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Autore: _Tallulah_    27/11/2022    1 recensioni
A breve inizierà il secondo al Karasuno. Una corona cadrà, una nuova monarchia sta per fare un colpo di stato nel regno che è la Palestra N2.
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«Per me sei la pallavolo al di fuori della pallavolo.»
Sgranò gli occhi a quelle parole, quella ammissione, con il cuore che pompava e il battito come un tamburo a riempirle le orecchie.
«Ti rendi conto di quello che hai detto?» chiese quasi senza fiato non osando girarsi «Tu..t-tu ami la pallavolo...»
«Già...»
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Karasuno Volleyball Club
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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12 Settembre 2012 mercoledì, Iiyama High School - Iiyama, Prefettura di Nagano

 

Al suono della campanella, che finalmente segnava l’inizio per la pausa pranzo, Kimiko lasciò andare un sospiro stanco e carico di frustrazione. 

Improvvisamente si stava pentendo della velocità con cui accantonò, nei mesi precedenti dopo la decisione di Naoki di tornare in Giappone, la proposta del fratello. 

Un ricatto i cui contorni erano costruiti, mascherati, modellati per dare forma ad una proposta che lasciasse vagamente l’illusione di un’effimera libertà di scelta. In realtà non vi era nulla in quelle parole che lasciasse veramente spazio per una libera scelta. 

 

Vuoi restare in Europa? Bene, ti iscrivo in un collegio in Svizzera. Non puoi restare senza una supervisione e non posso lasciare questa responsabilità alle famiglie di Peter o Helmi.

 

Kimiko sapeva troppo bene che accettare sarebbe stato come chiudersi volontariamente in una gabbia dorata.  
Sarebbe rimasta in Europa certo ma al prezzo della sua autonomia. 

Non sarebbe potuta uscire dal collegio quando voleva. Probabilmente telefono e computer requisiti, quindi contatti limitati con gli amici. Ovviamente iente viaggi. Sicuramente nessuna possibilità per partecipare a casting e shooting e arrivederci anche alla piccola indipendenza economica, non che Naoki le avesse mai detto un “no categorico” per qualcosa, al massimo per spese più esose (come l’acquisto della Sony che si era comunque comprata da sola con i soldi che aveva messo da parte) avevano parlato per valutare insieme cercando di fare un acquisto mirato e oculato. 

 

La ragazza osservò con occhio scettico quelle scie di grafite intrappolate, come lei, tra le righe del quaderno. Un pasticcio di appunti segnati metà in giapponese e metà in inglese. 

Era quasi ironico. Quegli scarabocchi in doppia lingua la riportavano molto indietro a quando appena trasferita nella scuola a Roma scriveva in giapponese ed un inglese stentato. Ora c’era il rovescio della medaglia. 

A distogliere la sua attenzione da quei pensieri fu una bottiglietta di Qoo alla mela che veniva poggiata sul suo banco. 

Ikeda si ritrovò davanti Ito con alcuni membri della squadra, li fissò non sapendo cosa pensare. 

Morita, il capitano, avvicinò una sedia e ci si lasciò cadere «Ikeda, iscriviti al club per favore.»  

«Come prego?» 

«Dai Ikeda, hai capito. Non abbiamo mai fatto un allenamento così proficuo come sabato.»  

Ikeda sospirò allungando la mano verso la bottiglietta «Non era un allenamento proficuo.» 

«E allora vieni e faccene fare uno che tu possa considerare proficuo.» ribatté il capitano. 

«Ma siete seri?» 

Fu Ito a prendere la parola «A fine settembre ci saranno le preliminari nella nostra prefettura per il Torneo di Primavera.» disse con un tono e una serietà che i suoi compagni non gli avevano mai visto «So che è pochissimo tempo ma...non voglio fare schifo. E non voglio che facciano schifo anche gli altri per le mie alzate mediocri.» 

Prima che Ikeda potesse aprire bocca Ito la interruppe. 

«Si lo so, lo hai già detto, che non volevi dirlo come offesa ma era una constatazione. Resta semplicemente un dato di fatto.» 

Il ragazzo affondò le unghie nei palmi delle mani «La nostra scuola fa schifo da sempre in pratica. Siamo una scuola in mezzo al niente, non abbiamo la fortuna delle altre scuole dove hanno allenatori, vice allenatori, strumenti, pesi...non so nemmeno che altro possa servire.»  

