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Autore: time_wings    18/12/2022    2 recensioni
[ATLA!AU - AtsuHina, IwaOi, OsaAka]
Atsumu e Osamu passano le loro giornate tra allenamenti noiosissimi e scippi fallimentari, nell'anello esterno di Ba Sing Se. La loro vita cambia radicalmente quando si ritrovano costretti ad aiutare Shouyou Hinata, un ragazzo misterioso che viaggia in groppa a un bisonte volante.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Keiji Akaashi, Osamu Miya, Shouyou Hinata, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II. Kao Lai


Quella sera il vento era solo un soffio gentile che tirava da ovest. La cenere si vedeva cadere sottile solo in corrispondenza degli aloni pallidi di luce delle lanterne sparse per le strade. Oikawa se ne spazzolò un po’ via dalle maniche dei vestiti e voltò il viso verso Iwaizumi, alle sue spalle, che lo spingeva con una mano sulla schiena. “Sai,” iniziò, “non c’è bisogno che fingi di starmi addosso fino a questo punto, altrimenti capiranno da come mi guardi che ti fai fare le predizioni private.”
Iwaizumi alzò gli occhi al cielo e rispose alla provocazione con un grugnito, ma voltò la testa a guardarlo quando sentì il suo sguardo su di sé. Era serio, le labbra sottili come se lo stesse valutando. Oikawa non lo sapeva, ma quella era la sua versione più spaventosa. “Che c’è?”
“Niente,” scosse la testa e la abbassò di poco, poi riprese a camminare. “Stai facendo la cosa giusta, Iwa-chan.”
Lui esitò per un attimo, poi sbuffò derisorio, forse per nascondere proprio quell’esitazione. “Non mi serve la tua approvazione. Non lo faccio per te.”
“Lo so,” fu la risposta di Oikawa, accompagnata a una scrollata di spalle che la rendeva più leggera, volatile. Lo sapeva benissimo, che quella era una delle sue mosse più spaventose. “Non so cosa ti abbia fatto cambiare idea, ma so che è stata solo una scusa. L’hai sempre voluto. Fidati, sono l’indovino migliore di Kao Lai.”
Iwaizumi gli concesse una breve risata beffarda. “Al massimo il miglior truffatore.”
Oikawa rise. “Anche quella è un’arte.”
Non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma Iwaizumi sapeva che Oikawa aveva ragione. Il dominatore del fuoco selvaggio che aveva sfidato in spiaggia, la notte precedente, aveva ridotto in cenere tutto quello che la vita di Iwaizumi aveva rappresentato fino ad allora. Era lento, non era allenato, era mediamente incapace e tutto quello che sapeva sembrava frutto di uno sposalizio provvidenziale e temporaneo di tentativo e fortuna. In un duello l’avrebbe stracciato dopo i primi trenta secondi, ma, in una situazione caotica come quella della notte precedente, l’imprevedibilità dei suoi attacchi aveva giocato in suo favore. Piegava il fuoco al suo volere con arroganza infantile, lo vedeva accendersi con sorpresa e se ne serviva come se si divertisse da matti. Il suo fuoco era fatto di qualcosa che Iwaizumi aveva dimenticato tra un allenamento massacrante e una responsabilità sociale. Ma quel tizio gli aveva mostrato che il fuoco non era una concessione. Non era un dono della Nazione del Fuoco, a cui bisognava esprimere eterna gratitudine arruolandosi per proteggerla, non era rabbia e odio e dominazione, era suo e, da qualche parte lungo il percorso che l’aveva portato a diventare il capitano più giovane nella storia del suo paese, aveva iniziato a nascere dai semi sbagliati.
La Nazione del Fuoco era la causa di tutti i mali che negli ultimi ottantacinque anni erano calati sul mondo. Iwaizumi era bravissimo a essere rigido e a seguire gli ordini, ma era ancor più bravo a riconoscere cosa avesse senso e cosa no e ad agire di conseguenza, indipendentemente da quale fosse la strada più facile.
Dopo quella battaglia, quella che gli aveva garantito la promozione a capitano dello squadrone A31, Iwaizumi non aveva chiuso occhio. Poi, prima che il primo raggio del nuovo giorno facesse capolino oltre le montagne, aveva deciso da che parte stare.
“Visto che sei un artista della truffa, allora, metti in pratica questo talento e attieniti al piano.”
Oikawa gli agitò una mano davanti alla faccia, come a zittirlo, poi si accostò alla bancarella della vecchia che quella mattina aveva venduto panzerotti di falsi gamberi ai suoi nuovi alleati e le sorrise.
“Oh, che strana coppia!” commentò lei, ricambiando il sorriso.
“Sono un soggetto pericoloso per la Nazione del Fuoco, riesce a crederci?” Oikawa sgranò gli occhi divertito. “Questa sì che è vi…”
“Muoviti” lo interruppe Iwaizumi, alle sue spalle, che si guardava attorno come se il pensiero che il suo ostaggio dovesse nutrirsi fosse eccezionalmente seccante. In realtà voleva solo chiudere quella parte del piano in fretta e passare a quella successiva.
Oikawa scambiò un’occhiata complice con la donna e studiò le opzioni del carretto. “Prendiamo tre polpette di granchio e un’informazione.”
Gli occhi della donna luccicarono di furbizia per un breve istante, poi tornarono docili. “Gradirei che non gridassi, ragazzo, qui credono tutti che siano gamberi.”
“Oh, ma certo.”
La donna gli porse le polpette.
“Vede, il mio amico soldato, qui, non vede l’ora di mostrare ai suoi capi che è un capitano furbo e responsabile e vorrebbe apparire valoroso per farsi bello ai loro occhi, partecipando alle fasi più delicate della consegna del carico di domani. Il fatto è che il luogo in cui si terrà lo scambio è un’informazione segreta e non riesce a spillarla a nessuno.” Oikawa si avvicinò, confidenziale. “Ha detto che mi fa pisciare da solo se sfrutto le mie conoscenze in città per aiutarlo. Lei è qui dall’alba e non si è mossa un attimo: deve sapere qualcosa.”
La vecchia si guardò intorno circospetta, poi puntò gli occhi sottili su Oikawa, di nuovo. “Non è sicuro fare la spia ai danni della Nazione del Fuoco, ragazzo. Io non ho altre entrate a parte questo chiosco e loro non aspettano altro che una scusa per farmelo chiudere” concluse, lanciando un’occhiataccia a Iwaizumi.
