Cara Melisanna, ho letto con piacere la tua recensione. Mi interessa
sempre sapere cosa pensi dei miei lavori, e non devi temere di indispormi
se li critichi.
Per quanto riguarda Will con l'Oracolo, mi rendo conto che il capitolo ricorda molto (soprattutto alla protagonista) un'interrogazione scolastica. Però mi premeva scriverlo perchè, nel mio modo di vedere, una delle angoscie di Will è l'idea di poter diventare come Nerissa. Quindi l'Oracolo ha voluto mettere Will in guardia per, diciamo così, riconoscere il bivio a prima vista prima di incamminarsi dalla parte sbagliata. Raccomandare qual'è il giusto si sarebbe risolto, banalmente, in Fai quello che ti ordino io, ed ho preferito evitarlo, oppure in una casistica estesa per ogni caso particolare, del tutto ingestibile. Per motivi che si capiranno, l'Oracolo non ha dato neanche ulteriori istruzioni per questo caso particolare dopo il "mettetevi l'animo in pace" di qualche capitolo fa. Il monito del'Oracolo avrà una parte nella risoluzione della storia, che sarebbe molto più difficile se Will si facesse prendere da atteggiamenti orgogliosi. Con questo capitolo, ci sarà una svolta importante nella trama,
in cui le congiurate prendono conoscenza di una parte della profezia di
Elyon che non conoscevano.
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PROFEZIE
Riassunto delle puntate precedenti
Dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera ha convinto le Gocce a impadronirsi del Cuore di Kandrakar e a sostituirsi ad Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane. Carol si è opposta, ed è stata costretta con l'ipnosi. Vera e Wanda hanno sottratto il Cuore di Kandrakar a Will. Il giorno dopo, ritrovatesi davanti allo specchio magico della libreria, le W.I.T.C.H. assistono alla trasformazione delle loro gocce in copie delle guardiane e della regina, ed alla loro partenza per Meridian, in contemporanea all'arrivo di Elyon a Heatherfield. A Meridian, la controfigura di Elyon e le finte guardiane esiliano Miriadel e Alborn, mentre Caleb sfugge alla cattura; pur avendo assunto il potere, si rendono conto di non essere convincenti, e inventano la storia che le guardiane sono a palazzo per proteggere la Luce di Meridian da un complotto. A Heatherfield, rifugiatasi con i genitori nella sua vecchia casa, Elyon spiega che quella che si sta realizzando è una sua profezia, contenuta in disegni e frasi casuali, la cui interpretazione fino a quel punto era ambigua. La profezia prevede che la tirannia duri un anno, che a Meridian dura diciotto mesi. Elyon è decisa a non tentare niente prima di questa scadenza, ma Will non si rassegna. Facendo un sopralluogo nella casa delle Gocce a Midgale, Hay Lin percepisce frammenti di ricordi contraddittori: le sembra che Vera sia cambiata subito dopo l'ultimo incontro con Elyon. Questa non sa dare spiegazioni convincenti del cambiamento, ma non sembra risentita per il tradimento. L'Oracolo convoca Elyon, e le impone di recuperare al più presto il Cuore di Kandrakar. Elyon dà istruzione a Caleb di tornare a Meridian per sconsigliare qualunque rivolta prima del suo stesso ritorno tra un anno. Poi parte da sola per Meridian e riesce a recuperare il Cuore di Kandrakar ingannando le gocce; il talismano viene poi trattenuto dall'Oracolo per una purificazione. Il giorno dopo, le congiurate capiscono di essere state giocate, ma c'è di peggio: il vice comandante della guardia guida una rivolta che viene rapidamente sedata. La reazione non si fa attendere: nel giro di pochi giorni tutte le guardie vengono rimpiazzate da altri militari giunti da fuori città, e sul palazzo scende un clima sempre più oppressivo in cui le congiurate utilizzano sia i poteri mentali che l'intimidazione per mantenere il controllo. Tempo dopo, l'Oracolo restituisce il talismano a Will, assieme ad un monito sibillino a non farsi corrompere da pensieri orgogliosi. |
Cap. 45
Due Lune
Meridian, centro città
“Uova di Cagicco! Le migliori!”. “Latte di gallina!
