Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: Jeremymarsh    30/11/2022    10 recensioni
Nel peggior giorno della sua vita, Kagome ripensa alle leggende che il nonno le raccontava da piccola prima di andare a dormire e alle quali ha smesso da tempo di credere.
È convinta che sia ormai impossibile uscire dal baratro in cui è precipitata all’improvviso, ma non è detto che tutti i mali vengano per nuocere. Un unico evento – per quanto disastroso – ha provocato conseguenze impensabili e ben presto dovrà affidarsi credenze e valori finora ignorati per sopravvivere, lasciando dietro ogni cosa conosciuta.
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inu no Taisho, Inuyasha, izayoi, Kagome, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: Lemon, Soulmate!AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo XIII: La lingua dei demoni cane 
 



 

“Vedeva le persone come non le aveva mai viste, mai sentite prima. Ma le vedeva senza vederle, senza immagini, senza idee; come se solo la sua anima le vedesse; eppure erano così chiare che egli era mille volte trafitto dalla loro intensità. Però, come se si arrestassero su una soglia che non potevano varcare, esse arretravano e svanivano appena lui cercava le parole per dominarle.” 

I turbamenti del giovane Törless, Robert Musil 

 


 

La giovane sacerdotessa si svegliò stordita, lamentando un incredibile mal di testa e pensando, per un secondo, che il tutto fosse riconducibile ai pensieri che l’avevano tormentata da quando Inuyasha era partito, una notte difficile e un incubo particolarmente vivido. Tuttavia, quando riuscì con successo a strizzare gli occhi e poi a metterli a fuoco, si accorse di non essere nella sua stanza al castello, ma in una capanna a lei sconosciuta, dismessa e maleodorante. Tanto bastò a svegliarla del tutto e farle ignorare il continuo rimbombo nella testa e nelle orecchie che quasi la rendeva sorda. E come era accaduto qualche ora prima, fu presa alla sprovvista da una voce maliziosa che richiamò la sua attenzione. In un attimo, le tornò tutto alla mente e la paura la invase, rendendole impossibile cercare di calmarsi, ricordarsi in che modo avrebbe dovuto comportarsi in situazioni simili per mantenere il sangue freddo e avere la meglio sul proprio avversario. Non avrebbe potuto anche se avesse ricordato ogni lezione di Hitomiko-sama o Kaede-sama e non solo perché era consapevole di essere stata rapita nel bel mezzo della notte da un essere pericoloso che stava seminando distruzione nelle terre dell’Inu-no-Taisho chissà da quando, ma anche perché un attimo dopo scoprì di essere impossibilitata fisicamente.  

Tentò di muoversi, tirare calci e abbassare le braccia, ma fu tutto inutile. Il suo aguzzino le aveva legato le mani e i piedi come si fa come un qualsiasi criminale o condannato a morte, prevedendo che al suo risveglio il suo primo istinto sarebbe stato quello di scappare. Non poteva biasimarlo; al suo posto avrebbe fatto lo stesso. La differenza, però, pensò Kagome, era che lei non andava commettendo omicidi o rapendo persone per farne chissà cosa. Ecco… chissà cosa? Cosa voleva da lei quest’essere? E cosa aveva voluto intendere quando le aveva rivelato di essere una sua vecchia conoscenza? Sentì il corpo cominciare a tremarle a causa dei brividi improvvisi, mentre il presagio peggiore di tutti si faceva strada nel suo inconscio come l’opzione più plausibile – e temibile. Ma Inuyasha le aveva assicurato che non era possibile, vero? L’aveva confortata e consolata e non l’aveva presa per stupida quando aveva accennato a quella possibilità. Quindi perché ora quel pensiero le tornava in mente? Perché le sembrava così vero? Scuotendo la testa, si concentrò su ciò che quella voce raccapricciante le stava dicendo, riflettendo che forse avrebbe fatto meglio a prestare attenzione se voleva avere la minima possibilità di uscire viva e illesa dalla sua nuova gabbia.  