Oikawa scrollò le spalle. “Comprendo appieno, ma il fatto è questo.” Smise di sorridere e poggiò una mano sul ripiano del chiosco su cui avrebbe dovuto lasciare i soldi. Non la sbatté, ma fece comunque più rumore di quanto ne avrebbe fatto se l’avesse lasciata solo casualmente cadere lì. “È sempre meglio non farsi nemici. Sia mai che si presentino un capitano di uno squadrone e un indovino alla sua bancarella e se ne vadano insoddisfatti. Il capitano potrebbe spifferare ai suoi uomini che la venditrice di panzerotti al granchio non vuole collaborare con la Nazione del Fuoco, indipendentemente dalla natura dell’informazione negata. Penso che in quel caso le sue entrate subirebbero un colpo notevole in ogni caso.”
Si guardarono per qualche secondo. Lo sguardo intelligente della vecchia uscì nuovamente allo scoperto come in un trucco di magia appena svelato, poi sbuffò. “Il carico dovrebbe arrivare domani sulla Spiaggia delle Scaglie di Drago, alle undici.”
Oikawa sorrise, poi lasciò cadere tre monetine sul bancone, che tintinnarono allegre sotto le sue dita. Aveva tenuto la mano lì per tutto il tempo, Iwaizumi non avrebbe saputo dire da dove diamine fossero spuntate fuori. “Grazie per le polpette,” disse prendendole, poi entrambi si voltarono e fecero per andarsene.
“Bellimbusto?” lo richiamò la donna. “Le informazioni si pagano almeno tre volte il costo di questo chiosco.”
Iwaizumi sgranò gli occhi, ma Oikawa sorrise, poi tirò fuori una cifra esorbitante da una manica e lasciò i soldi sul bancone. “Tenga il resto,” disse, e se ne andarono davvero.
“All’inizio pensavo che avessi un po’ esagerato con lei” gli disse Iwaizumi, quando si furono allontanati abbastanza dalle zone più frequentate.
“Voi soldati della Nazione del Fuoco siete sempre tra i piedi e ancora non avete capito come funzionano le cose qui. Più sembrano innocenti, più sono pericolosi.”
“Tu devi essere molto poco pericoloso,” commentò Iwaizumi, osservando i ciottoli del sentiero diminuire di densità man mano che si avvicinavano alla foresta. Poi si guardò alle spalle per assicurarsi che nessuno li stesse seguendo. Di lì a poco avrebbero incontrato i clandestini. Iwaizumi trovava distrattamente ironico il fatto che meno di ventiquattro ore prima erano stati nemici.
“Io sono super innocente, Iwa-chan!” si lamentò Oikawa, e sfoderò lo sguardo più allusivo sul pianeta.
“Da dove li hai presi tutti quei soldi, comunque?”
“Io sono un grande indovino, sei tu che sminuisci le mie doti.”
“Sì, certo.”
“E va bene. I nostri alleati sono venuti qui preparati.”
 
Quando una foresta finiva per chiamarsi foresta, uno si aspettava che non fosse altro che quello: una foresta. Ci si immaginava una manciata generosissima di alberi alti, muschio, terreno umido, raggi di sole dalle traiettorie più disparate e, se proprio si voleva essere fantasiosi, un ruscello.
Invece Shouyou aveva scoperto che la foresta di Kao Lai ospitava più di una sorpresa. Tanto per cominciare, non troppo lontano dal centro cittadino, si apriva in delle radure, spiazzi poco alberati e tratti dal suolo libero da arbusti e radici, dove di solito si concentravano i campi della Nazione del Fuoco. Nascondeva una serie di grotte (una di queste era la loro) e, sul confine più a sud, sbiadiva in torri di pietra che parevano montagne artificiali. Le loro cime venivano divorate da nubi dall’aspetto spettacolarmente simile a fumo. A causa della vicinanza al mare burrascoso che separava il Regno della Terra dalla Nazione del Fuoco, le montagne erano state corrose nelle zone più basse. Erano famose in tutto il mondo poiché molte di queste si rivelavano cave, all’interno si aprivano bizzarri corridoi e strappi nella pietra, conferendo al paesaggio interno un’aria spettrale e lontana da ogni tempo. Per via della loro struttura, venivano chiamati anche monti di Zoulang. Shouyou sedeva con la schiena contro uno dei sentieri appena inclinati che conduceva verso la cima esterna di una di queste montagne. Akaashi aveva insistito che restasse seduto per non affaticare la spalla, anche se Shouyou si sentiva fresco come un fiore e in ogni caso non capiva perché, se la spalla non si trovava sulle gambe, restare seduto fosse la mossa vincente per sconfiggere il dolore. Akaashi però non parlava molto e raccontava belle storie, quindi gli faceva piacere accontentarlo.
Sul sentiero che dalla foresta di Kao Lai portava ai piedi delle montagne di Zoulang distinse una fiammella tremolante che si avvicinava.
Osamu gli fece un cenno e Shouyou si alzò, accasciandosi sul lato che non gli faceva male per distribuire meglio il peso. Lo sguardo di Atsumu cadde su di lui giusto il tempo di venir ricambiato, poi si spostò sulla sua stessa mano e la fiamma che vi accese in risposta.
Alla luce che veniva dal sentiero della foresta si aggiunsero lentamente due ombre, poi due sagome, due esseri umani poco dettagliati e infine due persone. Nell’esatto momento in cui Shouyou posò gli occhi sui loro visi, un brivido gli percorse le ossa, risalì fino alla nuca e si trasformò in pelle d’oca. Con la coda dell’occhio, vide che la fiamma nelle mani di Atsumu divampò e un’instabilità momentanea nel terreno e uno sciabordio si unirono alla difesa.
Uno dei due tizi era a capo della squadra che li aveva attaccati la notte prima, la figura stilizzata di una fiamma svettava sulla sua divisa da soldato.
“Molto scenografici, in quattro fate un Avatar,” commentò l’altro che era con lui. Shouyou immaginò che fosse l’indovino che aveva esposto il piano a Osamu e Akaashi, quella mattina. “Però non c’è bisogno di attaccare, calmatevi, è con noi.”
“Ieri non mi sembrava dello stesso avviso” ribatté Atsumu, sollevando il capo. Shouyou pensò che quel look da criminale lo facesse sembrare proprio un figo!
