La fine di un sogno
Hannah ed io stavamo aspettando sul
marciapiede, Jack, il mio fidanzato, e Mike, suo padre, già da qualche minuto.
Mentre discorrevamo del più e del meno, li vedemmo arrivare, alla guida c’era
Jack, che ci fece i fari e mise la freccia per accostarsi. Io e lui stavamo
insieme da più di un anno, eppure ogni volta che lo vedevo era come se fosse la
prima, tant’è vero che la sua frase ricorrente quando gli palesavo in modo un
po’ troppo evidente il mio affetto era: “Ma Mary dai ci siamo visti neanche 12
ore fa!” ma io non ci potevo fare nulla, ogni volta che lo vedevo sorridevo
felice di avere il mio uomo accanto.
Proprio
mentre stavano accostando, una macchina sterzò bruscamente e, dalla corsia
opposta, gli andò addosso facendo un frontale. Fu un attimo, io e Hannah
rimanemmo scioccate, poi il mio sangue freddo prese il sopravvento ed
intervenni subito lasciando a lei il compito di chiamare i soccorsi in modo che
vedesse il meno possibile di quello spettacolo raccapricciante:
Mike, con il volto sanguinante semi-coperto dall’airbag
ed i frammenti del parabrezza sulla parte alta del corpo; la macchina che li ha
scontati è andata a finire esattamente contro la parte
del
passeggero.
Facendomi coraggio aprii la portiera: “Mike, Mike mi senti?
Gli controllo il polso ma non c’è battito, ho paura a spostarlo perché
rischierei di compromettere ancora di più la situazione ormai grave; così
passai a Jack. A lui è andata meglio dato che la macchina non l’aveva colpito
direttamente, il volto era insanguinato e aveva sicuramente il setto nasale
rotto dato che, per fortuna l’airbag si era aperto; era semi-coscente, infatti,
il busto era appoggiato allo schienale. Quando mi avvicinai, cercò di dirmi
qualcosa: “Shh, non dire nulla, non affaticarti, adesso arriva l’ambulanza ed
andiamo all’ospedale”
“Papà?” mi chiede cercando di guardare alla sua destra
“Non ti muovere!” gli dico appoggiandogli una mano sulla
spalla “Ha il setto nasale rotto a causa dell’airbag” continuo cercando di
dissimulare il più possibile la paura che si sta insidiando in me ad ogni
secondo che passa.
Finalmente arrivano le ambulanze, l’autista della
macchina pirata ha solo un taglio sulla fronte e quindi viene lasciato alle
cure dei paramedici, mentre il dottore presente sull’automedica si dirige
immediatamente verso di noi: “Prima di là” gli dico indicando Mike, mi spostai
da Jack in modo che una parte dei volontari specializzati si occupasse di lui e
raggiunsi il dottore insieme ad Hannah. “Cos' è successo?” ci chiede mentre lo
visita, presi il respiro per parlare ma guardai Hannah e lasciai che fosse lei
a prendere la parola “Li stavamo aspettando hanno messo la freccia e subito
dopo è sbucato quello stronzo che gli è andato addosso senza un perché e…. ”
iniziò a tremare e poi scoppiò a piangere “Venga signora” le disse un
paramedico porgendole una coperta e facendola sedere nell’automedica “Andrew “
disse il dottore
“Mi dica” rispose un milite arrivando di corsa
“Rianimazione subito ha un grave trauma cranico, ha perso conoscenza dagli 5cc
di….”
In quel momento vidi un altro dottore che visitava Jack
ed andai verso di lui “… ha un trauma cranico ma è ancora cosciente ed
abbastanza vigile” queste ultime parole mi dettero la forza per non vedere
tutto così nero, ma restava il fatto che Mike era grave.
Caricarono il papà di Jack sull’ambulanza ed Hannah salì
con lui; sperai con tutta me stessa che ce la facesse. Dopo alcuni istanti, che
a me sembrarono ere, misero anche Jack sul mezzo di soccorso ed io andai con
lui.