«Avete quattro mura, una rete e due ceste di palloni.» alzò gli occhi al cielo «Tutto il resto è superfluo o facilmente sostituibile.» fece notare Ikeda. 

«E non sappiamo comunque cosa farci.» riprese Ito «Tu invece sabato sapevi perfettamente cosa fare, come muoverti sul campo...come giocare.» 

«Non mi pare che si possano creare squadre miste. Cosa mi state chiedendo esattamente?» fu la domanda di Ikeda, guardando i ragazzi con la testa leggermente piegata prendendo un sorso dalla bevanda offerta da Ito. 

Quella visita stava prendendo una strana piega e non sapeva dire in che senso. 

«Iscriviti al club. Ufficialmente come manager.» propose il capitano sporgendosi di poco sulla sedia verso la ragazza «Ufficiosamente allenaci.» 

A Ikeda andò di traverso la bevanda a quelle parole, iniziando a tossire a più non posso. 

Continuò a guardare i ragazzi tra un colpo di tosse e l’altro. Erano tutti estremamente seri in volto. 

La ragazza inarcò le sopracciglia confusa «Io?» 

I ragazzi annuirono. 

«Che alleno voi?» domandò indicandoli con la bottiglietta per essere sicura. 

Annuirono una seconda volta. 

Chiuse la bottiglietta posandola sul tavolo. Le mani aperte, i palmi completamente poggiati sulla superficie lista riflettendo. 

Per un momento si chiese se fosse possibile una cosa del genere. 

Non poteva negare a sé stessa come le mancasse sentire, vedere e ragionare sullo svolgimento di una partita. Quando un’azione ben pensata e studiata andava a segno, meglio ancora se come negli scacchi si valutavano le alternative per le tre mosse successive. 

In Italia aveva visto gli allenamenti di un’ottima squadra, poi Naoki l’aveva iscritta in una piccola palestra che formava una squadra di minivolley. 

Non era andata molto bene, avevano cancellato la sua iscrizione dopo qualche allenamento, non che le dispiacesse. 

A Dublino era più grandicella, ci aveva riprovato ma continuava a lamentarsi, odiando il gioco femminile. 

Brixton, a Londra, era stata una boccata di aria fresca, solo figurativamente perché certi giorni l’aria risultava davvero pesante. 

Ma parlare di allenamento a Brixton non aveva senso. Si era semplicemente inserita tra i ragazzi del quartiere che giocavano, in quel campetto con la rete sgangherata. 

Saltuariamente venivano altri ragazzi per fare delle partite. Giocavano e basta senza avere alle spalle un allenamento, solo la necessità di sfogare energie da parte di quei broccoloni allampanati e la voglia di strappare qualche sterlina ai rivali. 

«Io devo studiare, faccio schifo in alcune materie non ho tempo. E anche voi non avete tempo. Non si fanno i miracoli in qualche settimana.» provò a dire. 

«Ti aiutiamo noi...tu dacci una mano con il club. Sicuramente è poco tempo ma possiamo mettere le basi anche per l’anno prossimo con il tuo aiuto, puntare all’inter-liceale.» insistette Ito. 

Ikeda si girò verso i ragazzi del secondo anno fermando gli occhi in quelli del capitano «Io mi trasferirò a fine anno.» 

«Ikeda...» la richiamò Ito «Dacci una settimana, e poi decidi. Non ci lamenteremo se è quello che ti preoccupa e passeremo sopra qualsiasi comportamento.» 

La ragazza si strofinò la fronte per poi passare agli occhi. 

«Una settimana e poi vediamo.» disse pizzicandosi debolmente il ponte del naso più convinta che persuasa dell’intera faccenda «E non ci dovete passare sopra. Fatemelo notare se non va bene, non vi assicuro comunque che dirò le cose in maniera carina.» 

«Va bene...più che bene.» disse il capitano. 

Ikeda gli lanciò un’occhiata veloce facendo poi scorrere lo sguardo sui presenti. 

«Non si discute sugli esercizi e la modalità. Se io dico saltate lo fate. Se dico correte voi correte. E non voglio pianti in plank». 

«Cos’è? Una cosa di gioco?» chiese Wada 

Ito vedendo la ragazza sbiancare a quella domanda provò a recuperare la situazione «Non essere così curioso. Domani lo scopriremo.» 

«Domani un corno!» sbuffò Ikeda «Oggi! Lo scoprirete oggi.» 