Fate presto, va a ruba!” . “Frutta di stagione! Melopee e anakili
del mio giardino!”. “Stoffe, le migliori, dagli artigiani di Akrosim!”.
Piazza delle Due Lune ospita, ogni due giorni, uno dei più bei
mercati di Meridian.
Al centro hanno preso posto le bancarelle più grandi e ricche,
costituite da carretti a quattro ruote coperti di tendoni, alcuni ornati
e coloratissimi, altri che vorrebbero esserlo.
I contadini ed i venditori occasionali si accontentano di uno sgabello
e una coperta per esporre i beni commerciati. Per tradizione, prendono
sempre posto al margine della piazza, su quello che si chiamerebbe marciapiede,
se solo ci fosse.
Anche l’indovina Frordal si è accomodata sul lato in ombra,
davanti ad una finestra ornata di fiori. Una corta coda dei più
bei toni di verde-giallino sporge da sotto il pastrano liso e variopinto,
ornato di simboli magici. Siede su uno sgabello pieghevole, di fronte ad
un altro destinato ai suoi clienti. Un tavolino piccolo e una rastrelliera
di amuleti di vetro colorato completano il suo modesto chiosco.
Gli occhi intelligenti della donna (donna…) scrutano la folla, fissandosi
brevemente su ciascuno, e intuendo cose che vanno al di là del loro
aspetto esteriore.
Riconosce quasi tutti, almeno di vista: Meridian non è grandissima,
e la sua memoria prodigiosa le rende facile notare ogni presenza insolita.
Come quelle due ragazze. Devono essere forestiere.
Sotto i due pastrani anonimi, si intravedono vestiti ben rifiniti e
variopinti. Fisico e lineamenti sono quelli della nobiltà.
Una ha luminosi occhi verdi, che spiccano, pesantemente cerchiati di
nero, su un viso a striature verdazzurre. Sotto il cappuccio si indovina
una folta chioma bluastra raccolta in quattro lunghe trecce.
L’altra ha un curioso taglio a mandorla degli occhi, pelle azzurrina
con dei disegni simmetrici in giallo. I capelli blu scuro sono raccolti
in un elegante chignon alla sommità del capo, a parte una cortina
di sottili treccine che le calano sulla fronte.
Le due ragazze si guardano attorno con gli occhi sgranati da turiste
di un altro mondo, e si scambiano commenti in un pessimo meridiano, con
un indefinibile accento straniero.
“Ti piacciono queste bancarelle, Paochaion?” chiede quella con gli occhi
verdi.
L’altra annuisce. “Non per fare acquisti, Irenior, ma sono così
pittoresche… E poi, ci tenevo a visitare la città. Abbiamo visto
e rivisto tutte le stanze del palazzo, fino alla nausea”.
“Anche se non sempre le stanze hanno visto noi”, completa l’altra con
un sorrisino amaro.
Paochaion non le bada, e continua persa nelle sue scoperte. “Abbiamo
tanto osservato la città dal balcone, l’intreccio di strade e stradine,
e ora è fantastico trovarsi immerse dentro!”. Alza lo sguardo e
indica alcune facciate visibili al disopra delle bancarelle. “Quelle con
la struttura in legno visibile sulla facciata ricordano lo stile medievale
dell’Europa centrale. Chissà se è un caso, oppure qualche
altra regina di Meridian aveva l’abitudine di passeggiare sulla Terra,
mescolata alla folla?”.
Irenior guarda con scarso interesse le facciate. “Pao, quello che mi
interessa non sono le catapecchie!”.
Sguardo indignato. “Catapecchie?”.
“A me interessa la gente” ribatte Irenior. “Come vive, cosa pensa…”.
“Capito!”. Paochaion le ammicca. “Cerchi qualche bel figo, come Caleb”.
Guarda l’umanità che popola la piazza. In effetti, più ci
si allontana dal palazzo, più gli abitanti si allontanano dall’idea
di uomini verdi, e non perchè sono meno verdi. “La vedo dura qui,
per una mangiatrice di maschietti come te!”.
Irenior si acciglia alla battuta. “Ma quanto parli oggi! Se hai portato
con te il cervello, non è il caso di accenderlo?”.
