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Autore: Amily Ross    30/12/2022    0 recensioni
(Sequel de: “Lontano dagli Occhi, vicini col Cuore”)
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Dopo la tempesta, inevitabilmente, arriva la quiete! Il sole torna alto ad irradiare il cielo con i suoi caldi raggi, creando a volte l’arcobaleno e di sera le stelle tornano a illuminare le tenebre della notte; così anche nella vita, dopo un brutto periodo, ne torna uno bello – con le persone amate accanto – tutto è più semplice. La vita è un po’ come una giostra, ci sono le salite e ci sono le discese – i dolori e le gioie – ed inevitabilmente continua, non si ferma mai a differenza delle montagne russe. Una vita muore, ma un’altra nuova ne nascerà e sarà quella nuova vita a riportare il sole dove prima c’era la tempesta e tutto sembrava inesorabilmente vicino alla fine.
Generi aggiuntivi: Drammatico e un pelino Angst dai capitoli successivi, per almeno metà delle seconda parte della storia!
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Questa fiction è temporalmente collocata alla fine del 2029, i calciatori e le managers sono ormai tutti adulti e…
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Grace (Machiko Machida), Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 22: Vittoria a Caro Prezzo

 

Tornati a Leverkusen la vita riprende la sua quotidiana routine: i bimbi ritornano a scuola, Fanny al lavoro e Grace a fare la mamma a tempo pieno, occupandosi del suo piccolo Bernd, nell’attesa che finisca il periodo di maternità e possa tornare al suo lavoro, Benji e Karl ritornano agli allenamenti ed entrambi danno la carica ai compagni per la tanto attesa trasferta di domenica contro il Colonia di Levin; non è mai corso buon sangue tra i due capitani e nemmeno tra le due tifoserie e se da una parte i tifosi sono pronti a insultarsi a suon di cori, dall’altra i calciatori di entrambe le formazioni sono pronti e determinati a vincere a ogni costo la partita per portare a casa quei preziosi punti e ciò implica vincere con qualsiasi mezzo. Violet è da una settimana che prega la mamma di andare a Colonia, perché non vuole perdersi per nulla al mondo suo padre che massacra quell’odioso di Levin – che lei non ha mai sopportato – a suon di goal, perché il suo papà è decisamente e nettamente superiore a quello lì, sia come calciatore che come uomo e, alla fine, Grace ha acconsentito decidendo che andranno a Colonia assieme a Beatrix e lasceranno Bernd Thomas a casa con i bisnonni, che sono ben felici di occuparsi del piccolo.

I tifosi delle due squadre si sono bellamente e pesantemente insultati durante il pomeriggio nell’attesa della partita e, le forze dell’ordine, sono state costrette a intervenire e sedare gli animi, per  fortuna nessuno c’è andato giù troppo pesante e nessuno si è fatto male e adesso si aspetta solo che la partita abbia inizio; dopo che l’Amburgo ha battuto il Bayern Monaco in trasferta – con una tripletta di uno scatenato Jamie – adesso tocca al Bayer Leverkusen del Kaiser battere il Colonia e portare a casa la vittoria.

Colonia: domenica, 30 marzo, 2031 RheinEnergieStadion: campo/spogliatoio ospiti, h. 20:00

È ormai tutto pronto per il posticipo della 26° giornata di Bundesliga i calciatori sono già in campo per il riscaldamento e i tifosi sono già scatenati; Stephan Levin guarda il Kaiser con occhi dardeggianti, pronto a iniziare la sfida e vincerla con ogni mezzo, Karl alza gli occhi e incrocia quelli dell’avversario – anche lui è pronto a sfidarlo e vincere a ogni costo – ma lo sguardo dello svedese ha un che di inquietante e Schneider deglutisce e distoglie lo sguardo, fa un respiro profondo e riprende a riscaldarsi, alzando poi lo sguardo verso la tribuna dove sa trovarsi la sua famiglia. «Non dare peso a quello, pensa solo a giocare come sai fare, tu sei mille volte più forte di lui.» gli dice Karlz affiancandolo nella corsa, dopo aver visto lo sguardo di fuoco che il capitano del Colonia ha lanciato al suo migliore amico, Karl annuisce con un sorriso e riprendono a correre insieme con la grinta che li ha sempre contraddistinti sin da ragazzini. Finalmente le due formazioni si schierano sul rettangolo verde e, dopo il fischio dell’arbitro, la squadra di casa dà il calcio d’inizio, dando il via alla tanto attesa partita ed è subito un centrocampista che passa la palla a Levin che si fa immediatamente avanti minaccioso e deciso a segnare già dal primo minuto, Benji dalla porta osserva i suoi compagni e non può fare a meno che sospirare nel vedere i difensori in difficoltà, ma sorride appena vede che anche Karl e Lukas salgono in difesa ad aiutare i compagni, subito la sfida tra i capitani si accende e diventa incandescente, nessuno dei due ha intenzione di darla vinta all’altro, compagni e tifosi osservano i due col fiato sospeso nell’attesa di vedere chi avrà la meglio, Karl cerca di entrare sul pallone ma Levin riesce sempre a mantenere il possesso, con una finta il capitano del Colonia riesce a liberasi di Schneider e tira in porta il suo potente Levin Shot costringendo sin da subito Benji a fare i miracoli per salvare la propria porta e per un soffio il grande portiere del Sol Levante riesce nell’impresa e rilancia  oltre la metà campo avversaria e il pallone viene intercettato da Lukas che di gran carriera – nonostante i suoi quarantuno anni – parte spedito verso la porta avversaria seguito da Karl e dai centrocampisti. «Bloccate Schneider, sarà lui a tirare.» urla Levin ai suoi, andando a marcare Lukas personalmente e il calciatore più anziano della Bundesliga non può che sorridere e divertirsi a lasciarsi marcare da quel ragazzino presuntuoso finché ne ha voglia, lo svedese cerca in tutti i modi di impossessarsi del pallone, ma Köhler non ha la benché minima intenzione di farsi fregare da lui, si gira su se stesso, salta, guarda Karl marcato da due avversari e fa cenno a Hermann che annuisce e corre sotto porta; guarda ancora una volta Levin con un sorriso beffardo e lancia un assist perfetto al trequartista, che stoppa di petto e sorride, iniziando a correre, avendo perfettamente intuito le intenzioni della seconda punta, Levin sbuffa e corre per bloccare Kaltz, il quale inizia a correre per il campo senza che l’altro riesca a prenderlo e, a quel punto, cogliendo la distrazione degli avversari, Karl riesce a liberarsi dalla marcatura e torna a correre libero e Levin sbuffa ancora, mollando Hermann e correndo adesso dietro al capitano per cercare di ostacolarlo personalmente, ma Lukas e più veloce e con uno scatto felino lo blocca al limite dell’area, mentre Kaltz alza il pallone e serve il suo capitano che lo prende al volo e tira di sinistro il suo Fire Shot, portando in vantaggio la sua squadra al 15° dal fischio d’inizio, alza il pugno destro al cielo e sorride come ogni volta, portando in alto anche lo sguardo azzurro – come se stesse osservando qualcuno di invisibile – e Violet dalla tribuna esulta e salta al goal del suo papà, pregustandosi già tutti gli altri che verranno e la sconfitta di quell’odioso di Levin.

Il capitano del Colonia sbuffa e spinge Lukas per liberarsi della sua presenza e l’arbitro estrae il cartellino giallo, ammonendolo, Lukas guarda l’avversario e scuote il capo, fossero stati altri tempi, avrebbe protestato e avrebbe reagito a quella provocazione, ma decide che non ne vale la pena e torna a osservare i suoi compagni, mentre l’estremo difensore della squadra di casa rilancia il pallone ai compagni che si spingono verso l’area avversaria, decisi e determinati a pareggiare i conti, il Leverkusen risale dunque in difesa e Karl si para davanti a Levin dando inizio all’ennesima sfida, dopo un dribbling infinito è proprio lo svedese ad avere la meglio, liberandosi del Kaiser che finisce a terra destabilizzato dall’ennesima finta dell’avversario che sorride e calcia verso la porta beffando anche Benji e segnando il goal del pareggio, il portiere sbuffa e rilancia il pallone al suo migliore amico che nel frattempo si è rialzato e la sfida tra i due capitani riprende, senza né vinti né vincitori, ancora una volta prevale l’ineguagliabile forza dell’uno e dell’altro, Karl riesce a raggiungere l’area di rigore e con Levin alle costole prova il tiro che, per sua sfortuna si infrange all’incrocio dei pali. La risalita del Colonia si fa adesso inarrestabile, capitanati da Levin, tutta la squadra risale verso l’area del Leverkusen e Benji, dopo che tutti i suoi compagni sono stati neutralizzati, si trova ancora davanti allo svedese che lo guarda con astio e beffa e carica il suo potente destro, tirando e segnando ancora una volta, portando in vantaggio la sua squadra al 35°, la partita riprende con l’avanzata del Leverkusen, Schneider, Köhler e Kaltz, partono tutti e tre verso l’attacco e niente e nessuno riesce a fermarli – negli occhi dei tre tedeschi è tangibile la determinazione di concludere l’azione con un goal – Levin si fa loro incontro e va sul Kaiser che corre palla al piede, sorride e passa a Hermann al suo fianco che inizia a correre e corre anche più velocemente quando due avversari stanno per raggiungerlo alle spalle, Lukas lo raggiunge sulla fascia e riceve palla dal trequartista che gli sorride e si volta indietro a guardare Karl e Levin che non si mollano un attimo, Lukas corre per il campo beffando chiunque gli si pari davanti e Karl stancatosi dello svedese scatta in avanti e richiede palla, vuole segnare a tutti i costi per far capire all’avversario chi è il più forte e chi comanda, Lukas sorride, vedendo per un attimo il suo defunto migliore amico fare uno scatto simile e gli passa il pallone con il suo infallibile assist, Schneider l’aggancia al volo col piede destro e nota con la coda dell’occhio Levin pronto a ostacolarlo di nuovo, chiude un attimo gli occhi sorridendo e calcia di gran carriera l’Ice Shot dello zio, che brilla sul terreno e successivamente in aria, che lascia letteralmente di stucco il giovane portiere del Colonia – troppo giovane da non aver mai visto quel tiro se non in televisione, proprio da Bernd Schneider – il pallone si insacca all’angolo alto della porta e il Kaiser sigla la sua doppietta del giorno, segnando il goal che riporta le due squadre in parità. La partita riprende al 40° con la risalita del Colonia che è determinata a chiudere il primo tempo con una rete di vantaggio, ma dall’altro lato gli avversari sono determinati a fare lo stesso e se non dovessero riuscire a segnare, vogliono almeno mantenere il pareggio, per poi riprendere la goleada nella ripresa e portare a casa la vittoria; Levin e due compagni riescono a scartare ogni avversario e Benji si ritrova di nuovo davanti al capitano del Colonia che sorride e sgancia il suo potente tiro, il portiere più forte della Bundesliga chiude gli occhi e si concentra solo sul rumore del pallone – estraniandosi da tutto ciò che lo circonda – e con un tuffo magistrale riesce a parare il tiro e salvare la sua porta, che per oggi, per i suoi gusti, è già stata violata troppe volte, rilancia verso Hermann alla trequarti campo e lui stoppa di petto iniziando a correre verso la metà campo avversaria, Lukas è stato bloccato da quattro avversari e non ha possibilità di azione, Karl e gli altri compagni lo raggiungono per dargli manforte e tutto l’attacco del Bayer Leverkusen si spinge in avanti, al centrocampo l’azione si ferma con Levin che va ancora una volta a ostacolare il Kaiser che porta palla  costringendolo a un altro dribbling infinito, il cronometro segna ormai il 44° quando la sfida tra i due capitani si riaccende e sembra volersi protrarre fino allo scadere, i due calciatori continuano a marcarsi, muovendosi sulla linea di centrocampo e Karl non ha la benché minima intenzione di perdere quel pallone – se non dovesse riuscire a segnare, quantomeno vuole restare sul 2-2 per poi riprendere a offendere gli avversari nella ripresa – Levin dalla sua è deciso a rubargli palla a tutti i costi, anche lui se non riuscisse a segnare, quantomeno vuole impedire all’altro di farlo per il medesimo motivo ed è deciso a portare avanti la sua scelta con qualsiasi mezzo; si spinge nuovamente contro il Kaiser che arretra mantenendo il possesso del pallone e ritrovandosi adesso sulla fascia destra, rischiando di far finire la sfera fuori dal campo e cedendo il possesso agli avversari, si guarda attorno cercando un compagno libero a cui passare e salvare così il possesso, ma con suo grande rammarico si rende amaramente conto che nessuno di loro è libero o in posizione favorevole, guarda Levin di fronte a sé, il cronometro sul tabellone che segna ormai il 45° e tenta di spostarsi verso il centro del rettangolo verde, il capitano del Colonia gli va subito addosso per evitare che possa riuscire nella sua impresa, deciso a mandare il pallone in fallo laterale, aspettando che l’arbitro fischi la fine del primo tempo, entra sul pallone che riesce a sfiorare e Karl arretra ancora una volta verso la linea esterna del campo, mantenendo però la sfera all’interno per un soffio e si rende conto che il suo piede sinistro è praticamente sulla linea, deve tornare dentro a tutti i costi, Levin gli va ancora addosso e il Kaiser avanza andandogli incontro a sua volta, girandosi di spalla e alzando la sfera per rilanciarla dentro con la bicicletta – estremo tentativo rimastogli per salvare il possesso – mentre spera che l’arbitro fischi alla sua ultima azione; Levin sorride e coglie l’attimo in cui il suo avversario si volta di spalle per entrare diretto, Karl riesce ad alzare la sfera di cuoio che rientra verso il cerchio di centrocampo, ma quell’attimo che intercorre tra la sua azione e il momento in cui poggia nuovamente i piedi per terra gli è fatale, il piede destro del capitano del Colonia finisce in mezzo alle sue gambe ancora mezze divaricate e gli colpisce la tibia con forza, la gamba sinistra di Karl si gira per il violento colpo subito e il suo ginocchio si piega in modo anomalo, producendo un raccapricciante crack che gli fa immediatamente rendere conto di esserselo rotto, ancora prima di sentire il dolore lancinante che lo coglie nell’attimo in cui ricade pesantemente a terra, tendendosi con la mano sinistra il ginocchio dolorante – con una smorfia di dolore a deturpargli il viso – ricade sul terreno di gioco al 45°+1 sbattendo violentemente la spalla destra al suolo, sentendo un’altra lancinante fitta partire dalla scapola e irradiarsi per tutto il braccio, stringe i denti con forza e serra gli occhi per non piangere, impossibilitato a fare altro rimane inerte a terra; l’arbitro fischia la fine del primo tempo ed estrae un secondo cartellino giallo e poi il rosso espellendo Levin, per doppia ammonizione. «Karl!» urla Thomas dalla panchina, precipitandosi immediatamente in campo assieme allo staff medico, così come tutti i compagni di squadra che raggiungono il loro capitano; Karl riapre gli occhi e guarda suo padre con sofferenza. «Si è rotto, papà, mi sono giocato il ginocchio e forse anche la spalla…» sussurra col respiro affannato, Thomas gli carezza la fronte sudata e gli sorride per cercare di rassicuralo, posando poi lo sguardo sulla gamba sinistra del figlio e rendendosi amaramente conto da solo della sua innaturale postura e dal gonfiore, i due medici sociali e il fisioterapista si guardano un attimo e confermano che, a prima vista, potrebbe trattarsi di rottura, le due squadre rientrano negli spogliatoi e il Kaiser viene portato in barella fino all’ambulanza che parte immediatamente alla volta dell’ospedale più vicino.

