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Autore: velocecalogiuri    09/12/2022    1 recensioni
[Serie Tv]
[Serie Tv]Era un collega. Solo un collega. Nient’altro che un collega. Un collega che aveva avuto una sventura, una disgrazia, un “errore fatale” —come lo aveva definito Vitali. [Imma x Calogiuri]
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutt* e bentornat*! chiedo scusa per la lunga attesa, ma dicembre è sempre un periodo pieno. Questo sarà un capitolo transitorio, che precederà quello -credo- più atteso che, per farmi perdonare, arriverà domani sera. Ho voluto cercare di rendere nel modo più realistico possibile ciò che passa nella testa di Imma, cosa l'ha portata a prendere la decisione che nella fiction non è (ancora) riuscita a prendere. 
Grazie a coloro che hanno letto fin qui e doppio grazie a chi ha lasciato un commento, qui e su twitter (velocecalogiuri). Buona lettura!




Aveva immaginato il peso dei sensi di colpa che si sarebbe portata dietro da quando aveva conosciuto Calogiuri, da quando aveva fatto il primo pensiero non così tanto professionale su di lui, da quando aveva desiderato di baciarlo e soprattutto da quando lo aveva fatto, alla festa della Bruna. Se lo era immaginato come un’incudine dritta sullo stomaco, che le avrebbe causato una gastrite peggiore di quella che aveva dopo ogni cena da sua suocera. Un dolore che sarebbe cresciuto esponenzialmente nel momento in cui avrebbe visto Pietro, nel momento in cui avrebbe dovuto fingere che tutto andasse bene.
Eppure, contrariamente ad ogni aspettativa, il sostituto procuratore Tataranni dopo il misfatto si sentiva così felice che avrebbe potuto toccare il cielo con un dito. Si sentiva vibrare ogni parte del corpo al pensiero di quello che aveva fatto e che aveva in programma di fare. Attribuì la causa dell’assenza di rimorso al fatto che aveva avuto anni per pensarci: per due anni aveva avuto paura di sbagliare, di uscire dai binari della brava donna, madre e moglie per percorrere la strada del peccato, dello scandalo, della condanna. Aveva avuto anni per pensare ai pro e ai contro, aveva passato notti insonni ad immaginare il modo in cui si sarebbe sentita giudicata: non dagli altri, ma dal suo stesso buonsenso —il che era la cosa peggiore che potesse capitarle. Poi aveva deciso: era successo all’improvviso, quando aveva capito che per l’ennesima volta avrebbe potuto perdere Calogiuri. Quel pensiero e solo quello fu abbastanza per mandare all’aria qualsiasi ragionamento razionale: aveva una carriera meravigliosa, una famiglia splendida ma se fosse morta quel giorno avrebbe avuto il rimpianto più grande di non aver veramente vissuto come lei voleva, ma come gli altri si aspettavano che facesse. Pensò che se quel giorno Dio l’avesse chiamata al suo cospetto le avrebbe sicuramente aperto le porte del paradiso: mai un errore, mai una scivolata fuori dalla legalità alla quale era tanto affezionata. Ma che senso aveva trascorrere una vita terrena privandosi della felicità per arrivare a un’ipotetica e poco probabile felicità post-mortem? Chissà, forse all’inferno si divertivano di più. E poi su quel muretto ne aveva avuto la conferma: il paradiso era la bocca del maresciallo.
No. La dottoressa Tataranni saliva le scale di casa sua come un’adolescente che rientrava dopo il suo primo bacio. Leggera come una piuma. Niente incudini sullo stomaco. Anzi, aveva pure fame.
Salutò Pietro porgendogli come al solito la guancia, dove lui posò un bacio leggero. Poi le disse che le aveva tenuto in caldo la cena.
“Sei stanca?” Le chiese.
“No” ed era vero. Imma arrotolò gli spaghetti intorno alla forchetta con foga, mentre Pietro si sedeva accanto a lei.
“Bene.” La voce di Pietro era calma e rassicurante come al solito “Allora mi sembra un buon momento per dirti che oggi ho chiamato il mio dottore. Rientro in terapia.”
Imma lo guardò e si fece improvvisamente seria. Possibile che tutto si stesse incastrando così perfettamente? Lei aveva ufficialmente un amante e lui stava avendo di nuovo dubbi sul loro matrimonio?
“Come mai hai preso questa decisione?”
Pietro fece una pausa e lei capì che stava scegliendo con cura le parole da dire per non ferirla: 
“Imma… non facciamo l’amore da mesi, ci scambiamo a malapena due parole sulla nostra giornata. Il massimo che riusciamo ad avere in comune è Valentina.”
“Benvenuto nel matrimonio.” Disse Imma acidamente, infilandosi in bocca un’altra forchettata di spaghetti. Pietro annuì: “Io non credo che dovrebbe essere così, però.”
Imma mollò ufficialmente la forchetta e prese la mano del marito: “Pietro, io lo so che sia tu che io siamo cresciuti con l’esempio dei nostri genitori. Il matrimonio quello che dura veramente finché morte non ci separi.” Fece una pausa, poi lo guardò “Noi abbiamo avuto solo l’un l’altra. Da tutta una vita, capisci? E’ normale provare… quello che provi tu.” fissò il piatto, incapace di guardarlo negli occhi. Parli per lui o per te? "E' normale avere dei dubbi" continuò, ignorando la fastidiosa e ormai onnipresente voce della Moliterni.
