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Autore: Severa Crouch    11/12/2022    6 recensioni
Questa storia partecipa alla challenge di scrittura “Torneo Tremaghi, Harry Potter edition” indetto dal gruppo Facebook “L’angolo di Madama Rosmerta”.
In un universo in cui Roland Lestrange e i suoi fratelli, Roddie e Rabastan, sono cresciuti in Francia con i cugini Philomène e Cyrille e hanno frequentato l'Académie de Magie de Beauxbâtons, l’arrivo del Torneo Tremaghi offre loro la possibilità di andare in Inghilterra e conoscere Hogwarts, la scuola di magia frequentata dai loro genitori. Come sarà il ritorno in Inghilterra dopo la caduta di Lord Voldemort?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Lestrange, Nuova generazione di streghe e maghi
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 2 - La prima prova




Carrozza di Beauxbatons, giardini di Hogwarts, 23 novembre 2017

 

Madame Maxime ha messo in chiaro che, in questa edizione del Torneo, non ci sarebbero stati aiuti da parte dei professori, ma solo l’assicurazione che i docenti sono pronti a intervenire nel caso la situazione sfugga di mano. 

Una magra consolazione per chi brancola nel buio.

“Nella storia del torneo,” dice Cyrille ripercorrendo le cronache passate, “nel 75% delle edizioni, la prima prova consiste nell’affrontare una creatura pericolosa.”

“Basta, Cyrille!” 

Philomène è stremata da quella sfilza di giorni in cui gli allenamenti si sono sommati alle lezioni, perché se si vuole essere Campione Tremaghi, nessuno sconto è concesso. La gloria eterna va conquistata a caro prezzo e l’eccellenza è data dal talento sommato al duro lavoro. 

Agli occhi degli inglesi, gli studenti dell'Académie de Magie de Beauxbâtons sembrano concentrati su aspetti frivoli come l’etichetta e il portamento, ignorano la disciplina severa e gli alti standard di educazione a cui sono sottoposti. 

“Serve una strategia, serve che decidiate chi di voi tre partecipa, e lo dovete stabilire adesso.” Cyrille richiama la sua attenzione, i suoi occhi azzurri scintillano in un modo che sembra mostrare quanto velocemente la sua mente sta correndo. In quel momento, ha la lucidità di chi non è offuscato dalla paura e, da come parla, sembra che per lui sia semplice, quasi fosse la preparazione per un compito scolastico. 

In quella piccola stanzetta che Madame Maxime ha riservato per i campioni, anche per Philomène, facendo uno strappo al divieto assoluto per le ragazze di entrare nelle stanze dei ragazzi, ancorché parenti, Cyrille si alza in piedi e, tra le pareti color carta da zucchero e le tende di lino chiaro, chiarisce la sua posizione. “Domani sarete nel panico ed è importante che, in quella tenda, almeno due di voi siano lucidi e possano supportare il Campione che affronterà la prova.”

“D’accordo, vado io.” Philomène si alza in piedi e raggiunge il fratello. 

“Non esiste, vado io,” esclama Roland alzandosi in piedi. Suo cugino la raggiunge, le prende le mani e afferma solennemente, con lo stesso tono di zio Rodolphus: “Sono il maggiore, è compito mio.” Philomène scuote la testa: “Solo di qualche mese, Ro, non conta.”

Roddie si alza anche lui e con lo sguardo fermo dice loro: “Vado io e non voglio sentirvi discutere in merito.” 

“Ma tu sei il più piccolo,” ridacchia Philomène.

“Sono sufficientemente addestrato, e gli ultimi giorni lo hanno confermato. E poi…” Roddie esita e Philomène quasi sente quanto sta per dire. “Sono il più sacrificabile.”

“No,” lo interrompe. “Questi discorsi non hanno senso.” Philomène sente le lacrime salire verso gli occhi e cerca ad ogni modo di mantenere il controllo. Afferra le mani di Roddie, lui le dice: “Sei l’unica strega in famiglia.”

“Appunto, non trasmetterò il nome dei Lestrange, se c’è una sacrificabile sono io e, per inciso, sono anche la più abile nel duello.”

“Io sono quello che conosce meglio le creature magiche, però!” ribatte Roddie.

“Siamo stati scelti dal Calice di Fuoco, siamo tutti qualificati. Tutti noi siamo in grado di sopravvivere a questa prova. Partecipiamo per vincere, non per andare a morire,” è la posizione di Roland.