«Hai portato la tuta? Ma oggi non c’è educazione fisica. Come giochi?» domandò l’alzatore. 

«Pomeriggio non si gioca. E non mi serve la tuta per farvi sgobbare e vedere il vostro punto di rottura.» rispose in maniera pragmatica «Piuttosto...» Ikeda indicò la lavagna «Ito tu hai capito qualcosa di quello che ha spiegato il professore?» 

 

 

11-12 Aprile 2013 giovedì/venerdì, Karasuno High School - Prefettura di Miyagi

 

Nei due giorni di calendario che li dividevano da quell’amichevole il tempo trascorse indolente.  

Kageyama si era disinteressato completamente a Ikeda, mettendo da parte qualsiasi cosa la riguardasse. Alla fine, pensava, visto che dipendeva da lui capirci qualcosa, sarebbe bastato non fare nemmeno il minimo sforzo per assicurarsi che la situazione rimanesse in quel modo. 

Ikeda quei due giorni li aveva passati con un dizionario quasi sempre aperto con il tablet accesso su un file in pdf nei momenti liberi, trascrivendo caratteri e numeri su un quaderno bianco che pian piano perdeva il suo candore. 

Con i primini erano rimasti di sentirsi esclusivamente su Line evitando di vedersi in quei giorni. 

Le avevano riferito di quanto Kageyama fosse concentrato sugli allenamenti ma intrattabile come al solito, tormentando in particolar modo Yaotome per come mettesse male le mani per le alzate. 

 

Tsukishima e Yamaguchi dopo aver consumato il loro pranzo in classe l’avevano raggiunta, quel giovedì, facendo capolino nella classe di Ikeda. 

«Sarai combattuta per chi fare il tifo?» scherzò Yamaguchi mentre Ikeda continuava a sfogliare le pagine di quel voluminoso dizionario. 

«Vengo solo a guardare, non parteggio per nessuna delle due squadre.» rispose, lo sguardo basso e il dito puntato su quella parola finalmente trovata e la sua traduzione «Sono la Svizzera.» 

«E come sarebbe essere la Svizzera?» chiese Tsukishima allungandosi leggermente guardando incuriosito quanto scritto «Ti serve una mano?» 

Ikeda chiuse quaderno, vocabolario e girò il tablet «Neutrale e no. Come mai siete qui? Non dirmi che Hinata ha fatto cadere il libro e si è rovinato.» 

Tsukishima non si sorprese troppo per quella replica e quel cambio di discorso «Sembra che non debba presupporre quando non conosco la lingua in cui parla il mio interlocutore.» 

Gli occhi di Ikeda si fecero tagliente «Quindi?» 

Yamaguchi li fissò entrambi in silenzio. Conosceva troppo bene il suo amico d’infanzia per non aver colto le sfumature sarcastiche di quella affermazione ma anche Ikeda sembrava averle intraviste, dalle scintille che aveva trasmesso con quell’unica parola. 

«Non credo molto alla neutralità.» replicò Tsukishima con voce derisoria. 

Ikeda si fece indietro con la schiena, posando un gomito sullo schienale della sedia sollevò la testa per guardare meglio il ragazzo rimasto in piedi davanti al suo banco. 

Iniziò a tamburellare con la matita, stretta tra l’indice e il medio, sulla copertina del quaderno mentre stava valutando il centrale. 

«Sei un monello...Tsukki.» affermò Ikeda con un sorriso puntando la matita verso di lui «Ti è piaciuto convincerli, e convincerlo, che bastasse scusarsi? Quando ci sei arrivato?» 

Il centrale sistemò meglio la montatura dei suoi occhiali sentendosi colto in flagrante «Cosa speri in questa partita?» domandò, decidendo di non rispondere e rischiare con quella domanda. 

«Credo ci sarà la chiave di svolta. Non voglio perdermi la sua faccia appena succederà. Questo comunque non vuol dire non essere neutrale.» 

Tsukishima rimase a guardarla senza aggiungere altro, poi si voltò prendo la via della porta seguito dal suo amico con espressione confusa. 

«A sabato allora.» la salutò congedandosi. 

Yamaguchi si girò per farle cenno con la mano e salutarla ancora perplesso. 

 

Era evidente come Yamaguchi al suo fianco stesse fremendo, l’incrollabile fiducia che riponeva in lui unita al saper riconoscere quando gongolava gli fecero credere che a breve avrebbe reso partecipe anche lui dei suoi pensieri. 