“Dai, non tenere il broncio” insiste Paochaion scherzosa. “Non si intona
alle tue striature”.
Una voce armoniosa le richiama. “Belle signorine, non vorreste conoscere
il vostro futuro?”.
Chi le ha chiamate è quanto di più diverso da quello
che la voce suggeriva loro: una specie di donna-ramarro verde con la coda,
che porge loro una mano (mano…) con quattro dita.
Paochaion esita un momento di troppo: con una spinta, l’amica la manda
verso lo sgabello, rispondendo per lei: “Certo. La signorina vorrebbe sapere
se mai riuscirà a rispondere al sorriso di un uomo senza arrossire”.
Una delicata tinta viola riscalda il viso azzurrato. “Ma come…”.
Sorridendo rassicurante, l’indovina le afferra delicatamente la mano.
“Prego, si sieda!”.
Con un’occhiata storta all’amica sogghignante, Paochaion si siede,
a disagio, ed osserva la strana mano sfiorare il suo palmo.
L’espressione dell’indovina da rilassata si fa sorpresa, poi spaventata,
infine grave.
“Lei porta tre nomi diversi, signorina Pao Chai”.
“Eh?” trasale la ragazza, “Ha letto il mio nome sulla mano?”.
“No, signorina. Ogni parte contiene in sé la storia del tutto”.
Irenior si fa avanti, preoccupata. “Potrebbe rivelarci davvero qualcosa
del futuro?”. Poi, con uno sguardo più cupo: “E del passato?”.
“Avendo tempo, sì”.
Paochaion ritira la mano di scatto. “Abbiamo i nostri segreti!”.
“E non mi permetterete di scalfirli”. L’indovina fa sparire nel nulla,
con un gesto della mano, il tavolino e la rastrelliera di talismani.
“Però, prima di separarci, vorrei dirvi un’impressione in più
del nostro fuggevole contatto”.
“Prego” fa Irenior, avvicinandosi quasi minacciosa.
“Non è possibile essere carcerieri senza essere, al tempo stesso,
dei prigionieri”.
Detto ciò, l’indovina svanisce in un vago baluginio, assieme
ai suoi sgabelli, compreso quello sotto il didietro di Paochaion.
Prima di rendersene conto, la ragazza si ritrova a sedere, dolorante,
sul selciato, così stupita che si dimentica persino di serrare gli
occhi e gridare il dolore del suo fondoschiena.
Irenior le dà una mano a rialzarsi. “Mi sa che abbiamo fatto
la scemata della giornata”, le sussurra all’orecchio.
L’altra si massaggia il didietro dolente e si guarda attorno, imbarazzata.
Diverse persone hanno seguito la conclusione dell’insolita scenetta, alcuni
col sorriso sulle labbra.
“Tutto a posto” fa Irenior ai presenti, che in breve tornano alle loro
strade ed ai loro pensieri.
Paochaion la prende per un braccio. Le sussurra: “Quando lo saprà
Vera, ci…”.
“Beh, non vorrai mica disturbarla con queste sciocchezze, vero, Pao?”.
Si guarda in giro. “Facciamo un’altra cosa. Dall’altra parte della piazza
c’è l’insegna di una locanda. Andiamo a sederci lì”.
Il “Due lune” non è molto diverso da una taverna medievale terrestre,
o almeno da come la può immaginare chi non ne ha mai visto una.
Una tenda arrotolata e un bancone a mensola sporgenti sulla facciata
lasciano indovinare che gli avventori potrebbero sedersi anche all’esterno,
ma nei giorni di mercato è necessario entrare nel locale.
Quando varcano la soglia, più di qualcuno si volta a guardarle
con curiosità per un attimo. Chissà se qui usano entrare
donne non accompagnate, e di che genere?
Colpiscono subito le volte a crocera di mattoni biancastri, sorrette
da colonne quadrate di pietra grigietta.
Lunghi tavoloni di legno scuro cerato dalla forma arrotondata ed irregolare
sono contornati da sgabelli e corte panche senza schienale, tutte diverse
ma tutte nello stesso inequivocabile stile, cerate e lucidate con la stessa
cura.