“Un bel discorso. Commovente,” lo schernisce Roddie, “ma ti ricordo che durante l’ultimo torneo, le conseguenze sono state gravi e c’è stato un morto. Non posso permettere che ti accada qualcosa, hai idea di come la prenderà papà?”

“E tu, non hai ancora pensato alla mamma? Strano…”

“Smettetela di litigare, voi due!” Rabastan interviene per allontanare i fratelli e sospira. “Ha ragione Cyrille, la chiave è nelle statistiche. Sono tre prove di abilità, la prima ha alte probabilità di essere una creatura magica e, non voglio offendere nessuno, ma Roddie è quello più qualificato.”

“Cosa?” Philomène non riesce a credere a quanto ha detto il più piccolo dei suoi cugini. Cyrille, al suo fianco annuisce. “Sono gli allenamenti che parlano. Siete tutti molto bravi nel duello, conoscete molti incantesimi, ma Roddie è quello che mantiene il sangue freddo davanti alle creature magiche. Ricordate che siete morti due volte perché avete incrociato lo sguardo del Basilisco?” 

“Sì, ma contro i draghi siamo stati grandiosi!” protesta Philomène.

“Anche Roddie,” puntualizza Cyrille. 

Roddie incrocia le braccia e dichiara solennemente: “Allora è deciso. Domani sarò io a sostenere la prova.” Philomène lo osserva raggiungere lo specchio e sistemare la cravatta della sua uniforme, con un rapido gesto della bacchetta sistema i suoi ricci che ora incorniciano elegantemente il suo volto chiaro su cui spiccano due occhi scuri come quelli di zio Rodolphus. Si volta sorridente verso di loro ed esclama: “Allora, andiamo a cena?” Le porge il braccio e domanda, da perfetto cavaliere: “Mi fai da dama, cugina cara?” 

“Posso dire di no al Campione Tremaghi?” scherza Philomène. L’atmosfera è diventata più leggera. Dietro di lei, Cyrille e Rabastan tornano a scherzare: “Secondo voi cosa mangeremo per cena? Pasticcio di piccione?”

“Bleah!” esclama Roland.

Roddie si gira verso di loro e li osserva seriamente: “Non ho idea di cosa mangeremo, ma sappiate che io vi osservo, e vi giudico su come mangerete.”

“Perenelle santissima, proteggici tu!” esclama Roland invocando la fondatrice di Beauxbatons, la compagna di una vita di Nicolas Flamel.

“E infondi grazia ed eleganza in questi zotici,” continua Roddie catturando una risata di Philomène. “A quale tavolo volete sedervi oggi?”

“Io tornerei dai Serpeverde. Dopo tutto, è la casa che ospita più Purosangue.”

“Chissà per quanto lo saranno ancora…” ridacchia Philomène. 

“Cosa vuoi dire?”

“Ho incrociato Rosier qualche giorno fa in biblioteca. Era nascosto tra gli scaffali e una tizia dai capelli rossi, una Grifondoro, credo, gli stava letteralmente mangiando la faccia.” Non ha mai provato tanto imbarazzo come in quel momento, quando si è accorta di essere finita nel posto sbagliato al momento sbagliato. “Certo, lui non sembrava molto contento. Sembrava grato dell’interruzione e ha lanciato un occhio ammonitore alla ragazza che mi ha fulminato con lo sguardo.”

“Oh, Flamel! Una di quelle appiccicose e gelose… Conosco il tipo…” esclama Cyrille che, nei suoi cinque anni a Beauxbatons ha spezzato innumerevoli cuori. Rabastan ridacchia, limitandosi a una smorfia di schifo, quando è Roland che riporta l’attenzione sull’oggetto del racconto. “Sbaciucchiarsi in biblioteca non è una minaccia allo stato di sangue.”

“Pare che la fortunata, se così possiamo definirla, sia una tale Dominique Weasley.”

“Come non detto…” Roland alza le mani e tira fuori un sorriso sarcastico. “Sarà divertente avere a che fare con Rosier d’ora in poi.”

 

* * *

 

Roland cerca di nascondere dietro discorsi futili la preoccupazione che lo divora. Si sente responsabile dei suoi fratelli e una parte di sé continua a rimproverargli di non aver impedito a Roddie di partecipare al Torneo. La verità è che ha sempre sottovalutato il fratello e non avrebbe mai creduto che il Calice di Fuoco potesse sceglierlo.

