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Autore: time_wings    18/12/2022    2 recensioni
[ATLA!AU - AtsuHina, IwaOi, OsaAka]
Atsumu e Osamu passano le loro giornate tra allenamenti noiosissimi e scippi fallimentari, nell'anello esterno di Ba Sing Se. La loro vita cambia radicalmente quando si ritrovano costretti ad aiutare Shouyou Hinata, un ragazzo misterioso che viaggia in groppa a un bisonte volante.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Keiji Akaashi, Osamu Miya, Shouyou Hinata, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PARTE CINQUE
I. Kao Lai

 
Tre delle quindici sedie della Zanna del Serpente a Ba Sing Se erano occupate. Il tavolo era inondato di documenti e Suna era sbracato sulla sua sedia e sgranocchiava di tanto in tanto delle noccioline da una ciotola di terracotta che reggeva in una mano. A parte quello, sul tavolo regnava un silenzio raccolto.
“Quindi Atsumu è un dominatore del fuoco” disse Aran all’improvviso, lo sguardo perso tra un documento decrepito e il vuoto della realizzazione.
Kita raccolse tutte le carte sparpagliate disordinatamente sul tavolo e le impilò una sull’altra, continuando costantemente ad allinearle anche se le aveva già allineate al primo tentativo. Suna pensò che fosse l’unico segno di nervosismo che gli avrebbe mai più visto tradire.
“La storia è questa” parlò poi e sembrava lo stesso tono noioso di una delle sue paternali su quanto insensato fosse derubare i profughi appena arrivati in città. “Ba Sing Se è fuori dal mondo. Non ce l’ha con i dominatori dell’aria come pensavo, ce l’ha con chiunque minacci di parlare di guerra come qualcosa di concreto e attuale e non come un ricordo. I dominatori dell’aria dovrebbero essere stati sterminati, quindi vederne uno, oltre che essere virtualmente impossibile, aumenta il rischio che questo parli di guerra una volta qui.”
“La priorità di Ba Sing Se è mantenere il silenzio sulla guerra,” ragionò con lui Aran, che sembrava il più provato della cricca.
Kita annuì. “Dall’inizio della guerra, ottantacinque anni fa, Long Feng ha registrato tutti i dominatori del fuoco che sono entrati a Ba Sing Se. Ovviamente non parliamo di eserciti interi – anche mantenere lo status di città impenetrabile è una priorità – ma di singoli soldati o cittadini che si sono fermati qui credendo di riuscire a passare inosservati. Joo Dee, la verifica dei passaporti e l’intero sistema di accoglienza dei profughi sono un modo per controllare la città. Non so esattamente fino a dove si estenda l’area di influenza di Long Feng, né cosa faccia a chi viola le leggi, visto che non ci sono precedenti documentati, ma è altamente improbabile che nessuno si sia mai lasciato scappare una parola di troppo. Sospetto che esista qualche tipo di giustizia segreta che fa sparire queste persone.”
Suna si servì un’altra manciata di noccioline direttamente in bocca. “Questo non c’entra niente con Osamu e Atsumu.”
“C’entra perché nei documenti che abbiamo trovato non c’era scritto che Atsumu è un dominatore del fuoco. C’era scritto che un soldato della Nazione del Fuoco era riuscito a infiltrarsi in città per raccogliere informazioni, si era innamorato di una donna dell’anello interno di Ba Sing Se e insieme avevano avuto due figli, gemelli.”
“Non prova niente.”
Kita scosse la testa. “Lui è stato poi scoperto dalla Nazione del Fuoco e ucciso poco tempo dopo, accusato di tradimento. A quel punto la donna di Ba Sing Se dev’essere diventata troppo pericolosa per il silenzio sulla guerra e Long Feng le ha dato la caccia. È riuscita a resistere cinque, sei anni, ma quando ha capito di essere spacciata ha affidato i gemelli a una persona di cui si fidava nell’anello esterno della città. Non sarebbero cresciuti nella ricchezza e nello sfarzo dell’anello interno, ma sarebbero stati vivi. Long Feng dà loro la caccia da allora: di loro sanno solo che uno è un dominatore della terra, come la madre, l’altro un dominatore del fuoco, come il padre.”
“Quello che non capisco,” intervenne Aran, “è come puoi essere così sicuro che i gemelli della storia siano Osamu e Atsumu. Nessuno di noi ha mai visto Atsumu fare niente di strano col fuoco.”
“A Ba Sing Se non ci sarà nessuna guerra per la maggior parte delle persone nate dopo le leggi di Long Feng, ma tutti sanno che essere un dominatore del fuoco non è un buon biglietto da visita. Non ha mai avuto ragione di sbandierarlo. In ogni caso c’è un’altra prova.” Kita indicò un paragrafo sul documento in cima alla pila. Suna si rimise dritto sulla sedia. “Dopo aver catturato la dominatrice della terra, il Dai Li ha fatto irruzione in casa sua su ordine di Long Feng, per prelevare anche i figli. Hanno trovato l’intera villa vuota, non era rimasto neanche più un pezzo d’arredamento, solo mura spoglie e pavimento immacolato.” Kita picchiettò il dito sul rapporto.
Fatta eccezione per una sedia al centro della stanza più grande, con il simbolo di un serpente stilizzato intagliato sullo schienale” continuò Aran, con voce lieve, leggendo, “E un biglietto sulla seduta: ‘la guerra esiste.”
I tre ragazzi si guardarono. Il loro tavolo ospitava solo tre sedie, perché nella Zanna del Serpente, lo sapevano tutti, si trovavano quattro tavoli ma solo quindici sedie.
Aran si voltò di scatto verso il bancone della taverna. “Il proprietario del locale…”
“È l’uomo a cui la madre di Osamu e Atsumu ha affidato i suoi figli.”
L’uomo gioviale dietro al bancone, alla vista delle tre coppie d’occhi che si erano posate all’improvviso su di lui, sollevò una mano e la sventolò in segno di saluto.
“Se i ragazzi sono scappati perché il Dai Li ha visto Atsumu dominare il fuoco e l’ha attaccato, allora non sanno che a Ba Sing Se non possono più tornare.”
 
***
 
Lacrime di carbone piovevano sul bagnasciuga. Parevano inconsistenti, illusioni della risacca assordante che dominava il paesaggio, ma quando si posavano su una spiaggia altrimenti chiara al punto da diventare accecante, lasciavano strisce nere e decise.
Anche al buio, con la luna che faceva da unico riflettore, si intravedevano le scie scure sulla sabbia. La terra era impregnata di un lieve odore di legno bruciato.
I ragazzi scivolarono giù dalla schiena di Mugi e Shouyou li condusse lungo la spiaggia, con l’acqua che sfiorava loro le caviglie, lungo una strada giusta che sosteneva di riuscire a trovare.
“Ma il vento qui soffia solo in una direzione? Perché c’è sempre questa fuliggine?”
“È un mistero” sussurrò Hinata, scrollando le spalle. “Ma sì, il vento tira sempre dal vulcano di Shouhon a Kao Lai, mai in direzione contraria.”
