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Autore: time_wings    18/12/2022    2 recensioni
[ATLA!AU - AtsuHina, IwaOi, OsaAka]
Atsumu e Osamu passano le loro giornate tra allenamenti noiosissimi e scippi fallimentari, nell'anello esterno di Ba Sing Se. La loro vita cambia radicalmente quando si ritrovano costretti ad aiutare Shouyou Hinata, un ragazzo misterioso che viaggia in groppa a un bisonte volante.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Keiji Akaashi, Osamu Miya, Shouyou Hinata, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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PARTE QUARTA
Il Tempio dell’Aria dell’Est
 

La partenza dei gemelli Miya da Ba Sing Se non era stata neanche una notizia, era stata un mero strappo nello spaziotempo e quindi forse non era mai avvenuta, doveva ancora avvenire, era avvenuta vent’anni prima. Il Dai Li non era mai più tornato da quelle parti, il fruttivendolo Ki tirava avanti come al solito, se non per qualche arancia nel carretto in più, la Zanna del Serpente aveva sempre quindici sedie e, se i rappresentanti di due delle versioni della storia della scomparsa della sedicesima erano spariti nel nulla, il proprietario non sembrava averci fatto caso.
Kita, Aran e il resto del gruppo sembravano essere rimasti gli unici detentori di quel segreto che era stata l’esistenza di Osamu e Atsumu Miya.
Certo, la scomparsa di due ragazzi dell’anello esterno non doveva essere una notizia da segnalare al re e all’intera capitale del Regno della Terra, ma era senza dubbio insolito che sembrassero scomparsi addirittura dalla memoria di chi aveva subito le loro bravate.
Kita era un tipo logico e i tipi logici spesso si innamorano dell’inerzia. Aver vissuto tutta la sua vita in un modo ed essere ancora vivo significava aver fatto qualcosa di buono e fare qualcosa di buono portava ragionevolmente ad assumere che bastasse continuare così per non perdere quel record. Quando un dominatore dell’aria era atterrato sul retro della Zanna del Serpente in groppa al suo bisonte volante, però, Kita aveva aggrottato appena le sopracciglia e aveva abbassato lo sguardo in una ricalibrazione della sua bussola, un riorientamento di inerzia, perché qualcosa non andava. Qualcosa non quadrava. E Kita non poteva fingere di non farci caso.
Seguendo una strada praticamente opposta a quella di Kita, Aran sembrava essere giunto alle stesse conclusioni, perché da quel giorno le cose erano cambiate, radicalmente e permanentemente.
Era andata così: Kita aveva chiesto ad Aran di scambiare una parola nello stesso momento in cui lui, avvicinatosi di gran carriera e arrestatosi poi proprio a un passo dalla sua faccia, aveva sputato fuori: “I dominatori dell’aria non dovrebbero più esistere. Il Dai Li non può avere alcuna ragione al mondo per arrestarli, non sono mai stati una minaccia.”
Kita l’aveva guardato per qualche secondo, cercando di capire se Aran stesse tentando di mascherare la preoccupazione o se fosse solo stanco per aver corso. Non era riuscito a sciogliere l’enigma. “Ci stavo pensando anch’io,” aveva risposto Kita, concentrandosi sull’enigma che invece poteva sciogliere. “Anche ammettendo che non tutti i dominatori dell’aria siano spariti nel nulla, i conti non tornano. Erano… Sono nomadi, imparano fin da piccoli ad abbandonare la ricerca forsennata di beni e piaceri materiali. Non hanno alcun motivo per venire considerati una minaccia, a maggior ragione dal Dai Li, maestri di dominio della terra e protettori della città più potente del Regno. Non ha senso.”
Aran per una volta non aveva cercato di riportarlo indietro da uno qualunque dei suoi pensieri, ma l’aveva guardato come a chiedergli più informazioni, più conferme, più sicurezze sul fatto che non fosse pazzo a pensare che…
“Ba Sing Se non ha senso,” aveva decretato infine Kita, il cervello che si stringeva come un serpente affamato attorno a un concetto che non sapeva afferrare. “Qualcosa non quadra.”
Nel tempo in cui Osamu, Atsumu e Shouyou avevano volato sui paesaggi di mezzo mondo, Kita e Aran avevano costretto Suna a procurare loro dei documenti falsi e avevano pagato il servizio accettando di ragguagliare il ragazzo sulla loro missione e portandolo con loro. Erano usciti da Ba Sing Se e vi erano rientrati come rifugiati con i documenti nuovi, seguendo il percorso che seguivano loro, seguendo le regole che seguivano loro, perché se uno straniero innocuo per definizione era stato preso di mira dal Dai Li, Kita aveva immaginato che alcuni dei segreti di quella città – e quindi della fine che avevano fatto i gemelli – fossero intuibili entrandoci per la prima volta.
