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Autore: CatherineC94    30/11/2022    5 recensioni
«Come sempre batti in ritirata» osserva Augusta.
«Che ne sai tu?» ringhia Aberforth.
«Albus lo dice sempre» aggiunge Doge già alticcio.
«Chiudi quella fogna» lo minaccia l’altro, gli occhi saettanti.
|At the beginning
lPrima Prova: Let it bleed- Elphias Doge
lExtra- Ballo del Ceppo
lSeconda Prova: Folsom Prison Blues- Augusta Paciock
iTerza Prova: When You're Lost in the Darkness- Aberforth Silente
lQuesta storia partecipa al “Torneo Tremaghi - Harry Potter Edition” indetto sul gruppo Facebook L’angolo di Madama Rosmertal
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aberforth Silente, Augusta Paciock, Elphias Doge
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '#Aberforth'
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Let it bleed
Prima Prova
 
 
 
Pochi istanti prima

 
 
La stanza sembra così piccola che Elphias crede che da un momento all’altro cadrà a terra; le braccia  si muovono convulse e quella fetta di torta al cioccolato che ha divorato la mattina  vuole saltare fuori dallo stomaco con un triplo salto carpiato.
Aberforth l’osserva arcigno, le braccia conserte e sulla bocca tante parole che non vuole esprimere, anche perché preferisce godersi la scena che si presenta davanti.
Augusta invece fa dei calcoli rapidi, come sempre d’altronde, soprattutto quando la situazione è ingarbugliata e deve in qualche modo uscirne.
Elphias sta sudando freddo, un fazzoletto lilla regalato da Albus Silente che prova a tamponare i rivoli di paura che fuoriescono da ogni dove; ogni tanto pare acquisire un lampo di lucidità ma poi ricorda bene cosa sta per succedere e riprendere a correre per l’angusta stanza.
«Sto per vomitare, piccolo Doge. Ferma quelle zampette o me ne occupo io» grigna Aberforth dall’angolino di solitudine acida che ha ritagliato con particolare dedizione.
Elphias stringe gli occhi irritato.
«Dovresti dargli una mano, invece non fai che borbottare come un vecchio zotico» lo rimbrotta Augusta che in realtà sembra trarre piacere quando il compagno di squadra esterna il suo cinismo radicato.
Aberforth si limita ad alzare le mani, annoiato.
«Grazie Augusta, per il tuo appoggio. Te ne sono davvero grato e ti supplico di suggerirmi qualcosa per uscirne vivo o almeno con tutti gli arti al loro posto» chiede querulo Elphias provando a stare fermo e conscio che le minacce di Abeforth si concretizzano in un nonnulla.
Augusta storce il muso dispiaciuta, ma non si arrende anzi non la contempla questa possibilità.
«Ho divorato tutti i libri presenti in biblioteca tempo fa, nell’eventualità. Sembra un’impresa impossibile, ma tu punta alla testa» propone lei che già sta meditando di irrompere nell’arena e salvare la pelle al tizio.
«Sì, mi raccomando soprattutto alla fauci così ti gusterà meglio» inveisce Aberforth sghignazzando e poggiando sul palmo sudaticcio della mano di Doge una fiaschetta.
Aberforth ammicca coinvolgente, facendogli l’occhiolino e Augusta è sicura che rimetterà a breve la colazione assieme al timoroso Elphias che non si capacita di tutta quella gentilezza. 
«Tracanna tutto, piccolo Doge almeno te ne andrai in grande stile» conclude ironico Aberforth.
Elphias sbotta ma Aberforth gracchia cinico.
«Gran bell’aiuto, dopotutto un mentecatto come te non potrebbe fare di meglio!» osserva Augusta.  
Elphias ricomincia a zampettare in giro.
«Doge, può accomodarsi» dice la voce del custode.
«Sì accomodati pure e salutami tanto il gattone quando l’incroci!» latra malizioso Aberforth.
Augusta alza gli occhi al cielo, esasperata.
 
