Notte fonda. Dalla porta scalpita all’improvviso un bussare urgente. Diantha si è quasi addormentata contro la spalla di Augustine, si risveglia di soprassalto e lo richiama: «È lei». Ma Augustine non si smuove, resta immobile seduto accanto al letto dove Elisio riposa febbricitante – il terrore che le suture che gli ha fatto l’altro giorno siano infette è un’ossessione che non gli dà pace, e tuttavia è troppo presto per controllare, troppo rischioso ridisciogliere le bende senza pesare ancor di più sulla sua sofferenza.
Diantha si alza instabile dalla sedia, va ad aprire a una Malva che non riesce più ad aspettare: appena entra non chiede neppure dove sia, si aggira finché non è sopraffatta dalla visione che le si mostra di fronte.
Non lo vede da quando hanno deciso insieme di scatenare l’apocalisse, e scrutarlo ora ridotto in questo modo è qualcosa di terribile e perturbante.
Augustine le fa spazio, la guarda silenzioso mentre si china a stringergli una mano e a sussurrare il suo nome, offuscato nella voce rotta dal pianto. Diantha si accosta tra loro, e tutti e tre rimangono a fissare Elisio che non risponde ed è troppo stanco per aprire gli occhi.
Augustine si solleva con un sospiro seccato.
«Te lo affido», dice, e di nuovo guarda Malva – a malapena la conosce, ma non può che avere fiducia; il sentimento che sa scuotere entrambi non gli crea esattamente gelosia quanto una insolita comunione, non sa spiegarselo eppure è così umano – poi di nuovo guarda Elisio, è come se parlasse a lui direttamente: «Che veda bene di non morire».
Fila verso l’ingresso a mettere il cappotto. Diantha si trattiene ancora, l'abbraccia: «Dobbiamo andare», sussurra – seppure non vorrebbe – perché stare qui tutti insieme diventa di minuto in minuto più imprudente, c’è chi è già sulle loro tracce e non si fida, e adesso Malva è sola, a doversi prendere cura di lui, lui che in tutta la vita non ha fatto altro che prendersi cura di lei; il pensiero spaventa.
Disteso tra le lenzuola, Elisio talvolta le restituisce appena questo sguardo allucinato e acquoso, socchiuso. Non parla; ma la segue con gli occhi. È una notte lunga, in cui l’unico suono è il suo fiato affannato, i rantolii deliranti.
Malva lo sorveglia, contemplando il suo malore come è costretta a constatare l’ironia di un calore che li ha sempre contraddistinti, entrambi furiosi e appassionati e testardi, trasformatosi adesso in ciò che al contrario potrebbe separarli per sempre. È con rabbia che lo forza a bere dal bicchiere quando scosta la bocca, perché Elisio è debole, è fragile, non è più in sé, e fa troppo male doverlo accettare davvero.
Gli scopre un lembo della camicia e lo sente tremare sulla pelle sudata; sistema una pezza umida sulla sua fronte solo come pretesto per sfiorargli i capelli, ora che pare così lontano e irraggiungibile – anni e anni passati a rincorrerlo, a vincere la sua considerazione, per poterlo avvicinare soltanto adesso con una mano che non può nemmeno ghermirlo.
Eppure ad un tratto Elisio pare sorridere, la riconosce.
«Malva».
Sono le prime luci del giorno.
Diantha si alza instabile dalla sedia, va ad aprire a una Malva che non riesce più ad aspettare: appena entra non chiede neppure dove sia, si aggira finché non è sopraffatta dalla visione che le si mostra di fronte.
Non lo vede da quando hanno deciso insieme di scatenare l’apocalisse, e scrutarlo ora ridotto in questo modo è qualcosa di terribile e perturbante.
Augustine le fa spazio, la guarda silenzioso mentre si china a stringergli una mano e a sussurrare il suo nome, offuscato nella voce rotta dal pianto. Diantha si accosta tra loro, e tutti e tre rimangono a fissare Elisio che non risponde ed è troppo stanco per aprire gli occhi.
Augustine si solleva con un sospiro seccato.
«Te lo affido», dice, e di nuovo guarda Malva – a malapena la conosce, ma non può che avere fiducia; il sentimento che sa scuotere entrambi non gli crea esattamente gelosia quanto una insolita comunione, non sa spiegarselo eppure è così umano – poi di nuovo guarda Elisio, è come se parlasse a lui direttamente: «Che veda bene di non morire».
Fila verso l’ingresso a mettere il cappotto. Diantha si trattiene ancora, l'abbraccia: «Dobbiamo andare», sussurra – seppure non vorrebbe – perché stare qui tutti insieme diventa di minuto in minuto più imprudente, c’è chi è già sulle loro tracce e non si fida, e adesso Malva è sola, a doversi prendere cura di lui, lui che in tutta la vita non ha fatto altro che prendersi cura di lei; il pensiero spaventa.
Disteso tra le lenzuola, Elisio talvolta le restituisce appena questo sguardo allucinato e acquoso, socchiuso. Non parla; ma la segue con gli occhi. È una notte lunga, in cui l’unico suono è il suo fiato affannato, i rantolii deliranti.
Malva lo sorveglia, contemplando il suo malore come è costretta a constatare l’ironia di un calore che li ha sempre contraddistinti, entrambi furiosi e appassionati e testardi, trasformatosi adesso in ciò che al contrario potrebbe separarli per sempre. È con rabbia che lo forza a bere dal bicchiere quando scosta la bocca, perché Elisio è debole, è fragile, non è più in sé, e fa troppo male doverlo accettare davvero.
Gli scopre un lembo della camicia e lo sente tremare sulla pelle sudata; sistema una pezza umida sulla sua fronte solo come pretesto per sfiorargli i capelli, ora che pare così lontano e irraggiungibile – anni e anni passati a rincorrerlo, a vincere la sua considerazione, per poterlo avvicinare soltanto adesso con una mano che non può nemmeno ghermirlo.
Eppure ad un tratto Elisio pare sorridere, la riconosce.
«Malva».
Sono le prime luci del giorno.
#191. Noi, di notte