E infatti ai tre era stato dato un caldo benvenuto, una volta messo piede in città insieme a un gruppo di altri rifugiati. Una donna dai capelli corti e le folte sopracciglia scure aveva sorriso all’intero gruppo. Aveva un viso familiare e distante allo stesso tempo. Gli occhi erano spenti, le labbra tirate come se qualcuno le avesse prepotentemente sorretto gli angoli della bocca. “Io sono Joo Dee,” aveva scandito la donna, la voce rigida schiacciava le parole, ne annullava ogni intonazione. “Benvenuti a Ba Sing Se, spero che il vostro viaggio non si sia rivelato troppo rocambolesco.” A quelle parole, i ragazzi avevano dato un’occhiata agli altri rifugiati. Sembrava proprio che ognuno di loro avesse avuto un viaggio che definire rocambolesco sarebbe stato riduttivo. “Siete pregati di non fare menzione della guerra in nessuna circostanza,” aveva detto Joo Dee, la voce che passava da neutra a cortesemente glaciale, in un contrasto che aguzzava il suo sorriso e che metteva i brividi. “Siete a Ba Sing Se, adesso, siete al sicuro, ma la mancata osservazione di questa regola potrebbe avere… spiacevoli conseguenze.”
Poi aveva sorriso un’altra volta, il sogno dei dentisti e degli assassini, e aveva proceduto a scortarli sull’orlo di quella latrina spacciata per paradiso che era l’anello esterno.
Suna aveva inclinato discretamente il viso su un lato e i ragazzi si erano allontanati dal gruppo per riorganizzare le idee.
Venire a sapere che la guerra c’era anche a Ba Sing Se era stata solo la prima delle scoperte che avevano fatto in quelle settimane, in una reazione a cascata che li aveva portati, alla fine, a raggiungere un livello di raffinatezza di criminalità che avrebbe fatto cascare la mascella ad Atsumu.
Quella notte Aran guardò Suna saltare oltre il cornicione e sparire qualche metro più avanti, poi afferrò anche lui la grondaia e si issò sul tetto, prendendosi solo un attimo per conemplare Ba Sing Se scintillare in penombra, tutt’attorno a lui.
“Kita ha detto che, stando alla planimetria della torre, c’è una stanza senza porte, finestre o accessi di altro genere. Dovrebbe essere da qualche parte quaggiù.” Suna pestò col piede la pietra della torre. Più che una torre era un pilastro di roccia che si ergeva sulla sommità di una collina. Da lassù, col crepuscolo che derubava lentamente il cielo di ogni sua luce, si potevano vedere i tetti cambiare colore. La loro qualità sarebbe bastata da sola a delimitare i confini tra chi aveva tutto e chi non aveva niente, ma le mura ad anello confermavano in maniera assoluta e inviolabile quelle differenze.
“Non sono mai stato nell’anello interno,” disse Aran, guardando il punto distante in cui immaginava ci fosse casa sua, ma non distinse altro che un agglomerato di buio e miseria.
“E ci resterai meno di quanto dovresti, se non ci diamo una mossa.”
Aran si riscosse dalla contemplazione nostalgica di una città in cui in fondo ancora viveva e focalizzò la sua attenzione sull’anonimo soffitto della torre. Lentamente sollevò le mani, i palmi rivolti verso l’alto e una brezza gentile che gli accarezzava le dita. Poi, con uno scatto, il ragazzo batté le mani forte tra loro e la roccia tra lui e Suna si sbriciolò, crollando all’interno di una stanza illuminata da torce alle pareti.
Con un’occhiata complice, Aran e Suna si calarono nell’archivio segreto di Long Feng, quello che avevano scoperto, contro ogni aspettativa, essere l’uomo più potente di Ba Sing Se, anche più del re, burattinaio dietro le quinte che orchestrava le sorti dell’intera città. Localizzare l’archivio non era stato facile, perché i documenti non si trovavano tutti nello stesso posto. Invece erano divisi per età e importanza, a seconda della probabilità che si rivelassero necessari e, conseguentemente, della rapidità con cui si sarebbero resi reperibili in quel caso. Kita sosteneva che la torre sulla collina dell’anello interno fosse il luogo in cui il Dai Li aveva occultato informazioni cruciali sulla guerra. Kita sospettava che, in passato, Ba Sing Se avesse avuto problemi con i dominatori dell’aria e che la loro presenza in città da allora non fosse più benaccetta. Nessuno di loro, d’altro canto, aveva mai visto un bisonte volante prima del giorno in cui Osamu e Atsumu erano scomparsi.
