Anime & Manga > Tokyo Revengers
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Autore: ghost_blu    10/12/2022    0 recensioni
Raccolta di capitoli incentrati su una tematica portata da Tokyo Revengers, protagonisti i vari personaggi, alle prese con il loro problemi.
Come se fosse il diario di un angelo, che volta volta cammina insieme a loro, raccontandone la loro storia.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Shonen-ai
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Boys don't cry

TW: violenza (blanda)

 

 

Ho perso mia mamma nei miei ricordi. Non trovo più il suo volto, o il suo sorriso. Non ricordo il suo profumo, o che sensazione dessero i suoi capelli neri tra le dita, il suo sguardo dolce, il suo sorriso rassicurante.
Senza la mamma mi sento solo. Da quando non c’è più, sono sempre solo. Non importa se c'era Emma, o quando era ancora vivo Shinichiro. Anche se mi faceva da genitore e non mi faceva mancare nulla. Anche se con me avevo i ragazzi, la Toman intera. Mi sono sempre sentito solo, come se mi avessero abbandonato, preso e lasciato in un bosco buio senza trovare l’uscita.
Mi sono sempre sentito in colpa per questa cosa. Mi sento debole e patetico a soffrire per questo, a soffrire per una cosa che non ha senso, perché sono sempre stato circondato da persone che mi amano, che mi davano forza e ammiravano il mio talento. Mi sento un idiota a provare tutto questo, quindi ho sempre cercato di reprimermi.
Non piangere Manjiro, tutti si aspettano da te che tu sia forte.
Vinci Manjiro, tutti si aspettano che tu sia invincibile.
Guida tutti noi, perché tu sei un faro sempre luminoso e non puoi proprio permetterti di spegnerti.
Allora ingoi, ne butti giù una, poi un altra, un altra ancora, e poi ti ritrovi con le mani piene di sangue e il volto del tuo migliore amico sbranato in due.
Ma come hai fatto? Davvero Manjiro, come diavolo ci sei riuscito? Ma quella non è stata la prima volta e non penso nemmeno che sarà l’ultima.
La verità è che vorrei la mamma. Vorrei che mi abbracciasse forte, che mi sorridesse fiera di me.
Vorrei anche piangere, piangere forte, permettermi di esplodere. Ma no.
Mi sento annegare in questo mare di pensieri. Sono sempre peggiori, sempre più inquietanti. Non so come ho fatto a riguardare in faccia Haruchiyo, non so come lui voglia essere ancora mio amico. Certe volte penso che sia tutta colpa mia. In realtà spesso.
Penso di essere malato, di essermi ammalato di una malattia dell’anima, qualcosa che non mi fa vedere la luce quando apro gli occhi, che mi fa sentire avvolto dalle spire, minacciandomi di farmi perdere il senno per ogni minima cazzata.
La rabbia mi perseguita. So che faccio un gran casino quando perdo la testa, ma non riesco a controllarmi. Dio ci ho provato, ci ho provato e ci provo da morire, ma fa così male, trattenere tutta quella merda fa male come se mi bollisse il sangue. Come se mi scoppiassero gli organi.
Alle mie domande mi rispondo che è normale, che in qualche modo la sofferenza deve uscire da me. Ma più mi arrabbio e più quella cresce, più mi si spegne la testa e più creo caos intorno a me. Da una parte non posso lasciarmi andare perché creo un casino che mi fa soffrire, dall’altra parte se mi trattengo soffro anche il doppio. Non so che cazzo fare.
Se solo ci fosse Shinichiro. Mi darebbe tante di quelle martellate in testa. Mi manca così tanto, sento che tutto sarebbe migliore se lui fosse vivo, sento che sarei accudito, che qualcuno mi insegnerebbe ad utilizzare le mie emozioni, a far funzionare dritta la testa.
Se solo fossi completo. Gli impulsi oscuri non sono altro che il posto che c’è nella mia mente tutte le volte che divento più vuoto di prima. La mia anima non regge quel vuoto, la mia psiche collasserebbe del tutto e diventerei pazzo. Allora a quel vuoto ho imparato a dare una densità, a dare un peso. La rabbia.
Ma più questo vuoto si riempie è più mangia a morsi quello che resta di me.
È divertente pensare che mi sto occupando di tutte queste stronzate mentre combatto contro di lui.
 