Il silenzio durò il tempo che impiegarono per percorrere metà corridoio, poi Yamaguchi non resistette più e finalmente aprì bocca «Hai capito qualcosa vero?» 

«Forse...» ammise con nonchalance. 

Yamaguchi lo guardò in attesa «Quindi è vero. Lo avevi capito che non voleva delle scuse ma hai insistito apposta? Sei stato crudele.» 

L’amico prese un respiro «Non proprio, ci ho ragionato ieri dopo il messaggio riportato da Hinata insieme al libro. Ho ripensato alla discussione in biblioteca.» disse abbassando gli occhi per vedere Yamaguchi sorpreso di quella ammissione. 

«Dopo aveva detto una cosa, visto l’argomento di cui avevamo parlato prima pensavo si stesse riferendo a quello. Quindi seguirò il consiglio che mi aveva dato e me ne starò a guardare. Ti consiglio di fare lo stesso, resta in disparte a guardare, se riesce in qualsiasi cosa ha pensato sarà uno spasso vedere capitolare Kageyama.» 

Yamaguchi aggrottò le sopracciglia «Che aveva detto?» 

«“Gli uomini fanno la guerra con le armi. Le donne preferiscono quella mentale.”» disse con aria annoiata ripensando a come anche lui si fosse fatto trarre in inganno «Ha detto questo. Anche se una guerra mentale con quell’idiota è uno spreco.» 

«Vorresti fare tu una guerra mentale contro Ikeda?» chiese divertito. 

Tsukishima alzò un sopracciglio «Ti sembro così ingenuo?» 

«Scusa Tsukki.» 

Il centrale alzò gli occhi al cielo protestando ma con meno convinzione rispetto al solito. 

 

 

Ikeda si era presa una pausa da quelle trascrizioni solo per pranzare con Yachi di venerdì. 

La manager guardava sempre con curiosità l’interno del bento di Ikeda mentre lo scoperchiava, rivelando pietanze che non somigliavano a nulla. Certo riconosceva gli ingredienti ma non sapeva bene cosa fossero. 

Quel giorno Yachi doveva essere rimasta a fissare più del dovuto quella strana mezza luna di pasta brunita, abbastanza da farsi scoprire da Ikeda. 

«Vuoi provarlo?» chiese con gentilezza Ikeda posizionando il coperchio del bento sotto il recipiente. 

Yachi si vergognò terribilmente, pensando che l’amica se la fosse presa e avesse mal interpretato la sua curiosità. 

«Scusa, scusa non volevo essere inopportuna e fissare il tuo pranzo.» si sbrigò a dire con un misto di timidezza e timore «E che hai sempre cose strane...no cioè non volevo dire strane. Diverse ecco...scusa.» 

Yachi terribilmente a disagio per quelle pessime uscite rimase con la testa abbassata sul suo pranzo senza notare che Ikeda invece stava sorridendo mentre apriva uno scomparto del suo bento che conteneva dei cetrioli tagliati. 

«Anche a me all’inizio i piatti stranieri sembravano tutti strani.» 

Solo allora Yachi alzò gli occhi incontrando quelli sorridenti dell’amica. 

Ikeda indicò il suo pranzo «Quindi vuoi provare?» 

La biondina rimase un attimo titubante, combattuta tra curiosità e incertezza. 

«Ma cos’è?» 

Ikeda iniziò a strappare in due il fazzoletto di carta immaginando che alla fine Yachi avrebbe ceduto e assaggiato. 

«Liha... Liha-pikaka...Lihapiirakka, fortuna Helmi non è a portata di orecchie credo di aver massacrato questa parola. Direi che si può definire un tortino salato.» rispose Ikeda che ne prese uno in mano spaccandolo in due «Dentro è ripieno di carne e riso.» 

«Quindi è un piatto finlandese? Ricorda un po' un nikuman più grande del normale, però non sembra cotto al vapore. Vero?» 

«No è cotto al forno. I nikuman mi sembra di ricordare abbiano più pasta rispetto al ripieno. Non li ho ancora mangiati da quando sono tornata.» 

Ikeda rimase sorpresa che la manager ricordasse quella informazione. Annuì gentilmente porgendole il pezzo più grande avvolto nel tovagliolo. 

«Sul serio? No Ikeda, grazie è troppo grande dammi l’altro.» disse indicando il pezzo che era rimasto momentaneamente nel bento «Non è piccante vero?» chiese Yachi e la ragazza davanti a lei scosse la testa dando un primo morso. 