Su un lato, attraverso una porta, si intravede una saletta più
elegante con tavoli, sedie e cuscini, e qualche quadro alle pareti.
“Dei quadri!” gongola Paochaion. “Andiamo a sederci là!”.
Irenior nicchia. “Io vorrei osservare la gente. Tutti così eterogenei…”.
L’altra si guarda distrattamente attorno. “Però, neanche qui
c’è il bel figo che cercavi”.
“Gridalo più forte, Pao!” sibila l’altra. “Io mi accomodo lì
nell’angolo, e tu fai come vuoi”.
Bofonchiando qualcosa sull’insensibilità artistica dell’altra,
Pao la segue, e si siedono fianco a fianco, spalle al muro.
La banconiera le adocchia subito ed accenna a venire a prendere le ordinazioni,
ma l’oste le fa un cenno discreto di restare al suo posto, si liscia la
cresta, tira in dentro la pancetta e viene a fare gli onori della casa
con un sorriso da galletto attempato.
“Benvenute nella taverna Due Lune, signorine. Io sono il padrone. Toklor,
al vostro servizio!”.
“Paochaion, piacere”.
“Irenior, piacere”, fa alzandosi e porgendo la mano.
L’uomo si inchina ed accenna un baciamano galante.
Paochaion chiede: “Ehm… lei non legge la mano, vero?”. L’altra svincola
subito la sua, e la nasconde dietro la schiena.
“No… fa lui stupito. “Per quello c’è la vecchia Frordal. Dovrebbe
essere dall’altra parte della piazza”.
“Frordal”, annuisce Irenior attenta. “E sa dove abita?”.
“Sinceramente no, ma la troverete qui fuori, seduta al suo chiosco”.
Poi, ripensandoci: “Posso informarmi. Se ripasserete…”.
“Sì, grazie. Ci contiamo”. Irenior torna a sedersi.
Toklor accenna col capo alla saletta. “Non preferireste accomodarvi
in un locale più consono a due signorine di classe?”.
“No, grazie. Ci piace qui” risponde Irenior con un largo sorriso.
L’oste annuisce un po’ deluso. “Come volete. Allora, intanto, cosa
posso portarvi?”.
“Qualcosa di buono da bere?” chiede lei, con un lampo degli occhioni
verdi.
L’oste, catturato dallo sguardo, ritira in dentro la pancetta che pian
piano stava riprendendo il suo posto. “Ma certo, signorine. Preferite
latte speziato, tisane, succhi di frutta, distillati di…”.
Irenior sorride golosa. “Succhi di frutta?”.
“Sì. Abbiamo nettare del paradiso, spremuta di melopee, di…”.
“Nettare del paradiso!” interviene Paochaion. “Che bellissimo nome!
Uno per me!”. Sorride immaginandosi un bicchiere limpido con riflessi da
arcobaleno.
“Anche per me, grazie” taglia corto Irene, le cui conoscenze su melopee
e quant’altro sono piuttosto lacunose.
“Agli ordini!”.
Pochi minuti dopo, l’oste serve orgogliosamente due bicchieroni di ceramica
smaltata pieni di un liquido verdastro, torbido e disomogeneo. “Ecco il
vostro nettare, signorine!”.
L’uomo nota gli sguardi dubbiosi e costernati con cui le bevande sono
accolte. “Qualcosa non va? E’ fatto con i migliori ingredienti”.
Irenior annusa prudente, poi sorride. “Il profumo è buonissimo”
constata.
“Va tutto bene” risponde incerta Paochaion. “Sì, tutto. Grazie”.
L’uomo torna al banco un po’ deluso.
Paochaion guarda nel bicchiere, cercando di mascherare l’espressione
schifata. “I girini si mandano giù, o si può sputarli?” chiede
sottovoce. Scruta dentro la massa liquida come se li cercasse.
“Pao, di che girini parli? E’ succo di frutta, non acqua di fogna”.
Irenior annusa voluttuosa, e ne assaggia un sorsino. “E’ squisito!” conclude
leccandosi le labbra.