Ma quando Suna mise mano a un libro spesso in cui erano schedate tutte le informazioni sui dominatori della Nazione del Fuoco che avevano messo piede in città negli ottantacinque anni in cui il mondo era stato in guerra, ogni supposizione di Kita fu spazzata via. La possibilità della verità si gonfiò come un palloncino e le pareti di quella stanza senza porte sembrarono stringersi e rinsecchirsi.
“Questo è sospetto,” disse Suna e qualunque traccia di ironia pungente abbandonò la sua faccia.
Aran gettò uno sguardo di sbieco al documento, una parte di lui temeva qualunque notizia abbastanza sconcertante da stupire anche Suna. Poi spalancò la bocca di riflesso.
Non poteva trattarsi di una coincidenza.
 
Il viaggio verso est durò cinque giorni, costeggiando le ultime montagne prima della sconfinata distesa di sabbia del deserto di Si Wong. Il Tempio dell’Aria si materializzò dal nulla, come quello del nord. Non era composto soltanto da un’alta torre che si ergeva come una lancia sopra le nuvole. Il tempio sorgeva su tre montagne mozzate. Lunghi ponti ad arco si estendevano da una torre a un’altra, come dita smaniose e snelle. Attorno alle tre torri principali si innalzavano montagne e costruzioni e, assieme a loro, altri ponti sospesi collegavano la struttura principale ad abitazioni in rovina e luoghi di aggregazione ormai vuoti. I tetti verdi a spiovente richiamavano il colore delle chiome degli alberi che punteggiavano il paesaggio e le tegole rispondevano a un vento destinato a non ricevere mai risposta, ricalcando i suoni tipici dei contenitori cavi.
“È immenso!” commentò Atsumu, per cui tutto era immenso, se comparato al quartiere in cui aveva vissuto a Ba Sing Se.
Una foglia secca ruzzolò lungo una scalinata e si arrestò ai piedi di Shouyou. L’aveva vista perché, in tutto quel silenzio e quell’eco, aveva fatto il rumore di una bomba. Qualche metro alle loro spalle, una nuvola era pronta ad accoglierli nel vuoto.
“Non solo è immenso” osservò Osamu. Incrociò le braccia al petto e guardò Shouyou, che pareva che a sua volta guardasse il silenzio dritto negli occhi. “È completamente deserto.”
Il vento si insinuò tra le finestre, strozzando il suo flusso e fischiando.
“Siamo in ritardo,” continuò Osamu.
In giro per il tempio, alcune bandiere della Nazione del Fuoco sventolavano con la placidità di una conquista per cui non si temeva più un’insurrezione. Atsumu fissò la spalla di Hinata, a qualche metro da lui e strinse i pugni per trattenersi dal toccarlo. I palmi prudevano come un tempo.
Erano davvero in ritardo.
Shouyou si era aspettato di coglierli con le mani nel sacco, a caccia di tesori che non avevano già razziato durante le loro altre gite ai Templi dell’Aria, negli ultimi ottantacinque anni. Si era aspettato, anche, di ottenere informazioni dal Re della Terra, a Ba Sing Se, per avere un’idea di cosa ne avrebbero fatto e anche in quel caso la ricerca si era risolta in un buco nell’acqua.
“E ora che si fa?” domandò Atsumu. C’era qualcosa di terrificante in quel capolinea. Sembrava che Shouyou potesse sparire assieme al suo bisonte volante. Sembrava che il Tempio dell’Aria dell’Est potesse sfumare con la sua risacca di nuvole nei contorni squallidi dell’anello esterno di Ba Sing Se. ‘Addio’, avrebbe detto Shouyou, salendo in groppa a Mugi con una mano sollevata in segno di saluto, e poi li avrebbe lasciati soli, nel bel mezzo del nulla, a osservarlo estinguersi in un puntino distante nel cielo. Atsumu non avrebbe avuto il tempo di salutarlo, non avrebbe mai seguito il percorso dei suoi tatuaggi.
Shouyou si voltò, negli occhi una concentrazione alimentata dalla fame e la fame alimentata da un incendio che non aveva appiccato lui ma che l’aveva accerchiato sessant’anni prima che nascesse.
“Ora tiriamo giù tutte le bandiere” disse, e il vento sibilò il suo assenso.
 
Così fecero.
Tirarono giù tutte le bandiere, una a una, nella bocca la cenere di una partita persa a tavolino e i sacrifici che avevano fatto anche solo per provare a giocarla.
Si ritrovarono un’ora e mezzo dopo su un balcone che dava sul vuoto. Shouyou se ne stava seduto sulla balaustra e osservava assente Atsumu e Osamu inerpicarsi lungo la scalinata che dall’esterno portava in cima a un pilone di pietra bianco panna. Qua e là l’edera aveva iniziato a muovere i primi passi incerti su quel candore, macchiando di vecchiaia quello che un tempo era stato un luogo sacro.
