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Autore: velocecalogiuri    29/12/2022    1 recensioni
[Serie Tv]
[Serie Tv]Era un collega. Solo un collega. Nient’altro che un collega. Un collega che aveva avuto una sventura, una disgrazia, un “errore fatale” —come lo aveva definito Vitali. [Imma x Calogiuri]
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Regalo per voi, e per la vostra pazienza. Non dico altro. Buona lettura!
 

Imma si era svegliata alle cinque del mattino. A stento aveva preso sonno la sera prima, ma pensava che dormire fosse l’unico modo per evitare di parlare con Pietro, quindi si sforzò di farlo. L’adrenalina causata dall'incontro del giorno prima e da quello che l’attendeva quella mattina la svegliarono comunque presto, così decise di dedicare quel tempo a sé stessa: fece scorrere l’acqua della doccia finché non diventò calda al punto giusto e vi si buttò sotto, quasi sperando che così facendo potesse lavare via ogni singolo pensiero che le attraversava la mente. Com’era potuto succedere? Da quando la dottoressa Tataranni non era più padrona di sé stessa? Da quando era così facile per lei perdere il controllo? Il controllo. Deve lasciare il controllo a suo marito”. Imma aveva quella frase del dottor Sansoni in testa da quando l’aveva pronunciata e Dio solo sapeva quanto aveva cominciato ad odiare la voce di quell’uomo. Perché il sostituto procuratore Tataranni non aveva mai lasciato che il controllo lo prendesse qualcun altro nella sua vita, in qualsiasi ambito: a lavoro comandava lei, a casa comandava lei. E non era una questione di potere: era che se non ci fosse stata lei a tenere le redini da mò che si sarebbero sgretolate entrambe quelle due sfere. Immaginò che dovesse essere frustrante per chi la circondava, lasciarsi completamente travolgere da lei: poteva capirlo. Eppure, era sempre stata abituata così. Non conosceva altro. Anche con Calogiuri era così: decideva lei quando vedersi, se vedersi, dove vedersi e che cosa era opportuno fare. Pensava a questo Imma mentre sceglieva un completo intimo leopardato che gridava il suo nome da tutte le parti. Si guardò allo specchio un ultima volta prima di coprirlo con il vestito che aveva scelto: decise che se c’era qualcuno a cui avrebbe volentieri ceduto il controllo era l’uomo per cui aveva indossato quel completo.
Arrivò in ufficio in anticipo rispetto all’appuntamento con Calogiuri, come suo solito. Ne approfittò per controllare che la porta dell’ufficio di Diana fosse chiusa in entrambi i lati —la cancelliera non arrivava mai in orario, figuriamoci se poteva arrivare in anticipo. Non tirò su neppure le serrande delle finestre, lasciò tutto in penombra. Tutto doveva sembrare come se lì dentro non ci fosse nessuno.
“Imma?” Lo sentì chiamarla per nome e il sorriso di sempre sul suo volto comparve immediatamente. Si voltò —l’aveva colta in flagrante mentre toglieva ogni cosa dalla sua scrivania— e vide che in mano aveva un caffè. Come sempre.
“Buongiorno, Calogiuri. È per me quello?” Gli sorrise.
“Sì. Io l’ho già preso. Come mai…” camminò verso di lui rapidamente, prendendogli il caffè dalle mani e mandandolo giù tutto insieme. Grazie a Dio non era più bollente.
“Stavo impazzendo senza vederti” gli ripetè le esatte parole che lui gli aveva detto la mattina prima, accompagnandole con un sorriso bellissimo. Calogiuri non poté far a meno di ricambiarlo: “Non ce la facevi ad aspettare stasera? Ho preparato tutto, lo sai?” Le cinse dolcemente la vita e lei si lasciò dondolare come una bambina. Aveva così tanta paura di fargli male che esitò un po’, prima di parlare: “Stasera salta, Calogiù. Ho una cena in famiglia.” Lo disse tutto d’un fiato, come se stesse strappandogli un cerotto. Lo vide incupirsi, mentre sussurrava “Ah” e lasciava scivolare via le sue braccia da lei. “Quindi anche questo fine settimana…” lasciò la frase in sospeso, perché non c’era alcun bisogno di completarla. Era un’amara verità a cui Imma annuì semplicemente.