Osserva Roddie camminare verso il tavolo dei Serpeverde con la sua andatura elegante e si domanda quando ha smesso di essere il bambino che stava attaccato alla gonna della mamma ed è diventato il giovane uomo che porge il braccio a Philomène e le cede il posto migliore sulla panca. A vederli da fuori, qualcuno potrebbe pensare che le premure di Roddie possano essere il preludio di altri interessi, ma Roland conosce fin troppo bene il fratello e la cugina per essere certi che è solo una strategia per combattere l’ansia del confronto con ciò che non conoscono. Tra le mura dell’Accademia si salutano saltuariamente, ma da quando hanno messo piede sul suolo inglese sono diventati inseparabili: fingersi impegnati, dopo tutto, è il modo migliore per non essere raggiungibili dal resto del mondo. Giocano con i pregiudizi e il pudore altrui per difendersi da ciò che non gli piace e che disprezzano.

Roland, invece, non ha paura del mondo esterno. L’Inghilterra lo incuriosisce, è il paese dei suoi genitori e vuole comprendere cosa li ha feriti così nel profondo da indurli a diventare proprio come Roddie e Philomène. È come con la magia oscura, che fa paura se non la si conosce e non si impara a controllarla. E così, lui non allontana Rosier né Flint né Mulciber, ma chiacchiera con loro, pone domande, si confronta. 

In quelle settimane ha scoperto che tutti loro hanno delle ferite e che i processi hanno segnato chiunque abbia sostenuto il Signore Oscuro, che chinare il capo e chiudere gli occhi non è più semplice di lasciare tutto e crearsi una vita altrove. 

Roland siede accanto a Lance Rosier. “Avete deciso chi affronterà la prova domani?” domanda.

“No, credo che lo faremo domani nella tenda. Vedremo se i Grifondoro sono impavidi e coraggiosi come dicono o se toccherà a Serpeverde salvare l’onore di Hogwarts.”

“Confidi su una Weasley o un Delacour? Mi sembra eccessivo,” ridacchia Roland strappando una risatina anche a Lance che scuote la testa e dice: “Però la Weasley ha anche sangue dei Burke. Sai che suo padre è stato accusato di essere un traditore perché ha sposato una Purosangue?”

“E loro sarebbero i buoni? Quanta ipocrisia…” sospira Roland. Manda giù una patata al forno e si domanda quanto burro usino nelle cucine di Hogwarts, da quando è giunto in Inghilterra non ricorda di aver mangiato nulla condito con l’olio. “Mia madre ha lavorato con il padre di Molly, durante la guerra.”

“Se vuoi un consiglio, non parlare di questo argomento con Molly. La guerra è un argomento di cui nessuno parla volentieri da queste parti. Sai, siamo andati avanti…”

“Lo vedo. Posso chiederti un favore?” Lance solleva le sopracciglia, i suoi occhi azzurri sembrano scrutarlo. Roland si sente sciocco per quella richiesta, ma sa che non può sprecare una simile occasione. “Mi faresti vedere la sala comune di Serpeverde e il dormitorio?”

“Che idee ti sei fatto, Lestrange? So che in Francia siete disinibiti, ma con me non attacca.” Roland alza gli occhi al cielo. Perché non riesce a trovare un filo comune con Rosier? Eppure, le loro famiglie erano un tempo molto unite. “Che idee ti sei fatto tu, Rosier? Voglio solo vedere il dormitorio in cui è stato mio padre, tutto qui.”

Lance annuisce, si scambia uno sguardo con il cugino Jude ed entrambi confabulano qualcosa in tedesco, ma alla fine acconsentono. “Non potrai trattenerti a lungo e dovremo chiedere il permesso al professor Lumacorno.”

Così Roland finisce la cena con il pensiero di riuscire, finalmente, a vedere la sala comune in cui i suoi genitori sono cresciuti. Osserva la Sala Grande e cerca di immaginare suo padre, alla sua età, seduto su quelle panche insieme a zio Rabastan, Evan Rosier e tutti i loro amici. Qualcosa l’ha vista di nascosto nel Pensatoio di suo padre, frugando tra le fiale di ricordi dei suoi genitori. Sposta lo sguardo verso il fondo del tavolo, quello vicino al tavolo dei professori, e immagina sua madre e il papà di Orion che leggono la Gazzetta del Profeta e vivono la scuola con lo stesso senso di accerchiamento che sta avvertendo in quel momento.