“…non vorrai mica ferirti, d’altronde. Mi dispiacerebbe molto se la tua candida pelle venisse macchiata a causa di quelle corde che ho dovuto utilizzare per semplice precauzione. Quindi, mia dolce Kagome, sarebbe meglio se non ti muovessi troppo.” Kagome non poteva vederlo, ma sentiva che stava armeggiando con qualcosa. “Più tranquilla sarai, prima ti ambienterai. Se lo farai, beh, tutto il resto sarà più piacevole… sia per me che per te.” Si girò nel pronunciare quelle ultime parole e se il suo tono di voce non le avesse già gelato il sangue, lo avrebbe fatto il ghigno viscido che gli adornava le labbra o quello sguardo affamato che stava ora vagando lungo tutto il suo corpo come se stesse…  

Impallidì.  

Conosceva quello sguardo, lo aveva visto tante volte in particolare su un uomo, quegli stessi occhi scuri che se la mangiavano ogni volta che lo incrociava, come se stesse pregustando il momento in cui Kagome sarebbe stata sua, come se fosse sempre stato sicuro che prima o poi lei sarebbe stata alla sua mercé. Faticò a reprimere un conato di vomito, chiuse gli occhi e scosse freneticamente la testa nel tentativo di scacciare a forza quella realizzazione che più si faceva vera più lei desiderava ignorare. 

Non poteva essere. Non voleva crederci.  

Ora anche l’aura gli sembrava troppo familiare, troppo sporca e malvagia, tanto che si chiese come avesse fatto a non riconoscerla subito.  

E mentre arrivava a quella conclusione e la sua anima piangeva di conseguenza, non si accorse che il demone si era avvicinato fino a farle sentire il suo fiato caldo e puzzolente sul viso. Mani gelide e callose le presero il mento con una certa fermezza – senza ferirla, ma allo stesso tempo lanciandole un chiaro avvertimento – per poter fermare quel movimento di testa e portare il viso alla stessa altezza, così che quando fu costretta suo malgrado a rialzare le palpebre riuscì a vedere il suo riflesso pallido in quelle pozze scure che l’avevano spaventata sin da che era una bambina.  

“Mi riconosci ora, vero? Lo sapevo che non ci avresti messo molto. Sei sempre stata intelligente. Anche se da te mi sarei aspettato un comportamento diverso e ora, pur non volendo, sarò costretto a punirti per assicurarmi che tu abbia imparato la lezione. È per questo che ti ho legata – non volermene, davvero –, temevo che il tempo trascorso con quei cani ti avesse condizionata, soprattutto dopo il tuo atteggiamento di qualche ora fa, e mi serviva una precauzione. Ma non aver paura, non appena avrò finito saremo liberi di riprendere la nostra vita insieme come avevamo progettato in precedenza.” Le sorrise, tra il condiscendente e l’affettuoso, come se credesse davvero al discorso che aveva appena fatto, come se Kagome fosse una bambina disobbediente che doveva solo dimostrare di aver imparato la lezione o – deglutì – come se lei avesse mai accettato di sposarlo o pianificato una vita con lui.  

Forse la sua mente viaggiava davvero su strade diverse da quelle normali, magari la vita da recluso e i continui accessi di rabbia che erano andati aumentando con il passare degli anni lo avevano danneggiato al punto da renderlo pazzo. O, cosa più plausibile, si disse infine, si stava prendendo gioco di lei. Probabilmente era così: era un uomo meschino e calcolatore, dopo tutto, e si divertiva sulla pelle degli altri. Perché ora non avrebbe dovuto esercitare la sua vendetta su di lei che aveva osato addirittura scappare e umiliarlo?  

Kagome non sapeva come aveva fatto a trovarla o in che modo era riuscito a trasformare in tal modo il suo aspetto, il suo essere, ma di una cosa non dubitava: il demone di fronte a lei non era nato tale; era stato concepito da padre e madre umana. Tuttavia, rifletté, la sua anima era sempre stata nera come quella del peggior demonio e, forse, era proprio in quel pensiero che si nascondeva la risposta al suo precedente dubbio.  

Era la sua malvagità innata ad aver concesso a Onigumo di trasformarsi in demone – o mezzo demone, constatò – e Inuyasha, purtroppo, aveva avuto torto. C’era riuscito ed era tornato da lei per dimostrarglielo.  