“Mi dispiace per la ferita, ieri. Spero che tu stia meglio” disse formale il ragazzo della Nazione del Fuoco, guardando Shouyou negli occhi. Si esibì in un inchino profondo ma non esuberante. Hinata era bravo a capire quanto le persone fossero sincere solo guardandole e non gli parve di rilevare alcuna forma di doppio gioco, quindi chinò il capo e accettò le sue scuse.
Atsumu, invece, non sembrava possedere lo stesso talento. “Hai detto che avrei dovuto infiltrarmi in un campo della Nazione del Fuoco” iniziò, rivolgendosi a Osamu, “e lui è il tizio di cui ci stiamo fidando?”
“Voi due siete gemelli?” domandò l’indovino di Kao Lai, Shouyou ricordava dai racconti di Osamu e Akaashi che il suo nome era Oikawa.
L’attenzione di Atsumu si spostò su di lui. “Acuto,” ribatté sarcastico.
“Io sono certo che tu sia quello più stupido dei due, invece.”
“Va bene, ci rivediamo domani, allora?” intervenne Osamu, prima ancora che Atsumu potesse pensare di fare il minaccioso.
Lui infatti rilassò le spalle e si morse un labbro. Shouyou aveva notato che lo faceva quando ragionava. Atsumu era un po’ una sorpresa, a suo avviso, perché sembrava sempre uscito da poco da una rissa e, quando apriva bocca, a volte, incoraggiava quest’impressione. Poi però era capace di trovare la mossa più furba in pochi secondi e farla passare per un gioco da ragazzi. Allo stesso modo, aveva ancora notato Shouyou, più si mostrava sicuro di qualcosa, meno ne sapeva, ma era stato discreto abbastanza da non fargli mai presente di aver capito il suo trucco. Si poteva capire tanto di una persona quando la si guardava galleggiare in aria abbastanza a lungo.
Il capitano super serio amico di Oikawa passò una divisa da soldato ad Atsumu. Lui la accettò con un sopracciglio inarcato e una dose abbondante di diffidenza malcelata. Un pensiero inaccessibile gli oscurò lo sguardo, prima che lo dissimulasse scrollando le spalle e tornando la versione sicura e arrogante di sé. Shouyou avrebbe voluto dirgli che lo preferiva vulnerabile.
“A domani.” Atsumu si avvicinò a suo fratello e, ridacchiando, aggiunse melodrammatico: “Se tutto va male, di’ a Shouyou che l’ho amato.”
Hinata lo sentì e non riuscì a non sorridere, mentre Osamu lo allontanava con uno spintone.
Poi Atsumu regalò un’occhiataccia al tizio della Nazione del Fuoco e una ancor più velenosa a Oikawa, scompigliò i capelli di Shouyou e si avviò di nuovo nella foresta.
 
Il fuoco crepitava dietro i tronchi degli alberi, accendendo lo sfondo delle loro silhouette nodose. Muschio e aghi secchi coprivano un terreno altrimenti spoglio. Altro fuoco – sulle divise, sulle tende, sugli stendardi – dipingeva uno scenario simile a quello dei covi dei cattivi delle storie che sua madre leggeva ad Atsumu da piccolo, un gemello per ginocchio e i ricordi confusi di un luogo di cui non afferrava più alcun dettaglio.
Si riscosse con un brivido e si lisciò i lembi della divisa della Nazione del Fuoco. Doveva solo mentire. Forse col fuoco non era ancora una cima, ma mentire era il suo forte, dannazione.
“Sei un dominatore del fuoco, ma non vieni dalla Nazione del Fuoco,” gli disse Iwaizumi, poco prima che si addentrassero troppo nel campo e non potessero più parlarne. Atsumu aveva la sensazione che mordesse costantemente qualcosa coi molari o che non avesse un vasto repertorio di espressioni facciali. “Da dove vieni?”
“Ba Sing Se,” rispose lui. Aveva una voglia matta di passarsi una mano tra i capelli, ma quello stupido elmetto da soldato glielo impediva.
“Come ti sei allenato?”
Atsumu scrollò le spalle e alzò gli occhi al cielo con falsa modestia. “Sono autodidatta.”
“E infatti sei completamente incapace,” ribatté Iwaizumi, lapidario. Non sembrava giudicarlo, ma affermare un fatto. Questo fece più male.
Oikawa scoppiò a ridere e Atsumu sperò che soffocasse con la sua stessa saliva. Secondo lui Oikawa era un tipo oggettivamente attraente. Nella testa di Atsumu questo poteva significare due cose: che voleva baciarlo o che voleva strangolarlo. Oikawa rientrava nella seconda categoria.
E comunque Atsumu era più bello.
Varcarono la soglia di una prima fila esterna di bandiere della Nazione del Fuoco. “Vieni, ti insegno qualche mossa, prima.”
 
Mezz’ora dopo, Atsumu si trovava a terra, per quella che doveva essere la cinquecentesima volta, con una manciata di terriccio e fallimento in bocca. Sputò e si tirò a sedere, guardando l’espressione stoica di Iwaizumi dal basso e odiandolo un po’ per tutta quella compostezza.
“Guardarvi è diventato così noioso che mi è passata anche la voglia di prendervi in giro,” commentò Oikawa, seduto con la schiena contro il tronco di un albero non lontano da lì. Stava infilando un cordoncino nero in una serie di perline, una specie di talismano falso per scacciare la malasorte altrui, e Atsumu avrebbe voluto fargliele ingoiare una per una.
Iwaizumi gli offrì una mano per aiutarlo a rialzarsi prima che potesse rispondere a Oikawa per le rime. Atsumu gli sorrise – furbo e grato insieme, perché proprio non gli riusciva di farlo senza sottintendere un doppio gioco anche quando non c’era – poi fece per accettare la mano, ma un formicolio inaspettato gli attraversò l’avambraccio. D’istinto, Atsumu scartò di lato e tirò una fiamma con la mano destra.
Quando il fuoco si fu diradato, incontrò lo sguardo duro di Iwaizumi, ma Atsumu ci aveva combattuto abbastanza per scorgere la soddisfazione dietro la facciata. “Bravo,” disse solo lui e Atsumu non trattenne un sorriso orgoglioso. “Impari in fretta.” Poi gli offrì ancora una volta una mano per tirarlo su e questa volta Atsumu non rilevò alcun pericolo.