Procedettero per alcuni minuti in silenzio lungo la costa. L’acqua baciava lembi di sabbia per qualche attimo di irresistibile desiderio, poi si ritirava nel buio di un mare che avevano da poco sorvolato. Di tanto in tanto, la sabbia umida restituiva riflessi semplificati della luce della luna, ingannando i sensi fino a poter dubitare che ci si muovesse su uno specchio liquido su cui pioveva catrame.
“Dobbiamo trovare un posto sicuro per Mugi,” disse Shouyou, in quel silenzio sospeso che non faceva mai sconti né a spiagge né a deserti.
Il viaggio era stato estenuante. Shouyou aveva detto che sarebbe riuscito a portarli a Kao Lai in nove giorni, ma ce l’aveva fatta in soli otto, a pochi minuti dallo scoccare della mezzanotte del nono. Avevano girato nuovamente il mondo, ma al contrario, in una rotta che dall’estremo est li aveva condotti all’estremo ovest del Regno della Terra, sorvolando quasi sempre solo mare. Acque in tempesta e calme, isole disabitate, spiagge e foreste e nuvole e pioggia, compresi i venti secchi del deserto di Si Wong e una tappa paradisiaca all’isola di Kyoshi, avevano colorato di curiosità il viaggio.
E ora la risacca placida di una notte serena che piangeva carbone aveva dato loro un benvenuto sommesso nella Città degli Imbrogli.
Atsumu si fermò un secondo solo sul bagnasciuga, la sagoma sottile di Shouyou si stagliava contro una luce quasi inconsistente. Avrebbe voluto prendergli una mano e camminare sicuro con lui, invece riprese il passo che aveva lasciato un attimo prima, la testa infossata tra le spalle e le mani che prudevano.
 
Oikawa espirò pesantemente dalla bocca e si lasciò cadere esausto sulla sabbia striata di mezzanotte. Sollevò pigramente una mano e mosse indice e medio rapidamente verso di sé. Il mare si impennò e gli rispose ubbidiente donandogli qualche schizzo d’acqua.
“L’unica volta che usi il dominio dell’acqua onestamente” borbottò Iwaizumi, trovando in realtà quel metodo di pulizia anche un po’ inefficiente, visto che doveva comunque attivamente ripulirsi anche così. L’acqua lo morse in risposta. “Va’ a farti fottere.”
“Già fatto.” Oikawa ridacchiò e, con uno sbadiglio, posizionò un braccio dietro la testa, lo sguardo fisso su stelle immobili che non potevano essere dominate.
Passò qualche secondo di confortevole e stanco silenzio, battute e provocazioni relegate a un tempo che batteva allo stesso ritmo dei suoi inganni.
Poi, come al solito, Iwaizumi rovinò tutto.
Lo sentì muoversi accanto a lui e sdraiarsi su un fianco per scrutarlo al buio. “Dopodomani verrà preparato un carico importante diretto alla Nazione del Fuoco” gli disse.
Oikawa aggrottò la fronte e sollevò una mano verso il cielo, disegnando traiettorie invisibili che collegavano una luce a un’altra. “Lo sai che non mi interessa se…”
“L’operazione coinvolgerà tutti gli squadroni di Kao Lai. Una volta finito, non ci sarà più ragione di mantenere tutte queste forze militari in una colonia normalmente utile solo a trasporti di merci e comunicazioni.” Iwaizumi si prese una pausa, tracciò con lo sguardo il percorso che Oikawa disegnava in cielo. “Ce ne andiamo.”
Oikawa abbassò il braccio e lo lasciò cadere tra di loro, poi finalmente ruotò il capo per incontrare il suo sguardo al buio. “Wow, quanta clemenza.”
Iwaizumi sbuffò. Poi si stese a pancia in giù sulla sabbia e appoggiò il mento tra le mani. “Pensavo che fosse quello che volevi.”
“Se dai fuoco a un manuale non puoi chiedermi di imparare dalla cenere, Iwa-chan. Non funziona così.”
“Non ti va mai bene niente.”
Oikawa fece schioccare la lingua. “È per questo che ho successo.”
“Successo, eh?”
“Proprio lui.”
Iwaizumi cercò il suo sguardo. Oikawa si divertì a sfuggirgli, poi fu lui a costringerlo a guardarlo. “Credo che mi stiano valutando per una promozione a capitano del mio squadrone.”
Si guardarono. Il vento fischiava tra le foglie della foresta che delimitava la costa, scuotendole in un miscuglio di suoni fusi di brezza marina e boscaglia selvaggia. “Congratulazioni,” soffiò infine Oikawa, la voce provenne da un sorriso allegro abbastanza perché curvasse in amaro.
Iwaizumi lasciò cadere le braccia nella sabbia e abbassò la testa. “Sì, ho lavorato sodo per questo.”
Oikawa si sdraiò su un fianco. Osservò le mani di Iwaizumi stringersi attorno a pugni di sabbia umida che poi lasciava andare. Risalì con lo sguardo fino alle spalle e la curva tra il collo e la schiena. La luce soffusa di una lanterna che avevano abbandonato lì vicino gli permetteva solo di indovinare la tonalità scura della sua pelle. “Lo vedo, che hai lavorato sodo.”
Iwaizumi sollevò la testa e lo guardò, poi processò la battuta e sbuffò. “Ma la smetti?”
“Me le servi su un piatto d’argento, non è colpa mia!”
Si zittirono. Un’onda si infranse sul bagnasciuga, prendendo le redini di quel silenzio e, assurdamente, accentuandolo col suo rumore.
“Cosa vuoi che ti dica? Che sono felice per te?”
Iwaizumi alzò gli occhi al cielo. “Non mi interessa la tua opinione.”
“A me sembra che tu ne abbia paura. Non fai altro che venire a ficcanasare nei fatti miei, ma sei l’unico della tua stupida banda che non si è lasciato leggere il futuro” rispose Oikawa con studiata leggerezza. Sentì le guance scaldarsi, ma il buio poteva essere suo alleato, in questo, bastava solo che non gli tremasse la voce. “Hai paura di me, soldato?”
“L’accordo era che di notte non avremmo mai parlato di queste cose.”
Oikawa si alzò, scosse la testa per liberarsi della sabbia in eccesso impigliata nei capelli, poi ci passò le dita in mezzo e inspirò a fondo l’aria salmastra e fuligginosa della spiaggia. “Guarda che hai cominciato tu. E comunque l’accordo può saltare, no? Se giochi bene le tue carte presto sarai capitano di uno squadrone nella Nazione del Fuoco.”
Iwaizumi lo guardò dal basso. Oikawa, di quello sguardo, colse solo un riflesso mogio nelle iridi. Avrebbe voluto tirargli un pugno per quanto ottuso e idiota e chiuso fosse a causa della sua incrollabile lealtà. “Sì, forse hai ragione” disse infatti Iwaizumi, e si alzò anche lui.
“Peccato, mi dispiace molto per te” Oikawa si voltò, il tono spensierato a dissimulare la delusione. Raccolse la sua maglietta e la lanterna. “Non saprai mai che nel tuo futuro avrebbe potuto esserci un bel principe della Tribù dell’Acqua, benedetto dalle ceneri del vulcano di…” si interruppe, gli occhi fissi sulla spiaggia, dove si intravedevano delle impronte nella sabbia simili a orme, non tutte umane. Sollevò la lanterna per assicurarsene, poi la abbassò di scatto.