“Mi capisci, vero?” domandò dopo averle lasciato il mento e ad aver ripreso ad armeggiare con ciò che lei ancora non riusciva a vedere non potendo muoversi molto né tanto meno raddrizzarsi. “Sei intelligente, sì. In più, ora non dovrai preoccuparti del mio aspetto poco attraente. Ho rubato quello di un principe pensando solo a te.” Kagome trattenne il fiato, cercando di non pensare a cosa mai intendesse con quella frase.  

Lo osservò meglio: senza la pelliccia bianca i lunghi e mossi capelli neri cadevano sciolti oltre le spalle, mentre alcune ciocche gli inquadravano perfettamente il viso bianco e privo dei vecchi segni dell’età; anche il corpo era quello di un giovane, alto, robusto ma non troppo, tanto che sarebbe potuto passare per il fratello minore del figlio. Eppure, le labbra rosse e piene non avrebbero potuto cancellare quel ghigno maligno che aveva sempre indossato da che Kagome aveva memoria né il blu intenso delle sue iridi nascondere la sua anima buia. Sì, Onigumo era diventato un demone di bell’aspetto, ma in cambio la sua aura si era incupita ancor di più, in un modo che fino a ieri Kagome non aveva creduto possibile. Perché chi avrebbe mai detto che quell’essere sarebbe potuto arrivare a un tale livello di malvagità? E di cosa fosse capace toccava a lei scoprirlo – e non era un compito che avrebbe affrontato tanto volentieri.  

Onigumo continuò a guardarla in modo lascivo, facendola sentire sporca, poi le si avvicinò di nuovo e con quelle giovani mani – ma già ruvide e callose – cominciò ad accarezzarle i piedi nudi, le caviglie, salendo senza alcuna fretta verso ciò che era nascosto sotto la sottile vestaglia.  

Kagome non riuscì a ingoiare il singhiozzò che le scappò dalle labbra e rimbombò nella capanna. Ebbe paura che Onigumo si rabbuiasse e le intimasse di stare zitta, ma lui la ignorò, forse troppo preso a saggiare la sua pelle morbida o a pregustare ciò che avrebbe toccato a breve, ma quello non era un pensiero che la tranquillizzò, semmai riuscì solo a farla tremare ancora di più mentre polsi e caviglie tentavano inutilmente di liberarsi dai confini degli spessi lacci che li graffiavano. Strinse forte gli occhi, cercando di immaginare un qualsiasi altro scenario che la portasse via da lì anche solo con la mente, pregando di avere ancora un po’ di tempo e chiedendosi perché mai tutto fosse accaduto così in fretta.  

Ma proprio quando sentì i polpastrelli di lui premere più insistentemente sulla carne dell’interno coscia qualcuno rispose alle sue preghiere. I gesti di Onigumo, prima lenti e pian piano resi più rudi e agitati a causa dell'evidente eccitazione, si fermarono in modo brusco; alzò di scatto il volto e puntò i suoi occhi spaventosi su un punto imprecisato davanti a lei, perdendosi per un attimo in quel qualcosa che poteva vedere solo lui. Dopo un secondo, digrignò i denti e le mani che l’avevano toccata fino a quel momento la lasciarono per stringersi a pugno nel tentativo di trattenere la rabbia. Inutilmente visto che, a causa di questa, ora il suo corpo tremava come quello di Kagome.  

“Pensavo di avere più tempo,” sibilò tra sé e sé. “Avrei voluto consumare la nostra unione prima del dovere, così da poter svolgere la mia missione con più piacere. Invece, quei maledetti cani hanno mandato a monte di nuovo ogni piano!” La sacerdotessa sgranò gli occhi e la paura per se stessa si trasformò in paura per l’amato. “Ma anch’io ho fatto male i miei calcoli,” riprese con voce più calma, “forse sono stato uno sprovveduto a farmi prendere da questa energia positiva o dall’attesa.” Le sorrise di nuovo con finto affetto e poi si allontanò pur rimanendo nel suo campo visivo. Kagome lo vide calarsi per prendere la pelliccia di babbuino e, osservandolo, constatò che sebbene in quel modo fossero visibili solo gli occhi e il sorriso malefico, le faceva meno paura. La bellezza di quel principe a cui aveva rubato l’aspetto la inquietava di più, forse perché sapeva cosa si nascondeva sotto di essa.  