«Papà…» mormora Violet iniziando a piangere e stringendo disperata la mano della mamma che è scoppiata anche lei in lacrime, Grace la stringe forte e senza pensarci due volte la trascina con sé nello spogliatoio, raggiungendo gli amici e il suocero, spalancando la porta mentre lui sta parlando alla squadra e Lukas si sta mettendo al braccio la fascia da capitano. «Grace…» la chiama Thomas interrompendo il suo discorso e guardando negli occhi nuora e nipote. «Thomas…» mormora la donna piangendo, incapace di dire o fare altro. «Si è rotto il ginocchio e forse anche la spalla, raggiungilo in ospedale.» le dice affranto e preoccupato per il figlio, il quale vorrebbe raggiungere lui stesso; in quel momento un’altra donna fa capolino sulla soglia e si porta le mani alla bocca – mentre anche i suoi occhi si riempiono di lacrime – avendo sentito le parole del marito. «Bea… raggiungi Karl in ospedale con Grace e Violet, io verrò non appena la partita sarà finita.» dice avvicinandosi alla moglie stringendola, dandole un bacio tra i capelli, la signora Schneider annuisce asciugando gli occhi, sorride ai ragazzi che guardano il mister e le tre donne con dispiacere e annuisce ancora una volta, salutando il marito e i calciatori e assieme alla nuora e alla nipote esce dallo spogliatoio per correre al parcheggio e andare in ospedale. «Io lo odio quel Levin, non doveva permettersi di fare male al mio papà, adesso per colpa sua è finito in ospedale…» mormora la piccola, in lacrime, sul sedile posteriore, mentre la nonna parte, Grace si volta a guardare la figlia e le prende la manina sorridendole – nonostante i suoi occhi di ambra siano ancora bagnati di lacrime. «Tesoro lo sai che nel calcio sono cose che possono accadere, papà poteva farsi male in qualsiasi altro modo.» le dice con dolcezza, sperando di farle togliere dalla testa che Levin lo ha fatto di proposito, anche se lei stessa sa che è così, perché conosce bene la sua tempra impulsiva e sa anche quanto sia ben noto per non essere corretto in campo; poteva succedere a chiunque e per sfortuna è successo proprio a suo marito e se solo potesse, vorrebbe ucciderlo con le sue mani, ma sa che non ne vale la pena. «Sì, lo so… ma quello stronzo l’ha fatto apposta, l’ha colpito alle spalle mentre stava poggiando di nuovo i piedi per terra dopo aver salvato il pallone, l’ha fatto solo per il gusto di farlo, non sarebbe cambiato nulla visto che l’arbitro avrebbe fischiato comunque lo scadere del primo tempo, non aveva motivo di colpirlo.» urla Violet, guardando la mamma con i suoi occhi pieni di lacrime, arrabbiata e preoccupata per il suo adorato papà, Grace le asciuga gli occhi e le sorride. «Lo so, amore mio, ma è successo e non possiamo farci nulla. Adesso dobbiamo solo stare accanto a papà e sperare che non sia troppo grave l’infortunio, poi sono certa che si riprenderà alla grande, lo sai che tuo padre è forte e che ha superato momenti ben peggiori.» le dice, ricordando il periodo del cancro, ricordandosi perfettamente di come stava il suo Karl in quei giorni terribili e di come è riuscito a superare tutto quanto, nonostante la situazione fosse molto più grave; Violet le sorride e annuisce, sa bene a cosa allude la sua mamma e sa quanto è stato forte il suo papà in quella circostanza, anche se lei non era ancora nata, ma dopo che le hanno detto del tumore, ha preteso di sapere ogni dettaglio e Grace e Karl si sono ritrovati costretti a raccontarle tutto quanto. «La mamma ha ragione, piccolina mia, papà ha superato momenti ancora più difficili di questo e lo sai anche tu, perché ti abbiamo raccontato ogni cosa, vedrai che si riprenderà presto e che tornerà in campo ancora più forte di prima.» aggiunge Beatrix, parcheggiando nello spiazzo dell’ospedale e voltandosi a sorride alla sua amata nipotina. «Hai ragione, nonna, il mio papà è troppo forte per lasciarsi piegare da un infortunio, perché dopo quello che ha passato non c’è nulla che gli fa paura.» risponde la piccola con gli occhi che le brillano d’orgoglio, Beatrix e Grace sorridono a quell’innocente ammissione e annuiscono senza dire nulla, sapendo però bene quali siano le paure di Karl, ma decidendo tacitamente di non rivelarle alla cucciola per non farle crollare l’indistruttibile mito che è suo padre; perché inevitabilmente, da quell’ormai lontano 4  luglio del 2016 – quando Bernd si ammalò – la paura più grande di Karl sono gli ospedali, paura che è cresciuta negli anni successivi che l’hanno costretto a rivivere sulla propria pelle la malattia che gli ha portato via una delle persone più importanti delle sua vita, quella stessa vita che anche lui ha rischiato di perdere e da allora il Kaiser – anche se non l’ha mai ammesso ad anima viva – ha una paura viscerale degli ospedali e Beatrix e Grace lo sanno bene, perché da mamma e moglie conoscono perfettamente ogni suo silenzio.

***

Colonia: domenica, 30 marzo, 2031 RheinEnergieStadion: campo, h. 21:00

La partita riprende con il Colonia in dieci uomini; il Leverkusen ancora più determinato a vincere a tutti i costi, perché adesso lo devono al loro capitano che ha salvato il pallone pagando a caro prezzo, Lukas si è spostato nella posizione di prima punta ed Hermann a seconda – riprendendo quello che fu il suo ruolo nell’Amburgo, al fianco del suo migliore amico – i due attaccanti danno il calcio d’inizio al fischio dell’arbitro e subito partono in offensiva, determinati a segnare sin dal primo minuto del secondo tempo, niente e nessuno gli impedirà di farlo, perché adesso è diventata una questione di principio vincere la partita. I calciatori del Colonia si fanno immediatamente incontro agli avversari per contrastarli, ma Köhler e Kaltz – uno di fianco all’altro – corrono verso l’area di rigore come il vento, con il pallone che passa da uno all’altro senza possibilità che gli avversari possano toglierglielo, sotto porta continuano la loro azione e quando Lukas riceve l’ultimo passaggio da Hermann sgancia il suo potente destro segnando un goal memorabile e lasciando attonito il povero portiere, che sbuffando rilancia ai suoi compagni che subito partono in contropiede con l’intento di segnare e pareggiare, ma dall’altro lato del campo vi è un muro invalicabile: i campioni del Bayer Leverkusen hanno deciso che non andranno oltre il centrocampo con quel pallone tra i piedi, al massimo se dovessero riuscirci, l’area di rigore sarà il loro ultimo traguardo, perché Price in porta – con gli occhi di pece che ardono di fuoco – non ha nessuna intenzione di lasciarli segnare, sia perché la sua porta è già stata violata troppe volte, sia perché adesso vuole vincere a tutti i costi per il suo migliore amico; con enorme fatica gli attaccanti del Colonia sono riusciti a superare il muro del Leverkusen e hanno guadagnato l’area di rigore, Benji guarda i suoi compagni in campo e sorride a ognuno di loro con quel suo sorriso beffardo e strafottente che lo caratterizzava da ragazzino – infine punta gli occhi in quelli di Hermann che riconosce quello sguardo e sorride a sua volta, sicuro che il suo migliore amico in porta non permetterà che segnino – Benji punta lo sguardo sull’attaccante di fronte a sé e sorride sicuro, pronto a ricevere il tiro, la punta calcia un potente destro e il portiere nipponico si tuffa con agilità nella traiettoria del pallone e, senza esitazione alcuna, blocca la sfera di cuoio tra le mani e si rimette in piedi, guardando uno per uno i compagni e passando ai difensori davanti alla sua area. L’attacco della squadra ospite riprende la propria corsa verso la porta avversaria, Lukas è stato bloccato da due avversari a centrocampo e osserva impotente i suoi compagni che continuano l’azione, un centrocampista passa a Hermann prima che l’avversario di turno possa togliergli palla e il biondo aggancia il passaggio iniziando a correre con tutta la sua ben nota velocità, quel pallone è suo, quella porta davanti a lui è il suo obbiettivo e nulla può fermarlo; dà un veloce sguardo ai suoi compagni che sono braccati dagli avversari e ne scorge altri due che gli stanno andando addosso, sorride e prende a correre ancora più veloce – inarrestabile come il vento – e con un tiro al quale imprime tutta la sua forza segna il quarto goal per la sua squadra, sorridendo al portiere in modo irriverente.

L’estremo difensore del Colonia rimette il pallone in gioco e l’azione riprende con i padroni di casa ormai sconfortati, consapevoli della sconfitta che subiranno a breve, visto che ormai non resta più molto da giocare e considerando che, gli avversari sono più agguerriti che mai, è impossibile rimontare e tornare in vantaggio, ma nonostante tutto ci provano fino all’ultimo, con estrema fatica riescono a raggiungere la porta di Benji e concludono l’azione con il tiro che, per loro sfortuna, viene parato con il minimo sforzo; il portiere sorride e con il pallone tra le mani alza lo sguardo verso la tribuna, scorgendo sua moglie e i suoi figli, Marika, Freddy e sua madre e il suo sorriso si allarga, dà uno sguardo al cronometro che segna l’88° e rilancia con le mani a Lukas che è salito in difesa, si sistema il cappellino sulla testa e lascia i pali iniziando a correre verso il centro del campo e tutto il Leverkusen corre verso l’area del Colonia come se stessero giocando da soli, il pallone passa da un calciatore all’altro senza che gli avversari abbiano possibilità di prenderlo, si divertono i campioni della città della nota casa farmaceutica a beffarli con i loro passaggi perfetti e con la grinta che dalla ripresa li ha resi inarrestabili: questa partita è loro e la vinceranno – anche se ormai l’hanno praticamente vinta – per il loro capitano, a suon di goal, segnandone il più possibile fino al triplice fischio dell’arbitro; la difesa del Colonia è ormai sfiancata dalla fatica, i quasi 90° di gioco si fanno sentire sulle gambe, così come il peso del dover giocare con un uomo in meno, e sono lì che tentano fino all’ultimo di evitare che l’ennesima rete venga segnata, anche se ormai la vittoria degli avversari è netta e schiacciante, ma vogliono salvare il salvabile, anche se ormai non ha alcun senso. Il pallone continua a passare da piede a piede tra i calciatori del Bayer Leverkusen che, compatto, si spinge sempre più avanti senza dare possibilità agli avversari e quando giungono sotto porta con Hermann e Lukas a capitanare l’azione, entrambi i due attaccanti si guardano e annuiscono l’uno all’altro senza bisogno di parole, si voltano in contemporanea alle loro spalle e Lukas passa al portiere, che blocca il pallone sotto al piede e sfida con lo sguardo ogni difensore avversario, quelli gli si fanno incontro e Benji inizia a correre fino al limite dell’area, dribblando con maestria ognuno di essi e quando è ormai solo davanti all’altro portiere carica il suo destro e mette a segno la quinta rete che viene siglata proprio al momento del fischio finale, tutti compagni gli saltano letteralmente addosso per festeggiare la vittoria che viene dedicata al loro capitano finito in ospedale. «Ma che figata, papà ha fatto un goal fantastico!» si gasa il piccolo Freddy, osservando ancora stupefatto suo padre – anche se ormai fatica a scorgerlo in mezzo ai compagni  che l’hanno assalito. «Tuo padre è ormai tra i portieri più forti al mondo, anche da piccolo ha subito dimostrato la sua supremazia diventando campione del mondo a soli sedici anni e non è la prima volta che abbandona i pali per segnare.» risponde Marshall, osservando con immenso orgoglio il suo pupillo – che è praticamente la luce dei suoi occhi – prendendo in braccio il nipotino e dandogli un bacio sulla guancia, il piccolo portiere lo osserva con i suoi occhioni neri ancora brillanti di stupore e annuisce. «Anche io da grande diventerò forte come lui, vero, nonno Freddy?» gli chiede sorridendo ingenuamente e genuinamente. «Certo, piccolo mio, nelle tue vene scorre il suo stesso sangue.» risponde il commissario tecnico della nazionale, Fanny sorride alle parole di figlio e suocero e si avvicina stringendo l’uomo e dando un bacino sulla guanciotta del suo ometto piccolo, mentre gli occhi di Eleonor si riempiono di lacrime di gioia e orgoglio. «Mamma andiamo, papà e gli altri hanno già lasciato il campo e non perderanno un’ora sotto la doccia questa volta, perché vogliono andare tutti in ospedale dallo zio Karl… e anche io voglio andarci per vedere come sta e per confortare Violet.» dice Kyle, avvicinandosi a Fanny e stringendole la mano. «Hai ragione, tesoro, anche io voglio sapere come sta Karl.» gli risponde la mamma sorridendo e tutti quanti raggiungono il parcheggio per prendere le auto, trovando già i calciatori a bordo del pullman e Thomas con Benji, Hermann e Lukas ad aspettarli davanti la porta aperta del mezzo, con il mister che parla con l’autista e saluta gli altri calciatori seduti. «Andiamo in ospedale, ho parlato con Bea, ma non sanno ancora nulla Karl è ancora con i medici per fare accertamenti.» dice l’allenatore, voltandosi a osservare tutti che annuiscono e salgono nelle varie auto. «Vedrai che ce la farà, Thom, tuo figlio è un guerriero.» sussurra Freddy Marshall avvicinandosi al suo migliore amico e battendogli la mano sulla spalla. «Lo so e questo è sicuramente nulla in confronto a ciò che ha passato, ma mi dispiace che si sia fatto male.» sorride con una punta di rammarico mister Schneider. «Lo so.» risponde Freddy con la comprensione paterna cha avrebbe lui se fosse capitato al suo Benji, ma gli dispiace in egual modo per Karl, perché tiene immensamente anche a lui, come se fosse suo figlioccio, si sorridono ancora i due ex calciatori e poi salgono entrambi in auto; Marshall alla guida del suo Range Rover e Schneider a bordo della Tesla di Lukas e partono tutti e due i guidatori, per raggiungere l’ospedale.