“Che c’è?”
“Niente,” rispose Oikawa in fretta. Gli appoggiò un braccio sulle spalle e cercò di liberarsi della nota urgente nel tono e la sostituì con la seduzione. “Pensavo che potremmo restare un altro po’ qui.” Abbassò la voce, non nel volume ma nel tono. “Al buio” precisò. Poi soffiò via la fiamma della lanterna e cercò il suo collo con le labbra.
Iwaizumi se lo staccò di dosso come avrebbe fatto un pescatore con un polpo ancorato a una roccia. “Che hai visto?” domandò, accendendo una fiamma nel palmo della mano e guardandosi attorno.
“Non ho visto niente, Iwa-chan, sei paranoico. Stavo solo creando un po’ di atmosfera.”
“Balle.” Iwaizumi notò le orme sul bagnasciuga, laddove il mare non si spingeva con frequenza sufficiente per cancellare presto ogni traccia. “Ma quelle più grandi sono impronte di…”
Oikawa lo vide unire le sopracciglia a metà tra concentrazione e sconcerto.
“È un bisonte volante.”
Si morse un labbro, la posta in gioco era alta, l’occasione per la promozione era alla fine di quella scia di orme. Oikawa chiuse gli occhi. Inspirò, espirò, poi sollevò le braccia, raccolse un’onda e la abbatté sulle tracce che riusciva a vedere. “Mi dispiace” disse, ma sorrideva e non gli dispiaceva per niente, mentre già si incamminava verso la foresta per tornare nel centro di Kao Lai.
Iwaizumi guardò la sabbia nel punto in cui c’erano state le orme, poi puntò la luce in direzione di Oikawa.
“Io e te siamo nemici” disse lui, e corse nella foresta.
 
Il respiro affannoso del bisonte volante fu il primo segno. Poi, solo con l’aiuto della luce della luna, Iwaizumi distinse sagome scure fondersi con la fuliggine. Sfregò pollice e indice tra loro, abbastanza perché nascesse una coppia di scintille e non una fiamma, un crepitio che, per gli uomini alle sue spalle, prese la forma di un segnale d’attacco.
Fecero fuoco. Letteralmente.
Una delle sagome gridò e, reggendosi una spalla, saltò verso l’alto e scalciò. Un soffio di vento li colpì debolmente. Iwaizumi accese una fiamma nel palmo della mano, poi, col braccio libero, ordinò ai suoi uomini di fermarsi.
“Dominatori dell’aria” parlò, il tono deciso, il cipiglio ben definito. “Consegnatevi alla Nazione del Fuoco e nessuno si farà male.”
Con sua somma sorpresa, Iwaizumi distinse un’altra fiamma nascere tra le mani di uno degli infiltrati. Lo vide inclinare il capo su un lato e sorridere. Quando parlò, lo fece con la voce intrisa dello stesso fervore che lui aveva impiegato in tutti gli anni di addestramento per diventare un soldato della Nazione del Fuoco. “Col cazzo” disse, poi illuminò a giorno la spiaggia per un attimo e un’ondata di fuoco li investì.
“Giù!” gridò Iwaizumi e poi, dal basso, risposero all’attacco.
Da invisibile, quel campo di battaglia divenne la zona più illuminata di Kao Lai, su uno sfondo di schiuma di mare e vento intransigente.
“Non posso fare praticamente un cazzo!” gridò uno dei ragazzi, mentre Iwaizumi schivava insieme a un alleato un attacco d’aria della coda del bisonte. “La sabbia è troppo instabile, non riesco a dominarla.”
Iwaizumi sbuffò, deviando con una fiammata una pietra che quello stronzo doveva aver recuperato dalla riva o dal bagnasciuga. Pensò che quel dominatore della terra fosse una seccatura efficiente senza che scomodasse l’intera crosta terrestre in ogni caso.
“Dobbiamo trovare il modo di scappare,” disse il dominatore dell’aria. L’avevano ferito all’inizio, era lento e i suoi attacchi erano deboli. Riusciva a stento a deviare i getti di fuoco che gli lanciavano. Iwaizumi non ne andò fiero, ma in guerra si giocava sporco, lo sapevano tutti, quindi lo puntò.
Caricò, si sporse in avanti e un altro si mise tra lui e il dominatore dell’aria, i pugni alti, un braccio teso davanti a uno piegato, in una forma da combattimento che doveva aver imparato su un libro illustrato su come non dominare il fuoco. Lo guardò negli occhi, riflettevano i suoi ma bruciavano per fiamme diverse.
Prima che potesse attaccarlo, il ragazzo si mosse in avanti e gli tirò un pugno. Iwaizumi barcollò all’indietro, confuso. Provò a rispondere col fuoco, ma lui gli diede un colpo al petto e un calcio sugli stinchi. 
“Ma che fai?” Iwaizumi schivò un gancio destro. Sollevò una mano, ma lui fece scontrare i loro avambracci e l’attacco si perse in un cerchio di fuoco a vuoto.
“Non è ovvio?” il tizio sorrise. Era pazzo, completamente pazzo. “Ti prendo a pugni.”
“‘Tsumu!” gridò il dominatore della terra. Iwaizumi alzò lo sguardo e vide che gli altri erano già saltati in groppa al bisonte.
Iwaizumi incontrò gli occhi del dominatore del fuoco che lo stava prendendo a pugni, apparentemente. Guardò oltre il velo di fuliggine che pioveva loro addosso. Era certo che avesse combattuto tre volte al massimo in tutta la sua vita e che tutte e tre fossero state solo scazzottate tra amici, ma c’era qualcosa, nella disperazione con cui lo aveva attaccato, che riusciva a leggere anche nel riflesso del fuoco nelle sue pupille. In quella frazione di secondo, Iwaizumi si chiese se anche le sue brillassero così intensamente come un tempo, se fossero ancora scintilla e non fiammella da camino.
“Perché sei con loro?” gli gridò dietro, mentre questi correva verso il bisonte volante, schivando altre fiamme. Iwaizumi l’aveva lasciato andare senza rendersene davvero conto. “Perché sei dall’altro lato della guerra?”
Lui si voltò solo col viso. “Io non sono uno di voi” disse, poi lanciò una fiammata ai piedi del bisonte come a delimitare un confine, si issò sulla sua schiena e presero il volo.
Iwaizumi lanciò un attacco nel cielo, solo un fuoco d’artificio.
Il bisonte volante sparì nella fuliggine di Kao Lai, lasciandosi dietro una scia di luci, tentativi di abbatterlo.
Per un attimo, a Iwaizumi sembrò che tutta quella fuliggine non venisse dal vulcano di Shouhon e dal vento che soffiava diretto a est. Pareva che la cenere fosse figlia del loro fuoco.
 
“Là,” articolò a stento Shouyou, mentre, col braccio buono e una dose di determinazione notevole per uno a cui l’adrenalina doveva essere già calata da tempo, raccattava uno snack di paglia dalla sella su cui viaggiavano e lo lanciava a Mugi.