Il viaggio in ospedale era un qualcosa di nebuloso nella
mia mente, il rumore delle sirene e la paura per la sorte di Mike e di suo
figlio congelava ogni cosa recandomi sentire come in trance.
Questo stato di coma imperversava anche durante l’attesa
davanti alla sala operatoria insieme ad Hannah, ogni volta che si apriva la
porta tutt’e due ci alzavamo, ma man mano che il tempo passava ci limitavamo ad
alzare solo la testa guardando speranzose il chirurgo che usciva dalle camere
asettiche. “Non si preoccupi, se la caverà” questa frase del dottore che
aveva visitato Jack per ultimo mi rincuorava “Se ci saranno dei cambiamenti
gravi la facciamo chiamare con l’interfono, ora è meglio se va dal padre del
ragazzo, è in sala operatoria; c’è la moglie che aspetta fuori, vada da lei che
ne ha bisogno”. Quest’alta frase con un doppio significato m i aveva
spaventata; cosa significava: “Che ne ha bisogno?!?! Ne ha bisogno perché è
sotto choc o perché il dottore diagnosticava una fine più tragica?”.
Quando arrivai davanti alla sala operatoria vidi Hannah
distrutta, evidentemente le notizie non erano delle migliori, mi aveva
raccontato quello che le aveva detto il chirurgo: “Non le nasconderò che le
condizioni sono gravi, ma faremo il possibile”. Rimanemmo abbracciate per
qualche minuto piangendo, poi le dissi: “Lo vuoi un caffè?”
“S-si grazie”, così mi diressi verso il vicino
distributore di bevande calde e le presi un caffè forte e zuccherato, glielo
porsi sperando che il dottore non impiegasse tanto per l’operazione, perché
rimanere con l’ansia era l’ultima cosa che volevo avere.
Dopo circa
quattro ore uscì il chirurgo; l’espressione non era delle migliori: “Mi
dispiace Signora Grange, ma suo marito non ce l’ha fatta”. La disperazione
prese il sopravvento su Hannah ed io cercai di consolarla come meglio potevo,
le parole era ovvio che non servissero; per fortuna arrivarono due infermiere
che la portarono in una stanza riservata per farla calmare, io rimasi di sasso,
non riuscivo a versare neanche una lacrima, non riuscivo nemmeno a pensare a
quello che era appena accaduto; o meglio, non riuscivo a figuramelo, non ce la
facevo proprio a vedere quell’uomo quasi sulla sessantina, dai capelli
brizzolati steso in una bara; per me era ancora nell’orto a raccogliere i
pomodori o a fare la settimana enigmistica sul divano….
Ringraziai il dottore ed andai da Jack; lo choc stava
prendendo il sopravvento, dovevo sedermi accanto alla persona che amavo e
sentirla vicina per cercare di non perdere il contatto con la realtà.
Entrai nella stanza numero 24, era di un bianco asettico
che rendeva il posto neutrale, l’unica triste nota di colore era data dal cielo
grigio che si scorgeva dalla finestra; mi sedetti vicino a Jack, mi faceva
impressione con i punti sul viso e con la flebo nella mano, il continuo “bip”
del monitor m’informava che il cuore ancora batteva ma gli immobili occhi
chiusi davano un senso d’artificioso che metteva i brividi. “Jack, Jack” lo
chiamai posandogli la mia mano sulla sua “Non si preoccupi sta bene ma è sotto
sedativi, stia pure qui se vuole, se tutto va come deve andare, domani mattina
si sveglia” mi disse un’infermiera che si era fermata sulla porta “Grazie” le
dissi. Non mi restava altro che aspettare, a quel punto tutto quel sangue
freddo, quell’adrenalina che mi aveva spinto fino a lì svanì e mi ritrovai sola
con le mie paure: piansi fino allo stremo e mi addormentai entrando nell’oblio
oscuro di un sonno che altalenava tra disperazione e speranza.