 
 
Poco dopo
 
Una Manticora, una Manticora. Una detestabile e letale Manticora!
Elphias sente le gambe molli, quasi come il budino all’anice stellato di sua zia Agnes e nelle mani stringe la fiaschetta che quel grande menefreghista di Aberforth gli ha dato.
Sospira lento per aiutarsi, per farsi coraggio in un modo o nell’altro; ma non ci riesce davvero e lo stretto corridoio che porta all’imbocco dell’arena quasi lo risucchia.
Quando ha estratto il suo ostacolo da combattere durante la prima prova ha pensato che fosse uno scherzo di cattivo gusto, probabilmente messo in atto da quel burlone malevolo di Aberforth, ma lui invece si è limitato a sghignazzare: «Sento il puzzo della tua paura, Doge da quaggiù!». 
Augusta invece è scattata subito pronta a trovare un modo, una via di salvezza e quando non l’ha reperita si è limitata a dargli una pacca desolata.
Lui ha provato ad assorbire ogni cosa su quell’animale mitologico che deve affrontare, invano. Della Manticora sa ben poco, solo che in realtà è letale. Corpo da tigre, viso da uomo, pungiglione velenoso come gli scorpioni e la pelle immune ed impenetrabile a qualsiasi incanto; facile, quasi come ballare un valzer con la Strega Orba al terzo piano.
Pochi giorni prima ha pensato che le cose sarebbero andate meglio dopo questo torneo; insomma lui non è prestante, forte, acuto. Però ha sempre voluto combattere, mostrare che dietro alle sue insicurezze c’è un mago pronto a mettersi in gioco. 
«Non è ciò che mostriamo ciò che in realtà siamo» gli ha detto il suo caro amico Albus qualche giorno prima, quando Elphias gli ha espresso con titubanza tutti i suoi dubbi davanti ad una tazza di tisana al finocchietto.
«Non vorrei offenderti Albus, però tuo fratello non è molto collaborativo» ha rivelato Elphias masticando un biscottino al cocco.
«Non lo sai prendere dal verso giusto» ha risposto garbato.
«Mi ha augurato di essere divorato durante la Prima Prova!» esclama di rimando e gonfiando il petto.
«Ma tu saprai bene che le tue capacità saranno perfette. Suvvia, un aiuto disinteressato spesso si rivela provvidenziale» ha risposto contemplativo l’amico.
Bell’affare in quel momento! Vai a capire cosa significa in quell’istante e come potrebbe rendersi utile per la causa da perorare.
In effetti lui ha proprietà dialettica niente male, propensa all’analisi acuta che gli ha sempre guadagnato applausi e recensioni degne di nota.
Però che potrebbe fare in quel momento? Prendere il tè con la Manticora? Discutere sugli usi del sangue di drago e poi scambiarsi qualche cortesia formale?
Deglutisce piano.
I piedi si fermano davanti all’imboccatura dell’arena, la folla urla, si dimena ma Elphias sembra non sentire alcunché.
La trova ferma, in attesa; sul collo il cilindro che deve conquistare e le zampe che punta provocatoria.
Ha un viso trasfigurato, lunga barba e il collo che si muove repentino. Elphias lo nota, il grande pungiglione che si staglia pronto a mietere qualche vittima che si appresta ad incrociare il suo cammino.
Elphias ha un mancamento, quasi.
Si poggia malamente sul lato destro del varco, ma qualcuno lo spinge e goffamente si ritrova a pochi metri da quel viso che ride malvagio.
«Sembri davvero un boccone succulento » sibila, i grandi denti che brillano alla luce.
Elphias indietreggia spaventato, qualche fischio arriva alle sue orecchie.
«L-la p-prego di non saltare a c-conclusioni a-affrettate» balbetta lui, gli occhi che si muovo a destra e a sinistra alla ricerca di una via di fuga. 
«Cos’altro dovrei fare con te? Gli umani sono i miei prediletti, sai. Rumorosi certo, però prediletti» chiarisce la Manticora, gli occhi gialli puntati sulla figura tremolante di Elphias.
Il silenzio lo segue come un marchio incandescente e quando si trova a pochi metri da quelle fauci avverte nell’aria l’odore del pericolo e della morte; subito dopo punta gli occhi verso l’oggetto che necessita e la Manticora affonda gli artigli minacciosa.
Elphias sospira tremolante; afferra malamente la bacchetta.