“Non è facile frequentare una donna sposata.” Cercò di scherzare, ma si rese subito conto di quanto fosse infelice —per tutti— quella battuta. Non vide reazione da parte sua: “Scusami.” gli disse quindi. Fu lei stavolta ad abbassare lo sguardo, ma lui glielo rialzò immediatamente, portando gli occhi nei suoi: “Non ho fretta.” Quelle tre parole, solo quelle tre parole, pronunciate con la dolcezza della sua voce, furono come l’abbraccio più caldo che qualcuno potesse darle. Era così stanca di sentirsi sotto pressione, di stare ad ascoltare le richieste di tutti per evitare il più possibile di ferire qualcuno. Era stanca di ricevere critiche, dagli altri e da sé stessa, di sentire che cosa avrebbe dovuto fare, che cosa era giusto che facesse: e a lei chi ci pensava? Lui. Era incredibile come, anche in quel momento, lui fosse l’unico che la capisse davvero. Lo guardava con gli occhi che brillavano, senza dire nulla, quindi Calogiuri ne approfittò per spiegarsi meglio: “Non vedo l’ora di stare un po’ con te, di rivivere ciò che abbiamo vissuto a Firenze. Ma non è facile. Lo so che non è facile, lo so dal primo momento. Non voglio forzarti a fare niente.” Mentre parlava le accarezzava il viso e affondava sempre di più le dita tra i suoi riccioli rossi: “Io mi fido di te, Imma. Aspetto.” Lo guardava sorridendo, senza dire nulla, mentre il paragone con le parole che le diceva Pietro e quelle del terapeuta le passavano nella testa. Lo amava, e se ne accorse in quel momento. Invece di dirglielo, scelse di dimostrarglielo: gli prese il viso tra le mani e lo baciò, prima con dolcezza, poi con desiderio. Fu lei stavolta a spingerlo contro il muro alle sue spalle, che per puro caso era lo stesso verso il quale l’aveva spinta lui la prima volta che si erano baciati. Calogiuri sentiva le mani della dottoressa cercare di superare lo strato di vestiti per toccargli la pelle, per graffiargli dolcemente la schiena. Fu quando la sentì toccarlo da sopra i pantaloni che dovette tirare la testa indietro: “Non possiamo…” riuscì a dire, con l’ultimo briciolo di raziocinio che gli era rimasto.
“È il mio ufficio, fino a prova contraria.” Gli sorrise sulle labbra prima di passare al collo. Scese piano piano, finché non si ritrovò in ginocchio davanti a lui. La guardava negli occhi mentre si abbassava: aveva uno sguardo che mai le aveva visto prima, uno sguardo così intenso che Calogiuri si sentiva tremare le gambe. Dovette appoggiarsi al muro dietro di lui per assicurarsi di non lasciarsi andare.
“Dottoressa…” la forza dell’abitudine e la totale follia che in quel momento lo faceva smettere di pensare lo portarono a chiamarla col suo titolo.
“La dottoressa è in ginocchio per lei, maresciallo.” Gli sorrise, perfettamente consapevole di quello che stava facendo, mentre gli tirava giù la zip così lentamente che Calogiuri emise un gemito.
“Non dovremmo… qui…” era sicuro che sarebbe morto da un momento all’altro. Era letteralmente il sogno che l’aveva tormentato per anni, sia da sveglio che mentre dormiva.
Imma lo guardò intensamente, mentre lo liberava dai boxer e gli sorrideva maliziosamente: “Vuole che mi fermi, maresciallo?” Tirò fuori la lingua per accarezzarlo appena, senza mai smettere di guardare Calogiuri dritto negli occhi. Lo vide tirare la testa indietro e istintivamente affondò la mano tra i suoi ricci, facendole capire che smettere era l’ultima cosa che voleva. Sentiva la testa di Imma muoversi sotto la sua mano, ma non vedeva: i suoi occhi blu erano serrati per il piacere più intenso che avesse mai provato, aumentato dal rischio dovuto al posto che la sua dottoressa aveva scelto per regalarglielo. Imma lo lasciò andare e le sue labbra produssero un suono che lo costrinse ad aprire gli occhi e guardarla: era rossa in volto, gli sorrideva come chi era perfettamente consapevole di starlo facendo impazzire. Se avesse continuato così, Calogiuri non sarebbe durato a lungo. La aiutò ad alzarsi con molta meno delicatezza di quanto Imma fosse abituata, e la baciò intensamente.
“Ti voglio sulla scrivania” gli sussurrò tra un bacio e l’altro. Lui sorrise: quello, invece, era il sogno di Imma.