“In fretta? Alla Nazione del Fuoco avete un concetto molto pigro di fretta, Iwa-chan, mi è venuto il culo piatto.”
“Per fortuna già ce l’avevi, sennò sai che perdita” ribatté Atsumu. Oikawa si alzò, intascò la collanina pacchiana e si spazzolò il terreno via dai pantaloni. Poi si avviarono verso il cuore del campo.
“Lo sai che studi scientifici hanno provato che se passi tutto questo tempo a fare lo stronzo ti vengono le rughe in anticipo?”
“Oh, allora devo assolutamente chiederti che crema usi per nascondere le tue.”
“Fate pure.” Iwaizumi si arrestò davanti a una tenda più grande delle altre. La terra compatta del bosco lasciava posto a una pedana in legno. “Quando avete finito, avremmo un piano suicida da portare a termine.”
Orgoglioso di aver avuto l’ultima parola, Atsumu sorrise e strizzò l’occhio a Oikawa, mentre lui si lasciava legare le mani da Iwaizumi. “Non sapevo che ti piacessero queste cose, Iwa-chan, ma non trovi che la situazione non sia del tutto appropriata?”
ll capitano dello squadrone arrossì solo sulla punta delle orecchie, ignorando la battuta, poi scostò un telone con l’ennesimo stemma della Nazione del Fuoco (davvero, Atsumu capiva perché fossero un pericolo mondiale: quello non era patriottismo, era ossessione) e li invitò a entrare.
Atsumu guardò Oikawa giusto il tempo di riuscire a cogliere le sue labbra mimare: ‘Va’ a farti fottere, scartina’, poi entrarono.
L’interno della tenda consisteva in uno spazio grande circolare, pavimentato con una pedana di legno dall’aspetto consumato per via della secchezza del terreno che portavano dentro i soldati con i loro stivali. Un tendone rosso sormontava la struttura e si andava aguzzando verso l’alto al centro. Le pareti circolari ospitavano fiaccole e ganci per appendere armi e altri utensili. Quattro tavoli di pietra grezza erano disposti in quelli che in una tenda rettangolare avrebbero fatto da angoli. Al centro, un tappeto di pelle di un animale che Atsumu non avrebbe saputo identificare accoglieva spazzatura di vario genere e persone esauste e ilari. Sul fondo della tenda crepitava un fuoco che non aveva bisogno d’essere domato e lanciava riflessi su elmi senza padroni e vetri di bottiglie piene e vuote disseminate qua e là per la stanza, disegnandone i contorni.
I ragazzi presero posto a uno dei tavoli del tendone.
“Ti ho già visto da qualche parte?” domandò un tizio ad Atsumu, stringendo gli occhi per ripescare il ricordo. Aveva i capelli tutti spettinati e il pomo d’Adamo più prominente che Atsumu avesse mai visto in vita sua. “Ho la sensazione…”
“Ti confondi con qualcun altro, amico. Io sono arrivato qui stamattina per aiutare col carico di domani.”
Il ragazzo lo studiò a occhi stretti per qualche altro secondo di goliardica diffidenza, chinato verso di lui come se il problema fosse stato unicamente di tipo oculistico, poi si tirò indietro di scatto e sollevò le sopracciglia. “Ma sì, certo.” Afferrò il bicchiere di legno sul tavolo con uno schiaffo e se lo portò con leggerezza alle labbra.
“E che ci fanno uno arrivato stamattina e un soggetto rischioso da queste parti?” domandò un altro ragazzo dalla parte opposta del tavolo. Aveva folti capelli ricci e sorprendenti occhi verdi. Non sembrava affatto uno della Nazione del Fuoco.
“Già, ho sentito che voi delle altre squadre state dall’altra parte della foresta,” gli diede ragione Pomo d’Adamo.
Atsumu si lasciò cadere contro lo schienale della sedia. “Sono qui per il soggetto rischioso” disse poi, lanciando un’occhiata di sottecchi a Oikawa.
Riccio e Pomo d’Adamo aggrottarono le sopracciglia, incerti, gli sguardi che correvano per un attimo sul loro capitano. Iwaizumi si limitò a scrollare le spalle.
“Andiamo, ragazzi, è l’indovino più famoso di Kao Lai. Non ditemi che siete così poco scrupolosi da non farvi fare una lettura prima di un incarico così importante come quello di domani. In più, ora che è praticamente un prigioniero, non si fa neanche pagare.”
Oikawa sollevò le mani con i polsi legati e lanciò un’occhiata eloquente a Iwaizumi. “Non posso fare letture così, capitano.”
Iwaizumi grugnì e mormorò qualcosa di simile a un insulto, poi si armò di un coltello da caccia e ruppe le corde che gli stringevano i polsi. Oikawa si massaggiò la pelle arrossata nei punti in cui la corda aveva insistito di più, poi, con uno scatto rapido di un dito dominò l’acqua in una delle scodelle sul tavolo e schizzò Atsumu in faccia.
Lui si ripulì con una manica, senza batter ciglio. “Rinfrescante, grazie,” commentò con un sorriso affilato, e gli porse la mano destra. 
Oikawa chiuse gli occhi e preparò l’ennesima messinscena. “Tra le cime alte di nebbia risuona la fortuna, laddove la roccia è scandita dal mare e la sua spuma. Un tesoro assai raro attende il suo padrone, che sia fama, potere e soldi o che sia solo l’amore. Va’ lì, o viaggiatore, recati dove il vento fa coppia con un fischio. Tra i rovi di roccia, magari, un piccoletto annullerà ogni rischio.”
Atsumu l’avrebbe strangolato per l’occhiolino finale e il riferimento a Shouyou non richiesto, ma, per quando ebbe finito, parte della sala era ammutolita in un silenzio attento.
“Capitano, dovremmo…” iniziò Riccio, rivolgendosi a Iwaizumi e lasciando la frase sull’onda di un’esitazione. Iwaizumi si strinse nelle spalle e accennò con la testa in direzione di Oikawa.
Riccio tese la mano tremante all’indovino, mentre Pomo d’Adamo correva in giro per il tendone, esortando tutti a farsi avanti.
Oikawa confezionò previsioni perlopiù identiche, se non per qualche dettaglio personale che faceva sgranare gli occhi di sconcerto al proprietario della mano, in un antenato ugualmente affidabile dell’effetto Placebo.