«Sai bene, essere umano che il tutto è inutile» lo provoca.
Così Elphias pensa ancora in panne. Si rivela essere solo un attimo e la sua bacchetta che solitamente viene scagliata per incantare compie ciò che solitamente sa fare meglio.
«Questo caldo mi sta letteralmente stendendo, non le pare? Ho bisogno di ristoro» ciarla e con un boato ritrova la sua poltrona preferita unita ad un piccolo tavolino da tè riuscendo a trasfigurare alla perfezione tre rocce presenti nell’arena.
Già, l’unica cosa che sa fare con un diletto naturale: la conversazione.
Gli occhi gialli dell’animale sono increduli; lo segue quasi ammaliato, mentre con una nonchalance da prima donna butta giù due zollette di zucchero di canna in una tazzina avorio finemente dipinta a mano.
«Vorrei chiederle, se mi consente, da dove proviene» dice dopo cinque minuti abbondanti di silenzio.
La Manticora piega il capo di lato, indispettita a pronta a contrattaccare nel momento in cui l’essere umano avrebbe sferrato il colpo.
Elphias sorseggia tranquillo.
«Stupido, a cosa ti servirebbe?  Prolunghi la tua agonia» sibila l’animale puntando gli occhi verso le zampe paffute del giovane.
«Sa che morire con una conoscenza approfondita rende il trapasso, come dire, più lieve?» risponde docile ripensando che i biscottini assaggiati con Albus l’altra volta sono davvero una vera prelibatezza.
Sfodera la bacchetta rapido, la Manticora sorride maligna con le fauci che brillano letali al sole del primo pomeriggio.
«Accio!» esclama.
Poco dopo nel cielo uno strano sibilo scuote la tensione palpabile; la coda dell’animale si protrae e per un attimo quasi sfiora il polpaccio di Elphias.
All’improvviso dalle cucine del castello, un vassoio ricolmo di prelibatezze prende posto sul tavolino e la Manticora che ormai pensa che sia tutto uno scherzo non sa che pesci prendere.
«Allora, non ha ancora risposto alla mia domanda» l’incalza Elphias.
«Se questo può alleviarti il destino che ti attende, provengo dalle lontane regioni dell’antica Grecia» ringhia l’animale, la coda in movimento e la voglia di azzannarlo crescente.
Elphias sorride affabile.
«Che luogo incantato, davvero. Patria degli alchimisti, dei primi incantatori. Un giorno spero di poter fare un viaggio assieme al mio caro amico Albus» ammette trasognante.
La Manticora non risponde, ma i suoi ringhi sono abbastanza eloquenti e vogliono dire tutti la stessa cosa: che l’omuncolo non sarebbe riuscito nemmeno a mettere piede fuori da quel luogo.
«Ha mai incontrato qualche mago da quelle parti?» chiede curioso Elphias.
La Manticora inizia ad avvertire un certo nervosismo; non ha mai percepito quelle strane sensazioni, in effetti non è nella sua natura discernere in bene o il male. È il suo istinto, la sua fame che muovono ogni filo, ogni azione.
Però quel tipo, quel tipo…
«Una volta, uno stupido» sputa involontariamente, non sa nemmeno perché.
Gli occhi di Doge s’illuminano febbrili, sulle papille gustative a parte il sapore deciso del tè alla vaniglia avverte il dolce gusto delle informazioni nuove.
«Chi è costui?» chiede.
«Un uomo insensato, che non ha mai pensato alla sua vita» replica di getto la Manticora che rivede gli occhi verdi di quel mago, in quella notte oscura quando ha osato addentrarsi fino alla sua tana.
Ci ripensa per la prima volta dopo secoli di esistenza e senza una vera motivazione.
«Che meraviglia avere la possibilità di vivere così a lungo, di conoscere così tanto» sussurra Elphias estasiato al quarto biscottino.
La coda della Manticora rompe una gamba del tavolino e lui si ritrae terrorizzato.
«Che meraviglia divorarlo, divorare tutti! Il destino che vi attende quando osate incrociare la mia strada!» ruggisce l’animale.
In quel momento ricorda che un tempo ha avvisato pure quello che invece di scappare, ostinato, si è seduto su quei massi davanti alla grotta per poter dialogare.
«Ognuno ha la possibilità di scegliere» ha detto tutto spavaldo il ragazzo che ha ricercato argomenti per conversare tutto il tempo; all'opposto nei suoi pensieri ha solo assaporato con lentezza esasperante il sapore immaginario del sangue che da lì a poco sarebbe uscito dal suo giugulare. 
