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Autore: temishira    11/09/2009    0 recensioni
Caricarono il papà di Jack sull’ambulanza ed Hannah salì con lui; sperai con tutta me stessa che ce la facesse. Dopo alcuni istanti, che a me sembrarono ere, misero anche Jack sul mezzo di soccorso ed io andai con lui.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io e Hannah stavamo aspettando sul marciapiede, Kack, il moi fidanzato, e Mike, suo padre, già da qualche minuto

La fine di un sogno

 

  Hannah ed io stavamo aspettando sul marciapiede, Jack, il mio fidanzato, e Mike, suo padre, già da qualche minuto. Mentre discorrevamo del più e del meno, li vedemmo arrivare, alla guida c’era Jack, che ci fece i fari e mise la freccia per accostarsi. Io e lui stavamo insieme da più di un anno, eppure ogni volta che lo vedevo era come se fosse la prima, tant’è vero che la sua frase ricorrente quando gli palesavo in modo un po’ troppo evidente il mio affetto era: “Ma Mary dai ci siamo visti neanche 12 ore fa!” ma io non ci potevo fare nulla, ogni volta che lo vedevo sorridevo felice di avere il mio uomo accanto.

Proprio mentre stavano accostando, una macchina sterzò bruscamente e, dalla corsia opposta, gli andò addosso facendo un frontale. Fu un attimo, io e Hannah rimanemmo scioccate, poi il mio sangue freddo prese il sopravvento ed intervenni subito lasciando a lei il compito di chiamare i soccorsi in modo che vedesse il meno possibile di quello spettacolo raccapricciante:

Mike, con il volto sanguinante semi-coperto dall’airbag ed i frammenti del parabrezza sulla parte alta del corpo; la macchina che li ha scontati è andata a finire esattamente contro la parte  

del passeggero.

Facendomi coraggio aprii la portiera: “Mike, Mike mi senti? Gli controllo il polso ma non c’è battito, ho paura a spostarlo perché rischierei di compromettere ancora di più la situazione ormai grave; così passai a Jack. A lui è andata meglio dato che la macchina non l’aveva colpito direttamente, il volto era insanguinato e aveva sicuramente il setto nasale rotto dato che, per fortuna l’airbag si era aperto; era semi-coscente, infatti, il busto era appoggiato allo schienale. Quando mi avvicinai, cercò di dirmi qualcosa: “Shh, non dire nulla, non affaticarti, adesso arriva l’ambulanza ed andiamo all’ospedale”

“Papà?” mi chiede cercando di guardare alla sua destra

“Non ti muovere!” gli dico appoggiandogli una mano sulla spalla “Ha il setto nasale rotto a causa dell’airbag” continuo cercando di dissimulare il più possibile la paura che si sta insidiando in me ad ogni secondo che passa.

Finalmente arrivano le ambulanze, l’autista della macchina pirata ha solo un taglio sulla fronte e quindi viene lasciato alle cure dei paramedici, mentre il dottore presente sull’automedica si dirige immediatamente verso di noi: “Prima di là” gli dico indicando Mike, mi spostai da Jack in modo che una parte dei volontari specializzati si occupasse di lui e raggiunsi il dottore insieme ad Hannah. “Cos' è successo?” ci chiede mentre lo visita, presi il respiro per parlare ma guardai Hannah e lasciai che fosse lei a prendere la parola “Li stavamo aspettando hanno messo la freccia e subito dopo è sbucato quello stronzo che gli è andato addosso senza un perché e…. ” iniziò a tremare e poi scoppiò a piangere “Venga signora” le disse un paramedico porgendole una coperta e facendola sedere nell’automedica “Andrew “ disse il dottore

“Mi dica” rispose un milite arrivando di corsa “Rianimazione subito ha un grave trauma cranico, ha perso conoscenza dagli 5cc di….”

In quel momento vidi un altro dottore che visitava Jack ed andai verso di lui “… ha un trauma cranico ma è ancora cosciente ed abbastanza vigile” queste ultime parole mi dettero la forza per non vedere tutto così nero, ma restava il fatto che Mike era grave.