Dopo il dessert, Lance si alza e fa segno a Roland di seguirlo. Sfilano lungo il tavolo fino a incontrare i professori. Parlano con Lumacorno e Madame Maxime. Il nome dei genitori fa sollevare qualche sopracciglio e comprende la loro preoccupazione, ma dopo tutto le colpe dei padri non devono ricadere sui figli e quindi acconsentono, a condizione che Lumacorno li scorti personalmente in quella discesa nei sotterranei.

Roland cerca di imprimere nella sua mente ogni singolo dettaglio: le pareti di pietra, le armature lucide, le torce che si accendono al loro passaggio. Ci sono dipinti e bacheche con annunci di studenti, qualcuno del terzo anno sta cercando di formare un gruppo di studio di Pozioni. Ci sono elementi non poi così diversi da quelli che si trovano a Beauxbatons. Salvo il freddo, che diminuisce man mano che scendono nei sotterranei, dove i rumori di fuori sono scomparsi e c’è solo silenzio e l’eco dei passi. Si fermano davanti una porta di pietra e Lumacorno bisbiglia la parola d’ordine che Roland non riesce a cogliere. Pensano sul serio che gli studenti di Beauxbatons possano infiltrarsi di nascosto nelle sale comuni degli studenti di Hogwarts o il sospetto è circoscritto ai figli degli ex Mangiamorte? Forse temono la nostalgia? Roland non lo sa ma il cuore si ferma per un istante nel momento in cui varca la soglia della sala comune di Serpeverde. 

È come essere nei racconti di sua madre, solo in quel momento ne percepisce l’accuratezza. Le finestre della sala comune che danno sulle profondità del lago nero, il ritratto di Salazar Serpeverde sopra il camino, le poltrone di cuoio scuro su cui il papà leggeva la Gazzetta del Profeta e il divano davanti al camino dove la mamma si è addormentata consolando Barty dalla perdita di Regulus Black. 

Roland si accorge troppo tardi che lo stupore è trapelato dal suo volto e i Serpeverde intorno a lui lo osservano sorpresi. C’è una ragazza bionda che gli si avvicina e cerca di rassicurarlo: “Ha fatto questo effetto anche a me, la prima volta che sono entrata.”

“Vada in dormitorio, Miss Dolohov,” la esorta il professor Lumacorno. Roland le rivolge un sorriso di ringraziamento e la osserva fluire verso il dormitorio delle ragazze. 

Chissà come dev'essere avere una sala comune in cui trascorrere le sere con le ragazze. A Beauxbatons, scattato il coprifuoco, i ragazzi vanno nella loro ala della scuola dove ci sono diverse sale comuni, ciascuna sul piano dedicato agli studenti dello stesso anno e di quello successivo. Così che il secondo piano è occupato dai ragazzi del primo e del secondo anno, il terzo è occupato dai ragazzi del terzo, quarto e quinto anno, il quarto è occupato solo dai ragazzi del sesto e del settimo anno. In modo perfettamente speculare, le ragazze hanno la medesima organizzazione. Così, conoscere una ragazza, trascorrere del tempo con lei, è limitato alle lezioni, al tempo dei compiti, alle passeggiate in giardino. Nulla di sconveniente, si trova a pensare.

“Vieni, Roland, ti mostro il dormitorio,” gli dice Lance riportandolo con i piedi per terra. Roland segue Rosier oltre una porta di legno scuro, fin dentro la prima porta che si apre su una stanza circolare. Lance allarga le braccia e sorride: “Benvenuto nel dormitorio di Serpeverde.”

Roland si guarda intorno e conta: “Il primo letto era di Augustus, il secondo era quello di papà, il terzo di Yaxley, poi c’erano Selwyn e… Nott.”

“Adesso, il secondo letto è di Jude, il terzo è il mio,” rettifica Lance.

“Nell’anno di zio Rabastan, il terzo letto era quello di Evan,” spiega. 

“Proprio così,” annuisce Lance.

“Signor Rosier e signor Lestrange, vi ricordo che non sono tollerati atteggiamenti nostalgici! La visita è finita.” Lo sguardo di Lumacorno li esorta ad allontanarsi e Roland viene scortato fuori dalla sala comune di Serpeverde e ricondotto nell’atrio dove lo attendono i fratelli e i cugini.