Iwaizumi e Atsumu si scambiarono uno sguardo d’intesa.
 
“Posso chiederti una cosa?” Oikawa domandò a Iwaizumi, quella sera, mentre veniva scortato da lui a far la pipì. Si era messo dall’altra parte dell’albero, ma sentiva comunque il rumore. Oikawa però non sembrava curarsi di simili minuzie. “Cosa ti ha fatto cambiare idea?”
Iwaizumi pensò di fingere di non aver capito, invece optò per un più logico: “Non credo sia il caso di parlarne qui.”
“Avanti, più dici queste cose più sembra sospetto.”
Passò un momento di silenzio, in cui si udivano solo il suono occasionale delle cicale e la pipì di Oikawa. Aveva bevuto molto.
“È per quella scartina, non è vero?” la voce di Oikawa si illuminò di realizzazione. “Hai combattuto contro di lui e hai capito che dominare il fuoco non deve corrispondere alla lealtà alla nazione che ne porta il nome, che lo stavi usando per la causa sbagliata.”
Iwaizumi non rispose. Si limitò a lasciare il tronco d’albero a cui era appoggiato e circumnavigarlo per raggiungere il suo soggetto pericoloso, che stava ancora armeggiando con la patta dei pantaloni. “Dobbiamo andare o si insospettiranno.”
“Sei pieno di sorprese, Iwa-chan.” L’indovino liberò una risata alta, cristallina, arrivava fino ai rami più alti di quella foresta. “E uno zotico. Non riesco a credere che quattro schiaffi siano stati più efficaci di mesi passati a infrattarsi sulla spiaggia!”
 
***
 
Il giorno dopo, il sole era alto in cielo. Combatteva contro l’ostruzione degli ultimi alberi, prima della distesa striata di sabbia e fuliggine. La città respirava. C’erano periodi di venti fermi in cui le lacrime di carbone si contenevano appena, trasformando la pioggia bizzarra di Kao Lai in un cadere più raro e rarefatto di cenere.
Iwaizumi raggiunse la riva a passo costante e si unì al gruppo di capitani lì riuniti per accogliere il comandante venuto dalla Nazione del Fuoco, per gestire il trasporto del carico.
“Se qualcuno di voi ha delle novità da segnalare è bene che lo faccia subito” stava dicendo il comandante. La barba ispida vibrava a ogni parola.
Iwaizumi guardò alla sua sinistra. Una fila di uomini di età diverse – ma comunque maggiori della sua – guardava dritto davanti a sé, gli occhi puntati sull’orizzonte di un mare che cominciava ad agitarsi, ma il viso rivolto al loro superiore. Sembravano statue. Iwaizumi aveva lavorato sodo ed era stato diligente e capace durante tutta la sua formazione, eppure a promuoverlo al grado che aveva raggiunto era stata una scampagnata segreta con un locale che aveva spacciato per ronda extra. All’inizio si era sentito in colpa, distrutto da un tradimento a metà fatto di bugie e curiosità a cui aveva ceduto, poi aveva visto quanto poco meritato fosse in fondo il merito. “Sì, signor comandante” parlò, e voltò il capo per fissare anche lui l’orizzonte come gli altri. Sentì l’attenzione del suo sguardo serpentino spostarsi su di lui e bruciargli la pelle come acido. “Nella giornata di ieri tutte le squadre si sono adoperate per catturare i soggetti pericolosi di Kao Lai e tenerli in custodia nella notte, come da programma. Uno di questi, l’indovino del villaggio, ha predetto almeno a un centinaio di uomini che avrebbero trovato la fortuna sulle cime dei monti di Zoulang. Poi, nonostante tutte le misure di sicurezza e i turni di guardia, si è volatilizzato nel nulla nella notte. Stamattina, come vittime di un incantesimo, i miei uomini e quelli di altre squadre sono scomparsi, diretti verso i consigli dell’indovino. Non siamo riusciti a fermarli e siamo a corto di soldati. Inizio a credere che la città sia maledetta, signore.” Nonostante la certezza in quello che faceva, Iwaizumi non riusciva a smettere di pensare che la voce con cui aveva parlato non fosse la sua. Si sentiva uno dei tanti capitani in fila, dritti come fusi e attenti a non respirare troppo, impietosito dal soldato strano che stava parlando troppo e che presto sarebbe stato punito. Solo che quella volta il soldato strano era lui.
Il comandante emise un verso basso e pensieroso. “Maledetta, dici?” Poi, nel silenzio rotto solo dalla brezza marina, scoppiò a ridere. “Questo… indovino, come dici tu, ci ha fatto un gran favore!”
I primi fiocchi di fuliggine cominciarono a piovere dal cielo. Uno di questi si posò sulla guancia di Iwaizumi col suo odore pungente, ma lui non se ne curò. Mantenne lo sguardo fisso mentre un’ondata di terrore gli invadeva le viscere.
“Colgo l’occasione per avvertirvi che l’ultimo carico verrà trasportato in mongolfiera e depositato sulla cima più alta della catena di Zoulang. Sempre lì avverrà lo scambio con un’altra mongolfiera, che porterà tutto nella Nazione del Fuoco. Siete pregati di recarvi lì con gli uomini rimasti, per offrire sicurezza durante questa fase delicata. Vogliamo evitare spiacevoli…” catturò lo sguardo di Iwaizumi, sollevò un sopracciglio, piano, “imprevisti.”
Lui mantenne l’espressione più neutra che gli riuscì, mentre i suoi occhi si spostavano da quelli del comandante all’orizzonte e poi ancora alla nave con cui era arrivato. Non aveva senso: era con Oikawa, la notte prima, quando la venditrice di polpette di granchio aveva detto loro che lo scambio sarebbe avvenuto alle undici, sulla Spiaggia delle Scaglie di Drago, a meno di cinquecento metri da dove si trovavano loro in quel momento. Aveva anche avuto paura che diffondere le informazioni che aveva racimolato le si sarebbe ritorto contro.
Incrociò nuovamente lo sguardo del comandante. Lui lo stava già guardando, la luce furba negli occhi di chi era a un passo da una mossa vincente di Pai Sho, il gioco da tavolo più famoso al mondo.
E poi ci arrivò.
Kao Lai era la città degli imbrogli.
E loro non solo non erano riusciti a dirottare gran parte delle forze della Nazione del Fuoco lontano dal luogo dello scambio: le avevano addirittura deviate in quella corretta.