Sistemato il proprio aspetto si avvicinò di nuovo e, questa volta, quando le prese il mento tra le dita per accostare i loro volti, appoggiò le sue labbra su quelle di lei, rubandole con forza e violenza un bacio. Kagome si agitò di conseguenza, cercando di scostare il volto come una pazza, ma la presa di lui era ferrea e, anzi, la rafforzò premendo ancor di più con le dita e lasciando sulla sua pelle il segno del loro passaggio. E quando provò ad aprirle anche la bocca, lei ne approfittò per mordergli le labbra a sangue così da costringerlo a staccarsi. 

Kagome quasi non sentì il dolore cocente sulla guancia rigata dalle lacrime né il suono dello schiaffo rimbombare nella capanna perché se lo aspettava. Non si era illusa nemmeno per un momento che lui avrebbe potuto mantenere la sua apparente calma dopo che lo aveva rifiutato con tanta chiarezza; ne avrebbe ricevuti volentieri altri pur di interrompere quel contatto al quale era stata costretta e che ora le faceva desiderare di poter abbassare il capo e vomitare fino a che quel sapore sgradevole e marcio non l’avesse lasciata. 

“Maledetti cani,” sibilò lui sputando a terra mentre i suoi occhi fiammeggiavano d’ira. “Vedo che impiegherò molto più di quanto avevo sperato prima di poterti riportare a quella che eri prima che li incontrassi. Ma stammi bene a sentire, Kagome: che tu lo voglia o no, quando tornerò sarai mia, e se non sarai compiacente sarà solo più doloroso per te. Pensaci bene e rifletti se ti conviene.” Detto ciò, e lasciandola più impaurita che mai, le diede le spalle e si precipitò di corsa fuori da quel tugurio, muovendo così violentemente la debole porta di bambù da staccarla e offrirle uno scorcio di ciò c’era oltre la gabbia.  

Subito Kagome scoppiò a piangere senza più mutare i singhiozzi che le scuotevano il corpo, ma nemmeno quelli le impedirono di udire le successive urla del suo aguzzino. “Susumu!” urlò Onigumo. “Fa la guardia! Tornerò presto; mi serve solo il tempo per  liberarmi definitivamente di quegli scocciatori.” 

Il ragazzo era fermo lì fuori, nascosto tra rami secchi ed alberi spogli, l’aspetto sporco e logoro, tentando di sbollire la rabbia che nelle ultime settimane non lo aveva mai lasciato.  

Lui non aveva potuto approfittare della stessa trasformazione a cui suo padre era andato volontariamente incontro e, di conseguenza, nemmeno del suo nuovo e bellissimo aspetto. Semmai, era peggiorato: la stanchezza e la fatica lo avevano ingobbito, la pelle si era indurita e scurita a causa del continuo restare sotto il sole e le numerose escoriazioni che aveva guadagnato erano ancora ben lontane dal guarire del tutto, molte gli avrebbero lasciato cicatrici che non lo avrebbero più abbandonato. E se tutto ciò non era abbastanza, se l’aver trascorso le ultime settimane ad obbedire a quel demone che era diventato come se fosse il suo schiavo non fosse una punizione necessaria, ora doveva attendere lì fuori sapendo che dentro la capanna lui avrebbe preso con la violenza una ragazza giovane e matura come Kagome. Ma non era l’atto in sé che scatenava la sua collera né il sapere che sarebbe stato perpetuato nel modo più vile, piuttosto l’impossibilità di fare lo stesso.  

Desiderava essere al suo posto; credeva di meritarselo, dopo tutto. Suo padre era vecchio ormai, e chiaramente pazzo, ma lui non aveva alternative ed era costretto a sottostare ai suoi ordini. Se prima, quando erano ancora al villaggio, aveva contemplato l’idea di farlo fuori ed avere la ragazza tutta per sé, ora che era diventato così forte sapeva di non avere speranze – e ancora nessun piano alternativo gli si affacciava alla mente.  