“Non riesco a credere che sei andato da solo!” esclama Roddie indignato non appena ascolta il racconto. Roland si stringe nelle spalle e mormora: “È come nei ricordi di mamma, eppure, è tutto così diverso. Forse è un bene che tu non l’abbia visto.” Stringe la spalla del fratello e lo guarda negli occhi. “Ho però scoperto che Hogwarts non ha ancora deciso chi affronterà la prova.”

“Ti fidi di Rosier?” domanda Philomène sottovoce.

“Sembrava sincero. Andiamo a dormire. Domani sarà una lunga giornata.”

 

***

 

Nella stanza sulla carrozza, Roddie fissa il soffitto su cui i rami dell’albero del Guardiacaccia proiettano strane ombre, rese ancora più confuse dal filtro della tenda. Dovrebbe dormire, ma la paura di non essere all’altezza lo attanaglia.

La porta si apre. 

“Roddie, stai dormendo?” domanda Rabastan sottovoce. Roddie sospira. “Non ancora.” Rabastan chiude la porta e si avvicina al letto: “Fammi posto.” Si scambiano un sorriso e Roddie scorre verso il lato opposto per far sistemare il fratello. “Non riesci a dormire?” domanda incuriosito. 

“Ho pensato che avessi bisogno di distrazione. Se fossimo a casa, saresti con la mamma, ma adesso lei non c’è.” Rabastan allunga un braccio intorno alle spalle del fratello e guida Roddie verso la sua spalla mentre gli accarezza la schiena. “La mamma ti direbbe che sei pronto. Va tutto bene, pulcino mio, sei in grado di essere un Campione Tremaghi!” Rabastan si lancia in un’imitazione della mamma che fa rabbrividire Roddie. “È strano… e inquietante, Rab, non farlo mai più!”

“Dai, la mamma fa così, non negarlo! Vuoi anche i bacini?” 

“Vuoi essere sbattuto fuori dalla stanza?”

Scoppiano a ridere entrambi. La porta si apre e compare Roland. “Mi fate posto?”

Roddie si trova stretto tra i due fratelli. “Perché ridevate?”

Rabastan non perde occasione per riprendere la sua imitazione della mamma e inizia: “Il mio Roddie, il mio pulcino, sono certa che farà un’ottima prova e darà lustro al nome dei Lestrange!” Si avvicina per stringerlo e Roddie si dimena mentre Roland scoppia a ridere e lo immobilizza: “Su, Roddie, fai il bravo, la mamma vuole darti un bacio.” Sente le labbra di Rabastan sulle guance e chiude gli occhi forte, disgustato da quella visione. “Non riuscirò più a vedere la mamma nello stesso modo!”

“Forse lo abbiamo guarito!” esulta Rabastan. Roddie si pulisce il viso con la manica del pigiama e poi guarda il soffitto: “Grazie per essere qui.” Si gira su un fianco, verso Rabastan, e proprio come quando da piccoli condividevano la cameretta e durante i temporali dormivano nello stesso letto, si addormenta stretto al fratello. Dietro di sé, il respiro di Roland si fa via via più pesante.

L’indomani Roddie si alza di buon umore. Ha sognato la Francia e i professori di Beauxbatons che lo guardavano con un rinnovato rispetto, di uscire dall’Accademia a pieni voti e di ricevere innumerevoli offerte di lavoro. Si prepara con cura, indossa l’uniforme dell’Accademia avendo cura di fare un nodo perfetto alla cravatta azzurra. Si avvolge nella mantella di lana color carta da zucchero e si prepara per la colazione nella Sala Grande. 

Nessuno di loro ha lasciato trapelare che avessero scelto chi sostiene la prova, volevano evitare sabotaggi e pressioni indebite. Entrando nell’atrio incontrano Rosier che cammina a fianco a una Grifondoro dai capelli rossi e lo sguardo disgustato. Roddie comprende subito chi sia e la mano va alla bacchetta mentre un moto di nausea lo assale.

“Tutto bene?” domanda Philomène che non ha mancato di notare il suo turbamento. Roddie annuisce e accelera il passo mormorando sottovoce: “Come si fa?” 

“Non ci pensare, Roddie. I Rosier sono morti con Evan, checché ne dicano i suoi discendenti…” Le parole di Philomène lo riportano al presente. “Vedi? I nostri genitori hanno fatto bene a rimanere in Francia, potevamo fare la fine di Rosier…”

“Flamel, che orrore!” 