 
“Sono sicuro che questo accorci la strada, siamo…”
Osamu si arrestò di scatto sulla via principale della città. Fiocchi di fuliggine iniziarono a posarsi ostinati dopo una mattina atipicamente immersa nel sereno. Akaashi e Atsumu intercettarono il suo sguardo, incastrato sul chiosco sempreverde dell’anziana ciarlatana.
“Perché ti sei fermato?” domandò Atsumu, afferrando suo fratello per un braccio e cercando di spingerlo lungo la strada in discesa che portava alla foresta, ma era inamovibile.
“Cazzo,” disse Osamu in un soffio, minimalista nelle parole ma sempre d’effetto. La vecchia stava parlando con due ufficiali che parevano far parte dei ranghi alti delle forze della Nazione del Fuoco.
“Spero per te che non ti sia lasciata scappare una parola di troppo,” stava dicendo quello più alto dei due. Continuava a giocherellare con una moneta, facendola saltare da una mano all’altra e producendo ogni volta un tintinnio, quando questa si scontrava con qualcosa di metallico che doveva portare vicino alle dita.
“Chi è?” chiese ancora Atsumu, stanco di dover trarre le sue conclusioni dal contesto e non da risposte dirette.
“Ho fatto quello che mi avete chiesto,” si difese la vecchia. Aveva il tono fermo e una postura sicura, ma qualcosa di difficile da collocare con esattezza non tornava nel suo viso e andava allo stesso ritmo della moneta. “Ho detto all’indovino e al traditore che avevo sentito da alcuni soldati che il carico sarebbe arrivato alla Spiaggia delle Scaglie di Drago alle undici. Non ho detto niente sui monti di Zoulang e sulle mongolfiere.”
I due ufficiali annuirono, una fiamma si accese nella mano di quello che non aveva parlato. La donna sollevò un sopracciglio: una sfida a osare, un’offesa, una domanda.
Poi la fiamma si estinse e i due lasciarono il chiosco.
“Cazzo” ripeté Atsumu, che aveva messo i pezzi a posto e aveva dato un volto a quella che avevano creduto la loro informatrice involontaria.
“Vuol dire che loro lo sanno del piano… Non possono saperlo,” disse Akaashi, abbassando lo sguardo. Muoveva gli occhi così in fretta che pareva di riuscire a scorgere la sorgente di ogni suo pensiero e la direzione in cui si muoveva. “Sanno che il traditore è Iwaizumi. È in pericolo.” Fece un passo indietro, nella direzione opposta alla foresta. Riuscì a voltarsi solo per tre quarti prima che Osamu gli afferrasse il polso.
Atsumu e Akaashi abbassarono gli occhi su quel gesto. Osamu esitò solo un attimo con lo sguardo, ma non mollò la presa. “Non puoi andare. Manca mezz’ora all’arrivo del carico. Non è detto che lui sia in pericolo.”
Akaashi aggrottò le sopracciglia. “Sta raccontando una bugia che loro si aspettano di sentire. È sicuro che lo attaccheranno.” Si voltò per andarsene, ma Osamu gli stringeva ancora il polso. Tirò verso di sé e lo costrinse ad avvicinarsi.
“È circondato da capitani più grandi di lui e un comandante anziano,“ sussurrò tra i denti e lo guardò negli occhi. C’era qualcosa, negli occhi di Akaashi, che annullava il resto del mondo e faceva somigliare una città in cui pioveva cenere a un bosco che doveva restare sempre vuoto. “Tu sei un ricercatore.”
Atsumu, da qualche parte accanto a loro, fischiò. “Però, molto curate queste aiuole, eh?” osservò con caricaturale imbarazzo, sfiorando una fogliolina di una pianta lì vicino. Akaashi e Osamu interruppero quella comunicazione verbale e visiva per spostare lo sguardo su di lui. “Oh, no, no, continuate pure a fare…” agitò le mani, “qualunque cosa strana stiate facendo, però fate in fretta, perché mi annoio.”
I ragazzi lo ignorarono prontamente. “Io sono anche un dominatore dell’acqua,” Akaashi sfilò via il polso dalle dita di Osamu, aiutandosi con la mano libera. “E il comandante è venuto in nave. Sono circondati dal mare. Sono più utile lì che su una montagna.”
“Ma sei stato in grado di attaccarmi in un bosco,” gli ricordò Osamu.
Akaashi sorrise: una cosa discreta che Atsumu non doveva vedere. “Appunto.” Poi fece per correre in spiaggia ma si bloccò e si voltò di nuovo verso i gemelli, le sopracciglia aggrottate e le dita sospese attorno a un’idea che stava plasmando davanti ai loro occhi. “Possiamo ancora vincere.”
Atsumu inclinò il viso su un lato e scosse la testa, come a chiedere spiegazioni.
“Ho un nuovo piano.”
 
I monti di Zoulang non erano vere montagne almeno quanto la pioggia di Kao Lai non era vera pioggia.
Erano una ragnatela, scollature di pietra, gallerie e passaggi scavati dal mare. Le acque di Kao Lai sbattevano contro le pareti laterali come ospiti indesiderati alla porta di casa. I suoni si confondevano e si rendevano impossibili da localizzare. Scorci di luce si infiltravano in fori invisibili e illuminavano così intensamente certe zone da dare l’illusione che si trovassero all’aperto. Soffitti naturali imponenti si reggevano a volte su meri steli di pietra, lottando da millenni per tenersi in piedi e aspettando solo che la vibrazione di un’onda un po’ più ampia ne segnasse la caduta. La gravità lì esisteva nella sua forma più giocosa: veniva sfidata dalla natura in un intrico di caverne senza uscita, zone frastagliate che agevolavano la risalita, liane di pietra che pendevano dall’alto come stalattiti molli e vegetazione che si arrampicava su ogni parete umida abbastanza da consentirne la vita.
A conferire ai monti di Zoulang il loro stato di monti era il fatto che, dall’esterno, avessero tutto quello che avevano i monti normali: basi, fianchi, cime. Celavano quel segreto di fori, passaggi e cavità alla foresta, che non poteva vedere il mare che nel tempo – e grazie al vento che lì soffiava sempre solo in una direzione – ne aveva intagliato i contorni più stravaganti.