Yachi chiusi gli occhi come se dovesse saltare nel vuoto e affondò i denti in quel tortino, sperando che non fosse troppo distante dai gusti a cui era abituata. 

«Com’è?» chiese Ikeda, adesso era lei quella curiosa tra le due. 

«Buono, veramente buono.» esclamò Yachi «Tua mamma quindi si è fatta dare la ricetta dalla mamma di Helmi? Pensi che potrebbe darla anche a me? Se è facile potrei farla per i ragazzi.» 

Yachi sparò quella sequenza di domande tra un boccone e l’altro sovrappensiero non si era accorta che Ikeda si era ammutolita. 

Quando si rese conto di aver sollevato, involontariamente, la questione club fu troppo tardi e si fece prendere dal panico. «Scusa...io non volevo dire...No non li farò per loro.» 

«Li ho fatti io.» 

Yachi alzò lo sguardo sulla ragazza che invece teneva la testa china. 

Prese un profondo respiro, alzo la testa e con un sorriso tirato Ikeda ripeté «Li ho fatti io.» 

«Oh...» la manager non sapeva bene cosa fosse quella strana sensazione che sentiva alla bocca dello stomaco, sicuramente non era il tortino «Si a casa mia sono solita cucinare più spesso io rispetto a mia mamma.» 

Ikeda sospirò e distolse gli occhi, sfuggendo quelli di Yachi, iniziando a guardare il cielo fuori dalla classe. Sapeva che ad un certo punto quella cosa sarebbe saltata fuori, ricordava bene però il disagio che aveva provato Ito e gli altri e c’era voluto qualche giorno per fargli capire che era un comportamento sciocco. 

Si schiarì la gola «A casa mia siamo solo io e Naoki.» disse, cercando di usare quel modo indiretto che le aveva consigliato Ito per certi argomenti seguendo le convenzioni sociali nipponiche, tornando a guardare Yachi che aveva sgranato gli occhi intuendo velocemente cosa volesse dire con quelle parole. 

«Sarà anche galante ma Naoki non è un cuoco così eccezionale.» scherzò cercando di stemperare la situazione «Fosse per lui mangeremmo solo carne dopo averla buttata su una piastra rovente. Non che quando vuole non cucini bene, anzi alcune cose che prepara le fa molto bene.» 

Mancavano un paio di bocconi per finire il primo tortino. 

Furono dati in silenzio. 

Ikeda si chiedeva se non fosse stato meglio fare finta di nulla ma poi Yachi prese un pezzo di tamagoyaki che componeva il pranzo che si era preparata e la posò nel suo.  

«A casa mia siamo solo io e mia madre.» disse spezzando quel silenzio. 

Questa volta furono gli occhi di Yachi a incontrare quelli sgranati di Ikeda che annuì prendendo quel pezzo di frittata con le dita non avendo posate o bacchette. 

«Mmh buona.» disse coprendosi la bocca «Sai quando la cucinavo per la prima volta ai miei amici mi guardavano sempre come se fossi pazza mentre aggiungevo lo zucchero. Mettici anche che all’inizio non la facevo nel padellino adatto quindi la forma era completamente diversa...però alla fine a Londra sono riuscita a trovarlo.» 

«Davvero? Quindi non si usa mettere lo zucchero nella frittata in Europa?» 

Ikeda sollevò il secondo tortino mentre Yachi con le bacchette piluccava il resto del suo pranzo. 
Entrambe sollevate che l’altra avesse voluto continuare la conversazione non soffermandosi troppo. 

Nessuna delle due aveva bisogno di porre altre domande, unite da quella piccola confessione, si erano semplicemente capite ed erano andate oltre. 

Continuarono come sempre, passando da un argomento all’altro. 

Erano finite entrambe a sgranocchiare le rondelle di cetrioli che Ikeda offrì a Yachi spostando la discussione sui capelli. 

«Sai ti stanno bene così, non riesco proprio a immaginarti con i capelli corti.» 

Ikeda allungò una mano per sfiorare le punte bionde dell’amica «Tu hai il vantaggio di poterli asciugare in poco tempo. Però ricordo quanto mi dava fastidio averli davanti gli occhi appena ricrescevano un pò.» 

La manager sorrise indicando i capelli mori di Ikeda sul cui lato destro erano intrecciati in maniera morbida raccogliendo parte delle ciocche che continuavano fino a scomparire coperte dai capelli dietro.  