Caricarono il papà di Jack sull’ambulanza ed Hannah salì con lui; sperai con tutta me stessa che ce la facesse. Dopo alcuni istanti, che a me sembrarono ere, misero anche Jack sul mezzo di soccorso ed io andai con lui.

Il viaggio in ospedale era un qualcosa di nebuloso nella mia mente, il rumore delle sirene e la paura per la sorte di Mike e di suo figlio congelava ogni cosa recandomi sentire come in trance.

Questo stato di coma imperversava anche durante l’attesa davanti alla sala operatoria insieme ad Hannah, ogni volta che si apriva la porta tutt’e due ci alzavamo, ma man mano che il tempo passava ci limitavamo ad alzare solo la testa guardando speranzose il chirurgo che usciva dalle camere asettiche. “Non si preoccupi, se la caverà” questa frase del dottore che aveva visitato Jack per ultimo mi rincuorava “Se ci saranno dei cambiamenti gravi la facciamo chiamare con l’interfono, ora è meglio se va dal padre del ragazzo, è in sala operatoria; c’è la moglie che aspetta fuori, vada da lei che ne ha bisogno”. Quest’alta frase con un doppio significato m i aveva spaventata; cosa significava: “Che ne ha bisogno?!?! Ne ha bisogno perché è sotto choc o perché il dottore diagnosticava una fine più tragica?”.

Quando arrivai davanti alla sala operatoria vidi Hannah distrutta, evidentemente le notizie non erano delle migliori, mi aveva raccontato quello che le aveva detto il chirurgo: “Non le nasconderò che le condizioni sono gravi, ma faremo il possibile”. Rimanemmo abbracciate per qualche minuto piangendo, poi le dissi: “Lo vuoi un caffè?”

“S-si grazie”, così mi diressi verso il vicino distributore di bevande calde e le presi un caffè forte e zuccherato, glielo porsi sperando che il dottore non impiegasse tanto per l’operazione, perché rimanere con l’ansia era l’ultima cosa che volevo avere.

  Dopo circa quattro ore uscì il chirurgo; l’espressione non era delle migliori: “Mi dispiace Signora Grange, ma suo marito non ce l’ha fatta”. La disperazione prese il sopravvento su Hannah ed io cercai di consolarla come meglio potevo, le parole era ovvio che non servissero; per fortuna arrivarono due infermiere che la portarono in una stanza riservata per farla calmare, io rimasi di sasso, non riuscivo a versare neanche una lacrima, non riuscivo nemmeno a pensare a quello che era appena accaduto; o meglio, non riuscivo a figuramelo, non ce la facevo proprio a vedere quell’uomo quasi sulla sessantina, dai capelli brizzolati steso in una bara; per me era ancora nell’orto a raccogliere i pomodori o a fare la settimana enigmistica sul divano….

Ringraziai il dottore ed andai da Jack; lo choc stava prendendo il sopravvento, dovevo sedermi accanto alla persona che amavo e sentirla vicina per cercare di non perdere il contatto con la realtà.

Entrai nella stanza numero 24, era di un bianco asettico che rendeva il posto neutrale, l’unica triste nota di colore era data dal cielo grigio che si scorgeva dalla finestra; mi sedetti vicino a Jack, mi faceva impressione con i punti sul viso e con la flebo nella mano, il continuo “bip” del monitor m’informava che il cuore ancora batteva ma gli immobili occhi chiusi davano un senso d’artificioso che metteva i brividi. “Jack, Jack” lo chiamai posandogli la mia mano sulla sua “Non si preoccupi sta bene ma è sotto sedativi, stia pure qui se vuole, se tutto va come deve andare, domani mattina si sveglia” mi disse un’infermiera che si era fermata sulla porta “Grazie” le dissi. Non mi restava altro che aspettare, a quel punto tutto quel sangue freddo, quell’adrenalina che mi aveva spinto fino a lì svanì e mi ritrovai sola con le mie paure: piansi fino allo stremo e mi addormentai entrando nell’oblio oscuro di un sonno che altalenava tra disperazione e speranza.

 
 

  
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