Haganaki Takemichi, ti ho qui difronte a me. Ma io non posso parlarti, non posso toccarti, non posso abbracciarti. Ha di nuovo preso il controllo di me quella stupida parte, quell’acido cancro.
Mentre ti guardo usare i tuoi poteri per scansare i miei calci, mi viene da sorridere. Sei diventato molto più sveglio.
Sì, sei cambiato Takemichi.
E ho così paura, perché la determinazione che vedo nel tuo sguardo ti sarà fatale.

Nessuno capisce un cazzo. Tutti, per quanto mi amino non capiscono un emerita sega. Non capiscono lo sforzo a cui mi sottopongo, alle urla che soffoco dentro me stesso. All’apatia, la più completa perdita di interesse verso il prossimo, anche verso a quelli a cui devo tutta la mia vita.
Mi dispiace ma a me non me ne importa, non mi importa di essere una delusione, non mi importa di essere un mostro, così come non mi importa che ci siano ancora persone che tengono a me e che cercano di ripigliarmi. Ho perso il battito del mio cuore così tanto tempo fa che non ho idea nemmeno più del suo suono.
Sono solo così tanto arrabbiato, e vuoto, e triste. Una rosa che secca petalo dopo petalo.
Ma tu, oh tu, tu riesci a dare quella scarica nel mio petto. Riesci a trasformare la rabbia in forza, il dolore in resilienza.
Con te tutto è possibile, con te, solo con te, mi sento vivo.
Ma non è abbastanza. Faccio così schifo che perfino tu non riesci a cambiarmi. Sono una peste. Una malattia.

Io credevo che chi è forte non piange mai, mentre tu mi hai dimostrato che chi piange è il più forte di tutti.
È stato facendo scendere quelle lacrime che sei potuto andare avanti. Hai concesso alla tua mente di sfogarsi e ha superato le difficoltà. Io invece come un idiota sono sempre stato ancorato al passato, incapace di camminare oltre. Tutte le volte che ti sei sentito un cretino e un fallimento di merda, ti sei concesso quelle sensazioni, le hai vissute, le hai lasciate essere, mentre io sono rimasto un idiota e basta. Stupido, stupido idiota.

Continuo a far macchinare il mio cervello. Non ha importanza, ti sto colpendo.
Cos’è che dici?
Posso sfogarmi? Oh tu non vuoi vedere il putridume che ho dentro. Non vuoi vedere fino a che punto il mio cervello è insano, le cose che sono capace di fare. Morirai Takemichi, non parlarmi oltre!
Io non sto bene… no, per niente! Solo così marcio, una muffa che fa a pezzi la mia testa, che fa a pezzi chiunque sia intorno a me.
Haruchiyo ha ragione: sono maledetto!
Quindi ti prego… ti prego…
… ti ho tra le braccia.
Mi stai abbracciando? Sei finalmente crollato nell’evidenza, hai fatto vincere il buon senso e stai dando bandiera bianca?
Deve essere così, deve essere per forza così.

«Mikey!»
Un ragazzino con gli occhi grandi e una zazzera nera ti guarda dall’uscio di casa tua. Ha un mantello, lo sguardo coraggioso e fiero, tremi un poco nel guardarlo.
«Dici a me?»
«Sì Mikey! Sono io! Ti aspetto capito!? Vedi di muoverti!»
Takemichi? Perché tu…
«Cosa intendi dire? Hey! Aspetta!»
«Non posso aspettare! Devo salvarti»
«Salvarmi da cosa?»
«Da te stesso»
Il bambino ti guarda con un sorriso sornione.
«L’amore è capace di farti morire Manjiro, ma io ti insegnerò che fa anche vivere»
«Ti prego non andartene!»
Ride, ti guarda come se fossi uno sciocco.
«Ma io sono sempre qui»

Takemichi è morto, hai le mani sporche di sangue.

 

   
 
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