Osamu osservò i contorni di una montagna nera cedere il passo a un buio meno solido. Passò il dito sull’orlo di quella che scoprì con sorpresa essere una grotta e, quando lo ritirò, percepì la polvere del vulcano appiccicata ai polpastrelli. Poi si immersero in quella melassa di ignoto, sperando che la grotta offrisse loro un riparo valido.
Avevano spiccato il volo giusto il tempo di assicurarsi di non essere seguiti. Non potevano andarsene da Kao Lai, le loro settimane di viaggi li avevano portati lì, quindi si erano limitati a sparire in una coltre di buio e fuliggine ed erano riatterrati nel fitto della foresta, il più vicino possibile alle montagne.
“‘Tsumu” chiamò Osamu, e udì la sua stessa voce sfumare ai bordi, in un rimbombo acquoso che aveva imparato ad associare alle grotte. Questo, però, sembrava più denso. “Ti spiace?”
Atsumu tirò su col naso e soffiò un ‘sì’ così morbido da prendere le sembianze più di un sussurro.
Ma, prima che Atsumu accendesse la luce, i sensi di Osamu si attivarono tutti insieme. Il rimbombo non sembrava più denso, invece si arrestava, come onde concentriche di un sassolino lanciato in un lago, che si piegavano attorno a un tronco d’albero che galleggiava sul pelo dell’acqua.
Atsumu schioccò le dita un paio di volte e assieme a loro schioccarono due scintille.
L’aria si fece più fredda e appuntita all’istante. Osamu si lanciò in avanti e alzò uno scudo di terra in un tempo che mai avrebbe pensato di totalizzare. Le lame che li avrebbero trafitti andarono a sbattere contro l’ostacolo, poi si frantumarono e crollarono a terra come… ghiaccio.
Osamu distrusse la lastra di pietra e lanciò in avanti i detriti rimasti, proprio quando Atsumu accese una fiamma sul finire di un: “ma che diavolo sta…”
Pietra e ghiaccio si scontrarono a mezz’aria, mentre una luce illuminava finalmente i volti dei loro mittenti. Osamu incontrò gli occhi chiari dalla tinta cupa del suo avversario. “Tu!” esclamò nello stesso istante in cui lo disse anche lui.
Vide di sfuggita Atsumu guardarsi attorno perplesso. “Ma questo adesso chi cazzo è?”
Osamu ignorò suo fratello. Tenne gli occhi puntati in quelli torbidi del ragazzo davanti a lui, lo vide alzare le braccia per attaccare, quindi sollevò due spuntoni di roccia e li piantò nelle maniche della sua camicia e nel muro alle sue spalle, poi, con una lastra piatta di terra coprì la fonte d’acqua a cui attingeva. Si avvicinò fino a sentire il suono del suo respiro. “Kao Lai?” domandò soltanto. Akaashi teneva gli occhi bassi e lo sguardo disinteressato lontano dal suo. Osamu, per qualche ragione, sentì di essere lui, l’animale selvaggio in trappola. “Non proteggi il bosco di Shoubei?”
“Te l’ho detto,” Akaashi sollevò pigramente lo sguardo nel suo e disse, senza tradire alcuna emozione, se non una vaga seccatura inserita di default nella sua personalità: “non sono un soldato. Sono un ricercatore, quindi ricerco.”
“In una colonia della Nazione del Fuoco” ribatté Osamu, l’inflessione sarcastica nella voce era appena rilevabile.
Con la coda dell’occhio vide Akaashi muovere le dita. La lastra di pietra con cui aveva ostruito il passaggio d’acqua cominciò a vibrare. Osamu sospirò, si allontanò appena, poi invocò altra pietra e con essa gli incapsulò le mani e gliele piantò nella parete alle sue spalle.
Lo guardò. Era come guardare una cosa raccapricciante che non si riusciva a smettere di studiare, a un passo dal distogliere lo sguardo per riscoprirsi poi attratti da un dettaglio appena più a destra.
“Scusate,” si intromise la voce di Atsumu, da qualche parte alla sua sinistra. “Non vorrei interrompere questa colossale scopata teorica, ma abbiamo un problema.”
“Non c’è nessun problema” si unì la voce cinguettante di Shouyou, “dobbiamo trovare della legna per il fuoco. Visto che questo tipo è amico di Osamu possiamo chiedergli se ne ha un po’ e se conosce qualche aneddoto interessante da raccontare per passare il tempo.”
Gli occhi di Akaashi si spostarono da qualche parte dietro la sua testa, quindi Osamu si voltò.
“Per la cena possiamo mangiare direttamente te, visto che hai mezza spalla cotta dal Dolce Forno gentilmente offerto dalla Nazione del Fuoco e a stento ti reggi in piedi. Sono certo che sarà una storia esilarante da raccontare davanti al fuoco, insieme a quella che vede l’amico di mio fratello praticamente crocifisso.”
“Sei il dominatore dell’aria che ha attaccato lo squadrone di soldati della Nazione del Fuoco?” domandò Akaashi, rivolgendosi a Hinata.
“Veramente ci hanno attaccati loro” rispose Atsumu.
Osamu non mancò di notare la diffidenza con cui Akaashi passò con lo sguardo dalla sua faccia alla fiamma tra le sue dita e alla sua faccia di nuovo. Si aspettava che chiedesse spiegazioni sullo strano gruppo che formavano, loro tre, invece tornò a guardare Shouyou. “Posso aiutarti con la bruciatura” disse, pratico. “Conosco anche delle storie avvincenti” continuò, col tono meno avvincente che delle corde vocali avessero mai concepito.
Osamu adocchiò l’otre di Akaashi coperto dalla sua lastra di pietra, ricordò il taglio in faccia riparato e il sollievo e il benessere e la magia. Poi guardò Shouyou, mentre tentava di sopprimere l’urgenza di reggersi la spalla dolorante. “Niente ghiaccio,” disse, poi sciolse la pietra che lo teneva legato e lasciò che aiutasse Shouyou.
 
“Non posso fare di più, non sono un guaritore” disse il tipo strano che si chiamava Akaashi, quando ebbe finito di far aleggiare dell’acqua risplendente sulle sue ustioni. Dopo un primo momento di tensione e diffidenza, fuoco, cena frugale e immancabili noccioline avevano disteso l’atmosfera di ciò che restava di quella notte. Atsumu, però, credeva che il merito fosse in gran parte di Shouyou, che aveva questo modo genuino e schietto di farsi amici tutti. Atsumu ne era molto affascinato, perché lui aveva quel suo modo genuino e schietto di farsi nemici tutti, invece. “Ma in città vendono unguenti e medicine. Voi restate qui, andremo io e Osamu.”
Suo fratello si voltò confuso a seguire la conversazione. Ad Atsumu piaceva questo Akaashi, perché aveva iniziato subito a dire a Osamu cosa fare come se avesse sempre avuto in mente un piano d’azione e le volontà di suo fratello non fossero state mai comprese nell’equazione. Era uno spasso.
Akaashi annuì, immune all’espressione divertita di Atsumu, poi si diresse all’uscita della grotta, lasciandosi dietro un ‘andiamo’ per suo fratello.