“Squisito…” ripete Pao col viso storto. “Vuoi anche il mio?”. Con il
dito, spinge il bicchiere verso l’amica. “Io vado a dare un’occhiata ai
quadri in saletta”.
Rimasta sola al tavolo, Irenior continua estasiata a sorseggiare la
bevanda.
Alza gli occhi verso gli avventori. Chissà quali sono i pensieri
di tutti i giorni di un abitante di Meridian?
Di quei due seduti al bancone, per esempio. Un giovanotto azzurro con
due orecchie lunghe ed abbassate ed uno sguardo da cane bastonato racconta
qualcosa ad un individuo tozzo e verde di età indefinibile.
Meglio non fissarli a lungo. Non serviranno neanche le orecchie. Mentre
finge di essere assorta nel suo nettare, Irenior visualizza i due, e le
loro parole non hanno più misteri.
“Ci vuole un regalo, qualcosa di quella paccottiglia che le piace
tanto. Verdi o azzurre, con la coda o senza, le donne sono tutte uguali”.
Ma che bel tipo questo, pensa infastidita Irenior. Spero proprio che
lei ti faccia finire in bianco.
Guarda verso Pao, persa nella contemplazione di qualche crosta in saletta.
Come si fa a dire che le donne sono tutte uguali?
Sorso a sorso, ha svuotato il bicchiere, e lo cambia con quello dell’amica.
Si guarda ancora in giro. Quei tre tipi al tavolone, magrolini ed azzurrognoli,
hanno l’aria di fratelli. Quello che sembra il più anziano parla
ad alta voce senza guardare gli altri, battendo il pugno sul tavolo come
se volesse percuotere qualcuno che è davanti ai suoi occhi soltanto.
“Ma certo che puoi allargare quella finestra, diceva lui! Mica verrà
giù il muro, diceva lui!”.
Irenior sogghigna tra sé . Non le serve sentire la fine della
storia.
“Tutto bene, signorina?”. La voce dell’oste la richiama.
“Eh? Sì, benissimo. Il vostro nettare è meraviglioso!”.
“Sono contento! All’inizio ho temuto che non vi piacesse…”.
“Scherza? Pao ha fatto fuori il suo tutto d’un fiato!”. Gli mostra
il bicchiere vuoto.
L’oste gongola. “Ne gradite altro? Offre la casa!”.
Gli occhioni verdi brillano. “Sarebbe meraviglioso!”.
Mentre Toklor si dirige baldanzoso verso il bancone, Irenior riprende
a sorseggiare ed adocchiare gli avventori.
Quello lì è proprio brutto, di un malsano color grigverdmarrgialliccio,
piccolo, gobbo, con quattro peluzzi alla sommità del capo e delle
orecchie asimmetriche.
Irenior sarebbe pronta a scommettere che, sotto il saio, ha una coda
biforcuta, di cui una punta è pure rotta.
L’essericiattolo parla gesticolando con un altro avventore dall’aria
annoiata, che sembra sopportarlo solo perché ha ancora la sua bevanda
da finire.
“Capisci? Quel furbone diceva che quel campo era conveniente, considerata
la servitù. Pensavo che fossero dei servi della gleba inclusi nel
prezzo, e poi invece salta fuori che è una servitù di passaggio,
cioè l’obbligo di lasciar passare altra gente sul sentiero!”.
Irenior torce il viso. Servi della gleba… chissà chi
è questa gleba? Comunque, bisognerà dare una svecchiata
a questo mondo.
La voce dell’oste la richiama nuovamente. “Signorina, ecco il bis”.
Due nuovi bicchieri di profumata melma verde fanno un impeccabile atterraggio
sul tavolo.
“Grazie, signor Toklor” cinguetta felice.
“Ai suoi ordini. Vado a chiamare la signorina Paochaion”.
Pao guarda compiaciuta il dipinto. Questo colpo di luce laterale sugli
alberi è perfetto. Traspare tra le foglie, e proietta ombre che
danno la giusta profondità alla scena. E quella costruzione sul
pendio, in secondo piano…
Una voce dal buon accento meridiano richiama la sua attenzione. “Signorina
Paochaion…”.
Lei si guarda in giro. Chi è questa signorina Paochaion?… ah,
è lei che cercano! “Mi dica…”.