***

Colonia: domenica, 30 marzo, 2031 ospedale, h. 23:50

«Avete avuto notizie?» chiede Thomas alla moglie, raggiungendola nella sala d’aspetto della radiologia, assieme agli altri, mentre Kyle va a stringere immediatamente Violet che attende impaziente davanti alla porta chiusa. «Gli hanno fatto già entrambe le radiografie, si è rotto il menisco e i crociati anteriori e la spalla sembra essere lussata, adesso stanno facendo la risonanza.» risponde Beatrix stringendo il marito che ricambia la stretta e sbuffa. «Scheiße![1] Karl-Heinrich e Philipp hanno detto qualcosa di particolare?» le chiede ancora Thomas, osservando i presenti sospirare e Benji andare a stringere Grace – che seduta su una sedia – aspetta altre notizie e, soprattutto, di poter vedere suo marito e abbracciarlo. «Niente di particolare, sono usciti per dirci quello che ti ho detto, adesso sono tornati dentro anche loro. Hanno aggiunto solo che appena avranno finito gli esami lo porteranno alla clinica sociale e lo opereranno domani al ginocchio.» risponde ancora la moglie, stringendosi al suo uomo che annuisce e le bacia la guancia, aspettando di avere altre notizie e poter vedere suo figlio. «Papà… quindi è grave l’infortunio dello zio Karl?» chiede il piccolo Freddy, avvicinandosi a lui che tiene ancora Grace tra le braccia, che sorride al bambino. «Un po’, piccolo, devono ricostruire menisco e legamenti, ma è un infortunio abbastanza comune per noi calciatori e lo sai che lo zio Karl è fortissimo.» gli risponde Benji prendendolo e mettendolo sulle sue gambe, Freddy annuisce e stringe Grace alla quale dà un bacio sulla guancia. «Non piangere, zia, andrà benissimo e presto tornerà a giocare più forte di prima.» le dice guardandola negli occhi e sorridendole dolcemente, Grace sorride e gli bacia il nasino. «Lo so, cucciolo, sono solo arrabbiata e dispiaciuta perché si è infortunato, ma so che non è nulla di grave e so anche bene che si riprenderà.» gli risponde carezzandogli i capelli neri identici a quelli del suo migliore amico il quale sorride vedendo la scena. «Sei ancora arrabbiata con Levin?» chiede Kyle a Violet che tiene tra le sue braccia. «Sì, lo odio ancora di più di quanto non l’odiassi prima, quel maledetto bastardo, non si doveva permettere a fare male a mio padre.» risponde la bambina, digrignando i denti dalla rabbia e stringendo forte i pugni. «Lo sai che nel calcio sono cose che possono capitare, l’importante è che sono cose risolvibili e che presto tuo padre potrà tornare a giocare.» le risponde ancora Kyle, guardandola negli occhi e carezzandole i capelli. «Quello ovvio, altrimenti sarei già andata ad ammazzare quello stronzo. Non so però quanto tempo gli ci vorrà per poter tornare in campo, domani lo operano al ginocchio e con molta probabilità devono operarlo anche alla spalla e poi c’è tutta la riabilitazione… forse salta tutto ciò che resta del campionato.» risponde Violet, chinando il capo, mentre i suoi occhi si velano di lacrime. «Kaiserin hai ragione, molto probabilmente dovranno operarlo anche alla spalla, i tempi di recupero per entrambi gli infortuni vanno dai sei agli otto mesi, ma sono sicuro che si impegnerà al massimo nella riabilitazione per poter tornare in campo il prima possibile.» si intromette Lukas, che li ha sentiti, chinandosi davanti a loro e sorridendo, Violet sorride e gli stringe le braccia al collo. «Ti sei mai rotto qualcosa giocando a calcio?» gli chiede Kyle guardando quei bellissimi occhi blu. «Sì, mi sono rotto anche io il menisco e i crociati nel 2014 a metà campionato, a luglio ero già in campo a giocare il mondiale che abbiamo vinto.» risponde Lukas con un sorriso un po’ nostalgico nel ricordare quel periodo che ormai gli sembra lontanissimo – come se appartenesse quasi a una vita fa. «Non voglio più sentirti parlare però del fatto che vuoi uccidere Levin, oltre a esser stato espulso ed essersi beccato due turni di squalifica, li abbiamo battuti alla grande con un bel 5-2 e il goal della vittoria l’ha segnato Benji.» aggiunge ancora la seconda punta del Bayer Leverkusen, guardando i due bambini: Violet sorride orgogliosa e non vede l’ora di poterlo dire al suo papà, Kyle annuisce fiero del suo – anche se del calcio gli frega poco e nulla – ma suo padre ha fatto un’azione bellissima. «È vero, avresti dovuto vederli, nel secondo tempo erano tutti scatenanti in campo, non hanno praticamente lasciato spazio al Colonia e Lukas, Hermann e mio padre hanno fatto tutti e tre dei goal stupendi.» quasi si gasa il piccolo Price, facendo ridere la sua migliore amica di questa performance non sua, soprattutto sapendo quanto gliene freghi del calcio. «Bene, allora direi che lo stronzo è stato degnamente punito assieme ai suoi compagni e la nostra squadra è troppo forte per essere battuta.» esulta, saltando giù dalla sedia e sgranchendosi le gambe, Lukas ride e la prende in braccio a tradimento. «Io lo dico sempre, piccola peste, non è che abbiamo poi così tanto bisogno di tuo padre.» le dice per provocarla, schioccandole un bacio in guancia. «Stai zitto che tu ormai sei vecchio, la bandiera della squadra è mio padre, ormai.» gli risponde la piccola dandogli un pizzicotto sul fianco. «Forse, monella, ma sono ancora io il più forte calciatore della Bundesliga, secondo solo a un’altra persona.» le risponde ancora Lukas con il sorriso e gli occhi lucidi, Violet – avendo capito di chi sta parlando – sorride e annuisce, carezzandogli la guancia. «Hai ragione, lui non lo batterà mai nessuno, nemmeno mio padre.» dice stringendolo e dandogli un bacio sulla guancia, vuole bene Lukas come se fosse uno zio, come ne vuole Benji ed Hermann. “Tuo padre l’ha già battuto, è diventato molto più forte di Bernd, ma non se ne rende conto.” pensa Lukas ricambiando la stretta della piccola Schneider, proprio mentre la porta della sala risonanza viene aperta dall’interno.

«Signori abbiamo ritenuto opportuno che per adesso non è necessario intervenire anche sulla spalla, non è rotta, si tratta di una lussazione che vogliamo prima tentare di rimettere a posto con una terapia conservativa. Adesso gli ortopedici gliela stanno rimettendo dentro e poi rientriamo a Leverkusen dove abbiamo deciso di ricoverarlo e lo opereremo domani al ginocchio.» esordisce il dottor Dittmar, uscendo dalla sala assieme al collega, gli astanti tirano un sospiro di sollievo, almeno la spalla non è totalmente distrutta come il ginocchio, anche se una lussazione non è certo da sottovalutare. Nonostante il sedativo per il dolore Karl caccia un urlo quando i medici fanno la manovra per rimettergli la spalla in asse; Violet tira i capelli al povero Lukas sentendo suo padre urlare e i suoi occhi azzurri si riempiono di lacrime. «Va tutto bene, piccola, in realtà non gli hanno fatto così male gli hanno dato qualcosa prima di eseguire la manovra per non fargli sentire dolore, ma è normale che abbia urlato è anche un modo per scaricare la tensione.» le dice il calciatore stringendola più forte tra le sue braccia e riempiendola di coccole, riuscendo a calmarla; a Grace quasi si gela il sangue nelle vene all’urlo di suo marito, ma fa un respiro profondo e si calma, sa bene che per quanto possano avergli dato qualcosa per il dolore urlare è normale, ma le dispiace immensamente e l’unica cosa che vuole e vederlo e poterlo stringere tra le sue braccia. Poco dopo gli ortopedici escono dalla sala spingendo la barella con sopra il Kaiser con la spalla destra immobilizzata da un tutore e una vistosa fasciatura alla gamba. «Papà!» urla Violet appena lo vede, saltando giù dalle braccia di Lukas e correndo verso la barella, Karl le sorride e le prende la mano, stringendola nella sua e sorridendole. «Sto bene, Kaiserin, mi dispiace averti fatto spaventare.» le dice, carezzandole la guancia. «Ti fanno male?» chiede la piccola scuotendo il capo e sorridendogli. «No, mi hanno imbottito per bene di antidolorifici.» le risponde il padre, strizzandole l’occhio e sorridendo, la bambina annuisce e gli stringe la mano con più forza, sorridendo, mentre osserva incuriosita il cerotto sulla piega interna del gomito sinistro di suo padre e anche Grace si avvicina a marito e figlia e bacia le labbra del suo uomo che le sorride con tutto il suo amore, mentre lei lo stringe piano tra le braccia. «Cosa c’è, Violet?» chiede Karl alla figlia, notando poi il suo sguardo curioso. «Cosa sono i cerotti che hai al braccio e alla mano?» chiede la figlia, rendendosi solo adesso conto di quello sulla mano destra, che penzola immobile dal tutore. «Niente, solo le iniezioni del mezzo di contrasto per le risonanza e l’antidolorifico per la manovra.» le risponde lui, sorridendo e scompigliandole i capelli, sa che la sua piccola peste è curiosa e si preoccupa per ogni cosa che lo riguarda e pretende di sapere ogni minimo dettaglio. Dopo un veloce saluto a tutti gli altri, Karl viene portato in ambulanza e gli altri tornano alle auto per far rientro a Leverkusen dirigendosi alla clinica sociale, dove già è stata preparata una camera per il calciatore, dopo che i due medici hanno informato del loro arrivo.

Germania: domenica, 30 marzo, 2031 autostrada Colonia/Leverkusen: auto degli Schneider, h. 1:20

«Mamma tu rimani in clinica con papà?» chiede Violet mentre stanno raggiungendo Leverkusen in auto con i nonni. «Sì, ovviamente.» risponde Grace, guardando la strada, anche se seduta sul sedile posteriore con sua figlia, mentre al volante sta suo suocero. «Posso rimanere anche io?» chiede ancora la bambina, accoccolandosi sul petto della madre e cingendole i fianchi. «Non esiste proprio, signorina, domani hai scuola ed è già tardissimo, dovresti essere a letto da un pezzo.» le risponde Grace intransigente, anche se  dispiaciuta, perché sa che vuole stare accanto a suo padre, come è giusto che sia. «Va bene. Ma dimenticati che io domani vada a scuola, non ci penso proprio, operano papà e io voglio essere lì con lui appena si sveglierà dopo l’intervento.» risponde ostinata la piccola Schneider, guardando sua madre con quei suoi occhi di ghiaccio identici a quelli di suo padre in tutto e per tutto. «Violet…» mormora debolmente Grace continuando a guardare quegli occhi ai quali ancora oggi non riesce a resistere. «Ti prego, mamma…» inizia a piangere la figlia, stringendola, la donna ricambia la stretta ma non dice nulla. «Lascia che venga domani, Grace, sai bene che ha la stessa cocciutaggine di suo padre e che è impossibile farla ragionare quando si impunta su qualcosa.» si intromette Beatrix, voltandosi e guardando con un sorriso entrambe, Grace guarda sua suocera e sorride, sapendo benissimo che sua figlia ha la stessa testardaggine di suo marito, se non peggio. «D’accordo, domani non andrai a scuola, a patto che adesso però vai a casa con i nonni e fili a letto.» acconsente infine la madre, scompigliando i capelli alla sua monella. «Ma perché non stiamo andando tutti in clinica per adesso?» chiede Violet guardando il nonno al volante, fermarsi a un semaforo rosso e voltarsi. «Sì che stiamo andando tutti in clinica, ma io e la nonna andiamo a casa dopo e tu verrai con noi, Kaiserin. Inoltre sappi che tuo padre rimarrà sveglio durante l’intervento, gli faranno l’anestesia spinale.» le dice Thomas, ripartendo allo scattare del verde, ormai dentro la sua città natale. Violet annuisce, poi li guarda confusa. «Che vuol dire anestesia spinale?» chiede alla mamma e alla nonna. «È un’anestesia locale, gli faranno una puntura alla schiena che gli addormenterà solo la parte inferiore del corpo e non sentirà dolore, ma lui resterà sveglio.» risponde Grace, mentre arrivano nello spiazzo della clinica sociale e Thomas parcheggia, imitato da Lukas e Freddy, mentre l’ambulanza procede fino all’ingresso, dove due infermieri l’attendono.