“Vai a prendere gli unguenti con Akaashi, ‘Samu,” gli parlò dietro Atsumu, civettuolo, quando lui si avviò per seguirlo in città. “Mi raccomando, prendili belli umidi.”
Atsumu fu colpito da una pietruzza proprio al centro della fronte.
 
***
 
“E che lo spirito del vento si faccia ombra della sorte,” concluse Oikawa, lasciando la mano di un soldato della Nazione del Fuoco. Alzò gli occhi per congedarlo, ma fissò un punto alle sue spalle e incontrò invece lo sguardo di Iwaizumi.
Nella radura c’era un silenzio attivo. Stava all’ascolto, era pronto a spezzarsi per accogliere il canto di un uccello o il ronzare di un insetto. Il tappeto di radici e prato si stendeva solo per qualche metro, prima di ricongiungersi alla foresta che portava alla spiaggia. Non era troppo distante da uno dei campi più grandi dei soldati della Nazione del Fuoco, ma il silenzio era abile abbastanza da schermarne ogni rumore. Oikawa amava fare sedute lì, perché riusciva sempre a spillare ai malcapitati qualche soldo in più. Era un luogo molto suggestivo e lui poteva spacciarsi per ogni tipo di stregone.
Il tizio a cui aveva appena letto il futuro si alzò e si inchinò profondamente, poi scomparve oltre un gruppo di alberi centenari.
Iwaizumi mosse un passo nella sua direzione, attraverso la pioggia sottile di fuliggine del vulcano di Shouhon. Camminava a braccia conserte come se fosse stato il mandante di una distruzione ancora quiescente.
“Chi è lo spirito del vento?” Scattò con la testa in avanti, un cenno di saluto o una sfida a duello. Sembrava mille volte più rigido del solito, il che segnava un record, visto che Oikawa pensava che avesse costantemente una scopa in culo.
Lui rimase seduto, calmo, davanti al tronco mozzo dell’albero su cui leggeva il futuro ai soldati. “Se vuoi prenotare una lettura mi sa che rimarrai deluso. Sono pieno fino alla prossima settimana, ma tu riparti domani…”
Iwaizumi si sedette all’altro capo del ceppo. “Chi altro vuoi che si faccia leggere il futuro poco prima dell’alba?” Aveva le labbra imbronciate come sempre, ma c’era qualcosa oltre le sopracciglia corrucciate che lo tormentava.
“Scherzi? È il momento di massima ispirazione di un indovino.” Oikawa gli sorrise, il solito mix di sfida e seduzione, poi si sporse in avanti, i gomiti sul tronco d’albero, e fece per parlare.
Fu interrotto da passi concitati in avvicinamento. Ebbe solo il tempo di voltarsi da una parte all’altra dello spiazzo, poi il perimetro della radura fu presieduto da uomini della Nazione del Fuoco.
Si ritrasse di rimando e cominciò a guardarsi attorno, all’erta. “Che significa?”
“Inutile provarci, non c’è acqua, qui.”
Oikawa sbuffò in una risata e mostrò entrambe le mani. Incontrò gli occhi di Iwaizumi, fermo. “L’acqua, Iwa-chan, è ovunque.”
“Sono Iwaizumi Hajime, da qualche ora capitano dello squadrone di nuovi soldati A31.” Aggrottò la fronte e si interruppe per un attimo di confusa esitazione, quando notò che Oikawa aveva piegato un dito, ma si era bloccato per ascoltarlo. Di che acqua parlava? “Mi occuperò della gestione della spedizione di domani.”
“Ti hanno promosso a capitano per l’atto eroico di ieri notte, eh? Come ci sei finito, sulle tracce dei clandestini?”
Iwaizumi serrò la mascella. “Giro di ricognizione.”
“Oooh, il giro di ricognizione.” Oikawa annuì solenne. “Li chiamano così adesso.”
Alcuni mormorii aleggiarono tra i soldati che li circondavano. Iwaizumi li ignorò. “Sono qui per farmi leggere il futuro.”
“Tu?”
Lui annuì.
“Ma non c’è bisogno che porti l’intero squadrone a scorrazzare per boschi, Iwa-chan. È il mio lavoro.” Oikawa poggiò di nuovo un gomito sul ceppo e si resse la testa con una mano. “Devo avvertirti, però. I capitani pagano di più.”
“È una situazione speciale. In vista di domani, i dominatori giudicati soggetti pericolosi sono tenuti d’occhio, quindi immagino che per una volta lo farai gratis.”
Oikawa batté le mani davanti alla bocca e sgranò gli occhi, con studiata sorpresa. “Sono un soggetto pericoloso?!”
Iwaizumi sembrò spazientirsi. “Mi leggi il futuro o no?”
“Posso evitarlo?”
Si guardarono. Iwaizumi si mordeva il labbro inferiore, un cipiglio scavava profondo la pelle tra le sopracciglia scure. Oikawa chiuse gli occhi per un attimo e annuì a rassicurarlo, poi gli fece l’occhiolino.
Ruppe quella comunicazione turbinosa. Inspirò rumorosamente e sollevò lo sguardo ai rami più alti della foresta. Artigli di legno si protendevano come forsennati gli uni verso gli altri, in una tensione lentissima sotto la quale il mondo aveva imparato a scorrere incurante. Prese la mano che Iwaizumi gli stava offrendo tra le sue e cominciò a leggervi rughe e linee.
“Sul confine tra sabbia e foresta giace una promessa non suggellata, dove roccia e lacrime incontrano acqua salata.” Oikawa, ancora chino sulla sua mano, sollevò gli occhi a incontrare quelli di Iwaizumi. Capisci, pensò. Ti prego, capisci. “A mezz’ora di distanza si potrà riparare. Solo, al cospetto di un nemico che non ti sai inimicare. Non c’è paura né tradimento né disonore, se ha già direzione, il tuo cuore. Lui non conosce i volti della rivolta, ma ti aspetterà un’ultima volta. Troverai il re dell’oceano tra i quattro denti di scogli. D’altronde Kao Lai, o capitano, è la città degli imbrogli.”
“Ma che diavolo significa?” gridò uno dei soldati dalla fine della radura. La sua voce accartocciata si fece strada tra tutti quegli strati di silenzio.
Iwaizumi mantenne il suo sguardo quando separò le labbra, radunò le parole per un attimo e poi disse: “Significa che presto il nostro squadrone sarà attaccato da una forza ignota. Dobbiamo prepararci.”
Si alzò di scatto, riappropriandosi della sua mano, poi gli diede le spalle per ricongiungersi con gli altri soldati. Loro si stavano già riaccorpando come un mostro solo.
“Capitano, l’indovino?”
Quando Iwaizumi si voltò con un’occhiata pensierosa, Oikawa gli fece di nuovo l’occhiolino. “Di lui mi occupo io.”
Poi la nebbia mattutina della foresta di Kao Lai inghiottì lo squadrone A31.
 
Sul confine tra sabbia e foresta giace una promessa non suggellata, dove roccia e lacrime incontrano acqua salata.