“Anche i nostri genitori hanno avuto solo l’un l’altra. E hanno trovato l’incastro perfetto.”
“Non era l’incastro perfetto, Pietro. Era la volontà di mantenere la faccia davanti a Matera che li ha spinti a stare insieme.”
Pietro tolse la mano da sotto quella di Imma e se la portò sulle ginocchia. Imma sapeva bene che la parte infantile di Pietro lo aveva portato ad idealizzare i suoi genitori come coppia perfetta, e odiava quando qualcuno gli sbatteva in faccia la realtà. O meglio, una realtà infiocchettata per bene visto che Imma avrebbe benissimo potuto dire altro, come “tuo padre è un povero succube di quella megera di tua madre”.
“Noi però eravamo l’incastro perfetto.” Sussurrò Pietro amaramente. Le riprese la mano: “Io voglio essere felice, Imma. Davvero felice. Non me ne frega niente di mantenere la faccia davanti a Matera, io voglio non vedere l’ora di tornare a casa da mia moglie.”
Imma si sentì un groppo in gola. Stava succedendo: la stava lasciando. Non avrebbe mai dovuto sperimentare quei sensi di colpa, perché Pietro la stava lasciando. Sentì un mix di emozioni: sollievo, disperazione, tristezza, rabbia. Non capiva il perché di nessuna di queste, ma le sentiva così forti che iniziò a farle male la pancia.
“Ricominciamo daccapo, Imma. Vieni in terapia con me. Riscopriamo quello che ci ha fatto innamorare.” Glielo chiese con gli occhi lucidi. Imma sentì il desiderio di urlare verso il soffitto. Qualcosa come: “ma che è uno scherzo? Che hanno questi con l’idea di ricominciare tutto daccapo?”
E ti pareva che poteva andarle bene qualcosa. Infondo ora neanche poteva pregare, perché incarnava letteralmente il peccato.
“Pietro io…” sussurrò, ancora incapace di guardarlo.
“Ti prego, Imma. Un ultimo tentativo. Se anche questo dovesse fallire… parleremo con Valentina, e ognuno andrà per la sua strada.” La voce gli si spezzava ad ogni parola e Imma non potè far a meno di sentirsi stringere il cuore.
Sarebbe stata una presa in giro bell’e buona, ma glielo disse: “Va bene.”
Non si dissero più una parola, perché Pietro andò a sedersi davanti al computer per il resto della serata, mentre Imma decise di andare a letto. Lì, sotto le coperte, si rese conto che andare in terapia con Pietro in realtà non sarebbe stato del tutto inutile: insieme avrebbero capito che il loro matrimonio era giunto al termine, la consapevolezza sarebbe arrivata a Pietro in modo graduale e anche lei avrebbe avuto il tempo necessario per far pace con quell’idea. Il pensiero che un giorno avrebbe divorziato non le aveva mai sfiorato la mente, semplicemente perché il matrimonio —e la maternità— le sembrava uno step obbligatorio, qualcosa che avrebbe dovuto fare in quanto donna, come se esistesse un manuale da seguire alla lettera. Laurea, carriera, matrimonio, figli, famiglia. Tutto era circoscritto a quegli obiettivi e una volta raggiunti sarebbero rimasti lì, immobili: la vita avrebbe continuato a scorrere con giornate tutto sommato simili tra loro, con l’unico vero brivido causato unicamente dal lavoro che amava più di ogni altra cosa. L’amore non era mai stato importante. Le sembrava una favola molto utile per chi non aveva altro a cui pensare: quando aveva conosciuto Pietro le era sembrato un bravo ragazzo. La faceva ridere, cosa che non riusciva praticamente a nessuno. E poi la sua dolcezza, quei modi così pacati e delicati che le fecero intuire fin da subito che mai le avrebbe fatto del male. Un uomo che avrebbe visto al suo fianco con una famiglia. Si convinse che l’amore doveva essere quello: trovare una brava persona con cui dividere la vita. Così si sposarono giovanissimi, subito dopo la sua laurea —ovviamente con lode— in giurisprudenza. Valentina arrivò l’anno dopo, insieme al suo primo contratto a tempo indeterminato. Gli step li aveva raggiunti tutti, e aveva solo ventisette anni. Mentre il tempo passava, Imma non poteva che reputarsi felice, soddisfatta, completa, appagata. Le giornate scorrevano tutte uguali, così come le aveva immaginate.
Poi arrivò
lui. Tutti i cliché sulle donne di mezza età col toy boy si erano improvvisamente materializzati davanti a lei sotto forma di un timido ragazzo di provincia. Una fantasia lontana, un sogno erotico da romanzi rosa di quelli che le casalinghe annoiate leggono mentre si cuoce il sugo —e tale doveva rimanere. Poi il bacio, le foto, la finta gravidanza, l’incidente. E poi l’anno trascorso a riempire i giovedì sera di chiacchiere su qualsiasi argomento. Le farfalle nello stomaco, le gambe che le tremavano sotto la scrivania, il suo cercare di essere bella a tutti i costi aggiustandosi continuamente trucco e parrucco, il suo nervosismo ogni volta che le si avvicinava. Quello era l’innamoramento, quello che avrebbe dovuto provare a vent’anni.
Prima e dopo Calogiuri. Così si poteva riassumere la sua vita.
Le vibrò il telefono, distogliendola da quei pensieri: era una mail. Il suo biglietto per Firenze era arrivato. La dottoressa Tataranni stava per chiudere il manuale della perfetta donna lucana e correre incontro alla felicità.

a domani! 

   
 
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