Infine, proprio mentre stava per sfogarsi sulla natura, la voce irata di Onigumo lo raggiunse e Susumu si precipitò da lui con la mezza idea di infischiarsene e contrastarlo. Tuttavia, non appena sentì ciò che aveva da dirgli, si accorse di quale grossa possibilità gli era capitata tra le mani e un sorriso così simile a quello del genitore si fece largo sul suo viso sporco e ferito. Un secondo dopo, lo nascose sotto l’espressione indifferente che aveva padroneggiato per non insospettirlo e assentì alle sue richieste ridicole cosicché se ne andasse quanto prima lasciandolo – anzi, lasciando entrambi – solo.  

Il padre lo squadrò mantenendo sulle labbra una smorfia arcigna per tutto il tempo, forse riflettendo se fosse davvero una buona idea fidarsi di quel buono a nulla del figlio. Tuttavia, non poteva soffermarsi troppo sulla cosa perché il suo inganno gli aveva fatto guadagnare meno di quel credeva e – dopo ciò che Kagome aveva osato fare, rifiutandolo ancora – non vedeva l’ora di sbarazzarsi di quei demoni che per primi avevano rubato ciò che era suo. Con quel nuovo corpo che si ritrovava e potendo giocare ancora sull’effetto sorpresa, li avrebbe raggiunti e fatti fuori entrambi. Prima, però, si sarebbe divertito un po’ con Inuyasha; dopo tutto, era sicuro che il suo olfatto sopraffino non avrebbe avuto problemi a riconoscere l’odore che lo permeava tutto. E anche se avrebbe preferito fosse ancora più forte – come lo sarebbe stato se fosse riuscito ad averla in tempo – sapeva per certo che il sangue caldo del mezzo demone gli avrebbe assicurato comunque un po’ di divertimento.  

Così, infine, lasciò la radura e il figlio dietro di sé, non notando il sorriso sinistro che Susumu aveva malcelato né il modo in cui suoi occhi continuavano a saettare tra lui e la capanna dove era tenuta prigioniera Kagome. 

Il giovane tirò suo malgrado un sospiro di sollievo quando percepì la sua assenza, ma aspettò comunque un po’ di tempo prima di arrischiarsi ad entrare nella malridotta abitazione. Nell’attesa cominciò a sudare copiosamente – non sapeva se per l’ansia o per l’eccitazione – mentre il cuore accelerava e la mente riproduceva fantasie a cui si era lasciato andare ultimamente e che ora sembravano sempre più concrete.  

Di lì a poco, avrebbe avuto quello che desiderava e se già la prospettiva del piacere carnale e violento lo riempiva di anticipazione, così come le urla di lei che già gli sembrava di sentire, il sapere che avrebbe fregato il padre – avuto la meglio su di lui, laddove più gli premeva – rischiava di farlo venire lì seduta stante.

Oh, sì, davanti a lui si prospettavano delle ore molto più che piacevoli e, per la prima volta nella sua vita, avrebbe imparato cosa fosse la soddisfazione al di là del sesso.  

 

***

 

Le ultime parole di Onigumo prima di lasciare la capanna fecero sì che l'abisso in cui si trovava Kagome diventasse sempre più profondo, eppure sentiva che le cose sarebbero potute peggiorare ancora se lo avesse permesso. Questo significava che non poteva permettere a quel mostro di avere la meglio su di lei o di spaventarla al punto da non agire.

Aspettando che la porta di bambù la coprisse almeno un po', Kagome ricominciò a muovere le mani, incurante delle ferite che le provocavano le corde, ma facendo del suo meglio per allentarle. Poi piegò i gomiti e girò la testa in modo da poter afferrare i lacci con la bocca.

Trattenne il respiro, ascoltando le loro voci all'esterno per capire quanto tempo le rimaneva o per stare all'erta nel caso in cui uno di loro avesse deciso di tornare, poi lo lasciò uscire.

Sudava così tanto da sentire le gocce salate bruciare le ferite che aveva aperto, ma strinse i denti e continuò, consapevole di doversi muovere in fretta e di non potersi distrarre.

Quando fu sicura che stessero ancora discutendo là fuori, mosse di nuovo la testa e finalmente afferrò le corde con i denti, desiderando di avere le zanne di Inuyasha.