Iwaizumi camminava sulla sabbia striata ansimando e intanto malediceva Oikawa. C’era qualcosa nell’aria densa e salmastra dell’alba che rendeva quella nebbiolina all’orizzonte quasi un ostacolo per la respirazione. Quando le cose avvenivano molto presto al mattino, prima che il sole sorgesse, si aveva sempre un po’ la sensazione che un’ora si allungasse ad abbracciarne due e si arrivava al pomeriggio accompagnati dallo strano sospetto che gli avvenimenti del mattino appartenessero a storie vecchie giorni.
A mezz’ora di distanza si potrà riparare, aveva detto Oikawa e Iwaizumi aveva deciso di assecondarlo in quella richiesta strampalata perché non aveva altra scelta e il tempo correva più di quanto riuscisse a stargli dietro.
Solo, al cospetto di un nemico che non ti sai inimicare. Iwaizumi avrebbe tanto voluto battere il pugno contro quel tronco d’albero mozzo e dirgli che non era uno stupido: non sarebbe arrivato con la scorta a un incontro segreto, grazie tante. E comunque non era Oikawa la ragione per cui non aveva chiuso occhio quella notte e aveva fissato impotente le stelle che lui aveva tracciato in una linea invisibile di costellazione solo qualche ora prima, cercando la forza per una scelta che in fondo aveva già compiuto.
Non c’è paura né tradimento né disonore, se ha già direzione, il tuo cuore.
Iwaizumi comunque era un tipo deciso, uno che non si trastullava con i forse e i magari. Era uno che decideva con la testa, col cuore, con lo spirito e con il corpo in una coerenza invidiata dai più e che non lasciava spazio a dubbi. Ed esattamente per questo che ci aveva dovuto pensare una notte intera. Non perché fosse indeciso, non perché tentennasse, non perché dubitasse, ma perché si esita sempre un momento quando si trascina un macigno per chilometri e poi si scopre di aver seguito la direzione sbagliata per tutto il tempo. Perché le inversioni a U hanno bisogno sempre di un attimo di contemplazione lungo la curva.
Lui non conosce i volti della rivolta, ma ti aspetterà un’ultima volta.
Iwaizumi individuò i quattro scogli acuminati in fondo alla spiaggia.
Era fondamentale che Oikawa identificasse i clandestini. Anche se era un soggetto considerato rischioso dalla Nazione del Fuoco, era comunque più libero di Iwaizumi. Ripensò a quando gli aveva chiesto se sapesse di vivere in una prigione. Era la cosa più irritante di Oikawa, la perspicacia. Gli era bastato uno sguardo al suo volto attento a mantenersi inespressivo e una richiesta a sorpresa di una predizione che aveva sempre rifiutato, per capire di avere campo libero e lasciargli un messaggio in codice. Iwaizumi non aveva avuto bisogno di strizzargli nessun occhio, non aveva avuto bisogno di picchiettare sul legno in codice Morse, non aveva avuto bisogno di sussurrare informazioni a mezza voce. Oikawa aveva capito e quando aveva ragione si trasformava nella sua versione più insopportabile.
Troverai il re dell’oceano tra i quattro denti di scogli.
Il re di stocazzo gli dava le spalle, oltre una parete di pietra martoriata dalla schiuma di mare. Iwaizumi non pensò che fosse ancora in tempo per tornare indietro alla bugia di una vita in fondo più comoda. Continuò a camminare dritto e sicuro nella sabbia corvina.
D’altronde Kao Lai, o capitano, è la città degli imbrogli.
E Iwaizumi imbrogliò.
“Ehi, idiota,” lo salutò, le mani seppellite nelle tasche come quando a scuola, nella Nazione del Fuoco, aveva chiesto alla sua compagnetta di classe se voleva affumicare il formaggio con lui, le guance in fiamme un po’ per l’imbarazzo un po’ per il fastidio di essere imbarazzato.
Oikawa si voltò sorridendo storto. Gli disse qualcosa, ma la risacca orgogliosa del mattino ne divorò ogni suono.
“Descrivimeli,” continuò poi, e questa volta il mare si era ritirato. “Sono sicuro che, qualunque cosa abbiano in mente, sfrutteranno l’alba per fare rifornimento in città. Li avvicinerò in qualche modo e poi tornerò all’accampamento in qualità di soggetto pericoloso.”
“Hai un piano, vero?”
Oikawa sorrise e scrollò le spalle. Era irritante oltre ogni misura. “Ho un piano.”
Da qualche parte, al di là di scogli acuminati come denti, un’ombra frusciò ondeggiando un po’ più vicino.
 
I primi raggi di sole combattevano contro la pioggia di cenere. Sui tetti, uno strato di umidità e di fuliggine dava l’impressione che la città fosse immersa in un incubo di corruzione e oppressione. Senza l’intervento del vulcano, quel posto sarebbe sembrato una città qualunque del Regno della Terra che tradiva qualche influsso dell’architettura della Nazione del Fuoco negli edifici dall’aria più antica. Qua e là, come apparizioni traslucide al di là di uno spesso velo, spuntavano gli abitanti di Kao Lai armati di scope e spolverini. Gli occhi di Osamu si posarono sulla figura minuta di una ragazza che gonfiava le guance e soffiava via della cenere da un fiore rosa.
“Vuoi dirmi che ci fai qui?”
Akaashi, che fino a quel momento aveva camminato accanto a lui come se non avesse percepito l’assurdità di quella città, si voltò. “Cerchiamo l’unguento per il tuo amico e poi torniamo alla grotta.”
Osamu aggrottò la fronte e cercò il suo sguardo. “Sai cosa voglio dire, non prendermi in giro.”
L’ombra di un sorriso passò sul volto di Akaashi. Giusto il tempo, per Osamu, di chiedersi se fosse reale. “Se ti senti preso in giro il problema è tuo.”
Osamu scrollò le spalle e si preparò a ribattere con una risposta degna di quella guerra silente a cui, a quanto pareva, ad Akaashi piaceva giocare. Osamu forse non amava giocare, ma odiava perdere. La ricerca della risposta perfetta fu interrotta quando lo sguardo gli cadde su un chiosco coperto da una tenda a strisce rosse e azzurre alla loro sinistra. Sembrava star aprendo i battenti in quel momento, perché era l’unica cosa non ricoperta di cenere, da quelle parti. Il suo stomaco brontolò e i piedi lo assecondarono all’istante.
“Ehi ehi ehi, viaggiatori,” li accolse una donna che doveva aver superato la soglia dei diecimila anni, “non potete perdervi un panzerotto ripieno di gamberi e patate per iniziare la giornata col piede giusto, è la specialità di Kao Lai, la colonia migliore della Nazione del Fuoco.”
Osamu scrollò le spalle. “Perché no, ne prendiamo due.”
La vecchia gli regalò il sorriso a due denti più radioso che avesse mai visto in faccia a qualcuno, anche a chi i denti ce li aveva tutti, e Osamu conosceva Shouyou Hinata. “Per non parlare di un bel bicchiere di Lacrime di Cocco, la bevanda più amata dai turisti. Vedete…” iniziò la donna, mentre preparava la bibita senza che nessuno le avesse chiesto alcunché, “è composta da latte di cocco e vaniglia, quindi le scaglie di cocco prendono il colore della vaniglia e ricordano le lacrime di carbone caratteristiche di Kao Lai!”