«Ti piacciono proprio le trecce, ne hai sempre di diverse. Da che parrucchiere sei stata? È una bella piega magari potrei andarci anche io.» 

Ikeda quasi tirò in bocca l’ultimo pezzo di cetriolo «L’ho fatta da sola questa mattina. Mi rilassa farle.» rise della reazione sorpresa della ragazza. 

«Sembra difficile da fare.» 

«Il trucco che la rende bella è questo, un grande effetto per qualcosa di semplice.» Ikeda si pulì le dita sul tovagliolo posandolo nel bento ormai vuoto prima di chiuderlo «Te la posso fare se vuoi e se hai una forcina.» 

«Ho solo questo.» rispose sorridendo, dando già un tacito assenso, togliendosi l’elastico con le due stelline per porgerlo alla ragazza che si stava mettendo alle sue spalle. 

«Andrà bene comunque.» tenendo l’elastico nel mignolo. Iniziò a far scorrere le dita tra le ciocche bionde per pettinarle leggermente «Te la faccio sulla sinistra visto che li tenevi legati da questo lato giusto?» 

«Si...senti posso farti una domanda? Puoi non rispondere.» 

Ikeda rispose affermativamente ma distrattamente più concentrata nel dividere le ciocche in sezioni pensando al risultato. 

«Sei ancora molto arrabbiata con Kageyama?» 

Ikeda rimase senza parole per un secondo ma le dita non si fermarono nel loro operato. 

«No Yachi, non sono personalmente arrabbiata con lui. Sono arrabbiata per procura.» 

«Che cosa vuoi dire?» 

«Che se fossi arrabbiata con lui nel migliore dei casi avrebbe il naso rotto per una pallonata. Nel peggiore sarebbe stato dichiarato persona scomparsa e il suo cadavere non sarebbe stato ritrovato.» 

Yachi si irrigidì sotto le dita di Ikeda che sentiva dietro la nuca mentre le metteva l’elastico «Stai scherzando?» chiese titubante. 

Ikeda si permise di sorridere non essendo vista dalla manager. 

«Intendi sul naso rotto o sul cadavere?» domandò cercando di mascherare il tono divertito. 

Yachi si girò sulla sedia spaventata. Ikeda invece provò a restare seria stringendo le labbra, con scarsi risultati, finì per scoppiare a ridere con allegria. Quel suono vivace contagiò Yachi che si unì ridendo anche lei. 

Le prese il mento tra le dita facendole voltare appena la testa lasciando comunque che la osservasse mentre tirava leggermente le ciocche appena intrecciate per farle cedere. 

«Dobbiamo proprio migliorare con l’umorismo. Io devo ricordarmi che in Giappone devo soppesare meglio quello che dico ma Yachi capisci di più che il più delle volte sto solo scherzando, ok?» 

«Quindi scherzi e non lo vuoi morto.» disse divertita. 

«No, scherzavo sul naso rotto.» ribatté in tono serio «Non sopporto la vista del sangue.» 

Questa volta si trattenne leggermente più a lungo, scoppiando a ridere solo quanto gli occhi di Yachi si riempirono di terrore al pensiero di essere testimone di una possibile ammissione di omicidio premeditato. 

«Scusa, sono troppo divertenti le tue reazioni. Non ti preoccupare.» balbettò tra una risata e l’altra «Mmmh direi che è venuta bene alla fine.» 

Yachi seguì con lo sguardo il punto che Ikeda stava indicando. Non capì cosa intendesse fissando al di fuori della finestra, poi finalmente si mise a fuoco nel riflesso del vetro, si girò per cercare di vedere meglio e le dita si alzarono quasi involontariamente con i polpastrelli che sfioravano il biondo dei suoi capelli in quell’ intreccio volutamente disordinato ma tanto elegante. 

Ikeda aveva già preso le sue cose per tornare al suo lavoro non retribuito di traduzione. 

«Quando ci saremo annoiate di riempire le bottigliette a quegli atleti ingrati ci prenderemo una pausa e ti farò i capelli in qualche altro modo.» disse facendo l’occhiolino alla manager che era rimasta a bocca aperta. 

«Qui-quindi ti iscrivi?» 

«Vedremo…dipende da Kageyama.» rispose alzando un braccio e salutandola come aveva sempre fatto piegando la mano alzata con un unico movimento laterale. 

 
 

 

   
 
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