Anime & Manga > Tokyo Revengers
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Autore: ghost_blu    06/12/2022    0 recensioni
Raccolta di capitoli incentrati su una tematica portata da Tokyo Revengers, protagonisti i vari personaggi, alle prese con il loro problemi.
Come se fosse il diario di un angelo, che volta volta cammina insieme a loro, raccontandone la loro storia.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Shonen-ai
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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You're allowed to cry

TW: depressione, lutto, trascuratezza.

 

Eccoci con il primo capitolo. Il personaggio soggetto-oggetto di oggi sarà Mitsuya Takashi. Tema: trascuratezza durante la depressione, non poter mai mostrarsi deboli. Per favore commentate se credete di poter migliorare questa one-shot! Buona lettura.

 

 

 

 

 

 

 

 

Stamattina si è svegliato tardi. È domenica, non è un grosso problema, ma non è da lui.
Ultimamente sta dormendo troppo, è sempre molto stanco e non riesce ad alzarsi dal letto. Crede sia normale, ma non va bene lo stesso.
Stamattina quando si è svegliato si è ritrovato il corpo pieno di tutti i cerotti che c’erano in casa.
Quando è andato di là per chiedere spiegazioni alle sue sorelline, le ha trovate perfettamente vestite, davanti ai cartoni con tanto di colazione pronta.
«Luna, Mana, potete spiegarmi questo?» e indica il suo volto e le sue braccia tappezzati di cerotti delle principesse.
Un tempo avrebbe riso e le avrebbe rincorse per tutta casa giocando, stamattina invece è solo infastidito, le occhiaie spesse sotto agli occhi.
Luna guarda il fratello con un espressione serena, in mano un bicchiere di succo di pesca.
«Sei malato Takashi! Abbiamo pensato che se ti mettevamo i cerotti guarivi»
Mitsuya sgrana gli occhi a quella frase, diventa quasi pallido, le lacrime gli salgono ai lati degli occhi e si guarda la pelle coperta.
“Sei malato Takashi”.
Forse è vero. Forse si è ammalato, una forte febbre, un forte freddo, che ha congelato il suo cuore e poi gli ha dato fuoco.
Tutto questo è iniziato da quando Draken è morto, e da quando si è iscritto al contest. Due cose che insieme lo stanno mangiando come centinaia di piccoli insetti. Come se fosse già morto, senza accorgersene, e che il suo corpo intanto sia andato in decomposizione. È una settimana che non si fa un bagno, svariati giorni che non esce di casa se non per andare in merceria. Non ha nemmeno più idea di quante siano le chiamate perse da Hakkai, o i suoi messaggi, tutti preoccupatissimi.
Si rende conto mentre guarda di cerotti, che lui non si può permettersi mai un cazzo. Dovrebbe commuoversi e baciare le sorelle, ma questa stronzata lo fa solo arrabbiare da morire.
Lui non può mai stare male. Non può mai smettere di adempiere ai suoi doveri, di svegliarsi tutte le mattine alle sette, prepararsi, svegliare le sorelle, preparare la colazione per la mamma e loro, pulire la cucina, aiutarle a vestirsi, prendersi cura di sua madre che dorme sfinita dai turni. Deve fare tutto lui, ma non lo scocciano più di tanto i doveri, ma che deve essere forte solo lui. Ma non è un soldato. Mitsuya non è un soldatino di piombo, pronto a marciare avanti e avanti, non deve fermarsi solo quando gli sparano in testa, quando gli fanno saltare in aria le gambe o lo sbranano in due. Vuole fermarsi prima! Vuole piangere Draken fino a che non si sente male, vuole urlare così forte da farsi perdere la voce e stare nel suo letto fino a che il piscio non gli torna ai reni e gli viene un infezione.
Sono così stanco, mi si chiudono gli occhi, non mi si muovono i muscoli.