Presi panzerotti e lacrime di cocco, Osamu si avvicinò a un muretto con le braccia piene e le vuotò con un sospiro. “Sto morendo di fame” confessò ad Akaashi, che si avvicinò riluttante alla colazione strampalata. Osamu si ficcò il suo panzerotto in bocca senza troppi scrupoli. “Mh” mormorò masticando, un cipiglio che guadagnava di profondità di secondo in secondo. “Questi non sono gamberi, è granchio.”
Akaashi annuì e prese posto accanto a lui sul muretto. “Sai come viene anche chiamata Kao Lai?”
Osamu scosse la testa e gli porse il contenitore dell’altro panzerotto.
“La città degli imbrogli” disse, prendendo la sua colazione e spezzandola a metà con le dita per esaminarne distrattamente il ripieno. “I gamberi sono in quasi tutti i piatti tipici di Kao Lai, ma sono costosi. Invece il granchio inganna i turisti e costa meno. Spacciandolo per gambero te lo fanno pagare di più e ci guadagnano. In realtà sono sorpreso che tu l’abbia capito.”
“Hai dell’acqua?” domandò Osamu, a cui non importava granché della truffa, perché il panzerotto gli era parso buonissimo, anche se forse era per la fame.
Akaashi lo guardò come se fosse stupido.
“Me ne ghiacci un po’ e me la metti nel bicchiere? Fa caldo qui e il latte di cocco è più buono quando è fresco.”
Akaashi si guardò attorno, ruotò il tappo della sua bisaccia e ne cavò fuori dei cubetti di ghiaccio per entrambi. Osamu, con la bocca ancora piena, chinò il capo in segno di ringraziamento e prese un sorso della sua bibita.
“Forse sei davvero un ricercatore, sai un sacco di cose inutili.”
Akaashi distolse lo sguardo e alzò gli occhi al cielo, come se – di nuovo – Osamu avesse fatto un’osservazione davvero stupida. Prese un morso del suo panzerotto e ascoltò il vento contaminato farsi strada tra le foglie viola dell’acero lì vicino. “Secondo te da dove viene una leggenda?”
“Una leggenda,” ripeté Osamu, scettico.
“Io studio la storia di posti misteriosi e poi ci scrivo su delle favole. A volte capita che queste storie passino di bocca in bocca e diventino leggende.”
Osamu esitò. “Quindi sei un truffatore?”
“No,” Akaashi scosse la testa. “Vendo le mie favole come favole e non come realtà. In più, a volte studio luoghi che i ricercatori più famosi danno per troppo pericolosi o poco incisivi nella storia delle Quattro Nazioni, quindi ho scritto anche trattati storici su alcuni dei luoghi in cui sono stato.”
Osamu tenne gli occhi su di lui e la fronte aggrottata, mentre prendeva un altro sorso della sua bibita. “E tra tutti i posti misteriosi del pianeta hai scelto di dormire in una grotta di una colonia della Nazione del Fuoco?”
Akaashi si strinse nelle spalle, poi gli regalò un sorriso piccolo, confidenziale. “Il rischio è parte del lavoro.”
Aaaaah, fu il pensiero esatto di Osamu, questo dev’essere uno squilibrato in piena regola.
“Bene,” disse poi Akaashi. “Ora vuoi dirmi che ci fate voi qui?”
 
Un raggio angolato fece irruzione nella grotta.
Atsumu, seduto a gambe incrociate, osservò le lacrime di Kao Lai piangere all’interno di quel fascio rosato e dimenarsi e roteare e volteggiare, schiave di un vento che proveniva intransigente dall’ovest. A volte le cose più marce acquistavano un fascino inspiegabile, quando venivano rabbonite dalla luce. Si voltò per dare un’occhiata a Shouyou alle sue spalle.
Dormiva.
Si era abbattuto finalmente, dopo quasi nove giorni di viaggio, una battaglia e una ferita. La luce gli illuminava un angolo dell’occhio destro, metà del naso e la bocca semiaperta, un taglio obliquo che si estendeva da lì e divorava il resto della grotta. Se non avesse avuto più nozioni astronomiche, Atsumu avrebbe pensato che quella luce nascesse dall’angolo esterno del suo occhio destro e, come una lacrima, da lì si irradiasse per abbracciare il mondo intero.
Forse era la forma di meditazione più pura a cui si sarebbe mai accostato in tutta la sua vita.
Si lasciò cadere con la schiena all’indietro e aspettò che la colonna vertebrale si adeguasse alla pietra. Fissò il soffitto della grotta finché insenature e dossi non assunsero i contorni di volti, animali e vari oggetti. Era esausto anche lui, avrebbe potuto riassumere le ultime ore solo attraverso le temperature che aveva sperimentato sulla pelle: fresco da vento, freddo da acqua, caldo da adrenalina, bollore da dominio del fuoco, gelo da paura, caldo ancora da muscoli in azione, ghiaccio quando aveva incrociato lo sguardo del ragazzo che gli aveva chiesto perché non era uno di loro, freddo da foresta, gelo da grotta, tepore da falò, torpore da prime luci dell’alba.
Si voltò su un fianco per lasciarsi abbindolare dal sonno, ma si trovò davanti la schiena nuda di Shouyou.
Percepì una nuova temperatura: quella vibrante di caldo-freddo dell’elettricità.
La pelle della spalla sinistra era sbucciata fino al collo, contornata da chiazze scure e irritata e arrossata al centro. Le scapole e la colonna vertebrale sporgevano lì sotto e una striscia blu partiva dall’attaccatura dei capelli e si tuffava in una linea dritta nell’elastico dei suoi pantaloni.
Sollevò un dito e, come se avesse fatto una cosa naturale quanto chiudere finalmente gli occhi e dormire, cominciò a tracciare il percorso del suo tatuaggio, ma verso l’alto.
La schiena di Shouyou vibrò con una risata. Atsumu si stupì, per qualche ragione.
“Mi fai il solletico,” disse Hinata, la voce rauca e un po’ stanca ai bordi, “e hai le dita fredde.”
Poi si alzò a sedere e si ribaltò con un saltino per guardare Atsumu in faccia, reggendo il busto col braccio teso. Atsumu avrebbe voluto ricordargli che non doveva sforzare la spalla, ma sollevò gli occhi nei suoi per dirglielo e non ne ebbe modo.
Aveva le labbra rosse come se le avesse morse dal nervoso per ore, gli angoli della bocca erano arricciati attorno a un sorriso grande il giusto per far ammenda tra tenerezza e gioia. Atsumu deglutì a vuoto e pensò a una battuta simpatica e offensiva assieme, come per dimostrarsi di essere ancora se stesso. Gli venne in mente e la dimenticò, le esitava attorno con i pensieri come uno studente che finge di avere una risposta sulla punta della lingua. Shouyou si sporse un po’ in avanti, ma un po’ davvero, solo che ogni centimetro ne valeva almeno cento, lì.