In bocca avevano un sapore sgradevole, di polvere e terra, ma non cedette ai conati di vomito e continuò a masticare. Dopo quelle che le sembrarono ore, un pezzo si ruppe e lo sputò, poi un altro, poi si fermò bruscamente quando sentì qualcosa di più morbido incontrare le sue labbra: pelle.

Il sollievo fu tale che fece un altro grande respiro, cercando di prendere tanta aria come se fosse stata sott'acqua fino a quel momento.

Non sarebbe stato così difficile liberare le mani ora, eppure aspettò di nuovo e si rese conto che non stavano più parlando. Dalla nuova fessura della porta di bambù poteva ancora vedere le spalle di Onigumo che coprivano il figlio e decise di muoversi, di liberarsi e di trovare un'arma prima che avessero l'opportunità di intrappolarla di nuovo.

Una volta in piedi le occorsero un paio di secondi per ritrovare l'equilibrio, poi i suoi occhi si mossero freneticamente dappertutto, alla ricerca di qualcosa da usare come arma; lo trovò in uno dei quattro angoli. Afferrò un pezzo di legno lungo e spesso, ma non così pesante da non poterlo sollevare, e si preparò a quella che probabilmente era la parte più difficile del suo piano.

Il cuore le batteva così forte nel petto che temeva potesse uscire prima che riuscisse a dirgli di rallentare, sentiva il battito rimbombarle nelle orecchie tanto da coprire i rumori esterni, ma non si lasciò fermare nemmeno da quello. Era troppo tardi per tirarsi indietro.

Quando vide Onigumo uscire dalla radura, si immobilizzò contro il muro e si disse che non doveva avere paura di un viscido ragazzo. Era più forte di lui, poteva sconfiggerlo. Ma l'altra parte del suo cervello, quella ancora alle prese con tutto quello che le era successo in così poco tempo, la fece dubitare di se stessa.

Fece un altro grande respiro, chiuse gli occhi, mise a tacere la codardia e si preparò a lasciare la capanna per sempre.

Susumu, però, era stato più veloce del previsto, perché lo incontrò sulla soglia non appena fu uscita.

La sorpresa li fermò entrambi per un paio di secondi, come se i due stessero cercando di inviare le immagini al cervello per dirgli che quello che stavano vedendo era vero, ma fortunatamente per Kagome, lei si riprese con più velocità e prima che lui potesse anche solo pensare di muoversi, alzò il ginocchio e lo colpì tra le gambe. Non si fermò a vedere la sua reazione, ma lo sentì trattenere il fiato e cadere a terra.

Fece per correre verso la foresta con ancora in mano il legno che non aveva usato per colpirlo, ma Susumu non sembrava incline a lasciarla andare così facilmente, anche se stava ancora soffrendo per quel colpo. Allungò il braccio e le afferrò la caviglia prima che fosse troppo lontana, facendo inciampare e cadere anche lei.

Kagome sussultò e, per coprirsi il volto, lasciò andare l'arma mentre il ragazzo esercitava pressione sul suo piede. La caduta era stata brusca e inaspettata e sentiva già dolori in tutto il corpo, ma quando lo sentì sghignazzare, pensando di averla in pugno, qualcosa scattò di nuovo in lei.

Con la forza che non credeva di avere ancora, non dopo la pressione sul suo corpo e sulla sua mente, Kagome si alzò il più velocemente possibile e, stringendo i denti, strappò il piede dalle grinfie di quel viscido essere umano. Non contenta, usò lo stesso piede per calpestargli le mani e scacciarlo via, prima di iniziare una folle corsa verso la foresta.

Aveva il fiatone e cominciava a vedere sfocato e annebbiato, non ce la faceva più, ma non si arrese e non si voltò per vedere se lui era ancora a terra; doveva seminarlo e mettere più spazio possibile tra loro. Doveva perdersi nella foresta, far perdere le sue tracce in modo da avere il tempo di riprendersi e pianificare il resto della fuga.

La gola era secca, i muscoli protestavano e i piedi volevano fermarsi, ma lei non glielo permise.

Lo sentì alzarsi e ancora non si voltò, non poteva; ogni secondo era prezioso.