Leverkusen: domenica, 30 marzo, 2031 clinica sociale: camera di Karl, h. 1:30

Karl viene portato in reparto, dove viene sistemato sul letto e gli viene posto del ghiaccio sul ginocchio e gli infermieri sistemano già una flebo nell’asta vicino al letto, uscendo dalla camera e permettendo così a parenti e amici di salutarlo; i Price sono i primi a entrare in camera e Karl sorride al suo migliore amico, poi estende il sorriso anche a Fanny e ai bambini. «Come stai?» chiede Fanny con dolcezza, sedendosi sul letto e dandogli un bacio sulla fronte. «Bene, sono solo terribilmente incazzato e dispiaciuto di dover star fermo e finire sotto i ferri.» risponde il Kaiser sbuffando, ma con il sorriso sulle labbra, Fanny sorride e lo stringe facendo attenzione a non fargli male. «Hai subito un intervento ben più rischioso di questo, non è da te arrenderti davanti a un ginocchio rotto, campione.» gli sussurra all’orecchio schioccandogli poi un bacio in guancia. «Hai ragione, non sarà certo questo a fermarmi dopo quello che ho superato, ma la rabbia resta comunque.» risponde il calciatore con un sorriso e la sua migliore amica gli carezza la guancia e i capelli. «Zio non ti preoccupare, ci ha pensato il mio papà e gli altri a vendicare il tuo infortunio, avresti dovuto vederli hanno giocato un secondo tempo da leoni, sembrava quasi stessero giocando da soli. Li abbiamo battuti 5-2 e il mio papà ha segnato l’ultimo goal lasciando i pali e raggiungendo l’area avversaria assieme agli altri.» esordisce il piccolo Freddy, saltellando allegramente verso il letto, esprimendo tutto il suo entusiasmo, Karl sorride al bambino e gli scompiglia i capelli, alzando lo sguardo verso il suo migliore amico che si gratta la testa un po’ in imbarazzo, non si aspettava che quella peste di suo figlio lo tirasse in mezzo così. «Ma tu non puoi fare queste follie quando io non ci sono, stronzo, mi sarei voluto vedere la scena.» lo rimbecca Karl scherzando, ovviamente, essendo orgoglioso – ancora una volta – di avere accanto un amico fantastico come lui, perché sa per quale motivo ha lasciato i pali e ha voluto segnare anche lui. «Che ti devo dire, appena tornerai in campo farò un’altra performance del genere. Lo sai perché l’ho fatto, inoltre volevo sottolineare con loro che nessuno può permettersi di infortunare così a cuor leggero uno dei migliori amici e sperare di passarla liscia.» risponde Benji sorridendo e avvicinandosi a lui per stringergli la mano sinistra. «Grazie.» risponde Karl con un sorriso, ricambiando la stretta. «Mamma ho sonno…» brontola Keira, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi, guardando però il calciatore sul letto. «Adesso andiamo a casa, tesoro.» risponde Fanny, alzandosi e prendendo la figlia in braccio, salutando l’amico con un bacio in fronte. «Buonanotte, zio!» dice la piccola sorridendogli e Karl si sporge un po’ per darle un bacio sulla fronte. «Grazie, anche te, tesoro mio.» le risponde con dolcezza, mentre Keira sorride e si accoccola alla spalla della mamma crollando addormentata, anche Frederic e Kyle lo salutano e infine Benji si avvicina e gli stringe la mano. «Ci vediamo domani, campione.» gli dice sorridendo e Karl annuisce ricambiando stretta e sorriso e salutandolo ancora, Benji prende in braccio il figlio più piccolo che come la gemella sta morendo dal sonno e tutta la famiglia Price esce, lasciando che a entrare siano Lukas, Marika ed Hermann che lo salutano velocemente per lasciarlo riposare e per andare anche loro a riposare – soprattutto la donna che vista la sua gravidanza ormai quasi al termine – è parecchio stanca e Kaltz non vede l’ora di raggiungere sua moglie e sua figlia a casa, anche se ovviamente è dispiaciuto per il suo migliore amico e vorrebbe essere ovunque ma non in una camera d’ospedale, dopo gli auguri e i saluti dunque lasciano la camera, dicendo che sarebbero tornati l’indomani per l’intervento; finalmente per la gioia di Violet è il loro turno e subito, la bambina, si precipita al capezzale di suo padre, sedendosi sul letto e stringendogli le braccia al collo. «Piano, Violet mi stai schiacciando il braccio.» le dice Karl accarezzandole i capelli con la mano sinistra e dandole un bacio sulla testa, la piccola si alza immediatamente e gli prende a mano stringendola. «Scusa, non volevo, ti ho fatto male?» dice specchiandosi nei suoi occhi. «No, non sento dolore, però meglio stare attenti.» le dice con dolcezza, carezzandole la manina che stringe la sua. «Mi hai fatto prendere un colpo quando sei caduto, non avevo visto che fossi stato colpito perché stavo parlando con Eleonor e ho pensato ti fossi sentito male per qualche altro motivo… poi appena Freddy ha detto che era stato un fallo ho ripreso a respirare.» ammette Beatrix, esplicando la sua più grande paura, che aveva taciuto anche al marito – perché ormai sa bene che suo figlio è guarito dal tumore – ma lei non dimenticherà mai quei giorni in cui ha temuto ogni giorno di perdere il suo bambino. «Oh, mamma… vieni qua!» le dice Karl con gli occhi lucidi, lasciando la mano della figlia e allungando il braccio per poter accogliere la madre e poterla stringere, Beatrix non se lo fa ripetere due volte e gli va incontro, stringendolo a sua volta, facendo attenzione a non fargli male e iniziando a piangere sulla spalla di quel meraviglioso uomo che è ormai suo figlio. «Mi dispiace, mamma, non volevo farti spaventare in questo modo, lo so cosa hai pensato e non posso certo biasimarti. Ma è solo un infortunio, ormai lo sai che quella è una storia archiviata, questo è nulla a confronto.» le dice dolcemente, stringendola a sé e carezzandole i capelli, dandole una serie di baci sulla fronte; Beatrix annuisce e si stacca per poterlo guardare negli occhi e gli sorride. «Ti amo, amore della mamma, ci vediamo domani.» gli sussurra dolcemente davanti al viso, dandogli un bacio e carezzandolo come quando da bambino gli dava la buonanotte, Karl sorride ricordandolo e le bacia la mano con la quale lo carezza. «Anche io ti amo.» le risponde con un sorriso bellissimo. Thomas sorride osservando moglie e figlio e si avvicina a sua volta dopo che Beatrix gli dà l’ennesimo bacio per poi allontanarsi. «Buonanotte, campione, ci vediamo domani.» gli dice semplicemente il padre stringendolo, Karl annuisce con un sorriso e ricambia la stretta, poi tira la mano di sua figlia e le sorride avvicinandosela al petto e stringendola. «Fai la brava e non fare disperare i nonni, ci vediamo domani, Kaiserin.» le sussurra dolcemente all’orecchio. «Anche tu fai il bravo e non fare disperare la mamma, ci vediamo domani.» risponde Violet facendo ridere tutti quanti e beccandosi un bacino sul naso dal padre, che puntualmente viene arricciato dalla piccola; salutano ancora e tutti e tre escono per raggiungere l’auto e tornare alla vigna.

Rimasta sola con suo marito, Grace, si siede finalmente sul letto e gli stringe la mano sinistra, guardandolo negli occhi – nei quali inevitabilmente, come sempre, si perde – e gli sorride. «Come ti senti?» gli chiede carezzandogli la guancia con l’altra mano. «Bene, non sento alcun dolore, ma sono terribilmente incazzato per essermi infortunato e scocciato di trovarmi nell’ultimo posto in cui vorrei essere.» le risponde lui con sincerità, perché tanto la sua Starlet lo sa benissimo quanto detesta gli ospedali, quindi negarlo non ha alcun senso. «Sapevo che l’avresti detto, ma sai anche tu che è diverso da allora.» sussurra dolcemente Grace sulle sue labbra, Karl sorride e le cattura in un bacio dolce, ma poco dopo vengono interrotti da un discreto bussare alla porta e si staccano e Grace si alza anche dal letto per permettere agli infermieri di fare ciò che devono. Sorridono i due sanitari e uno controlla che il tutore sia apposto e l’altro gli toglie il cerotto dal braccio sinistro e inizia a disinfettare la zona, Karl si lecca le labbra a quel contatto freddo e sente un brivido alla schiena – la mente vola senza permesso a giorni lontani e dolorosi – e chiude gli occhi, non tanto per la paura in sé per sé di quello che sta facendo l’infermiere, piuttosto per il ricordo terrificante che gli riporta quel piccolo aggeggio; l’infermiere nota il suo cambiamento e anche il bicipite irrigidirsi all’improvviso, posa il batuffolo di cotone dentro la vaschetta sul comodino, poggia il palmo della mano sul muscolo teso e lo guarda negli occhi che ha riaperto. «Posso inserire l’ago?» gli chiede gentilmente. Il Kaiser deglutisce e annuisce. «Sì, certo, scusami è solo un ricordo poco piacevole.» afferma, rilassando il bicipite e guardando la donna della sua vita, dietro all’infermiere, che gli sorride con tutta la sua dolcezza e il suo amore, l’operatore sanitario sorride al calciatore avendo capito con molta probabilità a cosa si riferiva e facendo una lieve pressione con l’indice sulla vena per prepararla, inserisce l’ago; Karl si morde le labbra e chiude gli occhi – non per il dolore, perché non l’ha nemmeno sentito – più che altro per il ricordo e quasi sente addosso la paura che sentì alla prima chemio, Grace lo capisce immediatamente e lo guarda impotente, aspettando che i due lascino la camera per poterlo stringere e confortare, l’infermiere collega il tubicino della flebo all’ago e regola il flusso con il deflussore, prendendo poi una siringa e iniettando il contenuto nella valvola per diluire insieme alla fisiologica anche un altro antidolorifico che gli permetterà di dormire senza sentire dolore durante la notte, sistemato tutto, i due infermieri si congedano dicendo che se hanno bisogno basta suonare. Grace ringrazia e saluta, poi si siede subito accanto al marito e gli prende la mano che inizia a carezzare. «Va tutto bene, amore mio, è solo un brutto ricordo.» gli sussurra dolcemente carezzandogli il dorso, Karl riapre gli occhi e la guarda con uno sguardo da cucciolo smarrito che fa intenerire la donna ancora di più. «Credo sarà sempre una paura incondizionata che mi porterò a vita, ormai, non ho mai avuto paura di un ago e lo sai, però adesso ogni volta che ne vedo uno il mio cervello vola da solo alla prima chemio.» sussurra Karl con un sospiro, sentendo ancora addosso quel terrore – ormai lontano eppure sempre vivido – come se lo stesse riprovando, sentendo quasi il malessere fisico che quel liquido giallognolo gli procurava man mano che entrava in circolo nel suo corpo e, inevitabilmente, il respiro gli si affanna un po’ – come accadde quel giorno – finché non arrivò qualcuno in suo soccorso a rendergli più leggero quel momento orribile e doloroso, un qualcuno che adesso non c’è più ma che rimarrà sempre nel cuore; deglutisce, sentendosi quasi uno stupido per non riuscire a tenere a freno quelle sensazioni che vorrebbe solo cancellare dalla sua mente per sempre e fissa gli occhi di sua moglie che brillano di amore solo per lui. «Lo so, amore, ma non è affatto colpa tua. È normale, sei rimasto traumatizzato da quando è successo a tuo zio, quando sei stato tu ad ammalarti è stato un fulmine a ciel sereno, nessuno si aspettava che sarebbe capitato anche te e per te è stato un doppio trauma, direi che adesso è il minimo avere paura degli aghi e ripensare alla prima chemio che hai fatto.» sussurra Grace con dolcezza, stendendosi al suo fianco, stringendolo con delicatezza e tenendogli la mano. «Rilassati e non ci pensare è solo un brutto ricordo, pensa che ne sei uscito vittorioso e che tutto è andato per il meglio. Lo sai che un ginocchio rotto è una passeggiata a confronto e io so che sei forte per poter affrontare anche questo. Pensa che domani sarà un giorno in meno al tuo ritorno in campo e uno in più nel quale io sarò al tuo fianco per sostenerti e amarti. Adesso l’unica cosa che devi fare e sorridere come sai fare e rilassarti.» sussurra ancora Grace, iniziando a carezzarlo sul viso, Karl le sorride con il suo sorriso più bello e luminoso – quello di cui lei si innamorò da ragazza – e gli occhi lucidi di commozione e gioia per avere al suo fianco una donna meravigliosa che è tutto il suo vivere. «Grazie di esistere, Starlet e di essere tutto ciò che sei, senza te sarei solo la metà di ciò che sono. Grazie sempre del tuo fondamentale sostegno nei giorni cupi e in ogni altro giorno della mia vita. Sai? Inizio a pensare che tu sia davvero una qualche creatura magica caduta da una stella, perché in qualche modo riesci sempre a esorcizzare ogni mia paura e a farmi tornare il sorriso, sei riuscita a scacciare via quel ricordo e farmi rilassare solo con le tue parole e la tua presenza.» risponde Karl guardandola perso e incantato negli occhi, Grace sorride commossa da quelle parole e lo bacia e lui subito ricambia. «Chi lo sa, forse sono davvero una creatura magica proveniente da una stella. Ti amo immensamente, amore mio e farei ogni cosa per te, perché tu sei la mia ragione di vita assieme ai bambini.» gli risponde dopo il bacio, guardandolo intensamente negli occhi e continuando a coccolarlo con dolcezza. «La stessa cosa vale per me, voi siete la mia linfa vitale, senza te e loro non riuscirei a vivere.» sussurra Karl, chiudendo gli occhi ora rilassato, iniziando anche a cedere al sonno e alla stanchezza; Grace sorride e continua a carezzargli la guancia. «Adesso riposa, domani devi essere carico per l’intervento.» sussurra ancora, continuando a riempirlo di dolci carezze e coccole, Karl annuisce con un sorriso e le bacia la mano che lei tiene ancora sulla sua guancia. «Buonanotte, amore mio…» sussurra ormai mezzo addormentato. «Buonanotte anche a te, mio meraviglioso Kaiser.» risponde Grace intenerita da questa insolita versione – tenera e indifesa – dell’uomo che ama, gli dà un delicato bacio sulle labbra e si alza dal letto, sistemandogli meglio le coperte e lasciando fuori il braccio in cui ha attaccata la flebo, lo guarda ancora un attimo perdutamente innamorata e infine si stende sull’altro letto presente in camera per poter riposare anche lei ed esser pronta ad affrontare quello che sarà domani.