Ciuffi di capelli resi dorati dall’alba si incurvavano attorno al suo viso, gli solleticavano gli occhi, gli sfioravano le lentiggini. Atsumu riusciva a sentire il calore del suo petto, distrattamente consapevole del braccio piegato di Shouyou, delle scapole sporgenti in quella posizione e del tatuaggio che si arrendeva a quel movimento. Sollevò un po’ il busto, sottrasse altri centimetri al raggio di alba che li separava, poi inspirò quella sospensione e lo baciò.
Durò un secondo, l’aveva rubato come se si fossero chiusi in uno dei vicoli di Ba Sing Se e Hinata fosse stato uno sfortunato turista con il borsellino troppo in bella vista.
Ma Shouyou gli sorrise – e sembrava davvero che avesse visto il mondo intero – e poi lo baciò di nuovo. Atsumu gli infilò una mano tra i capelli, se lo spinse addosso e fece scivolare le dita fino alla nuca.
Fuoco e aria potevano essere nemici per gli uomini, ma la verità era che si alimentavano. Il fuoco era vivo, l’aria era libera.
“Ma sei sicuro che questa roba funzioni?” la voce di Osamu giunse da lontano, su un sentiero che non esisteva ma che portava alla grotta. Atsumu lasciò le labbra di Shouyou con uno schiocco. La luce dell’alba era diventata più calda, stava assumendo sempre più i toni del giorno.
Shouyou lo guardò negli occhi, aveva le sopracciglia appena sollevate, come se stesse per chiedergli qualcosa che proprio non conosceva. Atsumu non gli lasciò il collo, fece cadere la fronte contro la sua e, con un altro bacio sulla punta del naso, lo lasciò andare. Fu certo di aver sorriso avvenente e sexy (non era vero. Aveva sorriso come un cretino).
“Credo di sì” rispose Akaashi, ancora fuori dalla grotta.
Due ombre lunghe caddero all’entrata, ondeggiavano e si ingrandivano a ogni passo dei loro proprietari.
“Ma come ‘credo’?”
“Te l’ho detto, non sono un guaritore, ma queste cose dovrebbero andare bene. Sono la base del primo soccorso, mi sorprende che tu non lo sappia.”
Osamu e Akaashi tornarono alla grotta con fiale e scatole di cartone tra le mani.
“Perché sembra che Mugi ti abbia dormito in faccia?” domandò Osamu a suo fratello.
Atsumu lo guardò, fece per rispondere e poi gli guardò le mani. “Che hai là?”
“Roba mia.”
Fece per acchiapparla, ma Osamu fu più veloce. “Condividi, ‘Samu.”
“Con te? Mai.”
Atsumu gli sottrasse la scatola di cartone, abbattendoci sopra una mano. “Cazzo, che fame” disse e prese a scartare le sue polpette di granchio. Pareva che che non avesse neanche sentito il pugno in testa che gli aveva rifilato Osamu.
Akaashi e Shouyou si scambiarono un’occhiata. “Le polpette le ha prese per voi,” disse poi Akaashi, osservando confuso la scena dei fratelli che si picchiavano sulla base di niente.
Shouyou gli sorrise soltanto, divenuto cieco da tempo a quel genere di rituali primitivi. “Grazie per esserti preso cura di me, Akaashi.”
“Siete tutti matti” commentò lui tra sé, poi incalzò Hinata con un gesto della mano a dargli le spalle per applicare gli unguenti.
“Comunque,” esordì Osamu, schivando un pugno di suo fratello. “In città siamo stati scoperti.”
 
“Bene ora vuoi dirmi che ci fate voi qui?”
Osamu aveva pensato che tanto valeva dire ad Akaashi come stavano veramente le cose. Li aveva accolti (un po’ forzatamente, va bene, ma era anche vero che lui l’aveva legato al muro) nella sua grotta, aveva rimesso Shouyou in sesto e non aveva fatto neanche una domanda sul fuoco di suo fratello. In più, lui sapeva un mucchio di cose su Kao Lai, cosa che loro non sarebbero mai riusciti a fare in meno di un giorno. Oltre a essere una colonia della Nazione del Fuoco, era anche il contrario di se stessa. Viveva sotto uno strato di fuliggine che le faceva cambiare faccia e, a quanto pareva, nascondere i suoi segreti.
Akaashi aveva ascoltato in silenzio il riassunto striminzito della loro storia. Osamu era tornato con i ricordi a Ba Sing Se, aveva accennato al Dai Li e ai loro segreti, aveva dato un contesto al loro incontro misterioso a Oshubi e poi gli aveva parlato di Gaoling e del motivo per cui, se avessero voluto, avrebbero potuto anche permettersi i gamberi veri di Kao Lai. Alla fine della storia, Akaashi aveva annuito un paio di volte, poi l’aveva guardato negli occhi e, fermo, aveva detto: “Vi aiuterò. Abbiamo tutti un conto in sospeso con la Nazione del Fuoco.”
Osamu era rimasto sorpreso dalla sua risposta così rapida e concisa. Akaashi non gli aveva chiesto altro, aveva messo i pezzi in ordine per conto suo, in un quadro completo di azioni e motivazioni che chiunque avrebbe impiegato ore a decifrare e poi aveva semplicemente deciso di dar loro una mano. Aveva gli occhi torbidi e freddi del ghiaccio con cui l’aveva inchiodato a un albero anonimo del bosco di Shoubei, ma ragionava tenendo ogni singolo dettaglio in considerazione, con la stessa versatilità intelligente dell’acqua con cui l’aveva curato dal suo stesso ghiaccio. Osamu aveva deciso in quel momento che si sarebbe lasciato ferire da lui almeno mille volte solo per il benessere risplendente e fresco di cui allo stesso tempo era capace.
Poi, da dietro l’albero viola a qualche metro da loro, era comparso un ragazzo.
“Oh, credetemi,” aveva esordito. Indossava il sorriso più pericoloso che Osamu avesse mai visto su un volto e sembrava che la sua faccia da sola bastasse a dare a Kao Lai il suo epiteto ufficioso. “Sono noto per essere il mago più potente del Regno della Terra, ma neanch’io sarei capace di ghiacciare un drink, se fossi un dominatore del fuoco.”
Gli sguardi di Osamu e Akaashi si erano divisi a turno tra il bicchiere di latte di cocco di Osamu, le loro rispettive facce e quella dello sconosciuto.
Contro ogni aspettativa, questo aveva addolcito i tratti affilati del viso, aveva porto loro una mano e aveva detto: “Sono Tooru Oikawa e dovete ringraziare che vi abbia sentito solo io.” Poi aveva aspettato che gli stringessero la mano, piano, a turno, aveva dato loro le spalle e aveva preso a camminare lungo un sentiero tutto ciottoli e terra fuligginosa. “Seguitemi, ho delle informazioni che potrebbero interessarvi e un piano per ostacolare la spedizione di domani.”
Si era voltato per un attimo, lo sguardo che esitava tra i contenitori di cibo vuoti e le loro facce.
“Comunque quello non era gambero.”
“Lo sappiamo,” aveva risposto Akaashi, guardandolo senza tradire alcuna emozione.
“Va bene,” Oikawa aveva scrollato le spalle e ripreso a camminare. “Dovrei avere delle polpette di granchio fresco, visto che vi piace così tanto da farvi fregare.”
   
 
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