Atsumu si appropriò dell’ultima bandiera, poi i due ridiscesero la scalinata e gettarono l’ultima aggiunta in cima alla pila che ospitava una trentina di altri esemplari identici.
Shouyou esitò ancora un po’ sulla balaustra, le ginocchia raccolte al petto in bilico su quello sfondo di nuvole e inconsistenza. Se fosse stato un bambino, in piedi su un cornicione e a un passo da una caduta di centinaia di metri, una madre sarebbe corsa a salvarlo e poi a sgridarlo – non importava chi, una qualunque sarebbe intervenuta.
Un respiro brusco, poi li raggiunse davanti al mucchio di bandiere. Aveva qualcosa di etereo e feroce insieme, che era un po’ quello a cui Shouyou assomigliava sempre, ma risaltava in tutto il suo pericolo quando era il dolore, a fargli da cornice.
Atsumu sfregò l’indice e il pollice della mano destra tra loro, poi cercò gli occhi di Hinata e lui gli restituì uno sguardo che sembrava aspettare solo che gli desse il la per volare. Proprio in quel momento, tra le dita di Atsumu si accese una scintilla.
Aprì la mano, una fiamma si agitava impaziente nel suo palmo. Allargò le dita, la lasciò divampare e poi diede fuoco al mucchio di bandiere della Nazione del fuoco: le fiamme stilizzate nere, sullo sfondo rosso degli stendardi che riusciva a intravedere, si agitavano mentre bruciavano, in una danza che sapeva di lotta e di sconfitta; di rivincita e di resa.
Uno strato spesso di cenere scura fu tutto ciò che rimase dell’imposizione e la conquista che permaneva nonostante i simboli distrutti. Shouyou strinse le estremità del bastone di legno che si portava sempre dietro (gli continuava a ripetere che era una aliante, ma Atsumu era convinto che potesse essere tranquillamente impiegato nell’inflizione di dolore a Osamu), lo fece ruotare e un soffio di vento spazzò via la cenere.
Sopra le loro teste lo stridio di un uccello accompagnò quel rituale.
Shouyou gettò la testa all’indietro, vederlo così silenzioso e concentrato faceva un po’ strano. Inspirò, aprì piano gli occhi e fissò il cielo. “Oh!” esclamò, inaspettatamente.
Osamu e Atsumu seguirono il suo sguardo, fermo su un falco (la fonte molesta di quei versi) che volava in spirali sempre più basse.
Shouyou si piazzò due dita in bocca e fischiò. “I falchi sono i messaggeri della Nazione del Fuoco!” L’uccello volò in picchiata e si appollaiò sull’avambraccio già pronto di Hinata. “È così che i comandanti e i capitani comunicano con i loro soldati, quando sono distanti.” Procedette a sfilare una pergamena arrotolata in una sacca sulla schiena del falco, poi sollevò il braccio e lasciò che l’uccello volasse via. Atsumu notò gli artigli dell’animale affondare nella pelle di Shouyou mentre si dava lo slancio. Notò che lui non sussultò neanche un po’. Notò anche (in un momento di osservazione insolitamente acuto, per uno come lui) che era spacciato, fritto, fregato, perché sentì una manciata generosa di sangue inondargli le guance per questo, anche se non aveva alcun senso.
“Kao Lai?” Shouyou sussurrò e Osamu si sporse per gettare anche lui un’occhiata al messaggio.
I carichi restanti dei Templi dell’Aria sono stati tutti indirizzati a Kao Lai, per poi essere trasferiti in un solo carico nella Nazione del Fuoco. Chiunque sia rimasto indietro…” Osamu sollevò le sopracciglia mentre leggeva. “Chiunque sia rimasto indietro a girovagare per le terre conquistate è obbligato a raggiungere Kao Lai entro due settimane dalla data segnata alla fine del messaggio. Non sarà tollerata alcuna eccezione.”
Shouyou alzò lo sguardo di scatto in quello di Atsumu. Ogni traccia sul suo viso di dolorosa impotenza era stata sostituita dalla determinazione con cui l’aveva conosciuto. “È tra dieci giorni.”
“Quanto ci vuole per arrivare a Kao Lai?” domandò Osamu, scandagliando il cielo come se gli avesse potuto comunicare una rotta.
Shouyou si succhiò il labbro inferiore, le sopracciglia piegate adorabilmente in riflessione. “È il punto più a ovest del Regno della Terra. Normalmente ci vorrebbero due settimane.” Sollevò lo sguardo e lo divise tra quelli di Atsumu e Osamu. “Io posso farcela in nove giorni.”
“Allora…” iniziò Osamu.
“Dobbiamo andarcene subito,” concluse Atsumu.
Si misero in marcia per raggiungere Mugi, e Osamu, pochi metri indietro, mormorò qualcosa di simile a ‘Il mio stomaco non vede l’ora!’
   
 
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