***

Leverkusen: lunedì, 31 marzo, 2031 clinica sociale: camera di Karl, h. 7:00

Dopo una notte abbastanza tranquilla nella quale tutti hanno riposato, ognuno di loro è pronto ad affrontare la giornata dell’intervento come meglio può. Beatrix, Thomas e Violet sono stati i primi ad arrivare in clinica, trovando Karl ancora profondamente addormentato con Grace al suo fianco a guardarlo e carezzarlo dolcemente e delicatamente sulla guancia per non svegliarlo. «Buongiorno, tesoro, come va?» chiede Beatrix, avvicinandosi alla nuora e dandole un bacio sulla fronte, Grace le sorride e si mette seduta, guardando sua figlia ancora mezza addormentata in braccio al nonno, salutando anche lui con la mano, mentre poggia la nipote sul letto libero. «Bene, ha dormito tranquillo tutta la notte e non si è ancora svegliato. Ha avuto solo un attimo di panico quando gli hanno messo la flebo perché ha ripensato alla prima chemio, ma sono riuscita a farlo calmare.» risponde poi alla suocera che annuisce con un sorriso, osservando il viso disteso e rilassato – forse un pallido ma sempre bellissimo – di suo figlio. «Tu hai dormito o sei rimasta tutta la notte sveglia accanto a lui?» le chiede ancora con affetto. «Ho dormito, sono rimasta giusto un po’ al suo fianco perché volevo accertarmi che fosse sereno e tranquillo, poi ho dormito anche io sull’altro letto.» risponde ancora Grace, alzandosi e stringendo quella donna che ama come una madre. «Voi?» chiede rimanendo abbracciata a lei, voltandosi però a guardare sua figlia. «Anche noi abbiamo dormito, anche se Violet ha fatto un po’ fatica ad addormentarsi e ha voluto dormire in camera di Bernd e io alla fine mi sono addormentata con lei sul suo letto. Il piccolo invece è stato un angelo, quando siamo usciti da casa stava ancora dormendo, probabilmente verrà più tardi con Joseph e Angelika che hanno visto la partita e li abbiamo trovati svegli al nostro rientro.» risponde Beatrix, carezzandole la guancia e lasciandola libera di andare dalla piccola per svegliarla e permetterle di salutare suo padre come si deve, visto che tra massimo un paio d’ore verrà portato in sala operatoria e se non le permettessero di salutarlo prima dell’intervento si metterebbe a fare il diavolo a quattro, guarda il cellulare che segna appena le sette del mattino e si siede sul letto in cui sta Violet, la stringe e prende a carezzarla e baciarla per svegliarla con dolcezza. «Mamma… lasciami in pace, ho sonno, non voglio andare a scuola oggi.» brontola la bambina non del tutto lucida, dimenticandosi per un attimo del suo papà infortunato, facendo sorridere la mamma. «Amore ti ho promesso che non ti avrei fatto andare a scuola, siamo in ospedale, papà deve essere operato al ginocchio. Ricordi?» le sussurra all’orecchio, continuando a darle bacini sulla guancia, le braccia della piccola si stringono al suo collo e spalanca gli occhi, ricordandosi immediatamente della partita e dell’infortunio che suo padre ha subito e, aggrappandosi ancora di più al collo della mamma, si mette seduta sul letto dandole un bacio sulla guancia e voltandosi poi a guardare suo padre. «Dorme?» chiede osservandolo con un sorriso, per poi voltarsi nuovamente verso la mamma per avere una risposta. Grace annuisce e si volta a guardare suo marito con un sorriso, alzandosi con la figlia in braccio. «Lo porteranno in sala alle nove, quindi adesso io e te ce ne andiamo a fare colazione così lui nel frattempo si sveglia e poi saliamo a salutarlo.» le dice guardando i suoceri che sorridono entrambi alla sua risposta e le lasciano andare, rimanendo loro in camera con Karl, che sembra non essere stato per nulla disturbato dalle voci. Per la gioia di Violet, Grace la porta a fare colazione al McDonald’s interno al complesso polifunzionale che è il Bay Bernd Arena, lì trovano anche Benji e Fanny con Kyle e si siedono a fare colazione con loro, mentre Grace racconta della notte tranquilla di Karl. Intanto in camera il Kaiser apre gli occhi e si guarda attorno, un attimo confuso non riconoscendo la camera in cui si trova, poi scorge il viso di sua madre sopra al suo che gli sorride e improvvisamente realizza di trovarsi in una camera della clinica sociale e sospira, ricordandosi che tra un’ora e mezza finirà sotto i ferri. «Buongiorno , tesoro mio. Come ti senti?» gli chiede dolcemente la mamma baciandolo sulla fronte e facendolo sorride. «Bene, mi fa solo leggermente male il ginocchio ma è un dolore sopportabile. Per il resto sono un po’ in ansia per l’intervento ma so che andrà bene.» le risponde Karl sollevandosi con un po’ di fatica, per mettersi seduto. «Piano che sei tutto rotto.» lo riprende Beatrix aiutandolo e accompagnandolo nei movimenti, stando attenta a non fargli male. «Papà è andato a parlare con Dittmar ed Ehrenstein che sono appena arrivati, mentre Grace è scesa a fare colazione con Violet.» gli  dice, sistemandogli i capelli scarmigliati sulla fronte; Thomas rientra in camera con i due medici che salutano la signora e si avvicinano al letto per controllare il calciatore prima di andare a vestirsi per l’intervento. «Hai avuto dolori?» gli chiede Dittmar, mentre sostituisce la flebo finita con una nuova. «No, ho dormito tutta la notte senza fastidi, adesso però mi pizzica un po’ il ginocchio.» risponde Karl, rimanendo questa volta tranquillo – impassibile – al cambio flebo, il medico annuisce e regola il flusso. «Normale, è finito l’effetto degli antidolorifici, adesso cerca di rilassarti un po’ che tra una quarantina di minuti veniamo a prenderti.» gli dice con un sorriso, salutando tutti quanti assieme al collega ed entrambi escono dalla camera per andare a prepararsi. Intanto Grace, con Benji, Fanny e i bambini, finita la colazione, salgono al piano di degenza e arrivano davanti la porta della camera in cui è stato ricoverato Karl, Benji sta per bussare, ma quella monella di Violet la spalanca ancora prima che il portiere possa battere il pugno sul legno e si precipita sul letto in cui sta suo padre, ma viene prontamente bloccata dalla nonna che l’afferra e solleva, mettendola seduta sul materasso con delicatezza, sapendo benissimo quanto la nipotina n’è del tutto sprovvista, Karl guarda sua figlia e scoppia a ridere scuotendo la testa. «Niente, Kaiserin, sei e sarai sempre un piccolo tornado, ma ti amo anche per questo.» le dice, attirandola al suo petto con delicatezza per non farsi male e stringerla, Violet poggia la testa sulla sua spalla sinistra e lo guarda negli occhi che riflettono i suoi. «Hai paura, papino?» gli chiede, continuando a guardarlo negli occhi, Karl le sorride con tutto il suo amore e la sua dolcezza e le scompiglia i capelli, ricambiando lo sguardo. «No, Kaiserin e nemmeno tu devi averne, è un intervento di routine, non mi addormenteranno nemmeno e dura circa un’ora e mezza, quindi appena uscirò dalla sala operatoria vorrò avere accanto te e la mamma.» le sussurra a pochi centimetri dal viso, sfiorandole poi il nasino con labbra, Violet sorride e gli bacia la guancia e Grace li guarda persa da quella loro dolcezza, padre è figlia hanno un’Alchimia pari a nessuno, Karl come qualunque padre – degno di esser definito tale – vive per i suoi figli e Violet di contro non potrebbe fare a meno di lui – forse, si rende conto la donna, potrebbe sopportare la sua lontananza ma non quella del padre, anche se sa che vuole bene a entrambi in modo incondizionato – però non può fare a meno di notare che tra padre e figlia c’è un legame più forte – indissolubile – uno scambio equivalente proprio come avviene nell’Alchimia nella quale per ottenere qualcosa è necessario darne in cambio una del medesimo valore; sorride e si avvicina al letto, carezzando i capelli della figlia e guardando gli occhi di suo marito che le sorride. «Siete bellissimi, sembrate una cosa sola.» sussurra, continuando a perdersi negli occhi di Karl e abbassandosi per dare un bacio tra i capelli di Violet e poi un bacio al marito che allarga il braccio sinistro – l’unico di cui al momento dispone – e ingloba anche lei nel suo abbraccio e la bacia con dolcezza e amore, mentre la piccola sorride e li guarda incantata, rendendosi conto che i suoi genitori sono bellissimi, che si amano tantissimo e che è fortunata ad avere una mamma e un papà così. Grace e Karl si staccano senza fiato dal bacio, ma i loro occhi sono ancora incatenati, così come la piccola che resta ancora tra il loro abbraccio, finché una lieve smorfia fa capolino sul viso del Kaiser – che non sfugge affatto a Grace –  afferra la figlia e la solleva, rimettendola per terra e ricevendo uno sguardo confuso. «Tuo padre ha voluto fare lo splendido, tesoro, ma si è praticamente ucciso da solo avendo me e te sul suo corpo e ora gli dà fastidio la spalla.» le dice la mamma, la piccola annuisce e ridacchia, voltando poi lo sguardo azzurro verso il padre e scuotendo la testa. «Poi sono io il tornado…» borbotta provocandolo e facendolo ridere, nonostante tutto. Mano a mano lo salutano e incoraggiano tutti e infine si ritrova stretto tra le braccia della mamma, che poggia la fronte sulla sua e lo guarda negli occhi con tutto il suo amore. «Ci vediamo dopo, piccolo mio…» gli sussurra sulle labbra e Karl sorride e gliele bacia. «Grazie, mamma.» le dice con una rara dolcezza; parenti e amici restano ancora un po’ in camera a scherzare e alleggerire un po’ quegli attimi di tensione, finché non arrivano due infermieri con una barella sulla quale Karl viene adagiato per esser portato in sala operatoria e mentre lui saluta tutti con la mano sinistra, tutti ricambiano ed escono dalla camera, seguendolo fino alla sala d’attesa nella quale restano.

***

Leverkusen: lunedì, 31 marzo, 2031 clinica sociale: sala operatoria, h. 9:15

Terrore!

Panico!

Ricordi spaventosi!

 Ansia!

Voglia di darsela a gambe levate…

se solo al momento avesse due gambe con le quali poter correre.

Sono queste le sensazioni che prova addosso Karl appena entra in sala operatoria osservando quell’ambiente che, purtroppo, ben conosce e che lo riporta a quel terribile giorno in cui ebbe la paura concreta di poter morire, il suo sguardo di ghiaccio si posa sulla lampada sopra il tavolo operatorio – non ha idea se quella cosa abbia un nome tecnico e nemmeno gli importa – e si rivede disteso sotto di essa a osservarla con gli occhi pieni di lacrime, il terrore, l’ansia e la paura ad attanagliargli cuore e stomaco in una morsa dolorosa, accanto a lui a rassicurarlo e calmarlo il dottor Brown e il dottor Ross – il papà della sua migliore amica – quei due neurochirurghi ai quali deve letteralmente la vita; chiude gli occhi, fa un respiro profondo rendendosi improvvisamente conto di non aver quasi fiato per il terrore di quel ricordo e si sente stupido, terribilmente stupido, nel non riuscire a tenere a bada quelle sensazioni, anche se sa perfettamente che questa volta la situazione è ben diversa da quel terrificante giorno.

«Karl…» lo chiama il dottor Dittmar mettendogli la mano sulla spalla sinistra – ormai vestito col camice operatorio – vedendolo con lo sguardo vitreo e tremante. «Va tutto bene, non pensare a quel giorno, non ha nulla a che vedere con oggi. Lo so che l’ambiente circostante te lo ricorda, ma non devi affatto pensarci, adesso devi solo pensare che sei tornato alla tua vita di sempre e che stai affrontando questo intervento per tornare a vivere quello che sei tornato a fare con la tua sola forza e determinazione in quel brutto periodo.» aggiunge ancora il medico con tono paterno e rassicurante, tenendogli ancora la mano sulla spalla sana e stringendola con più forza per infondergli il coraggio di cui il ragazzo al momento ha bisogno; Karl annuisce, ridestandosi dal pensiero di quel terrificante giorno, tornato alla mente senza permesso e sorride con una nuova determinazione negli occhi. «Siamo pronti.» si intromette l’anestesista, invitando tutti quanti a iniziare, Karl compreso, che viene fatto sedere sul tavolo operatorio e guarda Dittmar ed Ehrenstein che si posizionano davanti a lui. «Iniziamo!» confermano entrambi, guardando l’équipe medica; Philipp Ehrenstein prende per le spalle il calciatore e lo china con delicatezza verso di sé, facendogli curvare la schiena. «Fai un respiro profondo e rilassati, adesso ti faranno un anestetico locale col quale sentirai solo un pizzico, dopo passeranno all’anestesia vera e propria che non sentirai per nulla o pochissimo.» gli spiega, Karl fa un respiro profondo e chiude gli occhi – con ancora un pizzico di quel terrore viscerale e incommensurabile nel cuore – fa un secondo respiro; l’anestesista disinfetta la zona in cui farà la puntura con della tintura di iodio e inserisce il piccolo ago nella cute, provocandogli un leggero fastidio – ma nulla di tremendamente insopportabile – a quel punto estratto l’ago, ne prende uno nuovo più lungo – che funge solo da guida – e lo inserisce nello spazio subaracnoideo del midollo spinale, tra la terza e la quarta vertebra lombare, ne prende ancora un secondo più sottile e con estrema professionalità lo inserisce all’interno di quello precedentemente inserito per poter pungere tutte le membrane sottostanti alla pelle e raggiungere il cuore del midollo; un lieve lamento esce dalle labbra del Kaiser che poi le morde. «Va tutto bene, stai tranquillo.» gli sussurra Dittmar all’orecchio, carezzandogli i capelli sulla nuca, per farlo rilassare intanto che l’anestesista prende adesso la siringa contenente il farmaco e l’avvita nell’ago sulla schiena, iniziando a iniettare il farmaco per poter rendere insensibile al dolore la zona dall’ombelico in giù, sfila l’ago finita l’iniezione  e disinfetta nuovamente la zona, mettendo una piccola medicazione. «Tutto bene? Ti ho fatto male?» chiede al calciatore, mettendogli la mano sulla schiena. «Sì, va tutto bene, non ho sentito quasi nulla.» risponde Karl con un sorriso che viene ricambiato dall’anestesista. «Bene, adesso puoi anche stenderti, cinque minuti e sentirai le gambe formicolare e perdere sensibilità a quel punto l’anestesia avrà fatto effetto e inizieranno con l’intervento.» gli dice ancora, mentre con l’ausilio degli altri colleghi dello staff lo fa stendere e ognuno si mobilita per iniziare.