“Le ho portato al tavolo ancora un bicchiere di nettare del paradiso”.
“Grazie” risponde con un sorriso a denti stretti. “Avete dei bellissimi
quadri, qui”.
“Si intende di pittura?”.
Lei annuisce. “Insomma, so tenere in mano pennelli e matite”. Passa
a guardare il quadro successivo. “E questa nobildonna, chi è?”.
Irenior attacca il terzo bicchiere e si guarda in giro. Alla tavolata
sulla destra ci sono due uomini che di tanto in tanto le buttano qualche
occhiata fuggevole.
Faccio colpo anche in versione metamondese, si compiace la ragazza.
Ascolta un po’ i loro discorsi. E’ abbastanza vissuta da non arrossire,
ma dopo qualche frase deve cercare di non ridacchiare imbarazzata. E’ una
fortuna che Pao non stia ascoltandoli, perché la cinesina andrebbe
certamente a nascondersi sotto il tavolo.
Dopo un po’, comincia a sentire gorgoglii provenire da qualche parte
sotto il pastrano. Vuoi vedere che quel Nettare del Paradiso… Scaccia il
pensiero buttando giù un’altra sorsata. Speriamo che Pao si sbrighi…
ora che c’è Toklor con lei a parlare di quadri, sembra molto a suo
agio.
“Salute!”. “Buongiorno!”.
Irenior si volta verso l’ingresso.
Nella taverna sono entrati due nuovi avventori. Li squadra.
Uno, con un vestito in pelle scamosciata piuttosto vissuto e il coltello
da cacciatore alla cintura, ricorderebbe un po’ Vathek, se non fosse per
la taglia per niente impressionante.
L’altro, vestito con sobria eleganza, ha un viso verde, affilato, e
un sorriso gioviale che lascia trasparire una certa preoccupazione.
Si guardano in giro circospetti, e scelgono il tavolo più lontano
dagli altri clienti.
Il primo fa un cenno alla banconiera, e ordina ad alta voce: “Due rossi,
grazie!”.
I due sembrano scambiare nervosamente qualche frase di circostanza
finché arrivano le loro ordinazioni, e poi, centellinando
le loro bevande, si mettono a più loro agio e iniziano a parlare
a mezza voce.
Irenior li squadra brevemente prima di distogliere gli occhi. Per esperienza
vissuta, sa distinguere a prima vista chi vuole confidare qualche segreto.
Chissà se è qualcosa di interessante…
Quello azzurro fissa accigliato l’altro, come per chiedergli un chiarimento
importante su una conversazione già iniziata. “Ma allora, perchè
non dovremmo muovere un dito?”.
L’altro ostenta un sorriso largo fuori luogo. “Parla piano”,
sibila tra i denti. “Questo stato di cose dovrà durare un anno.
Perché vuoi andare allo sbaraglio nel momento sbagliato?”.
“Mi sembra che ragioni da vigliacco. E da dove viene fuori questa
storia? Perché un anno?”.
“Perché è una profezia della Luce di Meridian. Sai
bene che non ne sbaglia nessuna!”.
“Ed è venuta a raccontarla proprio a te?”.
“E’ in contatto con Caleb. Ha promesso che, allo scadere dell’anno,
lei tornerà dall’esilio e riporterà la giustizia. Non
vuole che, prima di allora, possa essere sparso sangue per niente”.
Irenior comincia a sudare freddo. Ma allora si sa! Il colpo di stato
sta diventando di dominio pubblico! E cos’è questa storia di un
anno?
Si sforza di ascoltare le frasi successive, ma, dopo questo pugno nello
stomaco, gliene sta arrivando anche uno all’intestino: una fitta le fa
stringere i denti e le gambe.
Nella saletta, Paochaion sorride, passando al dipinto successivo: “Ed
ecco la piccoletta”.
L’oste la guarda scandalizzato. “Questa è Sua Altezza la Luce
di Meridian!”.
Paochaion ha l’impressione di aver fatto una grossa gaffe. “In confidenza,
la chiamiamo così…” si giustifica.
Occhi spalancati. “Lei è in confidenza con la Luce di Meridian?”.