Roddie sfiora con la mano la pietra della parete alle sue spalle e improvvisamente sente qualcosa. La bacchetta vibra nella sua tasca, quasi risvegliata da quell’epifania: la Sala Grande è il luogo in cui si è combattuta la battaglia di Hogwarts. I Mangiamorte hanno dato battaglia e Roddie quasi sente le tracce delle maledizioni lanciate, perché l’Oscurità non lascia mai i luoghi in cui viene evocata. Sorride. La mano dietro la sua schiena accarezza la pietra e cerca di percepire i segni della magia oscura.

“Sei Rodolphus Lestrange?” 

Una ragazza nell’uniforme di Serpeverde richiama la sua attenzione. Roddie annuisce. “Come posso esserti utile?” Tra i boccoli castani che le scendono ordinati sulle spalle, spunta un sorriso e gli occhi marroni si illuminano per l’entusiasmo. 

“Il mio nome è Alexandra Yaxley, molto lieta di fare la tua conoscenza.” 

Yaxley è un cognome che è girato di frequente in casa, sulle labbra dei suoi genitori, si trova a pensare. “Enchanté, mademoiselle Yaxley,” le risponde seguendo l’etichetta perché, come dice la mamma, l’educazione non è mai fuori luogo.

La ragazza fa una lieve riverenza ed è la prima volta che Roddie vede una ragazza eseguirne una come si deve. “Il piacere è tutto mio,” afferma. “Non vedevo l’ora di conoscere te o uno dei tuoi fratelli.”

“A cosa devo tanto entusiasmo?”

“Beh, mio padre è Aldous Yaxley, compagno di Serpeverde di tua madre, e mio nonno è Corban Yaxley, compagno di Serpeverde di tuo padre.” Alexandra intercetta le sopracciglia aggrottate e sussurra: “Sì, la nonna e il nonno erano già genitori alla nostra età, il calcolo è corretto. Pare che fu nell’estate tra il secondo e il terzo anno.”

Roddie alza le sopracciglia sorpreso e Alexandra nasconde la risata dietro una mano: “È stata la mia stessa espressione quando l’ho scoperto!” Torna composta facendo un sospiro e dice: “Il nome che porto è un omaggio alla tua mamma. Sia il nonno che il papà mi raccontano che grande strega fosse, anche se è del tutto scomparsa dalle cronache del tempo.”

“Sì, la mamma ha sempre avuto un certo talento per passare inosservata. Sarà felicissima di sapere che gli Yaxley hanno conservato un così bel ricordo di lei.”

“Credi che potrò conoscerla?”

Roddie scuote la testa e sospira: “Non in questo Torneo. La mia famiglia ha rifiutato di accettare di riconoscere il nuovo ministero e l’amnistia non ha mai avuto effetto per loro. Temo che finirebbero ad Azkaban se solo provassero a metter piede sul suolo inglese.”

“Un vero peccato,” sospira Alexandra delusa.

“Sono sicuro che sarebbe felice di ricevere un tuo biglietto. Se vuoi, potrò inserirlo nella mia prossima lettera e, chissà, magari riceverete un invito per la Francia!”

“Oh, sarebbe meraviglioso!” Alexandra si guarda intorno e poi abbassa la voce: “A dispetto delle apparenze, non tutti hanno lasciato la vecchia strada.”

“Ma Rosier?” domanda Roddie.

“Non so che passi per la testa di Lance, probabilmente è così pieno di sé da pensare di poter fare come gli pare, ma con il sangue non si scherza. Quando lo saprà suo padre, abbasserà la testa, e se non lo farà, beh, sai come si gestiscono questi casi.”

“Certo, i Black si sono estinti per questi casi.”

“Sai troppo delle famiglie Purosangue inglesi per essere un esule.”

“Beh la mamma ci tiene a rimanere informata.” Si scambiano un sorriso e una risatina complice. “Credo che potremo diventare ottime amiche di penna, in tal caso!” ridacchia Alexandra.

“Desolata dell’interruzione, ma Madame Maxime ha richiesto ai Campioni di avviarsi verso la tenda,” li informa Philomène. Roddie annuisce alla cugina e si congeda da Alexandra con un rapido inchino: “Con permesso, mademoiselle Yaxley.” Si sta allontanando quando sente qualcuno alle sue spalle domandare sarcastico: “Ma chi è quel damerino?”

“Uno educato, Mulciber, non uno zotico come te.” 