«Triste» osserva Elphias, gli occhi spalancati e puntati verso la gamba di legno spezzata.
La Manticora si muove veloce, ormai furiosa che tenta in tutti i modi di strappare la lunga catena che la stringe.
«Ognuno ha la sua natura, uomo. La mia è quella di divorarvi, la tua quella di fare la preda. Ho spiegato questo anche all’inutile mago ma non ha voluto sentire ragioni!» esclama adirata.
«Potresti essere una fonte infinita di conoscenze, un caposaldo dell’umanità e invece preferisci assoggettarti all’istinto!» prorompe sprezzante Elphias.
«Siete solo nutrimento, non importa chi sia, non importa se sia giusto, sbagliato. Non importa» sostiene la Manticora, la catena che sta per allentarsi e la morte di Elphias ormai prossima.
«Potresti cambiare, potresti invece andare contro la tua natura» balbetta Doge alzandosi di scatto.
L’animale sogghigna sarcastico.
«Mentre tu frigni io sto scegliendo quale canzone intonare mentre squarcio le tue carni» mormora gelida la Manticora.
Elphias non riesce a contenere un tremito irruento, si avvicina alla tazzina e si decide ad aprire la fiaschetta che Aberforth gli ha donato.
Avvicina il liquido alla bocca, un rivolo scende sulla guancia.
«Questo sei, un mostro inetto che potrebbe scegliere ma decide di nutrirsi come un abbietto. Hai la conoscenza, la possibilità di vivere per secoli! Sei un mostro!» grida Elphias forse disperato, forse chissà che cosa.
Il liquido nella fiaschetta brucia la gola e gli occhi lacrimano.
La Manticora si blocca all’improvviso.
Nessuno ha mai usato quel tono anzi nessuno ha mai avuto il tempo materiale per farlo. La catena si rompe in mille pezzi e la coda si muove frenetica in direzione di quell’essere umano che ha avuto il coraggio di sfidare la sua maestosità secolare.
L’arena si zittisce all’improvviso quando l’animale è a pochi centimetri dal campione; Augusta si sporge verso l’imboccatura dello spalto pronta a scendere giù. Aberforth sonnecchia di lato, noncurante.
«Uccidimi, tanto non  ha  alcuna differenza per te anche se io sono stato cordiale, interessato verso la tua persona» dice confusamente Elphias chiudendo gli occhi.
E la Manticora rivede l’altro mago, che tutto sorridente gli ha detto: « Gli altri mi hanno avvertito, però credo che ognuno di noi abbia la possibilità di scegliere».
Poco dopo il silenzio è sferzato da un sibilo perfido, Elphias aspetta la morte infuocato da dentro ma riesce solo a sentire un rumore sordo di lato.
Apre titubante gli occhi e transale.
Il grosso pungiglione è conficcato nella testa della Manticora che invasa dal suo stesso fatale veleno ha perso la vita, scegliendo per la prima volta.
Elphias traballante si avvicina e trattenendo il respiro afferra il cilindro di ferro; trotterella rapido e trangugia ciò che rimane nella fischietta alzando il pugno in aria.
L’aria è densa di urli, applausi e risate, Aberforth finalmente si ridesta e grattandosi malamente il didietro mugugna: «Finalmente è finito questo scempio».
Augusta l’osserva attenta.
«Che gli hai messo in quella fiaschetta?» chiede a bruciapelo.
«Il più vecchio Odgen Stravecchio sgraffignato che ho conservato per festeggiare il futuro arresto di quel burattinaio di mio fratello» risponde cinico.
Dal centro dell’arena Elphias sta facendo brillo un ridicolo balletto della vittoria, Augusta invece sorride mesta.
 
 
 


Non so davvero cosa dire. Forse che questo è il capitolo più lungo che io abbia mai scritto e non so che panzana possa essere; ringrazio chi legegrà, vorrà darmi un feedback. Volevo chiarire il fattaccio della manticora; essendo una creatura mitologica dalle cronache lette l'unico modo per essere uccisa è che il suo veleno la colpisca. Ho fatto i compiti prima di scrivere, ma soprattutto non riesce ad avere una coscienza, un discernimento del bene e del male. Spero di non fare così schifo come penso. Vi abbraccio.
   
 
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