Karl osserva i medici sopra di lui e sorride grato a ognuno di loro ed è il chirurgo a ricambiare maggiormente il suo sorriso, pendendo il bisturi che gli passa l’assistente e incidendo la cute e i tessuti sottostanti del suo ginocchio sinistro, fino a scoprire ciò che resta del suo menisco distrutto. «Cazzo me l’ha proprio maciullato per bene…» commenta Karl, che inizia a prendere coraggio e riesce a osservare la procedura in uno schermo messo lì appositamente. «Già, per questo motivo non sto eseguendo un’artroscopia perché devo sostituirlo con una protesi, visto che non c’è modo di ricostruirlo.» risponde il chirurgo, mentre degli assistenti inseriscono dei divaricatori nella parte appena aperta e Karl annuisce al medico. «Mia figlia non aveva poi così tanto torto a volerlo uccidere.» commenta quasi divertito all’idea, ridendo e strappando una risata anche ai medici, che immediatamente tornano seri e procedono con l’intervento: ciò che resta del menisco distrutto viene rimosso, al suo posto viene inserita una protesi e i due legamenti spezzati vengono sostituiti con dei tendini di due muscoli flessori mediali della sua coscia, che vengono ancorati mediante dei fili di sutura e successivamente vengono fissati  alla corticale laterale del femore tramite una piccola placchetta metallica e, distalmente, alla tibia da una vite di materiale biocompatibile e riassorbibile, dopodiché procedono nel sistemare il tutto. Karl chiude gli occhi a metà intervento, inizia a girargli un po’ la testa, non capisce però se è un malessere dettato dalla paura o qualcosa di legato all’intervento o alla vista del sangue – anche se è consapevole di non aver mai avuto paura di esso; Dittmar controlla gli schermi dove vengono registrati i parametri del calciatore che constata esser perfetti e gli si avvicina vedendolo chiudere gli occhi. «Che succede?» gli chiede, carezzandolo sulla fronte, il Kaiser a quel contatto riapre gli occhi, guardando il medico. «Nulla, mi gira un po’ la testa, ma non so perché…» sussurra, leccandosi le labbra, il medico sorride e dà un altro sguardo ai monitor per accertarsi che tutto è nella norma. «Non ti preoccupare, abbiamo quasi finito, stanno sistemando il menisco e poi ti ricuciranno.» gli risponde, osservando i colleghi che continuano l’intervento, continuando a carezzare la fronte del calciatore che ha richiuso gli occhi, dopo aver annuito con un respiro profondo; sistemato tutto quanto procedono quindi con la sutura. «Ti stanno dando i punti.» lo informa il dottor Dittmar che non si è allontanato dalla sua posizione, Karl riapre gli occhi e sorride. «D’accordo, non so perché ma continua a girarmi un po’ la testa.» risponde. «Non è nulla, non ti preoccupare, i parametri sono tutti perfetti, sarà solo che hai avuto un po’ di paura pensando al passato. Adesso pensa che è tutto finito, rilassati, l’intervento è andato benissimo.» gli sussurra il medico continuando a carezzarlo e rassicurarlo come se fosse suo padre, Karl annuisce e non dice nulla, strizza gli occhi e fa l’ennesimo respiro profondo, cercando di rilassarsi; intanto Ehrenstein esce dalla sala operatoria e raggiunge il gruppo in sala d’attesa, dicendo loro che l’intervento è andato bene e che stanno suturando e tutti accolgono la notizia con un sorriso, sicuri che alla fine sarebbe andata bene in ogni caso. Violet sorride e piange al contempo, avvicinandosi al medico e tirandogli la manica del camice. «Quindi il mio papà sta bene?» gli chiede preoccupata, anche se non ne ha alcun motivo. «Sì, piccola, sta bene si è solo un po’ spaventato all’inizio ma è normale, adesso però ha detto che gli gira un po’ la testa ma non è nulla, basta solo che si rilassa  riposa un po’ e tutto passa.» le risponde il medico con dolcezza scompigliandole i capelli e sorridendole, poi posa lo sguardo su Grace e sorride anche a lei. «Adesso penso lo sederanno leggermente per farlo rilassare e calmare, puoi stare in camera con lui se vuoi.» le dice, rivolgendosi però anche a tutti gli altri che annuiscono. «Va bene, grazie, dottor Ehrenstein.» risponde Grace, avvicinandosi e stringendo sua figlia che inizia a piangere. «Kaiserin non piangere, papà sta bene si è solo spaventato un po’, adesso appena esce lo saluti e poi vai a fare un passeggiata con Benji, Fanny, i nonni e Kyle e più tardi ritornate.» le dice prendendola in braccio e guardandola negli occhi asciugandole le lacrime, la piccola annuisce e la stringe.

Finita la sutura il chirurgo disinfetta la ferita, inserisce il drenaggio e la copre con un cerotto da medicazione, mentre un’assistente inietta una leggero sedativo nella valvola della flebo per farlo rilassare e, successivamente, gli mette altre due flebo una di antidolorifico e l’altra di antibiotico, mentre un altro gli mette il catetere e viene tenuto sotto monitoraggio per circa un’ora, successivamente gli applicano una fasciatura comprensiva che va dalla radice del piede fino alla coscia e, finalmente, lo riportano in reparto lo sistemano sul letto e gli mettono una borsa del ghiaccio sulla ferita.

Leverkusen: lunedì, 31 marzo, 2031 clinica sociale: camera di Karl, h. 11:30

Grace entra in camera con Violet e si avvicinano entrambe al letto, la donna sorride e gli bacia la fronte, mentre la bambina sorride e si siede con delicatezza sul letto e prende la mano sinistra del suo papà, nonostante in essa è presente l’ago dell’antibiotico. «Come stai?» gli chiede guardandolo negli occhi. «Bene, cucciola mia, ho avuto solo un po’ di paura durante l’intervento quindi alla fine mi hanno sedato un po’, infatti adesso mi sento rincoglionito.» le risponde Karl con sincerità, ricambiando lo sguardo della sua bambina e sorridendole. «Sei un fifone!» lo prende in giro Violet, ridendo, avvicinandosi al suo viso e dandogli un bacio sulla guancia. «Ma sei sempre il mio eroe e il mio bellissimo e fighissimo papà.» aggiunge, dandogli un altro bacio e guardandolo negli occhi, esprimendo tutto l’amore che prova nei suoi confronti; Karl sorride per nulla offeso dall’esser definito fifone, perché sa che sua figlia l’ha detto per scherzare e sa anche che non lo penserebbe mai, sapendo ciò che ha patito in passato. «Ti amo, Kaiserin.» le dice allargando il sorriso e allungando la mano sinistra per carezzarle la guancia, poi l’attira a sé e le dà un bacio sulla fronte e la piccola gliene dà un altro in guancia e i loro sguardi si incatenano e l’azzurro ghiaccio degli occhi di entrambi diventa specchio delle loro iridi; Karl le dà un altro bacio sulla guancia e Violet sorride, carezzandolo. «Io adesso vado a fare un giro con i nonni e gli altri e torno più tardi, tu riposati.» gli dice guardandolo ancora negli occhi. «Va bene, piccola mia, tu divertiti e non far disperare i nonni e gli zii.» risponde Karl, dandole un altro bacio che, immediatamente, viene ricambiato dalla figlia, si alza dal letto, saluta la mamma e raggiunge i nonni, Benji e Fanny con Kyle che sulla porta fanno capolino e salutano il Kaiser – che ricambia il saluto con un sorriso – decidendo di tornare a trovarlo nel pomeriggio quando starà meglio e sarà più lucido e riposato; anche Grace saluta i suoceri, gli amici e i due bambini e poi inizia carezzare la guancia di suo marito. «Sei carino in versione rincoglionito.» gli dice, dandogli un bacio sul naso che lui subito arriccia e ride. «Non lo sono così tanto e tu mi hai visto anche in condizioni peggiori.» le risponde, annegando negli occhi della donna che ama. «Hai ragione, amore mio, abbiamo visto circostanze ben peggiori di questa e ci sta che in sala operatoria ti sia venuta un po’ d’ansia e paura, immaginavo sarebbe successo, così come immaginavo che alla fine ti avrebbero sedato un po’ per farti rilassare.» gli risponde Grace, sussurrando sulle sue labbra. «Più che altro ho avuto il terrore quando sono entrato, per un attimo mi sono rivisto su quel tavolo con il dottor Brown e il dottor Ross e un po’ al momento dell’anestesia e poi non so perché ma verso la fine dell’intervento ha iniziato a girarmi la testa.» ammette Karl, sussurrando a sua volta sulle labbra della moglie che sorride. «Perché ha ragione tua figlia, sei un fifone.» lo prende in giro Grace, ridendo e pizzicandogli la guancia, per poi posare le labbra sulle sue e baciarlo, Karl la guarda di traverso a quella risposta e fa il sostenuto senza rispondere al bacio – ovviamente giocando, sapendo perfettamente che sua moglie non pensa affatto ciò che ha detto. «Guarda che stavo scherzando, scemo, lo so benissimo che non sei un fifone e che, in ogni caso, hai i tuoi buoni motivi per aver avuto paura là dentro.» dice Grace, staccandosi dalle labbra del marito e guardandolo negli occhi, mentre lui – da bravo stronzo qual è – gliele lecca con sensualità e sorride. «Guarda che lo so che stavi scherzando, semplicemente è un gioco che si fa in due, cara la mia Starlet. Poi lo so benissimo che non pensi nulla del genere, non starei con te se così fosse.» risponde guardandola intensamente e sorridendo con quel suo meraviglioso e affascinante sorriso, incantandola letteralmente. «Ti amo, Karl, ti amo immensamente.» sussurra Grace, perdendosi nell’azzurro dei suoi occhi, mentre i suoi si riempiono di lacrime; Karl sorride e le asciuga con il pollice sinistro. «Anche io ti amo, Grace e non posso fare a meno di averti nella mia vita, sei il mio tutto.» risponde Karl, carezzandole la guancia e poi scendendo sul collo e sulla nuca, per poi tirarla a sé e baciarla con tutto il suo amore e Grace ricambia al medesimo modo, mentre Karl le cinge la vita con il braccio, nonostante le flebo a esso collegate; Grace ricambia la stretta come può, non vuole in alcun modo pesargli addosso e rischiare di fargli male in qualche modo, quindi si tiene sollevata con la mano sinistra puntellata sul materasso, mentre la destra la insinua tra i capelli del marito che carezza e il bacio dura finché entrambi non si staccano perché costretti a riprendere fiato, a quel punto la donna torna seduta perché inizia a sentire il braccio intorpidito dalla posizione scomoda e continua a guardare gli occhi di suo marito che le sorride dolcemente. «In tutto questo come ti senti?» gli chiede, mettendosi comoda e carezzandogli la parte di addome scoperte dal lenzuolo. «Nel contesto bene, tra anestesia e antidolorifici non sento dolore e sento a malapena il tuo tocco sulla pancia.» risponde Karl sorridendole e chiudendo gli occhi. «Allora non è ancora del tutto finito l’effetto. Riposati un po’, più tardi verranno gli altri e anche i tuoi nonni col piccolo.» sussurra dolcemente Grace, carezzandogli con delicatezza la guancia destra, trovandolo tenerissimo in questo momento di debolezza; Karl apre gli occhi e le sorride annuendo, sentendosi un po’ stanco e frastornato dalle medicine, Grace sorride a quell’insolito e dolcissimo sguardo da cucciolo e gli bacia la fronte alzandosi dal letto per lasciarlo dormire, Karl sorride e le afferra il polso. «Non andare via… resta con me.» sussurra richiudendo gli occhi, Grace sorride e lo bacia sulle labbra. «Non vado da nessuna parte, resto qui accanto a te sulla poltrona a leggere.» gli risponde, dandogli ancora un bacio sulle labbra che viene appena ricambiato da lui che le sorride e si addormenta, Grace lo ammira ancora un attimo – incantata e innamorata – e infine si siede sulla poltrona di fianco al letto a leggere.

***

Tra qualche gemito e lamento il sonno del Kaiser procede tranquillo, con Grace che legge e lo osserva ogni volta che dalle sue labbra esce un suono, sorride ogni volta; gli carezza la guancia e gli inumidisce le labbra secche con un fazzoletto. «Grace…» mormora Karl in dormiveglia, iniziando lentamente a riprendersi dal sonno vuoto e confuso nel quale è caduto sotto l’effetto delle medicine. «Sono qui, amore, cosa c’è?» gli chiede dolcemente Grace, posando il fazzoletto sul comodino e sedendosi sul letto, carezzandolo sulla guancia, Karl apre gli occhi lentamente e le sorride. «Nulla, ho sentito il tuo tocco sulle labbra e ti ho chiamata, non mi sento più rincoglionito come prima, ma mi gira di nuovo la testa e mi sento tremendamente debole.» risponde, guardandola un attimo negli occhi e richiudendo i suoi stancamente, la donna lo guarda un po’ in apprensione e continua a carezzargli la guancia con la punta delle dita, odiando con tutta se stessa vedere l’uomo che ama in questo stato, ma sapendo che è normale e che non può fare nulla al momento se non aspettare. «È normale, Karl, lo sai è l’effetto delle medicine e poi sei anche a stomaco vuoto da ieri a pranzo è normale che ti senti debole.» gli risponde la moglie, continuando a carezzargli la guancia e avvicinandosi al suo viso per poterlo baciare sulle labbra, Karl risponde al bacio e la stringe piano col braccio sinistro. «Lo so e sono stato anche peggio di così… ma odio con tutto me stesso stare male.» le soffia lui sulle labbra, Grace sorride e gliele morde. «Lo so, amore, ma come hai detto sei stato peggio di così, vedrai che dopo aver mangiato ti sentirai meglio.» gli risponde, tornando seduta e osservando le flebo, guardando poi l’ora sul cellulare, rendendosi conto che è ormai ora di pranzo. «È l’una, probabilmente tra un po’ vengono a portare il pranzo e verranno anche i medici a controllarti.» sussurra ancora all’orecchio del marito, posandogli poi un bacio sulla guancia, Karl riapre gli occhi e annuisce con un sorriso. «Dov’è Violet?» chiede, non ricordandosi affatto che la figlia è uscita con gli altri e Grace sorride, trovandolo tenero. «Con i tuoi genitori e gli altri, sono andati a fare un giro e poi andavano a pranzo, torneranno più tardi.» gli risponde carezzandogli la guancia e scostandogli un ciuffo dalla fronte. «Vero, l’avevo dimenticato…» mormora Karl mordendosi le labbra, Grace sorride ancora intenerita e lo bacia sulla fronte, poi afferra il suo cellulare sul comodino che inizia a squillare e risponde alla suocera, iniziando a parlare con essa e Karl richiude gli occhi; Dittmar ed Ehrenstein fanno capolino sulla porta assieme a due infermieri e fanno un cenno col capo alla donna al telefono, che si allontana dal letto per lasciarli liberi. «Karl come ti senti?» gli chiede Dittmar, mettendogli la mano sulla spalla sinistra e facendogli riaprire gli occhi. «Un po’ debole.» risponde il calciatore, mentre uno degli infermieri gli stacca la flebo con l’antibiotico e sostituisce le altre due di fisiologica e antidolorifico. «È normale la debolezza, sei digiuno da ieri.» risponde Dittmar, una volta finita la sostituzione delle flebo, aiutandolo con il collega a sollevarsi un po’, sollevando poi anche un po’ il letto, mentre un infermiere si avvicina con un bicchiere facendolo bere a piccolo sorsi, in quel momento entra anche un inserviente che spinge un carrello con sopra due vassoi e guarda i due medici. «Grazie, Meredith, lascia pure il vassoi sul tavolo, adesso finiamo di visitarlo e poi lo facciamo mangiare.» le dice Ehrenstein congedandola, mentre il collega misura la temperatura al calciatore; Grace chiude la telefonata con Beatrix e sorride al marito mentre osserva i medici che lo controllano. «Direi che va tutto bene, non ti è salita nemmeno la temperatura, adesso mangi e riposi un po’.» gli dice il medico e Karl annuisce, medici e infermieri escono e lo lasciano con Grace che gli si avvicina con un sorriso e lo aiuta a mangiare. «Ma tu non mangi?» le chiede Karl ingoiando il boccone. «Dopo, prima aiuto te.» risponde la moglie, imboccandolo di nuovo e sorridendogli dolcemente.