Shouyou se ne stava in piedi sulla cima più alta di tutte, dove si udiva a stento il mare sciabordare in lontananza. Il sudore gli imperlava la fronte, gli bagnava i capelli alla base e si infilava ovunque sotto i vestiti. Da oltre dieci minuti gli pareva di reggere il cielo sulle spalle… e in parte era vero. Aveva preso in ostaggio tutti i soldati che si erano lasciati convincere dalle previsioni di Oikawa, continuando a evocare una corrente d’aria che circondava in un vento fitto e invalicabile la cima del monte. Mugi, dall’alto, alimentava questo tornado ad anello con ripetuti colpi di coda.
Dalla fine di una scalinata naturale e accidentata apparvero Atsumu, Oikawa e Osamu.
“Fermati,” gli disse Atsumu.
Shouyou si voltò di scatto e aggrottò le sopracciglia. “Perché?”
“Ci hanno scoperti, tutte le forze della Nazione del Fuoco sono dirette qui.”
Il tornado si sciolse come nebbia a contatto col sole. Shouyou abbassò le braccia lungo il corpo. “Io non mi arrendo.”
Atsumu lo guardò per un attimo di sincera perplessità. Bisognava essere pazzi o completamente stupidi per saltare qualunque tipo di domanda che lo aiutasse a capire come e perché i loro avversari li avessero scoperti e pensare davvero di battere la Nazione del Fuoco nella sua colonia più importante senza un piano. Sorrise, però, perché in fondo Atsumu doveva essere pazzo e stupido almeno quanto lui, se aveva visto cadere un ragazzo dal cielo e, senza sapere come né perché, l’aveva seguito fino in capo al mondo. “Non ci stiamo arrendendo,” scosse la testa. “Akaashi ha avuto un’idea.”
Shouyou alzò gli occhi nei suoi, erano enormi e ancora determinati nonostante lo smarrimento e il sudore.
Atsumu gli porse una mano. “Fidati di me.”
Lui non esitò neanche un secondo. Sollevò un braccio per ricambiare la stretta e, quando fu a un passo dallo sfiorargli le dita, una fiamma costrinse entrambi a ritirare le mani.
“Oh, è davvero una giornata magnifica,” osservò una voce sottile alla loro sinistra. Vibrava in onde ad alta frequenza come un serpente a sonagli o un tamburello. I ragazzi si voltarono di scatto. Un uomo camminava verso di loro con il comodo incedere dei vincitori, gli occhi e le labbra sottili erano incurvati verso l’alto, grondando soddisfazione. Alle sue spalle decine di uomini, due di questi costringevano Iwaizumi e Akaashi a continuare a camminare. “Un carico importante verrà trasportato alla Nazione del Fuoco e abbiamo catturato un traditore e uno degli ultimi dominatori dell’aria nello stesso giorno.” Sollevò lo sguardo verso l’alto, con costruita confusione. “Quanti piccioni con una fava sono?”
“Credo che siano tre, signor comandante” rispose un uomo alle sue spalle, facendo un piccolo inchino con la testa.
Il comandante finse sorpresa, poi sorrise e arricciò il naso. “Davvero una giornata magnifica” confermò. Fece strisciare la lingua contro il retro dei denti e sollevò le mani come per consegnarsi. “Dunque mi permetto di…”
Una prima lingua di fuoco nacque dal palmo aperto della sua mano. Hinata saltò all’indietro e vide la punta di quella frusta acchiappare solo la sagoma del suo respiro, a qualche centimetro da dove si trovava a quel punto.
Il sorriso del comandante fece spazio a un ringhio, poi Shouyou rispose spingendo entrambe le braccia in avanti e tirandogli contro un muro d’aria.
La battaglia esplose.
Oikawa lanciò in aria un borraccia e la stappò con la pressione dell’acqua al suo interno. Con quella schiaffeggiò il soldato che teneva fermo Akaashi, poi la ghiacciò per recidere la corda che gli legava le mani. Akaashi si appropriò di metà dell’acqua e liberò Iwaizumi alla stessa maniera.
“Prendeteli!” sbraitò il comandante, abbandonando la camminata disinvolta del vincitore e avvicinandosi con un’intenzione diversa.
Atsumu fece un cenno a Shouyou e tirò un pugno che finiva con una fiammata. Hinata ne amplificò il viaggio aprendole un passaggio d’aria. Mugi ruggiva dall’alto schivando palle di fuoco e altre minacce.
“‘Samu!” gridò Atsumu dalla mischia, schivando la lancia infuocata di un tizio che pareva indemoniato. “Sarebbe veramente veramente veramente…” accentuò, deviando un altro attacco per un pelo, “veramente carino da parte tua darci una mano. Siamo su una fottuta montagna.”
Osamu, coi palmi rivolti verso il basso, agitò le dita, succhiandosi il labbro inferiore. “Non so come fare…” mormorò, sollevando la testa stralunato, quando un soffio d’aria deviò la traiettoria di una fiamma che gli avrebbe altrimenti bruciato metà faccia. Scambiò un’occhiata di ringraziamento con Hinata.
“‘Samu.”
“Non so come fare, idiota!” gridò contro suo fratello stavolta. “Queste montagne sono un casino, se sposto la pietra sbagliata qui crolla tutto.”
Chiuse gli occhi e cercò di stabilire la presa su qualcosa, ma era una rete di cause-effetto imprevedibile anche per la mente più brillante del mondo. Il fondo delle grotte era da escludere: solo per far risalire una misera pietra avrebbe dovuto sfondare le mura che la separavano dalla cima. Sarebbe stata una mossa troppo rischiosa.
“E tu sposta quella giusta,” ribatté Atsumu. Stava combattendo spalle contro spalle con Oikawa, che evocava altra acqua dalle bisacce dei nemici. In altre condizioni, Osamu avrebbe riso dell’accoppiata.
Mugi, dall’alto, mandava zaffate di aria rarefatta e Shouyou saltava leggiadro da un alto all’altro della montagna, caricando da solo o dando una mano ad Akaashi e Iwaizumi ad aumentare danno e gittata dei loro attacchi. Sembrava una danza della pioggia appena più nervosa.
E tu sposta quella giusta, aveva detto Atsumu.
L’idea brillò in quello scoppiettare di fuoco che lo circondava.
“‘Tsumu!” gridò Osamu. Invece di guardare suo fratello, però, intercettò per un attimo lo sguardo di Akaashi. “Coprimi.”
“E cosa stiamo facendo? Datti una mossa.”
