firenze non è proprio dietro l’angolo, dottoressa” sorrise anche lui, un po’ nervosamente.
“Infatti conto di restare una notte lì. Va bene per te?”
“Certo.” Il maresciallo si sforzò di mantenere un tono professionale, ma non poteva evitare di lasciar trasparire una certa confusione: “Mi avete chiesto di vederci qui per chiedermi di fare con voi un viaggio di lavoro?” chiese infatti, sorpreso dalla sua stessa determinazione.
“Ti ho chiesto di vederci qui perché sei innamorato di me.” Disse Imma tutto d’un fiato. Ormai aveva intrapreso una strada senza uscita —o meglio, con l’uscita illuminata da luci al neon colorate come a Las Vegas, che le promettevano una giostra di emozioni su cui non vedeva l’ora di salire. Ormai aveva deciso. Non si torna indietro.
“Come?” Quel sussurro di Calogiuri, talmente basso, fu portato via dal vento e Imma neppure lo sentì.
“Ho sentito tutto la sera delle foto. Non stavo sognando Calogiuri, non stavo nemmeno dormendo. Hai detto ‘dottoressa, io credo di essermi innamorato di te’.” 
Calogiuri continuò a fissare la sua bottiglia di birra, mantenendo lo sguardo basso come un bambino colto in fallo: “Mi dispiace. Quella sera ho sbagliato ogni cosa. Ho rovinato tutto. Mi dispiace tanto, mi dovete credere.”
“Ti dispiace di aver detto la verità?”
“Mi dispiace che voi l’abbiate sentita. Doveva restare… neanche un segreto, perché voi lo sapete da sempre. Lo capite da come vi guardo che…”
“Che?” Imma fece un passo verso di lui. Si sentiva di una spavalderia tipica di lei solo quando era davanti a un giudice e a un altro paio di avvocati. Calogiuri la sentiva vicina. Poteva quasi sentire il suo respiro addosso, che contrastava con l’aria gelida di dicembre: “Perché me lo dovete fare dire, dottoressa? Mi sono sforzato così tanto di cancellare tutto, di ricominciare daccapo con tutto.”
“E ci sei riuscito?”
Calogiuri abbassò di nuovo lo sguardo, ma Imma era ormai talmente vicina che si ritrovò a guardarla negli occhi. Quindi rinunciò ad ogni remore: “Non ci riuscirò mai.” Con una delicatezza ancora maggiore di quanto Imma si sarebbe mai immaginata, il maresciallo portò la mano verso il suo viso. Non era incerto nei movimenti, piuttosto era come se le sue dita le chiedessero il permesso prima di sfiorarla appena.
Imma chiuse gli occhi e assaporò ogni secondo di quel tocco: “Bene,” sussurrò, riaprendo gli occhi e mischiandoli coi suoi, azzurri come nessun altro, “Perché anche io credo di essermi innamorata di te, Calogiuri.”
Lo aveva fatto. Lo aveva detto. Niente da quel momento in poi sarebbe stato più lo stesso. Aveva inevitabilmente appena cambiato la sua vita con dieci semplici parole. E con la sua aveva cambiato quella di Calogiuri, quella di Pietro, quella di Valentina. Ma per quel momento, solo per quel momento c’erano soltanto loro due.
Calogiuri credette di stare sognando, ma come se lei gli avesse letto nel pensiero, gli portò una mano sul viso e glielo accarezzò nello stesso modo in cui lui aveva fatto prima. La guardò ancora per un istante e se non avesse avvicinato il suo volto a quello di lei Imma avrebbe potuto vedere una lacrima che era riuscita a scappare al suo controllo. La baciò, ma il bacio che le diede fu puro. La strinse forte a sè e finalmente si diede il permesso di infilare le dita tra i suoi riccioli rossi che amava tanto. Si strinsero così forte che continuarono a restare stretti anche quando le loro labbra si furono staccate. Occhi negli occhi, si dicevano quello che a parole era ancora troppo presto per dire.
“Dottoressa…” si corresse subito: “Imma…”
E così, per la prima volta, Calogiuri pronunciò il suo nome: la dottoressa Tataranni lo aveva schifato dal primo giorno in cui era entrata a scuola, all'asilo. Era stata fonte di derisione, di imbarazzo, soprattutto al liceo quando le battute si sprecavano. Eppure in quel momento, pronunciato dalle labbra del maresciallo —di cui aveva ancora il sapore sulle sue— le sembrava il nome più bello del mondo. Non ne avrebbe mai più desiderato un altro.
“Ripetilo ancora.” Gli sorrise.
Calogiuri ricambiò il sorriso: “Imma” le sussurrò prima di baciarla di nuovo, questa volta spingendola con dolcezza contro il loro muretto. “Imma” disse di nuovo mentre la sentiva chiudergli le gambe attorno alla vita, mentre le mani di lei gli spettinavano i capelli nel disperato tentativo di avvicinarlo ancora di più a sé. Il bacio questa volta non aveva niente di puro: era intriso di desiderio, un desiderio che bruciava dentro a entrambi da troppo tempo e che finalmente era stato lasciato libero per qualche secondo.
Improvvisamente, come un segno divino che ricordava a entrambi che quello era un luogo pubblico, sentirono un suono di vetro che precipitava, andando a schiantarsi sui sassi sotto di loro. Era la birra di Imma, caduta dall’altra parte del muretto a causa del suo corpo spinto da quello del maresciallo nel tentativo —bloccato appena in tempo— di accarezzarle le gambe. Si staccarono per ridere come due ragazzini:
“Vabbè, vorrà dire che mi berrò la tua” disse Imma, mentre Calogiuri soffocava un sorriso tra i suoi ricci, prima di baciarla sopra l’orecchio:
“Ma ditemi la verità… questo è un sogno? Se domani mi sveglio sono ancora nel letto dell’ospedale?”
“No Calogiuri. Se domani ti svegli prenoti i biglietti per Firenze. E una camera da letto.” Imma arrossì leggermente.
Calogiuri si fece improvvisamente serio. Si staccò leggermente per guardarla negli occhi e accarezzarle le labbra: “Sei sicura?” Le sussurrò dolcemente. Il cambio improvviso dal voi al tu la fece sorridere istintivamente. “Non devi forzarti se non ti senti pronta. Io posso aspettare.”
“Ancora?! Ma che vuoi aspettare, Calogiù?!” Si finse scocciata, come suo solito, scendendo improvvisamente dal muretto “Vabbè, mo’ andiamo che devo ritirare la coperta in tintoria, che quelli chiudono alle sette.” Prese la birra di lui e bevve un sorso prima di mollargliela in mano. “Andiamo Calogiuri, veloce!”


bene bene bene... alla prossima!

   
 
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