Non riesce a trattenere un sorriso al pensiero che quella fanciulla ha colto la sua educazione. Philomène, al suo fianco, ha un sorrisetto divertito. 

Nella tenda dei Campioni, tutti e nove i campioni hanno indossato le rispettive divise e sono stati messi insieme per le foto di rito. Un’inviata della Gazzetta del Profeta, dai boccoli biondi e le unghie scarlatte, li osserva come se fossero delle prede succose. Soprattutto, non perde di vista Philomène. 

Madame Maxime con la sua statura imponente calamita le loro attenzioni. “Avete fatto la vostra scelta?” 

“Sì,” conferma Roland prima di volgere lo sguardo verso Roddie. “Sei ancora sicuro?”

“Sono sicuro. Sono pronto, Madame Maxime.”

“Benissimo, monsieur Lestrange, mi segua. Voi due potete rilasciare le interviste, fare le foto e, se volete, tornare sugli spalti per osservare le prove.” Roddie vede Philomène congedarsi con una riverenza bella come quella di Alexandra Yaxley e un sorriso gli affiora sul volto. 

Deve rimanere concentrato.

Si sorprende nel trovare Lance Rosier tra i partecipanti della prima prova, era certo che sarebbe stato un Grifondoro il prescelto, probabilmente Delacour. Il Direttore dell’Ufficio dei Giochi Magici spiega loro ciò che dovranno fare: “Dovete entrare nell’arena e, ognuno di voi, affronterà una Creatura Magica. Questa Creatura avrà una catena al collo con un cilindro. Prendete il cilindro, contiene un indizio per la seconda prova.” Li osserva e domanda loro: “Chiaro?” Roddie annuisce. Cyrille aveva ragione, la chiave è nella statistica. Domanda: “Qual è la creatura magica?” 

Il tizio del Ministero sorride divertito ed esclama: “Lo scopriremo presto. Prego, signor Lestrange, peschi pure da questo sacchetto.” Roddie infila la mano e trova delle ali e la sua mente immagina che si tratti di un drago. Così, spalanca gli occhi quando si trova davanti un esemplare di Manticora, il volto di un uomo, il corpo di leone, la coda di scorpione e le ali che la rendono temibile. 

“Una Manticora!” esclama lo stronzo del Ministero. “Notevole! Innumerevoli maghi sono finiti vittime del veleno della sua coda.” Roddie solleva le sopracciglia perplesso e Madame Maxime gli stringe le spalle dicendogli: “Non accadrà nulla di tutto ciò, è una prova di abilità. Hai una strategia in mente?” Roddie annuisce. “Ricorda che non la devi uccidere, ma devi solo recuperare il cilindro.” Gli occhi scuri di Madame Maxime cercano di infondergli coraggio, la voce della preside continua a domandargli se si sente pronto e Roddie, ogni volta, annuisce. Si perde l’estrazione che avviene per gli altri concorrenti. L’aria sconvolta di Rosier gli suggerisce di essere stato fortunato, se affrontare una Manticora, la divoramaghi può essere considerata una fortuna. 

Sarà il primo a sostenere la prova. Stringe la bacchetta in mano ed entra nell’arena.

Intorno a sé il pubblico sugli spalti sembra trattenere il fiato. Solo un gruppetto di studenti di Beauxbatons lo acclama con striscioni e urla di incitamento. Forse, riconosce Rabastan. Riporta l’attenzione alla Manticora dinnanzi a sé e trae un respiro profondo. Si sente calmo e stranamente lucido. Credeva che il panico lo avrebbe sopraffatto, ma riesce a tenere lo sguardo sulla creatura magica. 

“Chi abbiamo qui?” domanda la testa di uomo della Manticora.

Roddie fa un passo nell’arena e sorride: “Rodolphus Lestrange, sono qui per il cilindro che porta al collo. Se collabora, non le accadrà niente.”

La Manticora scoppia a ridere: “E rinunciare al mio pasto? Privare il pubblico di uno spettacolo cruento? No, i cuccioli di Mangiamorte sono i miei preferiti… Ci avete riempito di chiacchiere in passato, promesse vane…”

“Abbiamo perso la guerra,” obietta. “Potrebbe darmi un’opportunità e riprendere il discorso.”

“Non credo che sia saggio perseverare in cause perse… Meglio un pasto oggi…”

Roddie si stringe nelle spalle e si avvicina mantenendo lo sguardo fisso negli occhi della Manticora, la bacchetta saldamente stretta nella sua mano. “In tal caso, temo che dovrò essere più convincente. Imperio!” 