Poi altri alberi apparvero nel suo campo visivo e lei accelerò, motivata, e fece per girare a sinistra, dove poteva vedere ancora più verde, e improvvisamente si bloccò, dimenticando chi la stava inseguendo.

Vide l'argento scintillare sotto il sole e il suo cuore batté all'impazzata... finché non riconobbe il volto che quei capelli incorniciavano.

Sesshomaru.

Kagome lo guardò stringere gli occhi, riconobbe lo sguardo omicida in essi e sussultò. Seguì i movimenti del braccio di lui mentre lo sollevava e d’un tratto tornò a un paio di mesi prima, a una passeggiata nel villaggio, a un ragazzo che conosceva da una vita accanto a lei e a un sorriso sulle labbra così diverso da quello che condivideva con l'uomo che amava ora.

Lo vide ripetere quelle azioni e non osò più muoversi.

 

***

 

Non era passato molto dal suo incontro con la ragazzina – Rin – ma Sesshomaru già comprendeva che sarebbe stato complicato dimenticare quel nome, e forse per questo si sforzava di pensarla sempre e solo con quell’appellativo. Se non fosse che la sua mente traditrice lo correggeva puntuale, proprio come era appena accaduto, ricordandogli che quella ragazzina aveva, infatti, un nome. 

Da quel giorno, aveva cambiato più e più volte il proprio percorso, esplorato luoghi del suo passato che aveva dimenticato o talmente cambiati da sembrare nuovi; si era tenuto lontano da ogni comunità, cercando il silenzio nella speranza che, con esso, si sarebbe spenta anche la sua mente e quel turbine di pensieri che lo inseguiva ovunque e gli faceva sembrare di essere circondato anche se in realtà era solo – ma con la voce gracchiante di Jaken. 

Non aveva raggiunto il suo scopo, però, ed era ben lontano dal farlo, e questo lo aveva portato a farsi alcune domande, a contestare se stesso o a guardare al passato, cercando di analizzare ogni piccolo segmento sperando di trovare almeno una risposta – o scoprire se davvero ognuno di questi eventi era solo la prova che egli aveva sbagliato, dopo tutto. Ma quest’ultima, era una verità troppo cocente da poter accettare, e Sesshomaru non vi si era soffermato troppo.  

Per quanto fosse vero che per la prima volta il glaciale principe dei demoni si fosse messo in dubbio, sarebbe passato ancora un po’ prima di poter accettare i propri errori, consapevole di dover cambiare rotta – in ogni senso.  

All’inizio del viaggio che lo avrebbe portato in quella direzione, anche se lui non lo sapeva ancora, Sesshomaru si trovava a un’impasse. Ma che si guardasse indietro o avanti, la soluzione stava tutta nel suo naso o – per dirla un po’ più poeticamente – nel suo olfatto sopraffino che aveva saputo stravolgere d’improvviso il vecchio percorso che si era prefissato, senza che lui potesse davvero obiettare.  

Da che il mondo era nato e i demoni erano stati generati, l’odore era sempre stato di fondamentale importanza per quelli di razza canina e loro ne avevano fatto un vanto. Era come parlare una lingua in più, che solo loro conoscevano, e attraverso la quale era possibile scoprire mille e mille cose che a ogni altro essere era preclusa. Ma, come ogni altra lingua, per poterla parlare bisognava padroneggiarla.  

E Sesshomaru ne era diventato maestro sin da che era un cucciolo.  

Sembrava, dunque, che il destino ora volesse farsi beffe di questo demone fiero e orgoglioso ed utilizzare proprio una delle sue qualità migliori per deviare il suo cammino e mostrargli dove aveva sbagliato finora. Lui però non se ne sarebbe accorto subito, così come aveva avuto bisogno di qualche istante per comprendere di chi era quel profumo che lo ammaliava e al tempo stesso spaventava.  

Ma il secondo odore che lo colse di sorpresa, a meno di una settimana dal primo evento, era dannatamente familiare e, sebbene fosse accompagnato da alcune sensazioni spiacevoli, non esitò nemmeno un momento. Troppe cose strane era accadute in così breve tempo per ignorarlo.  