***

Finito il pranzo entrambi, Grace poggia i vassoi sul tavolo e ritorna dal marito, sedendosi sul letto e carezzandogli la guancia. «Come va? Ti senti ancora debole?» gli chiede, riempiendogli il viso di baci. «No, adesso va decisamente meglio, anche se mi sento stanco e inizia a salirmi la noia di stare su questo letto.» ammette il Kaiser, intercettando le labbra della moglie e baciandola con passione, Grace gli ridacchia contro, conoscendo bene la sua indole iperattiva e sapendo quanto gli pesi stare forzatamente al letto, poi ricambia il bacio con la stessa passione. «Sono contenta che ti senti meglio, ma ora non cominciare a brontolare sulla noia, lo so che non sai stare fermo, ma non puoi ancora alzarti e non puoi fare ciò che stai pensando, caro il mio Kaiser.» gli risponde Grace, baciandolo sul naso – che lui arriccia come loro figlia – facendo sorridere teneramente la moglie che lo guarda negli occhi, dove ha letto ciò che vorrebbe fare in questo momento il suo bellissimo e affascinante maritino, Karl colto in fallo scoppia a ridere in modo cristallino e la stringe a sé col braccio sinistro. «È vero, vorrei fare l’amore in questo momento, ma non è per nulla il momento adatto.» ammette tornando serio e baciando ancora le labbra della meravigliosa donna che ama, che ricambia con tenerezza il bacio, mentre gli carezza la nuca e i capelli. «No, infatti, almeno dovrai aspettare finché non sarai in grado di poter camminare come si deve.» lo provoca Grace, riempiendolo di baci e coccole. «Probabile… ma dobbiamo anche vedere come finisce con la spalla.» risponde  lui sbuffando, stanco di tenerla immobilizzata e ancora più stanco di non potersi muovere come gli pare e poter fare ciò che vuole. «Hai ragione, c’è anche la spalla da tenere in considerazione, ma è messa meglio rispetto a com’era il ginocchio quindi quasi sicuramente non dovrai operarti e il recupero sarà più breve.» risponde Grace, continuando a coccolarlo con amore e dolcezza. «Hai ragione, ma in ogni caso col ginocchio mi sono giocato praticamente quasi tutto il campionato.» sbuffa ancora Karl, chiudendo gli occhi e rilassandosi con le coccole. «Appunto, quasi, non tutto. Siamo a marzo, se la riabilitazione va bene riesci a giocare le ultime partite senza problemi, ammesso che la spalla non dia ulteriori problemi.» lo contraddice Grace mordendogli la guancia, Karl riapre gli occhi e ride al morso. «Speriamo, perché mi sono già rotto le palle di stare fermo e ho una voglia matta di correre e giocare e alzare al cielo il Meisterschale anche quest’anno.» risponde Karl con un sorriso fiero e battagliero sulle labbra. «E lo farai, amore mio, ne sono certa.» risponde Grace baciandolo, Karl ricambia il bacio e continuano a coccolarsi finché lui non si addormenta di nuovo e Grace gli abbassa il letto, lo carezza sulla guancia e lo bacia sulla fronte, guardandolo con amore e tenerezza, tornando poi a sedersi sulla poltrona e riprendere a leggere fino all’orario di visita.

***

Sono già passati due giorni dall’intervento, Karl si è ripreso dal malessere post intervento, ma adesso combatte con un malessere ancora più fastidioso: la noia; Grace dividendosi tra i figli e la casa, cerca di sostenerlo come può e quando non c’è lei, c’è sempre sua madre a tenergli compagnia, o gli amici quando non hanno allenamenti e anche Violet dopo scuola, compiti e allenamenti.

Leverkusen: mercoledì, 2 aprile, 2031 clinica sociale: camera di Karl/palestra, h. 9:30

Sta cazzeggiando al cellulare, rispondendo anche a dei messaggi di amici europei che, subito saputo del suo infortunio, si sono premurati di mandargli gli auguri di pronta guarigione, improvvisamente si sente un bussare alla porta e subito dopo viene aperta, lasciando entrare i medici e i fisioterapisti. «Buongiorno, Karl.» lo salutano i due medici sociali, mentre i fisioterapisti fanno un cenno del capo e lui ricambia tutti e quattro con un sorriso. «Come va oggi? Hai dolore?»  gli chiede uno dei fisioterapisti, avvicinandosi al letto e iniziando a mobilitare un po’ l’articolazione operata. «Non ho dolore, giusto un po’ di fastidio adesso perché me lo stai muovendo.» risponde Karl, chiudendo gli occhi e poggiando la testa sul cuscino. «È normale che ti dia un po’ di fastidio in questo caso, pensa che non sei nemmeno sotto antidolorifici, quindi se non ti fa troppo male è un buon segno.» gli risponde il fisioterapista, continuando il suo lavoro e facendo annuire il calciatore. «Quando potrò tornare in campo?» chiede Karl riaprendo gli occhi e guardando tutti e quattro i sanitari. «Tra quattro o sei settimane potrai riprendere le normali attività e gradualmente l’allenamento.» gli risponde il fisioterapista, continuando il suo lavoro. «Ma prima dobbiamo vedere come andrà la spalla e se è necessario intervenire o se basterà la terapia contenitiva.» aggiunge il dottor Dittmar. «Ma non mi fa male, penso sia un bene, no?» sbuffa Karl che non vede l’ora di poter scendere in campo e tornare a giocare e segnare. «Certo che è un bene, ma non vuol dire molto, Karl, non senti dolore perché è immobilizzata, tra due settimane toglieremo il tutore, faremo la risonanza e vedremo come andrà.» risponde il medico, facendo annuire il calciatore con uno sbuffo che strappa una mezza risata a tutti. «Bene, adesso facciamo qualche passo.» esordisce il fisioterapista, mettendo giù la gamba sinistra del Kaiser e mettendogli le mani sui fianchi per aiutarlo a mettersi seduto e poggiare i piedi per terra; la prima cosa che sente è un brivido di freddo che dai piedi gli si protrae alla colonna vertebrale e quando i fisioterapisti lo mettono in piedi, sente un leggero dolore al ginocchio e la gamba terribilmente debole, guarda i due che lo sorreggono ed entrambi gli sorridono incoraggiandolo, pian piano inizia a muovere qualche passo incerto fino a che non raggiungono la porta che viene aperta dal dottor Ehrenstein, Karl esce con i due fisioterapisti che continuano a sorreggerlo – vista la spalla lussata non può utilizzare le stampelle – e pian piano raggiungono la palestra della clinica sociale. «Buongiorno, Karl, vedo che sei già in forma e immagino che non vedi l’ora di tornare in campo.» lo accoglie Sven Elsinger, il responsabile dei fisioterapisti, colui che siede anche in panchina durante allenamenti e partite assieme a Dittmar ed Ehrenstein. «Buongiorno. Certo che non vedo l’ora di tornare in campo, ma so che ci vorrà del tempo e so che tu farai di tutto per farmi tornare il prima possibile.» risponde Karl con un sorriso, mentre Elsinger saluta i colleghi. «Certo, ma non correre troppo, Kaiser, finirai solo per farti male.» gli risponde ancora il fisioterapista, facendo cenno agli altri due, invitandoli ad avanzare, fino alla panca multifunzionale, dove fanno sedere il calciatore. «Sven non è ancora troppo presto?» gli chiede Dittmar, guardando Karl deglutire e fare un respiro profondo. «No, ho impostato il carico minimo e si aiuterà facendo più forza sulla gamba destra.» risponde Elsinger, mettendo un tutore al ginocchio sinistro e sorridendo al calciatore. «Vai piano e tira su il carico mettendo più forza a destra, se senti male dimmelo subito.» 

Karl annuisce, fa un respiro profondo e inizia a sollevare il carico con entrambe le gambe, mettendo maggiore forza nella gamba destra – nonostante il carico sia al minimo e lui è abituato a sollevare il massimo – avverte una leggera fatica nel farlo, non sente dolore, non al ginocchio operato almeno, ma ne avverte uno lieve al quadricipite femorale, si morde il labbro inferiore con i denti e soffoca un lieve gemito in gola. «Ti fa male?» gli chiede il fisioterapista, mettendogli una mano sulla spalla sinistra. «Non è il ginocchio a farmi male, solo sento il quadricipite tirare e dolere leggermente.» risponde Karl facendo un profondo respiro, senza però interrompere la serie. «È normale, deriva dal fatto che il muscolo è un attimo più debole, non ti preoccupare. Stai andando bene, fai altre otto ripetizioni e concludiamo la serie.» lo tranquillizza e incoraggia Sven con un sorriso, stringendogli la mano sulla spalla sinistra, incentivandolo a continuare, Karl annuisce ricambiando il sorriso e riprende le ripetizioni sopportando il fastidio che, man mano, va diminuendo, quasi fino a scemare. «Va bene così, Karl.» lo ferma il fisioterapista, poggiandogli la mano sulla coscia destra, Karl accenna un sorriso e si ferma con il respiro leggermente affannato, si lecca le labbra e poggia la nuca sulla spalliera della panca chiudendo gli occhi e stringendo con forza il pugno sinistro, fino a farsi sbiancare le nocche. «Qualcosa non va?» gli chiede Dittmar, osservando la sua reazione e stringendogli il pugno. «No, va tutto benissimo!» risponde Karl con una punta di sarcasmo, facendo un respiro profondo – l’ennesimo – e allentando la tensione muscolare, ma un po’ meno quella interiore, il medico sospira – sapendo perfettamente cosa non va – e guarda i colleghi, Ehrenstein ricambia il suo sguardo e annuisce. «Sven hai finito o vuoi fargli fare qualche altro esercizio?» chiede al collega fisioterapista che guarda un attimo il calciatore e scuote il capo. «No, è ancora presto per fare altro, adesso lo riportiamo in camera.» risponde, avvicinandosi a Dittmar e al Kaiser spingendo una carrozzella, Karl osserva la sedia a rotelle e sente quasi una fitta dolorosa al petto, una moltitudine di ricordi – confusi e affollati – gli martellano il cervello e scuote la testa per cacciarli via, allunga la mano sinistra verso il medico al suo fianco, respira profondamente mettendo il piede destro per terra e poi – piano – anche il sinistro, Ehrenstein lo affianca dalla parte destra e gli cinge il fianco, aiutandolo con Dittmar – che messosi il braccio sinistro del calciatore sulle spalle – gli cinge a sua volta il fianco e Karl si alza, mettendo la maggior parte del peso sulla gamba destra e muovendo quei pochi passi che lo separano dalla sedia a rotelle, deglutisce e, facendosi aiutare dai due medici, si siede mentre Elsinger gli solleva la gamba sinistra e gliela sistema sul supporto per il piede e lui fa lo stesso con la destra con un sonoro sbuffo. «Andate all’allenamento, lo porto io in camera.» dice Sven ai colleghi e ai due medici – che annuiscono salutando entrambi – mentre inizia a spingere la carrozzina fino in camera. Karl si è chiuso in se stesso e Sven rispetta il suo mutismo e lo osserva silenzioso e pensieroso, mentre continua a spingere la carrozzina per i corridoi della clinica fino alla camera, con lo stesso silenzio apre la porta e l’unico rumore a spezzarlo è il suo sbattere, provocato dal calcio che il fisioterapista gli ha dato per richiuderla – ma a parte il silenzio, sembra non spezzare minimamente la coltre ghiacciata del Kaiser – raggiunge il letto continuando a spingere la sedia a rotelle e continua a rimanere in silenzio anche quando lo aiuta ad alzarsi e rimettersi a letto; Karl si fa forza puntellando il piede destro sul materasso e Sven – immediatamente – gli afferra la gamba sinistra, mettendogli la mano sotto alla piega del ginocchio e lo accompagna nel movimento brusco che sta cercando di fare. «Piano, rischi solo di farti male.» lo ammonisce severamente, poggiando la gamba sinistra sul materasso, Karl annuisce con un impercettibile cenno del capo e lo volta verso la finestra, osservando quello scorcio azzurro di cielo e lo stadio che si intravede da dietro, sospirando, sapendo che i suoi compagni e amici si trovano là ad allenarsi; Sven lo guarda e intuisce i suoi pensieri ma ancora una volta deicide di non invadere la sua sfera emozionale e in silenzio gli stacca il tutore che poggia ai piedi del letto, si lecca le labbra continuando a osservarlo per un altro attimo, poi inizia a massaggiargli la coscia, Karl ha un mezzo sussulto e stringe i denti sentendo le mani del fisioterapista lavorare sul suo muscolo teso, provocandogli un non trascurabile fastidio doloroso, ma non dice nulla – ancora una volta resta chiuso in quell’involucro ghiacciato che è la sua corazza, che lo caratterizzava molto di più da ragazzino, e che ogni tanto rimette su quando è arrabbiato col mondo – deglutisce e chiude gli occhi, continuando a stringere i denti e alzando il braccio sinistro e portandolo sulla fronte, Sven lo osserva e continua il massaggio, sciogliendo il muscolo e Karl rilascia un sospiro di sollievo quando il dolore cessa, un altro sguardo del fisioterapista che sorride e passa a massaggiare il polpaccio, si morde le labbra e decide di dar voce ai suoi pensieri – sperando di far breccia su quella spessa coltre ghiacciata e poterla abbattere. «Karl lo so che sei nervoso e arrabbiato, ma con questo atteggiamento non risolvi nulla, ti fai solo il fegato marcio e finisci per stare solo peggio.» gli dice, continuando il massaggio, il Kaiser sospira e riapre gli occhi, pur non voltando il capo e non togliendo il braccio dalla fronte. «Non è solo questo, non pensavo che mi venisse così difficile sollevare anche il peso minimo, soprattutto visto che ho fatto più forza con la gamba sana… forse sono io ad aver paura di farmi male e mi blocco non riuscendo a farlo come si deve.» risponde con sincerità, dando voce a quei pensieri assordanti e a quelle paure devastanti che lo stanno schiacciando; Sven smette di massaggiargli il polpaccio e si siede sul letto, mettendogli la mano sul braccio e tirandolo giù, guadandolo negli occhi – che lui ha riaperto – con un sorriso. «Ascoltami, Karl è normale che tu non riesca a sollevare a dovere il peso – e non è rilevante che sia quello minimo – sei stato operato due giorni fa e la gamba è ancora debole, non devi avere paura di non farcela e di farti male, non ti avrei mai fatto fare l’esercizio se non fossi stato sicuro che ci saresti riuscito, non essere tu stesso l’artefice del tuo blocco. Lo so che è solo paura, ma non averne, fidati di me. Quando sei in piedi cerca di caricare anche sulla gamba sinistra, ovviamente però metti più peso sulla destra; ti prometto che tra un mese sarai come nuovo.» risponde carezzandogli la fronte continuando a sorridere. «Sai, forse il fatto di non poter usare le stampelle e il dover dipendere dagli altri per camminare mi limita e blocca un po’ e non ho idea di come sarà a casa.» ammette Karl con un sospiro, rassegnandosi all’idea di stare per un mese seduto su quella sedia che gli riporta alla mente altri ricordi.