Il pubblico emette un gemito di stupore, ci sono persone che urlano che tutto ciò è inaccettabile, ma Roddie non toglie gli occhi dalla sua preda. “Suvvia, dammi il cilindro, da brava,” gli sussurra mentre si avvicina. 

La Manticora giace mansueta, lo sguardo offuscato, segno che la Maledizione è riuscita perfettamente. Porge il collo al suo nuovo padrone, la coda di scorpione è riposta docilmente per terra. Roddie scioglie la catena senza perdere il contatto visivo. Afferra il cilindro e si allontana dall’arena. Poco prima di uscire, scioglie la maledizione e ringrazia la Manticora con un inchino mentre la sente urlare di rabbia.

Ha il sorriso sul volto per il modo perfetto, pulito e cortese con cui ha gestito la prova. Lo sguardo di Madame Maxime, però, non sembra raggiante e orgoglioso come si attendeva. 

“Una prova pulita, veloce, senza spargimenti di sangue, le è piaciuta?” domanda soddisfatto.

“Come ti è saltato in mente di utilizzare una maledizione senza perdono?”

“Ma sugli animali non è vietata!” obietta con tutta la forza che ha in corpo. Roland e Philomène raggiungono la preside con l’aria allarmata. “C’è un gran parlare di quello che hai fatto!” Il volto di Philomène lascia trasparire la sua preoccupazione. Suo fratello, al contrario, sembra entusiasta.  “La tua Imperius è stata perfetta!” 

Madame Maxime gli rivolge uno sguardo di rimprovero e Roland alza le mani in segno di resa: “Lo so, preside, ma dovete ammettere che la maledizione è stata eseguita alla perfezione e nemmeno per un’istante ha perso di intensità. Non è semplice evocare una Imperius su una creatura tanto potente, ci vuole molta volontà per piegarne la mente! Poi, sono d’accordo è stata una scelta… politicamente inopportuna.”

“Inopportuna, monsieur Lestrange? Definirla inopportuna è un eufemismo! Non poteva esserci scelta peggiore. Lo sa cosa dirà il Ministero inglese? Diranno che a Beauxbatons alleviamo Mangiamorte!”

“Dichiarerò l’estraneità dell’Accademia, Madame Maxime, mi assumo tutta la responsabilità della mia scelta. Non è un esame, dopo tutto, è un Torneo e sono libero di scegliere l’incanto da praticare per ottenere il risultato.”

“Vero, ma a cosa serve eseguire un incanto alla perfezione se il risultato sarà scarso? Il vostro punteggio sarà penalizzato da questa scelta.” Si volta verso Roland e Philomène e scandisce quello che è un ammonimento: “Mi auguro di non dover più assistere a prove del genere nel corso del torneo.”

Nella tenda, la giornalista dai boccoli biondi lo afferra per una spalla. “Rita Skeeter per la Gazzetta del Profeta. Buon sangue non mente, vero, Lestrange?”

“A quanto pare, le scuole non vogliono che si utilizzino le Arti Oscure, ma nel regolamento non c’è scritto. Dicono che non dovremmo conoscerle, ma perché? Non siamo liberi di approfondire la conoscenza della magia seguendo la nostra curiosità?”

“E la tua curiosità ti porta verso le pratiche da Mangiamorte? Pensi di voler seguire il percorso dei tuoi genitori che non si sono mai pentiti delle morti che hanno causato?”

Roddie è disgustato dal modo in cui vogliono manipolare la sua vittoria e farlo passare dalla parte del torto. “Non è un crimine usare una maledizione su una Manticora! E non è affare suo dove mi porta la mia curiosità.” 

“Potrebbe portarti fuori dal Torneo, lo sai? Parlano di squalifica.”

Roddie non risponde, sente il respiro strozzarsi in gola. Ha eseguito un compito alla perfezione. Nel momento esatto in cui la Skeeter si avventa su un altro campione, lancia il cilindro di piombo sulla brandina e va a buttarsi sotto la doccia, l’unico posto in cui può dare sfogo alle lacrime di rabbia. Ha domato una Manticora con la forza della sua magia, ha eseguito una Maledizione Imperius alla perfezione. Qualsiasi sia l’esito della sua prova, ha dimostrato al mondo intero di essere il degno erede di Rodolphus Lestrange.

 
   
 
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