La fece sedere sul legno, che era ghiacciato ma lei neppure se ne accorse. Si alzò il vestito, senza toglierselo, e lui non potè far a meno di sorridere notando che le mutandine erano leopardate. Proprio come nel sogno che la tormentava da sveglia e mentre dormiva, Calogiuri le infilò le mani sotto il vestito, toccandola, accarezzandola, stuzzicandole il seno senza mai smettere di baciarla. La sentiva gemere e strusciarsi contro di lui, impazzendo dalla voglia di essere toccata. Amava e odiava allo stesso tempo il fatto che il maresciallo si prendesse il suo tempo ogni volta per venerare il suo corpo. Lo prese in mano, regalandogli ancora piacere, mentre lui aveva lasciato scivolare la mano tra le sue gambe spalancate, e la accarezzava da sopra le mutandine: “Dentro.” gli sussurrò semplicemente. Mentre Calogiuri, a fatica, controllò per l’ultima volta che tutto intorno a loro fosse chiuso, lei lo guidava sempre più verso di lei.
“Sicura?” Le chiese per l’ultima volta. “Scopami, Calogiuri.” gemette Imma, in tutta risposta. Quello fu abbastanza per abbandonare ogni barlume di razionalità: le spostò le mutandine di lato ed entrò dentro di lei, facendole tirare la testa indietro. Ne approfittò subito e si avventò sul suo collo, baciando, leccando e succhiando la sua pelle. Nessuno dei due se ne accorse, ma le aveva appena lasciato un segno proprio sotto l’orecchio: non ragionavano, non più; erano guidati soltanto dal desiderio, dalla passione e dall’
amore. Imma sentiva la scrivania tremare sotto di loro e pensò a tutte le volte in cui aveva sognato quel momento: le venne da ridere e, senza sapere perché, Calogiuri ricambiò immediatamente il suo risolino.
“Quanto volte hai desiderato di prendermi qui?” Gemette, tirandolo per i capelli per portarlo più vicino a lei. “Troppe” le rispose sulle labbra prima di ricominciare a torturarla con i baci sul collo. Imma rise di nuovo e non seppe dire se era per la sua risposta o per il solletico che le stava facendo. Istintivamente, portò una mano sul didietro del maresciallo, e lo sentì duro come la pietra. Accompagnava ogni sua spinta, mentre rideva e sorrideva maliziosamente insieme a lui. Calogiuri portò una mano tra le gambe di Imma e prese ad accarezzarla finché non trovò il ritmo che la faceva impazzire e la guidò fino all’apice. Nessuno, nessuno mai era riuscita a farla venire e sorridere allo stesso tempo.
Lo baciò con passione: “Siediti sulla mia sedia.” Gli sussurrò. Lui non se lo fece ripetere due volte, si sedette sulla poltrona che fino ad allora era stata sempre e solo della
sua dottoressa. La vide alzarsi nuovamente il vestito, spostarsi le mutandine e sedersi sopra di lui, guidandolo lentamente, di nuovo, dentro di lei. Gemette e iniziò a muoversi piano piano sopra di lui, reggendosi con una mano allo schienale della sedia.
“Lo sai che non riuscirò mai più a guardarti seduta qui senza pensare a questo?” Le disse, guardandola muoversi su e giù, scegliendo il ritmo che più le piaceva e facendo fatica a mantenere i gemiti.
“Secondo te io smetterò mai di sedermici senza pensare a quanto è bello sentirti dentro?” Rispose a mo’ di sfida. Calogiuri non ce la faceva più, era una tortura non poterla sentire mentre si lasciava andare completamente, non poterle accarezzare la pelle a causa dei vestiti che entrambi avevano ancora addosso. Quasi spontaneamente e quasi senza accorgersene, ripiegò sull’unica parte di lei che gli era concesso toccare e prima di rendersene conto si ritrovò a darle uno schiaffo sul didietro. Imma lanciò un gemito più forte di quanto volesse e prese a muoversi più velocemente “Ancora,” gli sussurrò, e Calogiuri obbedì una volta, due volte, tre volte. Rise sotterrando il viso tra i suoi riccioli:
“E chi lo avrebbe mai detto che allo Sceriffo di Matera piace essere sculacciata.”
“Dillo a qualcuno e sei morto.” Scherzò, e lui le diede un altro schiaffo di tutta risposta.
Bastarono altri pochi istanti per lasciarsi andare completamente entrambi, l’uno nell’altra. Si guardarono intensamente negli occhi per un lungo istante, ancora ansimanti.
“Prossima volta nell’ufficio di Vitali?” Disse Imma e Calogiuri scoppiò a ridere, tirandola a sé.

mi raccomando, vi aspetto! qui o su twitter (velocecalogiuri).

   
 
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