Oddio… qual è la risposta giusta, ora? “Beh, un pochino…”.
D’improvviso, un pensiero la raggiunge come un grido. ‘Pao! Devo
tornare subito a palazzo! E’ un’emergenza! Arresta quei due tipi seduti
al tavolone!’.
Pao sbarra gli occhi. “Quale tavolone?” chiede ad alta voce.
L’oste la guarda stralunato. “Prego?”.
Dopo un attimo di esitazione, Paochaion torna di corsa nello stanzone
del banco, ma Irenor non c’è più! Banconiera e clienti la
guardano allibiti.
“Dov’è andata la mia amica?”.
La banconiera balbetta: “E… era se… seduta lì, ed è…
sparita all’improvviso, in un luccichio”. Si stringe nelle spalle. “Senza
pagare, tra l’altro”.
Pao si guarda attorno. Arresta i due al tavolone… ma quali due?
Ci sono almeno dieci avventori, e tutti seduti a qualche tavolone.
L’oste la raggiunge, un po’ imbarazzato. “Non si preoccupi, offre la
casa”. Guarda verso il tavolo vuoto. “Ah, sì… c’è ancora
il suo bicchiere di buon Nettare del Paradiso!”.
Meridian, sala del trono
Quando la sala del trono prende il posto della locanda attorno a lei,
Hay
Lin si trova davanti a Sua Altezza Elyon e a Taranee
che la guardano con un sorrisino divertito.
“Se cercavi una certa Irenior, è corsa dritta in gabinetto”
fa la regina indicando la porta.
“Com’è andata la vostra passeggiata in centro?” chiede Taranee.
Hay Lin torna a sorridere. “Meravigliosa! Edifici storici, stradine
medievali, bancarelle variopinte, e una bellissima collezione di quadri!”.
Ci pensa un attimo. “Ah, già. A dire il vero, quell’indovina mi
ha un po’ inquietato”.
“Un’indovina?”. Elyon si acciglia. “Spero che le sarete state
ben alla larga”.
La faccia di Hay Lin non è fatta per mascherare le bugie.
Alla regina non serve certo sentire tutto il racconto. La trapassa
con lo sguardo, poi sbianca. “TI HANNO CHIAMATA PAO CHAI?”.
“Ssssì…”.
“E TRA TUTTE… E tra tutte le bancarelle del mercato, dovevate fermarvi
proprio a quella di un’indovina?”.
Hay Lin piagnucola: “Mi ha spinto Irene…”.
“O lune sincrone!” sbotta la regina, “Mi chiedo in quale cella
voi fareste meno danni!”.
Le alette della cinesina si abbassano come le orecchie di un cane spaventato.
La porta della sala si apre, lasciando entrare una guardiana Irma
pallida e smunta. “Buono quel Nettare del Paradiso” dice ironica tra sé
e sé. “Hay Hey, non hai arrestato quei due?”.
“Arrestato?”, “Quei due?”, fanno in coro le altre.
Hay Lin si stringe nelle spalle. “Mi hai lasciata sola così
all’improvviso… Quali due avrei dovuto arrestare? Il locale era pieno!”.
Irma scuote il viso, rassegnata. “Ormai saranno andati via”.
La regina si lascia cadere sul trono, di malumore. “E così,
vi siete tradite!”.
“C’è di peggio, Luce. Chiama le altre. Devo raccontare
qualcosa di fin troppo importante”.
Poco dopo sono tutte in piedi, costernate, attorno a Irma che
gesticola e si accalora nel racconto.
“E così, ha detto che ribellarsi ora sarebbe un inutile spargimento
di sangue, perché Elyon in esilio ha profetizzato che la tirannia
durerà un anno. Alla fine tornerà lei stessa a mettere a
posto tutto”.
Finito il racconto, le altre si guardano “Allora sanno tutto!”. “Siamo
rovinate!”. “Un anno?”. “Questa è nuova!”.
Will fa silenzio con un gesto deciso. “Mi chiedo perché
stiamo perdendo tempo qui. Quel tipo era alla locanda fino a dieci minuti
fa. Irma, andiamo a cercarlo. Questa volta, però, nessuno
ci potrà vedere!”.