Sven si porta una mano ad accarezzarsi il mento sbarbato e annuisce pensieroso. «Hai ragione, non è facile esser costretti a dipendere dagli altri, ma con la spalla lussata non hai altro da fare, per questo penso che sia meglio che tu vada momentaneamente a casa dei tuoi genitori in modo da avere l’aiuto di tuo padre. Tra due settimane ripeteremo la risonanza alla spalla e se la lussazione sarà guarita o migliorata ti permetteremo di usare le stampelle e tra due giorni ti dimettiamo, visto che sta andando tutto bene.» dice dopo un po’, tornando a massaggiargli il polpaccio, Karl si morde un attimo le labbra e poi sorride. «Scusami, non volevo diventare un iceberg insensibile e odioso, solo che è più forte di me a volte scatta questo meccanismo e non posso farci nulla.» dice Karl con un sospiro dispiaciuto e il fisioterapista sorride, ricordandolo ragazzino quando ancora Bernd era la bandiera della loro squadra, quando Karl passava tutto il tempo con lui e ostentava quel suo essere glaciale e insensibile al mondo intero. «Tu non sei affatto un iceberg, Karl, la tua è solo una maschera che metti su quando non vuoi che gli altri leggano ciò che provi veramente. Mi ricordo che quando eri un ragazzino, anche se non avevo a che fare con te, eri così e a volte mi davi l’impressione di non provare nemmeno sentimenti vedendoti dall’esterno… ma qualcuno mi disse appunto che la tua era solo maschera, che eri molto più sensibile di quanto lasciassi vedere e oggi, conoscendoti direttamente, posso affermare che è così e che anche se forse non te ne rendi conto sei molto più simile caratterialmente a lui di quanto tu possa pensare.» risponde Sven, continuando il massaggio, Karl si volta a guardarlo con gli occhi lucidi e sorride. «Questo è un grandissimo complimento per me, quando ero piccolo volevo emularlo in tutto e per tutto e volevo essere come lui… ma mi diceva sempre che avevo ancora tanta strada da fare per essere tale, forse calcisticamente parlando l’ho eguagliato – e forse anche superato – ormai da tempo, ma caratterialmente non so, non credo gli somiglierò mai del tutto in questo.» ammette continuando a sorridere, mentre due silenziose lacrime scivolano sulle sue gote. Sven finisce il massaggio al polpaccio e solleva lo sguardo sul viso del calciatore e sorride teneramente vedendo le lacrime, si siede sul bordo del letto e sorride ancora. «Penso anche io che calcisticamente sei ormai più forte di lui, sulla sfera caratteriale non ho detto che siete identici, ma che gli somigli molto più di quanto tu creda e a volte me lo ricordi moltissimo… e non credo di essere il primo ad aver avuto tale impressione e nemmeno il primo che te lo dica, ma c’è una sostanziale differenza che non potrà mai rendervi uguali, tu hai un temperamento più impulsivo e per quanto questo tuo lato con gli anni si è un po’ smussato – immagino soprattutto dopo esser diventato padre – ogni tanto lo lasci uscire assieme a quella maschera di ghiaccio.» risponde mettendogli una mano sul braccio sinistro e sorridendo ancora, anche Karl sorride e asciuga le guance con la mano, scostandosi dalla presa del fisioterapista. «Forse hai ragione… e sono fiero di esser paragonato o di somigliare a lui, perché per me è importante, ma non voglio essere la sua fotocopia come mi hanno etichettato molti – stampa in primis – quando sono venuto a giocare qui, soprattutto quando è uscita fuori la notizia che avrei indossato quella che è stata la sua maglia, anche io all’inizio mi ero convinto di essere la sua fotocopia, ma era un pensiero che mi faceva stare male, che mi dava fastidio e mi logorava perché so che non sono lui, so che sono diverso e che lo sarò sempre… ma sentivo che tale convinzione mi stesse annientando, non sentendomi nemmeno all’altezza di indossare quella maglia, di essere su quello stadio che è stato il suo palcoscenico, facendomi anche dubitare delle mie certezze calcistiche. Per fortuna con la nascita di mio figlio, al quale ho dato il suo nome e che all’inizio avevo immaginato come un suo simulacro, ho capito che mi stavo perdendo e che se volevo andare avanti senza rimanere schiacciato da questa situazione dovevo impegnarmi solo di più per farmi carico di questa responsabilità che è l’avere quel numero sulle spalle e far capire agli altri che io sono io e lui è lui.» ammette Karl, poggiando la testa sul cuscino e sorridendo, mentre chiude gli occhi – sentendosi improvvisamente stanco – Sven gli carezza la fronte e sorride, alzandosi dal letto e abbassando la testiera. «Hai ragione, vi somigliate, ma sarete sempre due persone distinte e separate e Bernd è fiero di vedere ciò che sei diventato. Adesso però riposa, sei ancora un po’ debole.» sussurra, posandogli ancora una carezza sulla fronte. «Grazie.» sorride Karl, riaprendo gli occhi e chiudendoli nuovamente appena il fisioterapista si chiude la porta della camera alle spalle.

***

Sono passate due settimane da quando il Kaiser è stato dimesso dalla clinica, alla fine hanno deciso di passare questo periodo di convalescenza alla vigna in modo che i suoi genitori potessero dare a lui un’assistenza migliore e un supporto maggiore a Grace e non doversi dividere ed esaurire troppo tra il marito temporaneamente bloccato e i figli; Karl dalla sua è un miracolo se non ha mandato a quel paese ogni membro della sua famiglia perché furioso col mondo intero e perché non poter fare nulla e il dover sempre dipendere da qualcuno – da suo padre per la maggior parte delle volte – gli urta il sistema nervoso e ne ha le palle piene, di contro la fisioterapia al ginocchio procede nel migliore dei modi i punti sono stati giorno in cui deve ripetere la risonanza per vedere a che punto è la lussazione, inutile dire che Karl ha passato la notte in bianco in preda all’ansia e – andando contro ogni suo principio – con un pessimismo non suo, degno di quello Cosmico di Franz Kafka che, ai tempi del liceo, ha detestato con tutto se stesso. Ironicamente, adesso, si rivede come non mai in uno dei personaggi dello scrittore, nello specifico si rivede in Georg de La Condanna il quale, nel racconto, deve dare a un amico le ultime liete notizie che gli sono accadute in campo lavorativo e amoroso, ma è riluttante nel farlo, avendo saputo che l’amico trasferitosi a San Pietroburgo ha invece appena avuto un fallimento lavorativo – quasi come se lui godesse nel riferirgli che gli va tutto benissimo – e per questo viene successivamente condannato dal padre; Karl nella sua notte insonne si crea una versione tutta sua del racconto, in cui si sente il condannato a morte, ma è una condanna che si è inflitto da solo – quasi come se fosse un’allegoria – è sia la vittima che il carnefice, e si sente totalmente idiota perché si rende conto da solo che tutta la sua elucubrazione contorta non ha alcun senso, ma pessimisticamente parlando, quella lama di Democle che sente pendere sulla sua testa – col nome di lussazione alla spalla – gli fa vedere tutto nero, perché arbitrariamente, insensatamente e inconsciamente – pessimisticamente – il suo cervello, ha deciso che dalla risonanza che dovrà fare dopo la lunga notte insonne, che ha passato a pensare a cose senza capo né coda, non riscontreranno alcun miglioramento e che sarà costretto a subire un’altra operazione.

Leverkusen: lunedì, 14 aprile, 2031 clinica sociale, h. 10:00

Alla fine, contro ogni sua pessimistica aspettativa, la risonanza ha dato esito positivo. «La situazione è leggermente migliorata, la spalla sta rispondendo bene alla terapia conservativa ed è su questa linea che continueremo per almeno un altro mese o forse due.» annuncia l’ortopedico, affiancato da Sven, mostrando a Karl, Grace e Thomas – che lo hanno accompagnato – le immagini della prima e della seconda risonanza, mettendo in luce i miglioramenti, comparando le due diagnosi; Karl annuisce con un sospiro e un leggero sorriso sulle labbra, certo, rispetto a come se l’era immaginata lui la situazione, è sicuramente meno catastrofica ma non si può dire certo guarita; Grace gli stringe la mano sinistra e gli bacia la guancia. «Quindi quando vuoi iniziare con la riabilitazione?» chiede Thomas al fisioterapista che guarda il calciatore e gli sorride. «Tra due settimane inizieremo la riabilitazione anche alla spalle, è ancora presto, tuttavia adesso mettiamo un altro tutore che ti permetterà di muovere il braccio ma tenere ferma la spalla in questo modo potrà anche usare le stampelle.» risponde prendendo una scatola poggiata sul mobile dietro la scrivania ed estraendo un ortesi, ovvero una specie di tutore di stabilizzazione della spalla che rispetta anatomicamente l’articolazione e funge da supporto permettendo un controllo dei movimenti funzionali. Karl sorride all’affermazione di Sven e i suoi occhi iniziano a brillare di felicità e Grace sorride, osservando quel bellissimo sorriso che illumina il viso del marito. «Ottimo, questa è davvero una bella notizia.» afferma Thomas, osservando Sven che gli sorride e si alza per aiutare il figlio ad alzarsi – che ormai riesce anche a stare in piedi da solo, pur non facendo massimo carico sulla gamba sinistra – per aiutarlo a togliersi la felpa, Sven stacca le fibbie del tutore che gli immobilizzano il braccio all’altezza del petto e poi anche la fascia che lo regge, Grace – istintivamente – afferra la mano destra di suo marito e gli cinge il fianco sinistro e lui si volta a sorriderle e le dà un bacio sulla guancia, mentre il fisioterapista gli mette l’ortesi, infilando la fascia dalla mano e salendola fino al bicipite e all’attaccatura dell spalla fino a coprire completamente l’articolazione e bloccando la fascia con lo strappo regolabile sulla parte sinistra del petto del calciatore e, successivamente, inizia a regolare e bloccare anche le fibbie piccole poste sulla fascia che copre il braccio per regolare la tensione e la trazione. «In questo modo puoi anche muovere il braccio, ma la spalla resta comunque ferma e i suoi movimenti sono sempre accompagnati e supportati, così non rischi di farti male o peggiorare la situazione.» gli dice, facendogli muovere il braccio, accompagnandolo lui stesso nei movimenti e poi invitandolo a fare da solo, dopo che prova e riesce, Grace lo aiuta a rimettersi la maglia e la felpa e l’ortopedico gli consegna le stampelle, Karl lo ringrazia con un sorriso e inizia a fare qualche passo, prendendo man mano sempre più dimestichezza – vista l’iniziale, normale, rigidità della spalla. «Bene, direi che per oggi è tutto, Kaiser, ci vediamo domani per la fisioterapia al ginocchio. Mi raccomando però, non ti gasare troppo e non sforzare la spalla inutilmente.» gli dice Sven con un sorriso e Karl annuisce ricambiandolo, gli Schneider salutano e tornano a casa.

 

 

 

***

Angolo dell’Autrice: rieccomi qua, ogni tanto ritorno anche io da queste parti. xD Volevo pubblicare per Natale, ma non ho avuto modo tra feste e vacanze a casa, adesso però sono tornata al lavoro e quindi eccomi qua col tempo per pubblicare almeno per la fine dell’anno, approfittando così per farvi anche gli auguri. Chi conosce e legge la storia dall’inizio, noterà che ho inserito le date, com’è per tutte altre storia della serie (in parte perché mi sono un po’ resa conto che non ha senso usarle in alcune e non in altre, in parte perché nei mesi scorsi mi sono portata un bel po’ avanti con la stesura di Together e i capitoli successivi a questi saranno carichi di avvenimenti importanti e scrivendoli mi sono resa conto che mi stavo perdendo con i tempi, quindi ho deciso di mettere le date anche qui); nonostante abbia dei capitoli di scarto pubblicherò sempre mensilmente – o forse no, visto che Chronicles è ferma e non ci sarà alcuna alternanza. Grazie a tutti coloro che continuano a seguire questa storia, alla mia meravigliosa Darling che è sempre pronta dietro le quinte a darmi consigli e consulti e anche a Barby per gli stessi motivi! ♥

E mentre io sono qua a inventarmi mille e più tragedie per incasinare le vite dei nostri calciatori preferiti, nella real life succedono tragedie (anche se non le si possono del tutto definire tali, visto che è il normale ciclo della vita) ma nel giro di poco più di una settimana due ex calciatori sono morti di cancro (Mihajlovic uno dei miei calciatori preferiti negli anni in cui ero piccola e Pelé che pur non avendo conosciuto perché era già fuori dal calcio è stato il calciatore che, forse, più di tutti ha fatto la storia del calcio e anche chi non l’ha vissuto direttamente lo ama, perché il suo mito è intramontabile e ineguagliabile) e con loro anche un altro pezzo del calcio, quello bello, è andato via – riposate in pace, eterni campioni! ♥

Sì, lo so, predico bene e razzolo male – visto che faccio tutta la dispiaciuta per la loro morte – ma sono la prima io a scrivere delle medesime tragedie e uccidere i miei personaggi per gli stessi motivi… ma scrivere è questo, far volare la fantasia, giocare tra la finzione e la realtà e mettere nero su bianco parte dei propri vissuti e poi, se non ci sono tragedie, io non mi diverto. xD

Dunque auguri a tutti quanti un bellissimo anno nuovo. ♥  Al prossimo aggiornamento, vostra sempre, Amy

 

 


[1] Merda

   
 
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