Scattò verso il punto che il destino gli aveva velatamente indicato e, così facendo, lasciò ancora una volta il suo povero vassallo indietro che, stremato e senza più voce, si accasciò a terra semi-svenuto, prima di riprendersi spaventato e riconcorrerlo come se, di nuovo, fosse inseguito da un branco di lupi selvaggi.  

Arrivò giusto in tempo per udire parole che gettavano odio su suo padre e su tutta la loro razza. Non conosceva colui che le aveva pronunciate né il suo interlocutore, ma aveva sentito le storie che circolavano nelle ultime settimane così come sapeva che suo padre era attualmente impegnato in una missione di ricerca per sbarazzarsi dell’essere che aveva minacciato i confini a Sud. Non se ne era poi tanto curato, non fino a quel momento.  

Sesshomaru sapeva di essere un demone orgoglioso e se c’era un’altra cosa di cui era andato sempre fiero erano i suoi antenati, il sangue che scorreva nelle sue vene e che proveniva direttamente da uno dei dai-youkai più potenti mai esistiti. E anche se negli ultimi due secoli quello stesso lo aveva profondamente deluso e aveva perso una grande porzione del suo rispetto, non avrebbe mai permesso che lo calunniassero né era mai nessuno che avesse avuto l’ardire di parlarne in quel modo davanti a lui era sopravvissuto. Così, quando suo malgrado si trovò a sentir certi piani, sapeva che avrebbe dovuto uccidere entrambi.  

Colui che era rimasto in silenzio era chiaramente un umano, ma il secondo, quello che credeva scioccamente di essere all’altezza di suo padre, appariva misterioso ai suoi occhi – e, ancor più importante, al suo naso. Non era un umano ma neanche un demone. Eppure, Sesshomaru conosceva bene l’odore di un mezzosangue e non ne aveva mai incontrato uno simile. La sua aura poi, era così malvagia che anche la sua – che non era limpida – sarebbe stata considerata la più pura in confronto.   

Strinse gli occhi e rifletté sul da farsi, ma quando l'hanyou lasciò la radura decise che, prima di inseguirlo, avrebbe investigato l’odore che lo aveva attratto, oltre a far fuori l’umano.  

Dire che fu sorpreso quando davanti a sé ritrovò la giovane sacerdotessa fonte dei suoi guai sarebbe stato un eufemismo, ma Sesshomaru non si scompose né per un secondo lasciò andare la sua fidata maschera. Vide l'umano cercare di raggiungerla – mentre lei rimaneva immobile, essendosi bloccata una volta notatolo – e si lasciò scappare un suono di disgusto.

Poi, con un movimento agile e aggraziato del polso, troncò di netto la testa dell’essere inferiore che aveva davanti e così, con tanta semplicità, anche quell’incubo da cui Kagome aveva provato finora – e senza risultato – a svegliarsi e che aveva superato addirittura quel fatidico giorno che aveva messo in moto gli ingranaggi del destino.  

La sacerdotessa non ebbe nemmeno il tempo di spalancare la bocca e urlare e, con il senno di poi, ne fu sollevata. Invece, strinse gli occhi e subito dopo sentì una sostanza calda e viscosa sul viso che troppo tardi riconobbe come sangue.

Era bastato
 quel mezzo secondo che passò durante il quale cercò di considerare se l’arrivo di Sesshomaru fosse una fortuna o una maledizione a mettere fine alla vita di Susumu. 

A quel punto, per la sua mente che aveva tentato in tanti modi di sopravvivere agli eventi di quella giornata fu troppo e Kagome si lasciò andare senza combattere a quella sensazione che la inghiottì, trascinandola ancora una volta nel buio totale.  






 


N/A:  Buonasera a tutti!
Abbiamo un secondo cliffanhanger qui, ma spero mi perdoniate. Sono sicura che gli sviluppi di questo capitolo non ve li sareste aspettati, quindi sono curiosa di sapere quali sono state le vostre reazioni. Ma ricordate che siamo ancora nel bel mezzo della storia e ci saranno ancora un sacco di sorprese. In breve: nulla è ancora detto! E se per qualche motivo l'ultima parte (da quando S. raggiunge la radura) vi è sembrata accelerata è perché volevo sottolineare il modo veloce in cui accade tutto per i personaggi. 

Vi abbraccio; a presto ^^. 
   
 
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