Mi sento così arrabbiato. Tutti pretendono da me qualcuno di statuario, una presenza fissa, che si occupa di tutti e di tutto, ma oggi non ho voglia di fare un cazzo.
Oggi non voglio alzarmi dal letto. Non voglio mangiare, non voglio occuparmi delle mie sorelle, non voglio fare un favore alla mamma, non voglio nemmeno alzarmi per andare in bagno. Voglio essere debole, voglio permettermi di piangere, di avere pensieri brutti, di voler morire. Perché è questo che sento! Questo! E voglio solo cucire, voglio solo disegnare. Il mio corpo può fare anche solo questo.
Mi odio, mi odio così tanto. Dovrei essere più forte di così, dovrei fare tutte le faccende, dovrei occuparmi di Luna e Mana, sono piccole, non hanno colpa loro se devono essere seguite. Sono un mostro. Sono un fallimento, come figlio lo sono, come fratello, come compagno. La Toman e Hakkai mi stanno aspettando, ma li deluderò ancora, e ancora.
Vorrei che tu fossi qui, se tu ci fossi tutto sarebbe migliore. Mi sentirei bene, ancora parte di qualcosa, ancora capito nel profondo, amato in un modo che nessuno, nemmeno Hakkai forse, riesce a comparare. È un legame più intrinseco, una chimica che crea un fratello, qualcuno che non pretendeva da me tutto. Qualcuno che non pretendeva niente, con cui potevo essere il vero me. Ma non ci sei più. Non potrò mai più parlarti.
Non potrò mai più-
Cos’è questo suono?
Qualcosa interrompe il suo soliloquio da tagliarsi le vene. Una suoneria, quella del suo telefono. Hakkai lo sta chiamando. Di nuovo.
Credo che se non rispondo finirà per mandarmi la polizia a casa. Ne sarebbe capace.
Sospira, con enorme fatica preme il pulsante verde.
«Pront-»
«Dove cazzo sei?!!»
«Hakkai calmati»
La sua voce sa di pianto. Sì è molto da lui.
«Dimmi dove diavolo sei o giuro che batto tutta questa città di merda!!!»
«Sono a casa mia ma non-»
«Arrivo!! Non azzardarti a muoverti di lì!!»
La chiamata si interrompe e Mitsuya resta con il telefono in mano, con gli occhi lucidi. Non vuole vederlo, non vuole!
Non vuole che veda questo schifo, che lo giudichi, non vuole il suo di giudizio. Il suo buon senso gli dice di darsi una lavata, sistemare la sua camera, fare qualcosa, ma non ha fottute forze. Lo vorrebbe così tanto, di farsi trovare in condizioni decenti, non vedere il suo volto dipinto di dispiacere e preoccupazione. Potrebbe anche mettersi a piangere per quanto lo conosce e piuttosto preferirebbe aprirsi la gola.
Si rannicchia nel suo letto, e sta per chiamarlo per convincerlo a non venire, ma il campanello suona. Porco Dio.
Ormai non c’è tempo Mitsuya, puoi anche rimanere lì morente, non puoi migliorare la situazione.
Quando la porta si apre Hakkai viene invaso da un forte odore di chiuso. La casa è desolata e silenziosa, per un attimo non capisce chi gli ha aperto perché sembra completamente vuota. Poi le due sorelline Mitsuya gli corrono incontro.
«Zio Hakkai!!»
Gli si aggrappano alle gambe e Hakkai ride contento di vedere che stanno bene.
«Ecco le mie due pesti! Era da un po’ che non ci vedevamo!»
Le due lo guardano contente, ma subito il loro sorriso si spegne.
Hakkai capisce immediatamente che c’è più di una cosa che non va.
«Portatemi da vostro fratello»
La due bambine si guardano con il capo chino. «Zio…» Luna gli fa cenno di abbassarsi.
«Dimmi piccola»
«Il fratellone non sta per niente bene»
Hakkai la guarda, consapevole di quella notizia.
«Non mangia e non fa il bagno, non esce di camera sua e l’unica cosa che fa è cucire»
Ad Hakkai si spegne lo sguardo. Aveva largamente capito che c’era qualcosa che non andava, ma non credeva così grave. L’attenzione torna alle due bambine.
«Chi si occupa di voi?»
Luna si indica.
«Io!»
«Oh piccola!»
Hakkai si mette in ginocchio, abbracciando forte le due bambine.