Osamu pensò che suo fratello aveva imparato a combattere suppergiù cinque minuti prima e già faceva il gradasso, il che lo faceva sembrare proprio uno sfigato. Comunque si astenne dal dirlo, perché stavano combattendo e lui doveva concentrarsi.
Voltò di nuovo i palmi verso il basso e chiuse gli occhi. Vento, acqua e fuoco gli fischiavano accanto, le sentiva come si sentono quelle zanzare al buio che si riusciva a stento a ignorare in onore della stanchezza. Insultare Atsumu era il suo sport preferito, ma si fidava ciecamente di lui, erano una macchina ben oliata dalla nascita e non avrebbero mai fallito.
Iniziò a staccare pietruzze ovunque in quell’intrico di roccia che erano i monti di Zoulang, massimo dieci centimetri di diametro. Sarebbe stato in grado di sentire la roccia opporsi e minacciare di crollare sotto i loro piedi in ogni momento, concentrato com’era. Fece salire il primo gruzzolo verso l’alto e ricominciò da capo.
“Tuo fratello è più rompiscatole di te,” osservò Oikawa. Si piegò in basso per evitare il residuo di una fiammata deviata dalla coda di Mugi e trascinò Atsumu giù con sé con la mano libera. “È incredibile, siete una specie di incubo.”
“Almeno siamo in due,” Atsumu grugnì e tirò un dardo di fuoco sulla pettorina di metallo di un avversario. Questo barcollò indietro e cadde. “Tu invece sei un pacchetto unico di rotture.”
Oikawa trasformò altra acqua in ghiaccio e puntò un soldato che avrebbe bruciacchiato Atsumu alle spalle. Gli conficcò due schegge in una coscia e lo costrinse a inginocchiarsi un attimo prima che Atsumu tirasse Oikawa da parte per ricevere un attacco destinato a lui, che disperse con una vampata di fuoco a ventaglio. Gliel’aveva insegnata Iwaizumi la sera prima e gli parve assurdo che gli fosse venuta così naturale in combattimento.
Akaashi, poco più in là, lasciò cadere tutta la sua acqua. I soldati che lo circondavano si scambiarono qualche secondo di occhiate complici e risolini e si avvicinarono per catturarlo, ma l’acqua rimbalzò e Akaashi la ghiacciò mentre risaliva, solidificandola in spuntoni affilatissimi.
“Shouyou,” chiamò Osamu dalla sua zona protetta alla bell’e meglio da Atsumu e Oikawa. Hinata schivò una freccia infuocata e si voltò verso di lui. “Ti ricordi il tornado di terra?”
A Shouyou brillarono gli occhi, pareva che gli fosse stato offerto il piatto di noodles più succulento mai cucinato. Annuì energicamente e sorrise.
“Fermatevi tutti,” ordinò Osamu.
Atsumu alzò le mani all’istante, Oikawa si guardò alle spalle confuso. Akaashi esitò: non si fidava.
I soldati della Nazione del Fuoco, guidati dal comandante, si scambiarono sguardi smarriti ma soddisfatti.
Osamu chiuse gli occhi e sollevò entrambe le mani. Sembrava…
“Vi arrende…” ebbe modo di iniziare il comandante, poi Osamu allargò le braccia di scatto e le migliaia di pietruzze che aveva radunato dalle viscere dei monti di Zoulang esplosero.
Shouyou, in groppa a Mugi, riorganizzò i venti e li radunò finché anche la cenere del vulcano di Shouhon non iniziò a chiedersi se stesse soffiando nella giusta direzione. La polvere di pietre si addensò su di loro. Osamu respirò profondamente e chiuse gli occhi di nuovo.
Pensò all’eleganza con cui si era mossa Saya, alla sua capacità di sentire la terra anziché vederla, di localizzare con la polvere, di conoscere attraverso la roccia. L’acqua era vita, il fuoco era vivo, l’aria era libera, ma la terra era vita, viva e libera. Trasmetteva sicurezza e stabilità, ma era quando la si manipolava fantasiosamente che raggiungeva il massimo delle sue potenzialità. Bastava guardare i monti di Zoulang, d’altro canto. Scalfiti per secoli da vento, acqua e cenere, avevano trovato il modo di sopravvivere, di adattarsi, di mutare forma e di sfidare l’occhio di chi ci passava attraverso.
Osamu fece aderire i residui di pietra sui soldati più vicini e spinse in avanti con le mani, allontanandoli.
“Quando ve la sentite, lanciatevi nel vuoto!” gridò oltre il vento, la polvere in bocca e la confusione.
Quando percepì solo armature della Nazione del Fuoco, Osamu saltò nel vuoto. Shouyou virò con le redini di Mugi e lui atterrò sul pelo soffice del collo dell’animale. In quel momento tutta la polvere ricadde sulla cima del monte, mostrando il profilo sgargiante di una piccola mongolfiera che si posava dietro la linea difensiva della Nazione del Fuoco.
“Iwaizumi indossa… lui è ancora…” iniziò Atsumu, che aveva efficientemente già contato le teste. Iwaizumi combatteva ancora in mezzo all’esercito che aveva tradito.
“Non avevo notato che indossasse ancora l’armatura,” ammise Osamu, guardando impotente la scena.
“La mongolfiera!” gridò Shouyou.
Iwaizumi schivò la lancia di un uomo che gli si gettò addosso, gliela sfilò di mano e la scaldò, sbattendo il piatto della lama sul petto di un secondo soldato. Si voltò per seguire lo sguardo di Shouyou, identificò la cima rotonda e rossa del pallone, poi un’onda di calore gli sbocciò in petto e lo costrinse a incespicare all’indietro. Ebbe giusto il tempo di abbassare lo sguardo per notare le fiamme che si agitavano contro l’armatura.
“Nessuna pietà per i traditori!” gridò il comandante, dalla cima della montagna più alta della catena. Ricoperto di terra e sangue, fece fuoco nuovamente sulle mani di Iwaizumi, già pronte per il contrattacco. 
Il colpo lo fece arretrare ancora, oltre l’orlo della montagna.
Iwaizumi cadde nella nebbia fitta e satura di cenere. Il suono del suo corpo che fendeva il vento fu l’unico rumore che accompagnò la caduta.
Mugi ruggì e virò in picchiata, tagliando il cielo orizzontalmente per tentare di afferrarlo al volo.
   
 
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