«Ditemi dov’è Takashi, ci penso io da adesso d’accordo?»
Forse qualche lacrima è uscita dai condotti oculari di Mitsuya, hanno bagnato silenti il cuscino.
Hakkai sente la terra aprirsi sotto i piedi, quando entra nella camera di Mitsuya. Solitamente il ragazzo è sempre ordinato e pulito, ma Cristo quella camera fa cagare.
Vestiti, pezzi di cartamodello, stoffa e fogli di carta sono disseminati ovunque. L’armadio è spalancato e mezzo del suo contenuto è per tutta la stanza. Su ogni ripiano disponibile ci sono i resti di quello che concede al suo corpo di ingerire e oltre alle tapparelle socchiuse, aria è stantia e umida.
Accanto ad un cumulo di riviste di moda c’è un altro bozzo, ovvero Takashi, rannicchiato ad un angolo del suo futon sommerso dallo schifo.
«Taka-chan»
Hakkai si accovaccia all’altezza della figura, è più magro sotto i vestiti, le occhiaie sono scure e incavate.
Gli viene da piangere, vorrebbe stringerlo forte e continuare fino a che non prometta di essere felice, ma non può essere così facile. Questa merda di sicuro non lo è.
Mitsuya lo guarda, senza proferire parola.
Hakkai non da di matto, non sclera e non si fa sopraffare dalle emozioni. Al contrario di quel che ci si potrebbe aspettare, riesce a calmare la sua preoccupazione, concentrandosi su quello che i suoi occhi supplicano.
«Vieni»
Abbracciami, abbracciami ti prego, tappa i miei occhi, non voglio vedere ancora. Non voglio sopportare ancora, sto male. Hakkai sto così male.
I suoi muscoli ancora non gli permettono di distendersi, vorrebbe piangere, ma non riesce. Non riesce a lasciarsi andare seriamente, ha troppa paura. Non vuole sapere chi è dietro lo spessore delle sue maschere.
Hakkai lo accarezza dolcemente.
Vorrebbe reagire, alzarsi, stamparsi un sorriso addosso e iniziare a sistemarsi, a far vedere che va tutto bene, ma non tanto per rassicurare gli altri, quando per rassicurare se stesso, illudersi da solo che vada tutto bene. Non ci riesce. Resta con lo sguardo vuoto, in silenzio, senza muoversi, riscaldato solo dal calore corporeo dell’altro.
«Andiamo Taka… vieni»
In qualche modo se lo issa in braccio, andando verso il bagno.
«Vedrai che starai meglio »
Mitsuya vorrebbe morire tra le sue braccia, morire in quel modo, morire felice e finalmente raggiungerlo, stare di nuovo bene, per sempre.
Non si riconosce nemmeno, da quando spera di morire? Da quando è uno che crede a ste cazzate di riunirsi in cielo? Eppure è l’unica cosa che si concede di pensare, l’unica cosa che gli da la speranza di poter tornare come prima.
Guarda le piastrelle turchesi del suo bagno, il rumore dell’acqua corrente e Hakkai che lentamente, la luce soffusa delle lampada contro l’imbrunire della sera, si spoglia, via un vestito dopo l’altro.
Si avvicina con le guance imporporate e l’aiuta a svestirsi, finché non rimangono entrambi nudi.
Hakkai mi abbraccia, e mi sembra così naturale abbracciarlo a mia volta. Mi viene da piangere, vorrei seppellirmi nel suo corpo, così da poter urlare a squarciagola.

Intanto ha tolto minuziosamente ogni cerotto.

Senza proferire altra parola gli prende la mano e lo guida dentro la vasca da bagno. L’acqua è perfettamente tiepida.
C’è odore di borotalco, il bagno schiuma che tutti e tre fratelli usano.
C’è silenzio, solo il rumore dell’acqua che scontra coi bordi della pelle.
Spero nella morte perché è la mia unica speranza di vivere.
La mano grande e calda di Hakkai sta passando con i polpastrelli lungo la sua schiena, insaponandolo per bene.
«Vedrai che da bello pulito starai meglio»
Non lo forza a parlare, non lo forza a muoversi, non lo forza a reagire.
Non lo sta forzando a fare niente a dire il vero. E questo lo distrugge.
Si stringe nelle sue braccia iniziando a tremare.
Hakkai non si scompone, continua a lentamente lavarlo, coccolandolo ad ogni passata di spugna, passando dolcemente su ogni muscolo guizzante, atonico per il digiuno.
Smettila di abbracciarmi, non me lo merito, non mi merito qualcuno che si prende cura di me, non mi merito qualcuno che mi voglia bene.
Solo lui poteva ma ormai se ne è andato. Devo rimanere solo, devo rimanere solo! È questo ciò che mi merito. Mi merito di morire.
«Takashi…»
Le sue braccia lo stringono, fa aderire i corpi nudi, la sua voce gli arriva direttamente all’orecchio, calmandolo dal profondo delle viscere.
«Guardami»
Mitsuya si gira, gli occhi sono gonfi e le labbra tremano.
Ad accoglierlo è il più bel sorriso che il suo cuore sperasse.
«Sono qui»
Sei qui, sei qui… Dio…
Non resisto… più…
Scoppia in lacrime, scoppia come una bombola del gas lasciata aperta, un boato secco e distruttivo. Seppellisce il volto nel petto di Hakkai, mentre quest’ultimo gli accarezza la testa.
Sono così triste!
Sono triste! Sono triste! Non posso farne a meno, non posso evitare di piangere. Non sono forte come tutti credete, non sono forte come vorreste che fossi. Devo essere triste anch’io. Ne ho il diritto, come ogni altro di piangere Draken. Tutti che si sono accollati a Mikey! Fanculo Mikey! Io ero il suo fratello, insieme, entrambi eravamo i Twin Dragons, io dovrei essere distrutto, io sono… sono… distrutto.
Il mondo ha perso ogni colore.
«Mi dispiace- mi- mi dispiace!»
Hakkai lo stringe paziente, non importa dirgli che è uno stupido a dire così, non è quello di cui ha bisogno. Se vuole scusarsi e delirare altre minchiate, gli lascerà il diritto di farlo.
«Dovrei morire Hakkai! Dovrei proprio!»
Ecco, adesso deve rompere.
«Smettila Takashi»
«No! No è vero!»
Piagnucola contro il suo petto, stringendolo ossessivamente con le mani, in un gioco di repulsione e attrazione.
«Smettila, guardami»
Gli prende il mento e lo punta verso di lui. Il suo volto continua a sciogliersi in lacrime.
«A Draken starebbe bene che tu pianga ogni lacrima nel tuo corpo. Era una persona ragionevole lo avrebbe capito»
Si nasconde nel suo petto, la lacrime creano piccole gocce che cadono nell’acqua calda.
«Ma ti assicuro che non avrebbe voluto sentirti dire questo»
«Sono stanco! Sono stanco di sentirmi dire da tutti questo! Io mi sento così, provo queste cose! Non riesco a non provarle»
Hakkai per un attimo ha pensato che sarebbe bastata la frasettina, ma si sbaglia.
Sospira.
«Hai ragione. Vuoi morire? Bene fallo Taka»
No, hai ragione non voglio morire. Voglio solo spegnere il dolore, voglio solo sentirmi meglio.
«Non vuoi vero? Hai il rasoio elettrico proprio, lì potresti farlo…»
Hakkai guarda in cielo, ignorando l’espressione infranta di Mitsuya.
Non si alzerà da quella vasca per andare a tranciarsi le vene.
Singhiozza, con la testa così piena di merda che non sa nemmeno se c’è più posto per la sua esistenza.
«Voglio solo che tutto questo finisca»
Hakkai torna a guardarlo.
«Finirà, Draken sarà per sempre morto, ma tu Takashi, starai meglio»
«No! No! No! Non starò meglio, non starò mai meglio»
«Invece si! Invece capirai che tutta questa storia ha molto più a che fare con te che con Draken! E quando lo capirai vivrai in pace nel suo ricordo!»
Che cosa intendi dire?
«Intendo dire, che adesso stai così perché non ne puoi più di qualcosa che già ti affliggeva! La sua morte è solo la goccia che fa traboccare il vaso!»
«No… non è così»
«Dove eri quando è morto Baji, quando Kazutora è tornato in prigione, quando Emma è morta, quando è accaduta tutta questa merda!?»
Non risponde.
«Eri lì, per tutti noi, e invece tu?»
Il suo sguardo si abbassa, guarda Mitsuya con sguardo afflitto.
«Io semmai ho colpa, per averti lasciato solo anche ad occuparti dei miei casini!»
Si guardano finalmente negli occhi, ogni singulto lentamente calmato.
«Non ti lascerò solo Takashi, non di nuovo, stavolta potrai debordare, come e quanto ti piace, mi assicurerò io che non succeda niente di pericoloso quindi ti prego, ti prego: piangi Takashi, piangi quanto vuoi»
Piangi quando vuoi, è accordato il tuo permesso di crollare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autore:

Se state piangendo anche voi perché non avete un Hakkai che vi risolve i problemi spogliandosi, tranquilli non siete soli. Spero vi sia piaciuto il capitolo, ci vediamo al prossimo con i carichi da novanta!

   
 
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